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SCRITTI PATRISTICI PER LA LITURGIA FESTIVA (anno A)

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    00 20/06/2011 22:34
    SOLENNITA` DEL SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO

    (Domenica dopo la Trinità)

    L`origine della festa del Corpus Christi va associata col sorgere di una nuova pietà eucaristica nel Medioevo che accentuava la presenza di Cristo nel Santissimo Sacramento. La causa prossima dell`introduzione della festa furono le rivelazioni della beata Giuliana (1193-1258), monaca agostiniana del convento di Mont-Cornillon, vicino a Liegi. La materia delle rivelazioni fu presentata ai teologi (tra i quali c`era il futuro papa Urbano IV), e dopo aver ricevuto il loro verdetto, nell`anno 1246, la festa fu introdotta nella diocesi di Liegi e celebrata il giovedí nell`ottava della SS. Trinità. Urbano IV estende la festa a tutta la Chiesa nel 1264; ma la sua morte non ha permesso la promulgazione del documento. Solo dopo aver pubblicato la bolla di papa Giovanni XXII, nell`anno 1317, la festa fu accolta in tutto il mondo.
    La prima menzione della processione in questo giorno proviene da Colonia (1277-1279); nel secolo XIV la conoscono già le altre diocesi di Germania, Inghilterra e Francia, e Roma stessa verso il 1350. Sul territorio di Germania, all`inizio del XV secolo, la processione del Corpus Christi fu legata alla supplica per il buon tempo ed il buon raccolto. Presso quattro altari si cantavano gli inizi dei quattro Vangeli: era comune la convinzione che il canto di questi brani avrebbe portato un particolare aiuto e protezione da tutti i pericoli.
    La processione supplicante diventa importante per i fedeli, che fanno tutto per renderla piú splendida. Sotto l`infiusso della Riforma, la processione assume un altro carattere, diventa la professione di fede nella reale presenza di Cristo nel Santissimo Sacramento. Si continua a cantare l`inizio dei Vangeli, ma questa prassi viene interpretata in altro modo: sotto le specie del pane è presente Cristo in mezzo a noi, Cristo che una volta ha vissuto sulla terra e il cui Vangelo è adesso annunciato.
    Pio IX, nell`anno 1849, in segno di gratitudine per il felice ritorno dall`esilio, costituì la festa del Preziosissimo Sangue di Cristo. Dato che la festa del Corpo di Cristo è nello stesso tempo festa del Sangue di Cristo, il nuovo calendario sopprime la festa del 1° luglio e alla festa del Corpus Christi dà nome: Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo.
    Cristo nel «mirabile Sacramento ci ha lasciato il memoriale della sua Pasqua» e la Chiesa, attraverso i secoli, celebrando l`Eucaristia «annuncia la morte del Signore, proclama la sua Risurrezione ed attende la sua venuta nella gloria». Cristo in modo mirabile rimane in mezzo a noi: ci fa partecipare al suo Sacrificio di Redenzione e si fa cibo per noi. Egli offre il suo Corpo per noi; il suo Sangue comporta la remissione dei peccati. Il Sacrificio di Gesú porta pace e salvezza a tutto il mondo. La Chiesa si nutre del Corpo e del Sangue del Signore: e allora tutti i suoi figli diventano «un solo corpo e un solo spirito in Cristo». La potenza dello Spirito Santo riveste tutti i credenti e fa sí che essi diventino in Cristo il sacrificio vivente a gloria di Dio Padre. L`Eucaristia diviene per chi crede il preannunzio della piena partecipazione alla vita di Dio nell`eternità, è il pegno della vita eterna. «Chi mangia il mio Corpo e beve il mio Sangue avrà la vita «eterna», disse il Signore.
    Cristo Signore è presente in mezzo a noi nel Santissimo Sacramento. La coscienza di ciò porta all`adorazione e alla lode, specialmente nella Solennità del Corpo e del Sangue del Signore. In questo giorno, il popolo cristiano dà pubblicamente e con pietà la testimonianza della sua fede nell`Eucaristia, esce in processione sulle strade con canti di lode.

    Mistero della Cena!
    Ci nutriamo di Cristo,
    si fa memoria della sua passione,
    l`anima è ricolma di grazia,
    ci è donato il pegno della gloria.

    (Liturgia Horarum, III: Sanctissimi Corporis et Sanguinis Christi, ad II Vesperas, ad Magnificat)


    1. Le condizioni per celebrare la Pasqua

    Facciamo pure cosí in ciò che spetta ai misteri (eucaristici), senza guardare soltanto ciò che abbiamo dinanzi a noi, ma tenendo presenti le sue parole. Perché la sua parola è infallibile ed i nostri sensi sono fallibili. La sua parola non è mai venuta meno mentre i sensi il piú delle volte si ingannano. Poiché la sua parola ci dice: Questo è il mio corpo, ubbidiamo e crediamo, e vediamolo con gli occhi dello spirito. Infatti, Cristo non ci diede nulla di sensibile, ma piuttosto, per mezzo di cose sensibili, non ci diede altro che cose spirituali. Cosí nel battesimo, per mezzo di una cosa sensibile, ci si dà il dono dell`acqua, ma sono spirituali la rinascita e il rinnovamento ivi prodotti. Se tu fossi incorporeo, ti avrebbe dato soltanto questi doni incorporei; ma poiché l`anima è unita al corpo, ti offre - per mezzo di cose sensibili - altre spirituali. Quanti ora dicono: «Vorrei vedere la sua forma, la sua figura, le sue vesti, i suoi calzari!». Ecco quindi che Lo vedi, Lo tocchi, Lo mangi. Tu desideri vedere le sue vesti; ma Egli stesso ti si dona, e non solo perché tu lo veda, ma perché tu lo veda, ma perché lo possa toccare e mangiare e lo riceva dentro di te. Nessuno, quindi, si avvicini con senso di fastidio, con tiepidezza; tutti vi giungano pieni di ardore, di fervore e ben desti. Perché se i giudei, stando in piedi, tenendo i calzari e i bastoni in mano, mangiavano in fretta, conviene assai di piú che tu sia in guardia. Se essi, infatti, dovevano recarsi in Palestina, e per questo prendevano la forma di viandanti, tu invece devi trasferirti in cielo.
    E` necessaria quindi una grande vigilanza: il tormento da cui sono minacciati coloro che comunicano indegnamente non è mediocre Considera come ti riempi di sdegno contro il traditore e contro quelli che hanno messo in croce Cristo. Bada bene di non essere anche tu reo del corpo santissimo, ma tu lo ricevi con l`anima immonda dopo aver ricevuto tanti benefici! Poiché Egli non si accontentò di farsi uomo, di essere schiaffeggiato e crocefisso, ma si unisce anche e si intrattiene con noi, e non solo per mezzo della fede, ma in realtà ci fa suo proprio corpo. Quale genere di purezza deve superare colui che partecipa a tale sacrificio? Quali raggi di luce da essere sorpassati dalla mano che spezza questa carne, dalla bocca che si riempie di questo fuoco spirituale, dalla lingua che si arrossa con questo sangue venerando?
    Considera quale onore tanto elevato ti viene reso, di quale banchetto fai parte. Colui che gli angeli vedono con tremore e, a causa del suo splendore, non osano guardare in faccia, di Questi noi ci alimentiamo, con Questi noi ci mescoliamo e diventiamo un solo corpo e carne di Cristo. Chi può narrare i prodigi del Signore, far risuonare tutta la sua lode? (Sal 105,2). Quale pastore non rnanda al pascolo le sue pecore servendosi dei suoi servi? Ma che dico, pastore? Vi sono spesse volte delle madri le quali, dopo aver sofferto i dolori del parto, offrono i loro figli ad altre affinché li allattino e li educhino. Ma Egli non ha voluto cosí; Egli ci alimenta col suo sangue e si unisce a noi con tutti i mezzi. Osservalo bene: è nato dalla nostra stessa sostanza. Ma ciò non appartiene a tutti, dirai. Invece, sí certamente: a tutti. Perché se è venuto a prendere su di sé la nostra natura, è evidente che è venuto per tutti. E se per tutti, anche per ognuno di noi.
    Ma come mai, mi dirai, non tutti hanno saputo trar profitto da questo guadagno? Non certamente per colpa di Colui il quale ha scelto questo in nome di tutti, bensí per colpa di coloro che non hanno voluto. Con ognuno dei fedeli Egli si unisce e si mescola per mezzo del sacramento, e coloro che ha generati li alimenta lui stesso e non li affida ad altri, e ti persuade allo stesso tempo col fatto che Egli ha preso la tua carne. Non dobbiamo quindi essere pigri, essendo stati giudicati degni di un sì grande amore ed onore. Non vedete con quale slancio i piccoli si attaccano al petto della madre, con quale impulso vi applicano le labbra? Avviciniamoci anche noi con lo stesso slancio a questa mensa, a questo petto e a questo calice spirituale; e ancora di piú: attiriamo con un impegno piú grande, come fanno i bimbi che devono essere allattati, la grazia dello Spirito Santo, e non abbiamo nessuna altra preoccupazione se non quella di non partecipare di questo alimento. L`Eucaristia non è opera dovuta alla virtù umana. Colui che in quella cena l`ha portata a compimento è Colui che ancor oggi la sostiene. Noi abbiamo la funzione di suoi ministri; ma Colui che santifica la offerta e la trasforma è Lui stesso.
    Non vi prenda parte, quindi, nessun Giuda, nessun avaro. Se qualcuno non è suo discepolo, si ritiri; il sacro banchetto non ammette tali commensali. Celebro la Pasqua, afferma, con i miei discepoli (Mt 26,8). Questa è la stessa mensa. Poiché non si può dire che Cristo abbia preparato quella e l`uomo questa: ambedue sono state preparate da Cristo. Questa è quel cenacolo in cui allora si trovavano e da cui si recarono al monte degli; Ulivi. Rechiamoci anche noi verso le mani dei poveri, perchè sono esse nel monte degli Ulivi. Ulivi piantati nella casa del Signore, sono la moltitudine dei poveri, i quali distillano l`olio che nell`al di là ci sarà di utilità, l`olio che avevano le cinque vergini, mentre le altre cinque perirono perché non seppero prenderlo da qua. Prendiamolo, dunque, ed entriamo per andar incontro allo Sposo con le lampade splendenti; prendiamolo ed usciamo da qua con esso. Non vi entri nessuno che sia disumano, nessuno che sia crudele e senza compassione, nessuno assolutamente che sia macchiato.
    Dico questo a voi che comunicate e a voi che amministrate la comunione. Perché è necessario parlare anche a voi affinché di affinché distribuiate questi doni con molta diligenza. Non vi viene riservato affatto un piccolo castigo se, conoscendo le cattiverie di qualcuno, permettete che partecipi a questo banchetto. Si domanderà conto del suo sangue alle vostre mani! (cf. Gen 42,22). Anche se si tratta del comandante militare, anche se si tratta del prefetto, anche se è colui stesso che si cinge il diadema, e si accosta indegnamente, allontanalo; tu hai un potere piú grande di quello che ha lui! Se tu avessi ricevuto l`incarico di conservare pura una fonte di acqua per un gregge, e vedessi una pecora con la bocca piena di fango, non le permetteresti di abbassarsi sulla corrente e di intorbidirla; e come mai adesso, che sei incaricato di una fonte non d`acqua, ma di sangue e spirito, e vedendo avvicinarsi ad essa alcuni che sono macchiati, non di terra e fango, ma di qualcosa di peggio, il peccato, come mai non ti adiri e non li allontani? Quale perdono pensi vi sia per te?
    Per questo Iddio vi ha distinti con sí grande onore, affinché voi possiate far la cernita tra i degni e gli indegni. Questa è la vostra dignità, questa è la vostra sicurezza, questa la vostra corona; e non passeggiare (per la chiesa) cinti di un bianco e splendente vestito.

    (Giovanni Crisostomo, In Matth., 82, 4-6)


    2. «Fate questo in memoria di me»

    E mentre cenavano, prendendo in mano il pane, lo spezzò. Per quale motivo ha celebrato questo mistero precisamente nel tempo della Pasqua? Affinché tu scopra in ogni luogo che Lui era il Legislatore dell`Antico Testamento, e che quanto è in esso contenuto è stato scritto per raffigurare questa realtà. Ed è per questo motivo che Egli ha collocato la verità al posto della figura. La sera, per suo conto, significava la pienezza dei tempi, e che gli avvenimenti erano vicini ormai al loro termine. Egli, inoltre, rende grazie, insegnandoci così come si deve celebrare questo mistero, dimostrandoci che Egli non cammina verso la Passione involontariamente, insegnandoci a portar avanti con gratitudine tutte le nostre sofferenze e proponendoci tante buone speranze. Poiché se la figura è stata un frutto di libertà da una cosí grande schiavitú, quanto piú lo sarà la verità che darà libertà a tutta la terra e verrà data per il bene della nostra natura! Ed è per questo motivo che Egli non ci ha donato il mistero fino a questo momento, ma soltanto quando le istituzioni legali dovevano cessare. Egli distrugge infine la principale di tutte le sue feste, trasportando [i suoi] ad un`altra mensa terribile, ed esclama: Prendete, mangiate: questo è il mio corpo, il quale viene spezzato per molti (1Cor 11,24).
    E come mai, all`udire questo, non ne furono turbati? Perché già in anticipo Egli aveva loro predetto su tale argomento molte e grandi cose. Per cui non le ribadisce ora, perché essi avevano già inteso parlare abbastanza sull`argomento, ma riporta la causa della sua passione, che era la remissione dei peccati. Egli chiama poi il suo sangue del Nuovo Testamento, vale a dire, della promessa, dell`annuncio della nuova legge. Infatti, ciò era stato promesso dai tempi antichi e viene confermato dal Testamento della legge nuova. E cosi come l`Antico Testamento usava pecore e vitelli, il Nuovo ha il sangue del Signore. Per questo stesso motivo fa capire che va verso la morte: per questo fa menzione di Testamento; e fa menzione dell`Antico, perché anch`esso si era iniziato col sangue.
    E ancora una volta accenna alla causa della sua morte. Il quale [il sangue] sarà effuso per molti per la remissione dei peccati; ed aggiunge: Fate questo in memoria di me. Vedete come si sta distaccando ed allontanando dalle usanze giudaiche? Così come quello anteriore - dice ad essi - lo facevate in memoria delle meraviglie di Egitto, ora fate questo in memoria di me. Quel sangue era stato effuso a salvezza dei primogeniti: questo invece in perdono dei peccati di tutto il mondo. Perché questo è il mio sangue - egli dice - che sarà versato in remissione dei peccati. E parlava in questo modo, dichiarando così che la passione e la croce sono un mistero, ed esortando in tale maniera allo stesso tempo i discepoli. E cosí come Mosè ha detto: Questo [sia] per voi ricordo sempiterno (Es 3,15), così pure Egli dice: In memoria di me (Lc 22,19) finché io verrò. Per questo motivo dice ancora: Ho desiderato ardentemente di mangiare questo agnello pasquale (Lc 22,15); e cioè, consegnarvi delle cose nuove e donarvi la pasqua, con la quale devo rendervi spirituali.
    Di esso [del sangue] ne bevve anche Lui. Infatti, affinché quelli, nell`udire ciò, non dicessero: «Come mai? Beviamo sangue e mangiamo carne?» e ne fossero turbati (poiché in realtà, quando Egli parlò di questo argomento, molti solo all`udire tali parole, ne furono scandalizzati), Egli - perché non venissero turbati anche ora - è stato il primo a farlo, invogliandoli tranquillamente alla partecipazione dei misteri. Per tal motivo bevve Egli stesso il suo proprio sangue. Ma come? dirai. E bisognerà fare anche quello di prima (quello dell`antica legge)? Niente affatto. Perché Egli ha detto: Fate questo, precisamente per allontanarci da quello. Infatti, se questo opera la remissione dei peccati - come in realtà avviene -, quello è ormai inutile. Cosí, dunque, come succedeva tra i Giudei, vincola ora al mistero il ricordo del beneficio, chiudendo in tal modo la bocca agli eretici. Perché quando essi dicono: «Da che cosa si deduce che Cristo è stato immolato?», oltre ad altre ragioni, chiudiamo le loro labbra per mezzo dei misteri. Poiché se Cristo non fosse morto, di che cosa sarebbero simbolo i misteri che noi celebriamo?

    (Giovanni Crisostomo, In Matth., 82, 1)


    3. Cibo e bevanda di vita eterna

    Quelli che, cadendo nelle insidie loro tese, hanno preso il veleno, ne estinguono il potere mortifero con un altro farmaco. Allo stesso modo, come è entrato nelle viscere dell`uomo il principio esiziale, deve entrarvi anche il principio salutare, affinché si distribuisca in tutte le parti del suo corpo la virtù salvifica. Avendo noi gustato il cibo dissolvitore della nostra natura, ci fu necessario un altro cibo, che riunisce ciò che è dissolto, perché, entrato in noi, questo medicamento di salvezza agisse da antidoto contro la forza distruggitrice presente nel nostro corpo. E cos`è questo cibo? Null`altro che quel Corpo che si rivelò piú possente della morte e fu l`inizio della nostra vita. Come un po` di lievito, secondo quanto dice l`Apostolo (cf. 1Cor 5,5), rende simile a sé tutto l`impasto, cosí quel Corpo, dotato da Dio dell`immortalità, entrato nel nostro, lo trasforma e lo tramuta tutto in sé. Come, infatti, il principio salutare mescolato al principio mortifero toglie il potere esiziale al miscuglio, cosí il Corpo immortale una volta dentro colui che lo ha ricevuto, lo tramuta tutto nella propria natura.
    Ma non è possibile entrare in un altro corpo, se non unendosi alle sue viscere, se non cioè, come alimento e bevanda: dunque è necessario ricevere la forza vivificante dello Spirito nel modo possibile alla natura. Ora, solo il Corpo, ricettacolo di Dio, ricevette la grazia dell`immortalità, ed è dimostrato che non è possibile, per il nostro corpo vivere nell`immortalità, se non partecipandovi per la comunione a quel Corpo. E` necessario considerare come mai sia possibile che quel Corpo, continuamente distribuito in tutto il mondo a tante migliaia di fedeli, rimanga sempre unico e identico in tutto se stesso, affinché la fede, riguardando ciò che è conseguente non abbia dubbi circa le nozioni proposte, è bene fermare un poco il nostro ragionamento sulla fisiologia del corpo.
    Chi non sa che il nostro corpo, per natura sua, ha una vita che non è in sé sussistente, ma, per l`energia che in esso affluisce, si mantiene e resta nell`essere attirando con moto incessante a sé ciò che è estraneo ed espellendo ciò che è superfluo? Un otre pieno di un liquido, se il contenuto esce dal fondo, non può mantenere inalterata la forma e il volume, se dall`alto non entra altro liquido al posto di quello che se ne è andato: perciò chi vede la massa a forma d`otre di questo recipiente, sa che non e propria dell`oggetto che vede, ma che è il liquido che in lui affluisce a dare forma e volume al recipiente. Cosí anche il nostro corpo, per sua struttura, non ha nulla di proprio, a quanto ci consta, per la propria sussistenza, ma resta nell`essere per una forza che introduce in sé. Questa forza è e si chiama cibo. Essa poi non è identica per tutti i vari corpi che si nutrono, ma per ciascuno è stato stabilito il cibo conveniente da colui che governa la natura. Alcuni animali scavano radici e se ne nutrono, per altri nutrimento è l`erba e per altri ancora, invece, la carne. Per l`uomo, l`alimento principale è il pane, mentre la bevanda, necessaria per mantenere e conservare l`umidità, non è solo la semplice acqua, ma spesso unita al vino, che è di giovamento al nostro calore animale. Chi dunque guarda questi cibi, vede in potenza la massa del nostro corpo. Quando infatti sono in me diventano rispettivamente carne e sangue, perché il potere assimilante muta l`alimento nella forma del nostro corpo.
    Esaminato cosí dettagliatamente tutto ciò, riportiamo il pensiero al nostro argomento. Ci si chiedeva dunque come il corpo di Cristo, che è in lui, possa vivificare la natura di tutti gli uomini che hanno fede, venendo a tutti distribuito e non diminuendo in se stesso. Forse non siamo lontani da una ragione plausibile. Infatti, se la realtà di ogni corpo deriva dall`alimentazione, che consta di cibo e bevande, e il cibo è pane, la bevanda acqua unita al vino; se poi, come abbiam detto sopra, il Logos di Dio, che è Dio e Logos, si uní alla natura umana, e venendo nel nostro corpo, non innovò la realtà di tale natura umana, ma diede al suo corpo la possibilità di permanere in vita per mezzo di ciò che è consueto e adatto, dominandone cioè la sussistenza, per mezzo del cibo e della bevanda; se quel cibo era pane; se come in noi - l`abbiamo già detto ripetutamente - chi vede il pane vede in un certo senso il corpo umano, perché il pane in esso entrato in esso si trasforma; cosí anche nel nostro caso: il corpo ricettacolo di Dio, preso il pane in nutrimento, era in un certo senso lo stesso che il pane, perché il nutrimento, come abbiamo detto, si tramuta nella natura del corpo.
    Ciò che è proprio di tutti i corpi umani si verifica anche in quella carne: quel Corpo cioè veniva sostentato dal pane; ma quel Corpo, per l`inabitazione del Logos di Dio, si era trasmutato in dignità divina: giustamente credo, dunque, che anche ora il pane santificato dal Logos (Parola) di Dio si tramuta nel Logos di Dio, anche quel Corpo, infatti, era in potenza pane; fu santificato dall`abitazione del Logos che si attendò nella carne. Come il pane, trasformato in quel Corpo, si mutò in potenza divina, cosí anche ora diventa la stessa realtà. Allora la grazia del Logos rese santo il corpo la cui sussistenza dipendeva dal pane e in un certo senso era anch`esso pane; allo stesso modo ora il pane, come dice l`Apostolo (cf. 1Tm 4,5), santificato dal Logos di Dio e dalla preghiera, diviene corpo del Logos, non lentamente, come fanno cibo e bevanda, ma immediatamente come disse il Logos stesso: Questo è il mio corpo (Mt 26,26).
    Ogni corpo si ciba anche di liquido: senza il suo apporto, infatti, l`elemento terrestre che è in noi, non resterebbe in vita. Come sostentiamo la parte solida del nostro corpo con il cibo solido e duro, cosí all`elemento liquido del nostro corpo aggiungiamo qualcosa della sua stessa natura. Quando questo liquido è in noi, per la funzione assimilatrice, si tramuta in sangue, soprattutto se dal vino ha ricevuto la forza di mutarsi in calore. Dunque, anche questo elemento accolse nella sua struttura quella carne ricettacolo di Dio, ed è chiaro che il Logos uní se stesso alla caduca natura degli uomini affinché per la partecipazione alla divinità ciò che è umano fosse anch`esso divinizzato; per questo motivo egli, per disegno della sua grazia, per mezzo della carne la cui sussistenza proviene dal pane e dal vino, quasi seminò se stesso in tutti i credenti, unendosi ai loro corpi, affinché per l`unione con ciò che è immortale anche l`uomo diventasse partecipe dell`incorruttibilità. Questo egli dona per la potenza della benedizione che tramuta in ciò la natura degli elementi visibili.

    (Gregorio di Nissa, Catech. M., 37)


    4. Credere per capire

    Ciò che dunque vedete è pane e vino; ed è ciò che anche i vostri occhi vi fanno vedere: ma la vostra fede vuol essere istruita, il pane è il corpo di Cristo, il vino è il sangue di Cristo. Veramente quello che è stato detto in poche parole forse basta alla fede: ma la fede desidera essere istruita. Dice infatti il profeta: Se non crederete, non capirete (Is 7,9). Infatti voi potete dirmi: «Ci hai insegnato a credere, fa` in modo che noi comprendiamo». Nel proprio animo qualcuno può pensare: «Sappiamo che Nostro Signore Gesú Cristo nacque da Maria Vergine. Da bambino fu allattato, nutrito; quindi crebbe, divenne giovane, fu perseguitato dai Giudei, fu messo in croce, morí in croce, fu deposto dalla croce, fu sepolto, il terzo giorno risuscitò come aveva stabilito, salí in cielo; come è asceso cosí verrà a giudicare i vivi e i morti; quindi ora siede alla destra del Padre: come può il pane essere il suo corpo? E il calice, ossia il vino che il calice contiene, come può essere il suo sangue?». Ma queste cose, fratelli, si chiamano Sacramenti, poiché in essi una cosa si vede, un`altra si intende. Ciò che si vede ha un aspetto corporeo, ciò che si intende ha sostanza spirituale. Se dunque vuoi farti una idea del corpo di Cristo, ascolta l`Apostolo che dice ai fedeli: Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra (1Cor 12,27). Perciò se voi siete il corpo e le membra di Cristo, il vostro mistero risiede nella mensa del Signore: voi accettate il vostro mistero. A ciò che siete voi rispondete Amen, e cosí rispondendo voi l`approvate. Infatti tu senti: «Il Corpo di Cristo»; e rispondi Amen. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia vero quell`Amen. Perché dunque nel pane? Qui non aggiungiamo nulla di nostro, ascoltiamo sempre lo stesso Apostolo che, parlando di questo sacramento, dice: Poiché c`è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo (1Cor 10,17): comprendete e gioite; unità, verità, pietà, carità. Un pane solo: che cos`è questo solo pane? Pur essendo molti siamo un corpo solo. Ricordatevi che il pane non si ottiene da un solo chicco di grano, ma da molti. Quando venivate esorcizzati era come se foste macinati. Quando siete stati battezzati, come se foste impastati. Quando avete ricevuto il fuoco dello Spirito Santo, come se foste cotti. Siate ciò che vedete e accettate quello che siete. Questo ha detto del pane l`Apostolo. Quindi quello che intendiamo col calice, anche se non è stato detto, lo ha mostrato sufficientemente. Infatti come molti chicchi si fondono in uno solo per avere la forma visibile del pane, cosí avvenga ciò che la Sacra Scrittura dice dei fedeli: Essi avevano un cuor solo e un`anima sola rivolti verso Dio (At 4,32): ed è così anche per quanto riguarda il vino. Fratelli, ricordate da che cosa si ricava il vino. Molti sono i chicchi che pendono dal grappolo, ma poi tutti si mescolano in un solo liquido. Cristo Signore ha voluto che noi fossimo così, ha voluto che noi gli appartenessimo, ha consacrato alla sua mensa il mistero della pace e della nostra unità. Chi accoglie il mistero dell`unità, ma non mantiene il vincolo della pace, non accoglie il mistero in suo favore, ma una prova contro di sè.

    (Agostino, Sermo 272)


    5. Il dono ineffabile di Cristo

    Tali sono i gloriosi misteri della santa Chiesa, e tale è l`ordine nel quale sono celebrati dai sacerdoti.
    Felice colui che ha il cuore puro, nel momento in cui sono consacrati i misteri tremendi del Corpo di nostro Signore. Gli angeli del Cielo giudicano molto fortunati i figli della Chiesa che sono stati resi degni di ricevere il corpo e il sangue di Gesú Cristo nostro Signore.
    Gloria al tuo nome per il tuo dono ineffabile!
    E chi può adeguatamente rendere gloria alla tua divinità?
    Vieni, dunque, tu, che sei ammesso al sacramento dei figli della Chiesa, ad imparare secondo quella prescrizione che ti puoi avvicinare ai sacerdoti, purché te ne accosti secondo il modo che l`apostolo Paolo ha deciso.
    Avvicinati con cuore puro al corpo e al sangue di nostro Signore, che ti purificheranno dalle macchie dei peccati che tu hai commesso. I sacerdoti non allontanino il peccatore che viene a pentirsi, né l`impuro che si lamenta e che si affligge di essere impuro. Ma essi accolgono e gli impuri e i peccatori a condizione che essi facciano il proposito di non piú ritornare al male. Prega, allora, con amore, insieme col sacerdote, affinché colui che dà la vita e perdona i peccati ti accolga! Stai attento, tuttavia, a non uscire dalla nave per andare al di fuori, nel momento in cui sono consacrati i tremendi misteri! Chi è colui che volontariamente, rifiuterebbe questo pasto al quale sono invitati gli angeli e gli uomini? Chi è colui che, dal momento che è stato inserito nelle file della Chiesa, preferirebbe il posto degli estranei che la Chiesa ha allontanato?
    E` il momento in cui occorre comportarsi come un angelo in questo momento in cui lo Spirito Santo dimora. Questo istante dà la vita a colui che vi è presente, e condivide dei doni con colui che l`accoglie. Felice colui che vi crede, e riceve questi doni, poiché se egli è morto rivivrà, e se è vivo, non morrà per aver peccato!

    (Narsai il Lebbroso, Expositio Myster., passim)


    6. Il dono dell`Eucaristia

    Avendo amato i suoi ch`erano nel mondo, li amò fino alla fine (Gv 13,1). Allora diffuse sui suoi amici quasi tutta la forza del suo amore, prima di effondersi egli stesso, come acque per gli amici. Allora diede loro il sacramento del suo corpo e del suo sangue e ne istituí la celebrazione. Non so se piú ammirare la sua potenza o il suo amore! Per consolarli della sua partenza, inventò questo nuovo modo di presenza; cosí, anche lasciandoli e togliendo loro la sua presenza corporale, egli restava non solo con loro, ma in loro, per virtù del sacramento Allora, come se avesse completamente dimenticato la sua maestà e facesse oltraggio a se stesso - ma è un vanto per chi ama abbassarsi per gli amici - con una degnazione ineffabile il Signore - quel Signore! - lavò i piedi dei servi. Così, allo stesso tempo, diede loro un modello di umiltà e il sacramento del perdono.

    (Guerric d`Igny, Sermo in Ascens., 1)
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    Coordin.
    00 28/06/2011 07:50

    XIV DOMENICA


    Letture: Zaccaria 9,9-10

    Romani 8,9.11-13

    Matteo 11,25-30


    1. Apprendere la mitezza di Cristo


    "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e aggravati, e io vi darò sollievo" (Mt 11,28). Non chiama questo o quello in particolare, ma si rivolge a tutti quanti sono tormentati dalle preoccupazioni, dalla tristezza, o si trovano in peccato. «Venite», non perché io voglia chiedervi conto delle vostre colpe, ma per perdonarle. «Venite», non perché io abbia bisogno delle vostre lodi, ma perché ho una ardente sete della vostra salvezza. «Io» - infatti, egli dice - «vi darò sollievo». Non dice semplicemente: io vi salverò, ma ciò che è molto di piú: vi porrò in assoluta sicureza, perché questo è il senso delle parole «vi darò sollievo».

    "Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e cosí troverete conforto alle anime vostre; poiché il mio giogo è soave, e il mio peso è leggero" (Mt 11,29-30). Non vi spaventate dunque, quando sentite parlare di «giogo», perché esso è «soave»; non abbiate timore quando udite parlare di «peso», perché esso è leggero. Ma perché, allora, -voi direte, - ha parlato precedentemente della porta stretta e della via angusta? Pare cosí quando noi siamo pigri e spiritualmente abbattuti. Ma se tu metti in pratica e adempi le parole di Cristo, il peso sarà leggero. E` in questo senso che cosí lo definisce. Ma come si può adempire ciò che Gesú dice? Puoi far questo se tu diventi umile, mite e modesto. Questa virtù è infatti la madre di tutta la filosofia cristiana. Per questo motivo quando egli incomincia a insegnare quelle sue divine leggi, inizia dall`umiltà (cf.Mt 7,14). Egli conferma qui quanto disse allora, e promette che questa virtù sarà grandemente ricompensata. Essa non sarà - dice in sostanza - utile solo agli altri, in quanto voi prima di tutti ne riceverete i frutti, poiché «troverete conforto alle anime vostre». Ancor prima della vita eterna il Signore ti dà già la ricompensa e ti offre la corona del combattimento: in questo modo e col fatto che propone se stesso come esempio, rende accettabili le sue parole.

    Che cosa temi? - sembra dire il Signore. Temi di apparire degno di disprezzo, se sei umile? Guarda a me: considera tutti gli esempi che ti ho dati e allora riconoscerai chiaramente quale grande bene è l`umiltà. Osserva come esorta e conduce con tutti i mezzi i discepoli all`umiltà; dapprima con il suo esempio: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore»; poi con le ricompense che essi otterranno: «troverete conforto alle anime vostre»; con la grazia che egli stesso concederà loro: «io vi darò sollievo»; rendendo dolce e leggero il suo giogo: «poiché il mio giogo è soave, e il mio peso leggero»...

    Se voi, dopo aver sentito parlare di giogo e di peso, ancora tremate e avete paura, ciò non deriva dalla natura stessa delle cose, ma esclusivamente dalla vostra pigrizia; perché se aveste lo spirito pronto e fervoroso tutto vi apparirebbe facile e leggero.

    Ecco perché Cristo, volendo mostrare che anche noi dobbiamo compiere da parte nostra ogni sforzo, evita da un lato di dire soltanto cose gradevoli e facili, e dall`altro di parlare solamente di rinunzie difficili e severe, ma tempera le une cose con le altre. Parla di un «giogo», ma lo definisce «soave»; nomina un «peso», ma aggiunge che è «leggero», affinché non lo si sfugga in quanto eccessivamente pesante, né lo si disprezzi perché troppo leggero.


    (Giovanni Crisostomo, In Matth. 38, 2 s.)



    2. L`esempio di Gesù


    Che cosa dà valore alla nostra vita? Forse il far miracoli, oppure il mantenere un ottimo e perfetto comportamento? Certamente l`avere una condotta perfetta, da cui traggono occasione anche i miracoli che in essa hanno il loro fine. La santità della vita attira su di noi il dono divino di compiere azioni miracolose: e chi lo riceve ne è arricchito soltanto per convertire gli altri. Anche Cristo ha compiuto i miracoli per attirare a sé gli uomini, mediante la stima e l`ammirazione ch`essi gli procuravano, e per introdurre la virtù nella vita umana. E` questo lo scopo che Gesú con gran zelo si è proposto. Ma non gli bastavano i prodigi: difatti accompagnò i miracoli con la minaccia dell`inferno e con la promessa del regno; diede leggi nuove, meravigliose e sublimi e tutto operò allo scopo di renderci uguali agli angeli.

    Ma che dico? Se qualcuno vi desse il potere di risuscitare i morti nel nome di Gesú, oppure di morire per lui, quale di questi due favori scegliereste? Senza dubbio, il secondo. L`uno è miracolo, mentre l`altro è opera. Se, del pari, vi si offrisse la facoltà di cambiare in oro tutta l`erba di questo mondo, oppure la grazia di disprezzare tutto l`oro del mondo come fosse erba, non preferireste forse quest`ultima cosa? E la scelta sarebbe certamente giusta, poiché il disprezzo delle ricchezze può, sopra ogni altra cosa, conquistare e attirare gli uomini. Difatti se essi vedessero l`erba tramutata in oro, desidererebbero avere anche loro quella facoltà, come accadde a Simon Mago, e la loro brama di ricchezza aumenterebbe ancor piú. Se invece ci vedessero calpestare e disprezzare il denaro come erba, già da tempo sarebbero guariti da questa malattia ch`è l`avarizia. Vedete, dunque, che niente giova di piú agli uomini quanto la vita. E intendo non digiunare o stendere per terra il sacco e spargervi sopra la cenere, ma disprezzare realmente e concretamente le ricchezze, amare tutti gli uomini, dare il pane al povero dominare l`ira, eliminare la vanità e l`ambizione, soffocare ogni sentimento di invidia.

    Questi sono gli insegnamenti che Gesú stesso ha dato, dicendo: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore" (Mt 11,29). Non invita a imparare da lui a digiunare, anche se potrebbe ricordare i quaranta giorni di digiuno da lui fatti, ma anziché esigere questo, egli vuole che imitiamo la sua mansuetudine e la sua umiltà. Quando invia i suoi apostoli a predicare, non dice loro di digiunare, ma di mangiare tutto quanto verrà loro offerto (cf. Lc 10,8). Per quanto concerne però il denaro, vieta loro espressamente di portarne con sé, ordinando di non possedere né oro, né argento, né alcun`altra moneta nelle loro borse (cf. Mt 10,9; Lc 10,4). Io vi dico questo, non perché biasimi il digiuno: Dio mi guardi da simile pensiero; anzi l`apprezzo moltissimo. Ma mi addoloro nel vedere che voi trascurare le altre virtù, pensando che basti digiunare per essere salvi, mentre il digiuno, fra tutte le virtù, occupa l`ultimo posto. Le virtù piú eccelse sono la carità, l`umiltà, la misericordia, che precedono e superano anche la verginità.

    Sta di fatto che, se voi volete divenire uguali agli apostoli, niente ve lo impedisce. Basta soltanto praticare queste virtù e non essere in nulla inferiori a loro.


    (Giovanni Crisostomo, In Matth. 46, 4)



    3. L`umiltà del cuore


    Dice il Salvatore: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo alle anime vostre" (Mt 11,29). E se vuoi conoscere il nome di questa virtù, cioè come essa è chiamata dai filosofi, sappi che l`umiltà su cui Dio rivolge il suo sguardo è quella stessa virtù che i filosofi chiamano atyfìa, oppure metriòtes. Noi possiamo peraltro definirla con una perifrasi: l`umiltà è lo stato di un uomo che non si gonfia, ma si abbassa. Chi infatti si gonfia, cade, come dice l`Apostolo, «nella condanna del diavolo» - il quale appunto ha cominciato col gonfiarsi di superbia -; l`Apostolo dice: "Per non incappare, gonfiato d`orgoglio, nella condanna del diavolo" (1Tm 3,6).


    (Origene, In Luc. 8, 5)



    4. Lo Spirito di Dio inclina alla pietà


    I Novaziani sostengono che non possono essere reintegrati nella comunione dei fedeli coloro che sono caduti in apostasia. Se facessero eccezione per il solo peccato di sacrilegio come non passibile di condono, mostrerebbero durezza, ma sarebbero, almeno, coerenti con la loro dottrina e in contrasto soltanto con gli insegnamenti divini. Il Signore, infatti, ha condonato tutti i peccati senza alcuna eccezione. I Novaziani, invece, alla maniera degli Stoici, pensano che tutte le colpe si debbano valutare parimenti e che debba per sempre rinunciare ai celesti misteri sia chi abbia sgozzato un gallo, come si dice, del pollaio, sia chi abbia strangolato il proprio padre. Come, dunque, possono escludere dai sacramenti la sola categoria dei rei di apostasia, quando, per giunta, proprio i Novaziani affermano che è cosa assai deplorevole estendere a molte persone il castigo che conviene a poche?

    Essi dicono che onorano il Signore, giacché riconoscono il diritto di condonare i peccati a lui solo. Coloro, invece, che violano coscientemente la legge del Signore e sovvertono il magistero che egli ha loro affidato offendono assai gravemente Dio. Cristo medesimo ha detto nel Vangelo: "Ricevete lo Spirito Santo e a chi rimetterete i peccati saranno a lui rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Gv 20,22.23). Dunque, rende onore maggiore chi ubbidisce ai comandi o chi disubbidisce?

    La Chiesa ottempera all`uno e all`altro comando: a quello di non rimettere la colpa e a quello dell`assolverla. L`eresia, invece, è spietata nell`esecuzione del primo dei due imperativi, disubbidiente nell`altro. Pretende legare ciò che non intende sciogliere, non vuole sciogliere ciò che ha legato. Si condanna manifestamente da se medesima. Il Signore, infatti, ha voluto che il diritto di assolvere e quello di non assolvere siano del tutto identici. Ha garantito entrambi e a pari condizioni. E` ovvio che chi non possiede l`uno, non può possedere l`altro diritto. Infatti, in conformità agli insegnamenti di Dio, chi ha il potere di condannare ha anche quello di perdonare. Logicamente, l`affermazione dei Novaziani cade. Col negare a sé la potestà del condonare sono costretti a rinunciare a quella del non assolvere. Come potrebbe essere lecita l`una e non l`altra potestà? A chi è stato fatto dono di entrambe o è chiaro che sono possibili l`una e l`altra o nessuna delle due. Alla Chiesa sono, dunque, lecite entrambe, all`eresia né l`una né l`altra. A ben considerare, tale facoltà è stata data, infatti, ai soli sacerdoti. A ragione, pertanto, la Chiesa che ha ministri legittimi, si arroga l`uno e l`altro diritto, l`eresia non può, al contrario, farlo, poiché non ha i sacerdoti di Dio. Col non rivendicare le due potestà, l`eresia sentenzia nei propri riguardi che, non avendo ministri legittimi, non può attribuirsi un loro diritto. Nella sfacciata tracotanza è dato intravedere un`ammissione, sia pure timida.

    Tieni anche presente: chi riceve lo Spirito Santo, riceve la potestà di assolvere e di non assolvere i peccati. Sta scritto: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". Dunque, chi non può assolvere non possiede lo Spirito Santo, dal momento che è lo Spirito Santo, appunto, a far dono del ministero sacerdotale e la sua autorità è nel condonare e nel non rimettere le colpe. Come, perciò, i Novaziani potrebbero rivendicare un dono di chi mettono in dubbio l`autorità, la potestà?

    Che dire della loro enorme sfacciataggine? Lo Spirito di Dio è incline alla pietà, non già alla durezza. Essi, al contrario, non vogliono ciò che egli dice di volere e fanno ciò che egli afferma di non gradire. Eppure il castigare si addice al giudice, il perdonare, invece, all`indulgente. Tu che appartieni alla setta dei Novaziani saresti, pertanto, piú tollerabile coll`assolvere che col non condonare. Col non essere indulgente peccheresti di disubbidienza verso Dio, coll`usare misericordia, elargiresti il perdono, dimostrando di provare, almeno, pietà di chi vive nell`afflizione.


    (Ambrogio, De Paenit. 1, 2)



    5. Ammonimento di papa Leone Magno al suo vicario a Tessalonica


    La tua fraternità rilegga le nostre pagine, riveda tutti gli scritti inviati dai presuli di questa sede apostolica ai tuoi predecessori e provi a trovare se mai da me o dai miei predecessori fu mai ordinato ciò che, come ci consta, tu hai avuto la presunzione di fare!

    E` venuto infatti da noi, insieme con i vescovi della sua provincia, il nostro fratello Attico, metropolita del Vecchio Epiro, e in lacrime si è lagnato dell`assolutamente indegna offesa che ha dovuto sostenere... che cioè tu ti sei recato alla Prefettura dell`Illirico, e hai eccitato la piú alta tra le alte autorità terrene per ottenere l`espulsione di un vescovo innocente. Cosí fu ordinata una terribile esecuzione, alla effettuazione della quale furono obbligate tutte le pubbliche autorità: che fosse strappato dai sacri recessi della chiesa, senza colpa o per colpa falsamente insinuata, un sacerdote, esclusa ogni dilazione, né per ragioni di salute, né per l`inclemenza dell`inverno; e fu costretto ad intraprendere un viaggio aspro e pieno di pericoli tra le nevi intransitabili; viaggio che fu tanto disagiato e tanto rovinoso che, mi si riferisce, alcuni di coloro che accompagnavano il vescovo ne morirono.

    Me ne stupisco molto, fratello carissimo, ma soprattutto mi dolgo che tu abbia potuto muoverti con tanta atrocità e tanta violenza contro uno di cui prima non mi avevi riferito altro se non che aveva differito di presentarsi alla tua chiamata, adducendo motivi di salute. Soprattutto perché, se avesse meritato qualcosa di simile, avresti dovuto aspettare che io rispondessi alla tua consultazione. Ma, come vedo, conosci bene il mio carattere e hai preveduto giustissimamente con quanta urbanità io avrei risposto per conservare la concordia tra i vescovi: perciò ti sei affrettato a mandare ad effetto i tuoi impulsi, senza neppure dissimularli, perché se avessi ricevuto qualche nostro scritto con altre disposizioni non avresti avuto licenza di fare ciò che hai fatto. O forse eri venuto a conoscenza di qualche altra colpa, o ti faceva pressione il peso di qualche altro delitto del vescovo metropolitano? Ma che ciò non fosse, tu stesso lo confermi, non obiettandogli nulla.

    Ma, anche se avesse commesso qualche colpa grave e intollerabile, avresti dovuto aspettare la nostra decisione, e non avresti dovuto stabilire nulla prima di conoscere il nostro placito. Abbiamo affidato infatti alla tua carità di fungere le nostre veci in modo però da esser chiamato a sostenere una parte delle nostre cure, non alla pienezza della potestà. Perciò, come molto ci allieta quello che hai portato ad effetto con religiosa cura, troppo ci rattrista quello che hai malamente compiuto. E` necessario, dopo l`esperienza di molti casi, guardare con piú cura e premunirsi con piú diligenza che, in spirito di amore e di pace, venga tolta dalle Chiese del Signore che abbiamo a te affidato ogni materia di scandalo, mantenendo in tutto il suo onore la tua funzione episcopale in quelle province, ma eliminando ogni eccesso ed usurpazione.

    Perciò, secondo i canoni dei santi padri stabiliti dallo Spirito di Dio e consacrati dall`osservanza in tutto il mondo, decretiamo che i vescovi metropoliti delle singole province, affidate per delegazione nostra alle cure della tua fraternità, abbiano integro il diritto della dignità loro da tempo affidata...

    A questo fine, infatti, dirigiamo tutto il nostro affetto e la nostra cura: che da nessun dissenso sia violato e da nessuna trascuranza sia negletto ciò che giova all`unità della concordia e all`osservanza della disciplina. E te dunque, fratello carissimo e i fratelli nostri offesi dai tuoi eccessi - per quanto non tutti abbiano uguali argomenti di querela - esorto ed ammonisco che non venga turbato in nessun modo ciò che è stato religiosamente ordinato e salutarmente disposto. Nessuno curi ciò che è proprio, ma ciò che è altrui, come dice l`Apostolo: "Ciascuno di voi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo" (Rm 15,2). Infatti, non potrà restar salda la compagine della nostra unità se il vincolo dell`amore non ci avrà stretto con forza inseparabile, perché "come in un corpo abbiamo molte membra, e tutte le membra non compiono le stesse azioni, cosí in molti siamo un corpo solo in Cristo e siamo ciascuno membra per l`altro" (1Cor 12,12). L`intima unione di tutto il corpo è fonte di una sola salute, di una sola bellezza; e se questa intima unione di tutto il corpo richiede da tutti l`unanimità, esige soprattutto la concordia tra i vescovi. Se fra di essi, poi, la dignità è comune, non è tuttavia identica l`autorità: del resto fra gli stessi beatissimi apostoli, pur in simile onore, vi fu una certa distinzione di potestà: pur essendo pari l`elezione di loro tutti, a uno solo fu dato di avere sugli altri il primato. Su questo modello sorse anche la distinzione tra i vescovi, ed è stato provvisto, con un importante precetto, che tutti non rivendicassero a sé tutti i diritti, ma che nelle singole province vi fosse quello che tra i fratelli avesse la prima parola; e inoltre, che alcuni vescovi costituiti nelle città piú grandi fossero rivestiti di una cura piú ampia; e, infine, che per il loro tramite confluisse la cura della Chiesa universale nella sola sede di Pietro, dal cui capo nessuno può dissentire.

    Chi dunque sa di essere preposto ad altri, non sopporti a malincuore che qualcuno gli sia superiore, ma l`obbedienza, che esige (dagli altri), egli per primo la attui: e come non vuole sopportare un peso grave, cosí non osi imporre agli altri un carico insopportabile (cf. Mt 13,4). Siamo infatti discepoli di un maestro umile e mite, che ci dice: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete pace per le vostre anime. Il mio giogo infatti è soave, e il mio peso leggero" (Mt 11,29s). E come esperimenteremo ciò, se non attueremo quello che dice lo stesso Signore: "Chi fra voi è il maggiore, sarà vostro servo" (Mt 23,11s)?


    (Leone Magno, Epist. 14, 1-2.11)


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    00 05/07/2011 08:04
    XV DOMENICA

    Letture: Isaia 55,10-11
    Romani 8,18-23
    Matteo 13,1-23

    1. La diversità dei terreni immagine delle anime

    Il seminatore è unico ed ha sparso la sua semente in modo equo, senza fare eccezione di persone; ma ogni terreno, da se stesso, ha mostrato il suo amore con i propri frutti. Il Signore manifesta cosí con la sua parola che il Vangelo non giustifica per forza, senza il consenso della libertà; le orecchie sterili che egli non ha privato della semente delle sue sante parole ne sono la prova.
    "La semente cadde sul bordo della strada" (Mt 13,19), ecco una cosa che è l`immagine stessa dell`anima ingrata, di colui che non ha fatto fruttificare il proprio talento ed ha disprezzato il proprio benefattore (cf. Mt 25,24-30). La terra che aveva tardato ad accogliere il suo seme, è divenuta luogo di passaggio per tutti i malintenzionati; cosí non vi fu piú posto in essa per il padrone, perché vi potesse entrare da lavoratore, ne potesse rompere la durezza e spargervi il suo seme. Nostro Signore ha descritto il maligno sotto i tratti degli uccelli, poiché il maligno ha portato via il seme (cf. Mt 13,19). Egli ha voluto indicare cosí che il maligno non prende per forza la dottrina che è stata distribuita nel cuore. Nell`immagine che egli ha proposto, ecco che in effetti la voce del Vangelo si pone alla porta dell`orecchio, come il grano alla superficie di una terra che non ha nascosto nel suo seno ciò che è caduto su di essa; infatti non è stato permesso agli uccelli di penetrare nella terra alla ricerca di quel seme che la terra aveva nascosto sotto le sue ali.
    "E quella parte che era caduta sui sassi" (Mt 13,20); Dio che è buono manifesta cosí la sua misericordia; quantunque la durezza della terra non fosse stata rotta dal lavoro, nondimeno egli non l`ha privata del suo seme. Questa terra rappresenta coloro che si estraniano dalla dottrina di Nostro Signore, come quei tali che hanno detto: "Quella parola è dura; chi può intenderla?" (Gv 6,60). E come Giuda; infatti egli ha ascoltato la parola del Maestro ed ha messo i fiori per l`azione dei suoi miracoli, ma al momento della tentazione, è divenuto sterile.
    Il terreno spinoso (cf. Mt 13,22), nonostante il grano ricevuto, ha ceduto la propria forza ai rovi e agli spini. Buttando audacemente il suo seme su una terra ribelle al lavoro altrui, il padrone ha manifestato la sua carità. Nonostante il predominio dei rovi, egli ha sparso a profusione il suo seme sulla terra, perché essa non potesse avere scusanti...
    La terra buona e ubertosa (cf. Lc 8,8) è immagine delle anime che agiscono secondo verità, alla maniera di coloro che sono stati chiamati ed hanno abbandonato tutto per seguire Cristo. . .
    Nonostante una volontà unanimemente buona che ha ricevuto con gioia il seme dei beni, la terra buona e ubertosa produce in modi diversi, dove «il trenta», dove «il sessanta», dove «il cento»; tutte le parti della terra fanno crescere secondo il proprio potere e nella gioia, alla stregua di coloro che avevano ricevuto "cinque talenti" e ne hanno guadagnati "dieci, ciascuno secondo la sua capacità" (cf. Mt 25,14-30). Colui che rende «il cento» sembra possedere la perfezione dell`elezione; egli ha ricevuto il sigillo di una morte offerta in testimonianza per Dio. Quelli che rendono «il sessanta», sono coloro che sono stati chiamati e che hanno abbandonato il proprio corpo a dolorosi tormenti per il loro Dio, ma non sono arrivati al punto di morire per il loro Signore; tuttavia restano buoni fino alla fine. «Il trenta», è la misura quotidiana della buona terra; sono coloro che sono stati eletti alla vocazione di discepoli e sui quali non si sono levati i tempi della persecuzione; sono tuttavia coronati dalle loro opere buone, proprio come una terra è coronata dal suo frutto, ma non sono stati chiamati al martirio e alla testimonianza della loro fede.

    (Efrem, Diatessaron, 11, 12-15.17 s.)


    2. Perché tanto seme si perde?

    Per qual motivo, ditemi, la maggior parte della semente si perde? Non è certo per colpa del seminatore, ma della terra che accoglie i semi, dell`anima cioè che non ascolta. Perché Gesú non dice esplicitamente che i pigri hanno accolto i chicchi seminati, ma li hanno lasciati beccare dagli uccelli, i ricchi li hanno soffocati e coloro che vivono nel lusso e nelle vanità li hanno lasciati seccare? Cristo non vuole colpirli con troppa veemenza, per non gettarli nella disperazione, ma lascia la dimostrazione e l`applicazione alla coscienza dei suoi ascoltatori. E del resto, ciò accade non solo al seme, di cui una parte si perde, ma accadrà poi anche alla rete. La rete infatti prende molti pesci inutili. Gesú senza dubbio narra questa parabola per incoraggiare i suoi discepoli ed insegnar loro che, quand`anche la maggior parte di coloro che riceveranno la parola divina si perdesse, non devono per questo avvilirsi. La stessa cosa accadde anche al Signore; ma egli, pur prevedendo chiaramente ciò che sarebbe sucesso, non per questo rinunziò a seminare.
    Ma come è concepibile - mi direte voi - che si semini sugli spini, sul terreno roccioso e lungo la via? Vi rispondo che la cosa sarebbe assurda, se si trattasse della seminagione terrena che si fa in questo mondo: è invece assai lodevole il fatto, dato che si tratta delle anime e della dottrina divina. Verrebbe certamente ripreso il contadino che disperdesse in questo modo la semente. Il terreno roccioso non può infatti divenire terra buona, né la via può cambiare, e gli spini restano sempre tali. Ma non è cosí nell`ordine spirituale. Le pietre possono mutarsi e diventare terra fertile, la via piú battuta può non esser piú calpestata e aperta a tutti i passanti, ma divenire campo produttivo, e anche le spine possono sparire per lasciar crescere e fruttificare in tutta libertà il grano seminato. Se questi cambiamenti fossero stati impossibili, il Signore non avrebbe seminato. E se in tutti non è avvenuta tale trasformazione, la colpa non è del seminatore, ma di coloro che non hanno voluto cambiar vita. Il seminatore ha compiuto quanto dipendeva da lui; ma se gli uomini non hanno corrisposto alla sua opera, non è responsabile il seminatore che ha testimoniato un cosí grande amore per gli uomini.
    Notate ora, vi prego, che la via della perdizione non è una sola, ma varie e ben differenti e lontane l`una dall`altra. E` chiaro che le anime paragonate alla «via» sono i negligenti, i tiepidi, i trascurati. Coloro invece che sono rafiigurati nel «terreno roccioso» sono semplicemente i deboli. Dichiara infatti Cristo: "Il seme caduto in suolo roccioso raffigura colui che, udita la parola, subito la riceve con gioia; non avendo però radice in se stesso ed essendo incostante, venuta una qualsiasi tribolazione o persecuzione a cagione della parola, subito ne prende scandalo (Mt 13,20-21). E ancor prima dice: Quando uno ode la parola della verità ma non la intende, viene il maligno e rapisce dal suo cuore ciò che è stato seminato. Costui è simboleggiato nel seme caduto lungo la via" (Mt 13,19). Non è però la stessa cosa trascurare e lasciar perdere l`insegnamento divino, quando nessuno ci molesta o ci perseguita e quando invece ci sovrastano prove e tentazioni; e ancor meno degni di perdono di questi sono coloro che vengono raffigurati nelle «spine».
    Se vogliamo dunque evitare che qualcosa di simile ci capiti, ricopriamo le parole di Dio con il fervore della nostra anima e con il ricordo incessante della nostra memoria. Se il diavolo si sforza di rapircelo, dipende da noi rendere vani i suoi sforzi. Se il seme si secca, ciò non accade per eccesso di calore - Gesú non dice che è il caldo a produrre questo effetto, ma il fatto di non aver radice. Se poi la parola divina viene soffocata, non è per colpa delle spine, ma piuttosto di coloro che le hanno lasciate crescere. E` possibile infatti, solo che tu voglia, impedire la crescita di questi cattivi germogli e usare, come è giusto e utile, delle ricchezze. Ecco perché il Signore non parla semplicemente del «mondo», ma delle «preoccupazioni di questo mondo» e non accusa genericamente la ricchezza, ma denunzia «la seduzione delle ricchezze». Non accusiamo dunque le cose in sé stesse, ma la nostra corrotta intenzione, la nostra cattiva volontà.

    (Giovanni Crisostomo, In Matth. 44, 3 s .)


    3. La tensione verso la salvezza definitiva

    "La mia anima anela e si strugge verso gli atri del Signore" (Sal 83,3). E cosí nel nostro salmo. Non si dice: «E` calata allontanandosi dalla tua salute», ma: "La mia anima è calata verso la tua salute", cioè dirigendosi verso la tua salute. E` quindi un calo benefico, e chi l`esperimenta palesa un desiderio di bene non ancora raggiunto ma bramato con intensissima passione. Chi è, poi, che parla cosí, se non la stirpe eletta, il sacerdozio regale, il popolo santo che il Signore s`è conquistato? Lo dice nella persona di quanti desiderano Cristo, siano essi vissuti nel passato o vivano adesso o vivranno in avvenire: dalle origini dell`umanità, quindi, sino alla fine del mondo. Ne è testimone il santo vecchio Simeone, quando, tenendo in mano il Dio bambino, esclamò: “Ora, Signore, lascia pure che il tuo servo se ne vada in pace, secondo la tua parola, perché gli occhi miei hanno veduto la tua salute” (Lc 2,29). Aveva ottenuto da Dio il responso che non avrebbe assaporato la morte senza aver prima visto l`Unto del Signore (cf. Lc 2,26); ed è da supporsi che il medesimo desiderio, come quel vecchio, cosí l`abbiano avuto tutti i santi dei tempi antecedenti. Lo conferma nostro Signore, quando parlando con i discepoli disse: "Molti profeti e re hanno voluto vedere le cose che voi vedete e non l`hanno vedute, udire ciò che voi udite e non l`hanno udito" (Mt 13,17). In effetti, è proprio la loro voce che dobbiamo riconoscere in questo passo che suona: "La mia anima è calata verso la tua salute". Non s`appagò infatti allora questo desiderio dei santi, né è pago attualmente nel corpo di Cristo che è la Chiesa, finché non si giunga alla fine dei tempi quando verrà "il Desiderato da tutte le genti", secondo la promessa del Profeta (Ag 2,8). In vista di ciò scrive l`Apostolo: "Mi attende alla fine la corona della giustizia, che darà a me in quel giorno il Signore, giusto giudice: e non solo a me ma a tutti quelli che amano la sua manifestazione" (2Tm 4,8). Il desiderio di cui stiamo trattando nasce quindi dall`amore per la manifestazione di Cristo, della quale dice ancora l`Apostolo: "Quando Cristo, vostra vita, si sarà manifestato, allora anche voi apparirete insieme con lui nella gloria" (Col 3,4). Ciò significa che nei tempi della Chiesa decorsi prima che la Vergine partorisse ci furono santi che desiderarono la venuta del Cristo incarnato, mentre nei nostri tempi, a cominciare dalla sua ascensione al cielo, ci sono santi che desiderano la sua manifestazione in cui verrà a giudicare i vivi e i morti. Questo desiderio della Chiesa, dagli inizi del mondo sino alla fine, è senza interruzione, se si voglia escludere il periodo che il Signore incarnato trascorse con i discepoli. Per cui molto a proposito si applica all`intero corpo di Cristo, gemente in questa vita, la voce: "La mia anima è calata verso la tua salute, e io ho sperato nella tua parola" (Sal 118,81). Ho sperato cioè nella tua promessa, ed è questa speranza che fa aspettare con pazienza quel che, finché dura il tempo della fede, è impossibile vedere (cf. Rm 8,25).

    (Agostino, Enarr. in Psal. 118, 20, 1)


    4. La parabola del seminatore (Mt 13,3-9)

    Io mi sono indurito come roccia;
    Son divenuto simile al sentiero;
    Le spine del mondo m`hanno soffocato,
    Hanno reso infeconda la mia anima.

    Ma, o Signore, Seminator del bene,
    La pianta del Verbo fa` in me crescere:
    Perché in uno dei tre io porti frutto:
    Tra il cento (per cento), il sessanta o anche il trenta.

    (Nerses Snorhalí, Jesus, 468-469)
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    00 11/07/2011 07:42
    XVI DOMENICA

    Letture: Sapienza 12,13.16-19
    Romani 8,26-27
    Matteo 13,24-43

    1. La continua vigilanza

    Anche questo è proprio del sistema diabolico, che consiste nel mescolare l`errore e la menzogna alla verità, in modo che, sotto la maschera ben colorata della verosimiglianza, l`errore possa apparire verità e possa facilmente sorprendere e ingannare coloro che non sanno resistere alla seduzione, o non comprendono l`insidia. Ecco perché Gesú chiama il seme del demonio «zizzania» e non con altro nome, poiché quest`erba è assai simile, in apparenza, al frumento. E subito dopo ci indica il modo in cui il diavolo attua i suoi tranelli e coglie le anime di sorpresa.
    “Or mentre gli uomini dormivano” (Mt 13,25): queste parole mostrano il pericolo cui sono esposti coloro che hanno la responsabilità delle anime, ai quali in particolare è afffidata la difesa del campo; non solo però costoro, ma anche i fedeli. Cristo precisa inoltre che l`errore appare dopo lo stabilirsi della verità, come anche l`esperienza dei fatti può testimoniare. Dopo i profeti sono apparsi gli pseudoprofeti, dopo gli apostoli i falsi apostoli, e dopo Cristo l`anticristo. Se il demonio non vede che cosa deve imitare, o a chi deve tendere le sue insidie, non saprebbe in qual modo nuocerci. Ma ora che ha visto la divina seminagione di Gesú fruttificare nelle anime il cento, il sessanta e il trenta per uno intraprende un`altra strada; poiché si è reso conto che non può strappare ciò che ha radici ben profonde, né può soffocarlo e neppure bruciarlo, allora tende un altro insidioso inganno, spargendo la sua semente.
    Ma quale differenza vi è - mi chiederete - tra coloro che in questa parabola «dormono» e coloro che, nella parabola precedente sono raffigurati nella «via»? Nel caso di coloro che sono simboleggiati nella «via» il seme è portato via immediatamente dal maligno, che non gli dà il tempo di mettere radici; mentre in quelli che «dormono» il grano ha messo radici e allora il demonio deve intervenire con una piú elaborata macchinazione. Cristo dice ciò per insegnarci a vigilare continuamente, perché - egli ci avverte - quand`anche riusciste a evitare quei danni cui è sottoposta la semente, non sareste ancora al sicuro da altri pericolosi assalti. Come là il seme si perde «lungo la via», o «sul suolo roccioso», o «tra gli spini», cosí anche qui la rovina può derivare dal sonno; perciò siamo obbligati a una vigilanza continua. Infatti Gesú ha detto pure che si salverà chi avrà perseverato sino alla fine (cf. Mc 4,33)...
    Ma voi osserverete: Com`è possibile fare a meno di dormire? Certo non è possibile, se ci si riferisce al sonno del corpo: ma è possibile non cadere nel sonno della volontà. Per questo anche Paolo diceva: "Vigilate e restate costanti nella fede" (1Cor 16,13) ...
    Considerate, invece, l`affettuoso interessamento dei servitori verso il loro padrone. Essi si sarebbero già levati per andare a sradicare la zizzania, anche se in tal modo non avrebbero agito in modo discreto e opportuno. Questo tuttavia mostra la loro cura per il buon seme e testimonia che il loro unico scopo non sta nel punire il nemico - non è questa la necessità piú urgente - ma nel salvare il grano seminato. Essi perciò cercano il mezzo per rimediare rapidamente al male fatto dal diavolo. E neppure questo vogliono fare a caso, non s`arrogano infatti questo diritto, ma attendono il parere e l`ordine del padrone. "Vuoi, dunque, che andiamo a raccoglierla?" (Mt 13,28) - gli chiedono. Cosa risponde il padrone? Egli vieta loro di farlo, dicendo che c`è pericolo, nel raccogliere la zizzania, di sradicare anche il grano. Parla cosí per impedire le guerre, le uccisioni, lo spargimento di sangue.

    (Giovanni Crisostomo, In Matth. 46, 1)


    2. Il Logos ha seminato il buon grano

    Ma, mentre dormono coloro che non praticano il comando di Gesú che dice: "Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione" (Mt 26,41; Mc 14,38; Lc 22,40), il diavolo, che fa la posta (cf. 1Pt 5,8), semina quella che viene detta la zizzania, le dottrine perverse, al di sopra di ciò che alcuni chiamano i pensieri naturali, e al di sopra dei buoni semi venuti dal Logos. Secondo tale interpretazione, il campo designerebbe il mondo intero e non solamente la Chiesa di Dio; infatti è nel mondo intero che il Figlio di Dio ha seminato il buon seme e il cattivo la zizzania (cf. Mt 13,37-38), cioè le dottrine perverse che, per la loro nocività, sono «figlie del maligno». Ma ci sarà necessariamente, alla fine del mondo, che vien detta «la consumazione del secolo», una mietitura, perché gli angeli di Dio preposti a tale compito raccolgano le cattive dottrine che si saranno sviluppate nell`anima e le consegnino alla distruzione, gettandole, perché brucino, in quello che viene definito fuoco (cf. Mt 13,40). E cosí, «gli angeli», servitori del Logos, raduneranno «in tutto il regno» di Cristo, «tutti gli scandali» presenti nelle anime e i ragionamenti «che producono l`empietà», e li distruggeranno gettandoli nella «fornace di fuoco», quella che consuma (cf. Mt 13,41-42) cosí del pari coloro che prenderanno coscienza che, poiché hanno dormito, hanno accolto in sé stessi i semi del cattivo, piangeranno e saranno, per cosí dire, in collera con sé stessi. Sta in ciò, in effetti, "lo stridor di denti" (Mt 13,42), ed è anche per questo che è detto nei Salmi: "Hanno digrignato i denti contro di me" (Sal 35,16). E` soprattutto allora che "i giusti brilleranno", non tanto in modo diverso, come agli inizi, bensí tutti alla maniera di un unico "sole, nel regno del Padre loro" (Mt 13,43).

    (Origene, In Matth. 10, 2)


    3. Fede e predicazione

    "Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Certamente è il piú piccolo di tutti i semi; ma, cresciuto che sia, è il maggiore dei legumi e diventa albero, tanto che gli uccelli vengono e si mettono al riparo tra i suoi rami" (Mt 13,31-32).
    L`uomo che semina nel suo campo è dai piú ritenuto il Salvatore, che semina nelle anime dei credenti. Secondo altri, chi semina nel suo campo è colui che semina in se medesimo, nel suo cuore. Ebbene, chi è questo seminatore se non la nostra intelligenza, il nostro animo, che, ricevendo il granello della predicazione e nutrendolo con la linfa della fede, lo fa germogliare nel campo del suo cuore? La predicazione del Vangelo è fatta di piccoli insegnamenti. Annunziando lo scandalo della croce, la predicazione dapprima non presenta altre verità da credere che quella dell`Uomo-Dio e di Dio morto. Paragona una siffatta dottrina alle teorie dei filosofi, ai loro libri, allo splendore della loro eloquenza, all`armonia delle parole, e vedrai quanto la semente del Vangelo sia piú piccola rispetto a tutti questi altri semi. Ma quando questi crescono, non dimostrano di avere niente di vitale, niente di ardente, né di vivo: flaccidi, molli e putridi, questi semi germogliano in ortaggi, in erbe, che rapidamente inaridiscono e si corrompono. Invece, questa predicazione, che all`inizio sembrava tanto piccola, quando è seminata nell`anima del credente, o meglio in tutto il mondo, non sboccia in ortaggio, ma cresce in albero, tanto che gli uccelli del cielo (in cui dobbiamo riconoscere le anime dei credenti, o le potenze che son poste al servizio di Dio) verranno e abiteranno sui suoi rami. Credo che i rami dell`albero evangelico che è nato dal granello di senape, siano le diverse verità, sulle quali ogni uccello si sostiene e riposa.
    Prendiamo anche noi le penne della colomba (cf. Sal 55,7), per volare in alto e abitare sui rami di quest`albero e farci su di essi dei nidi di dottrina e avvicinarci cosí, rifuggendo dalle cose terrene, alle celesti. Molti, leggendo che il granello di senape è il piú piccolo di tutti i semi e ascoltando quanto dicono nel Vangelo i discepoli: "Signore, accresci la nostra fede" (Lc 17,5), e quanto a essi risponde il Salvatore: "In verità vi dico che se avrete tanta fede quanto un granello di senape e direte a questo monte: «spostati», esso si sposterà" (Lc 17,6), suppongono che gli apostoli si limitino a chiedere una piccola fede, oppure che il Signore con quella espressione dubiti della loro poca fede; mentre l`apostolo Paolo considera grandissima la fede paragonata dal Signore al granello di senape. Infatti, l`Apostolo dice: "Se avessi una fede tale da trasportar le montagne, e non ho la carità, io sono un niente" (1Cor 13,2). Per concludere: le opere che si possono compiere con la fede che il Signore paragona al granello di senape, per l`Apostolo sono il frutto che deriva da una fede completa.

    (Girolamo, In Matth. II, 13, 31)


    4. Il lievito dei credenti nella massa

    "Il regno dei cieli è simile a un granello di senape che un uomo prende e semina nel suo campo" (Mt 13,31). Siccome Gesú aveva detto che i tre quarti della semente sarebbero andati perduti, che una sola parte si sarebbe salvata e che nella parte restante si sarebbero verificati tanti gravi danni, i suoi discepoli potevano bene chiedergli: Ma quali e quanti saranno i fedeli? Egli allora toglie il loro timore inducendoli alla fede mediante la parabola del granello di senape e mostrando loro che la predicazione della buona novella si diffonderà su tutta la terra.
    Sceglie per questo scopo un`immagine che ben rappresenta tale verità. "E` vero che esso è il piú piccolo di tutti i semi; ma cresciuto che sia, è il piú grande di tutti i legumi e diviene albero, tanto che gli uccelli dell`aria vengono a fare il nido tra i suoi rami" (Mt 13,32). Cristo voleva presentare il segno, la prova della loro grandezza. Cosí - egli spiega - sarà anche della predicazione della buona novella. In realtà i discepoli erano i piú umili e deboli tra gli uomini, inferiori a tutti; ma, siccome in loro c`era una grande forza, la loro predicazione si è diffusa in tutto il mondo...
    "Il regno dei cieli e simile a un po` di lievito, che una donna prende e impasta con tre staia di farina, hno a che non sia tutta fermentata" (Mt 13,33). Come il lievito diffonde la sua forza in tutta la pasta, cosí anche voi - vuol dire Gesú - dovete trasformare il mondo intero. Considerate la sapienza del Salvatore. Egli vuol far intendere questo: Come è impossibile che i fatti naturali non si realizzino, cosí quanto io ho preannunciato avverrà infallibilmente. Non venite a dirmi che non potrete far nulla essendo dodici soltanto tra un`immensa moltitudine di uomini. Proprio in questo la vostra forza risplenderà, quando cioè, essendo in mezzo al mondo, non fuggirete. Come il lievito fermenta la massa quando lo si accosta alla farina, e non semplicemente lo si accosta, ma ve lo si mescola, - Gesú non dice che la donna mette il lievito nella farina, ma ve lo nasconde dentro, impastandolo con essa, - cosí anche voi, quando sarete spinti dentro e vi troverete in mezzo alle folle che da ogni parte vi faranno guerra, allora le vincerete. E come il lievito si diffonde in tutta la pasta senza perdersi, ma anzi pian piano trasforma tutta la pasta nella sua sostanza, cosí lo stesso fatto accadrà della predicazione del Vangelo. Non abbiate quindi timore delle sciagure di cui vi ho parlato. Questi ostacoli saranno la vostra gloria, e li supererete tutti.
    In questa parabola si parla di tre misure di farina per indicarne molta: sappiamo infatti che tale numero si usa per una notevole quantità. Non vi stupite se Gesú, parlando agli uomini del regno dei cieli, si avvale di paragoni come quello del granello di senape e del lievito. Si rivolge a persone rozze e ignoranti, che hanno bisogno di queste immagini. Essi sono cosí semplici, che, anche dopo aver udito tutte queste parabole, hanno ancora bisogno che egli le chiarisca ulteriormente.
    Orbene, dove sono i figli dei gentili? Che essi riconoscano la potenza di Cristo, vedendo la realtà stessa dei fatti. Che lo riconoscano e lo adorino, per questa duplice ragione: egli ha predetto una cosa tanto incredibile, e poi l`ha realizzata. E` lui infatti che ha dato al lievito la sua forza. Egli ha mescolato alla moltitudine degli uomini coloro che credono in lui, in modo da comunicare agli altri la nostra fede. Nessuno dunque si lamenti per il piccolo numero degli apostoli, dato che grande è la forza e la potenza della predicazione evangelica e ciò che è stato una volta lievitato si cambia a sua volta in lievito per tutto il resto. Come una scintilla, quando cade sulla legna, l`incendia producendo via via un aumento di fiamma, che poi s`appicca agli altri ceppi, cosí è anche della predicazione. Tuttavia, Gesú qui non parla del fuoco, ma del lievito. Come mai? Perché nel primo caso tutta l`attività non è del fuoco, ma deriva anche dai legni cui il fuoco s`appicca e che incendia; nella pasta, invece, è il lievito da solo che compie tutta l`opera di trasformazione. Se dodici uomini hanno fermentato tutta la terra, pensate quale deve essere la nostra cattiveria e la nostra inerzia, se oggi, pur essendo noi cristiani moltissimi, non siamo capaci di convertire il resto dell`umanità, mentre dovremmo bastare e diventare lievito per mille mondi!

    (Giovanni Crisostomo, In Matth. 46, 2)
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    Coordin.
    00 20/07/2011 13:34

    XVII DOMENICA


    Letture: 1 Re 3,5,7-12

    Romani 8,28-30

    Matteo 13,44-52


    1. Stimare il Vangelo al di sopra di tutto


    "Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo: l`uomo che l`ha trovato, lo nasconde di nuovo e, fuor di sé dalla gioia, va, vende tutto quanto possiede, e compra quel campo. Inoltre il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; e trovata una perla di gran valore, va, vende tutto ciò che possiede e la compra" (Mt 13,44-46). Come le due parabole del granello di senape e del lievito non differiscono molto tra di loro, cosí anche le parabole del tesoro e della perla si assomigliano: sia l`una che l`altra fanno intendere che dobbiamo preferire e stimare il Vangelo al di sopra di tutto. Le parabole del lievito e del chicco di senape si riferiscono alla forza del Vangelo e mostrano che esso vincerà totalmente il mondo. Le due ultime parabole, invece, pongono in risalto il suo valore e il suo prezzo. Il Vangelo cresce infatti e si dilata come l`albero di senape ed ha il sopravvento sul mondo come il lievito sulla farina; d`altra parte, il Vangelo è prezioso come una perla, e procura vantaggi e gloria senza fine come un tesoro.

    Con queste due ultime parabole noi apprendiamo non solo che è necessario spogliarci di tutti gli altri beni per abbracciare il Vangelo, ma che dobbiamo fare questo atto con gioia. Chi rinunzia a quanto possiede, deve essere persuaso che questo è un affare, non una perdita. Vedi come il Vangelo è nascosto nel mondo, al pari di un tesoro, e come esso racchiude in sé tutti i beni? Se non vendi tutto, non puoi acquistarlo e, se non hai un`anima che lo cerca con la stessa sollecitudine e con lo stesso ardore con cui si cerca un tesoro, non puoi trovarlo. Due condizioni sono assolutamente necessarie: tenersi lontani da tutto ciò che è terreno ed essere vigilanti. "Il regno dei cieli" - dice Gesú -"è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; e trovata una perla di gran valore, va, vende tutto ciò che possiede e la compra" (Mt 13,45-46). Una sola, infatti, è la verità e non è possibile dividerla in molte parti. E come chi possiede la perla sa di essere ricco, ma spesso la sua ricchezza sfugge agli occhi degli altri, perché egli la tiene nella mano, - non si tratta qui di peso e di grandezza materiale, - la stessa cosa accade del Vangelo: coloro che lo posseggono sanno di essere ricchi, mentre chi non crede, non conoscendo questo tesoro, ignora anche la nostra ricchezza.

    A questo punto, tuttavia, per evitare che gli uomini confidino soltanto nella predicazione evangelica e credano che la sola fede basti a salvarli, il Signore aggiunge un`altra parabola piena di terrore. Quale? La parabola della rete. "Parimenti il regno dei cieli è simile a una rete che, gettata nel mare, raccoglie ogni sorta di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e, sedutisi, ripongono in ceste i buoni, buttando via i cattivi" (Mt 13,47-48). In che cosa differisce questa parabola da quella della zizzania? In realtà anche là alcuni uomini si salvano, mentre altri si dannano. Nella parabola della zizzania, tuttavia, gli uomini si perdono perché seguono dottrine eretiche e, ancor prima di questo, perché non ascoltano la parola di Dio; mentre coloro che sono raffigurati nei pesci cattivi si dannano per la malvagità della loro vita. Costoro sono senza dubbio i piú miserabili di tutti, perché, dopo aver conosciuto la verità ed essere stati presi da questa rete spirituale, non hanno saputo neppure in tal modo salvarsi.


    (Giovanni Crisostomo, In Matth. 47, 2)



    2. La parabola delle reti


    In questo mondo perverso, in questi giorni cattivi, in cui la Chiesa si guadagna la sua futura glorificazione con l`umiltà presente, in cui viene ammaestrata dagli stimoli del timore, dai tormenti del dolore, dalle molestie della fatica e dai pericoli della tentazione, in cui ha l`unica gioia della speranza, se gioisce come deve, molti reprobi sono mescolati con i buoni. Gli uni e gli altri vengono raccolti come nella rete di cui parla il Vangelo (cf. Mt 13,47-50), e in questo mondo, quasi fosse un mare, viaggiano tutti insieme raccolti nelle reti, fino a quando giungono alla riva, ove i cattivi vengono separati dai buoni, perché nei buoni, come nel suo tempio "Dio sia tutto in tutti" (1Cor 15,28). Ora perciò vediamo che si adempie la voce che diceva nel salmo: "Annunciai e parlai, si son moltiplicati in soprannumero" (Sal 39,6). Ed è ciò che accade da quando, per la prima volta per bocca del suo precursore, e poi per sua propria bocca, [Cristo] ha annunziato e detto: "Pentitevi, perché il regno dei cieli è vicino" (Mt 3,2).


    (Agostino, De civit. Dei, 18, 49)



    3. La perla preziosa è la carità


    Se ricordate, noi già abbiamo affermato, proprio all`inizio della lettura di questa Epistola, che nulla vi è tanto raccomandato quanto la carità. Anche se Giovanni tratta ora questo, ora quest`altro argomento, sempre poi ritorna su questo punto, volendo ricondurre al dovere della carità tutto quello che ha esposto. Vediamo se, anche qui, fa cosí. Fa` attenzione a queste parole: "Chi è nato da Dio, non pecca" (1Gv 3,9). Ci domandiamo di quale peccato si tratta; non certo di qualunque peccato, perché saremmo in contraddizione con l`altro passo che dice: "Se diremo di non aver peccato, ci inganniamo e la verità non è in noi (1Gv 1,8)". Voglia allora dirci quale peccato intende, ci istruisca, perché io non venga giudicato temerario nell`asserire che esso è la violazione della carità, come si può ricavare dalle sue stesse parole precedenti: "Chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre accecano i suoi occhi" (1Gv 2,11). Forse ha dato ulteriori spiegazioni affermando esplicitamente che si tratta della carità. Vedete che tutti questi diversi modi di esprimersi portano alla medesima conclusione. "Chiunque è nato da Dio, non pecca, perché in lui rimane il seme di Dio". Il seme di Dio è la parola di Dio, per cui l`Apostolo può dire: "Io vi ho generato per mezzo del Vangelo (1Cor 4,15). Quest` uomo non può peccare, perché nato da Dio". Ma ci dica l`Apostolo in che senso non può peccare. "A questo segno sono riconoscibili i figli di Dio ed figli del diavolo. Chi non è giusto, non viene da Dio ed altrettanto chi non ama il proprio fratello" (1Gv 3,10). E` ormai certo chiaro del perché dice: "Chi non ama il proprio fratello". Solo l`amore dunque distingue i figli di Dio dai figli del diavolo. Se tutti si segnassero con la croce, se rispondessero amen e cantassero tutti l`Alleluja; se tutti ricevessero il Battesimo ed entrassero nelle chiese, se facessero costruire i muri delle basiliche, resta il fatto che soltanto la carità fa distinguere i figli di Dio dai figli del diavolo. Quelli che hanno la carità sono nati da Dio, quelli che non l`hanno non sono nati da Dio. E` questo il grande criterio di discernimento. Se tu avessi tutto, ma ti mancasse quest`unica cosa, a nulla ti gioverebbe ciò che hai; se non hai le altre cose, ma possiedi questa, tu hai adempiuto la Legge. "Chi infatti ama il prossimo" -dice l`Apostolo - "ha adempiuto la Legge; e, il compimento della Legge è la carità" (Rm 13,8.10). La carità è, a mio parere, la pietra preziosa, scoperta e comperata da quel mercante del Vangelo, il quale per far questo, vendette tutto ciò che aveva (cf. Mt 13,46). La carità è quella pietra preziosa, non avendo la quale nessun giovamento verrà da qualunque cosa tu possegga; se invece possiedi soltanto la carità, ti basterebbe essa sola. Adesso vedi nella fede ma un giorno vedrai direttamente. Se noi amiamo fin da adesso il Signore che non vediamo, come l`ameremo quando lo vedremo direttamente? Ma in quale campo dobbiamo esercitare questo amore? In quello della carità fraterna. Potresti dirmi che non hai mai visto Dio; non potrai mai dirmi che non hai visto gli uomini. Ama dunque il tuo fratello. Se amerai il fratello che tu vedi, potrai contemporaneamente vedere Dio, poiché vedrai la carità stessa, e Dio abita nella carità.


    (Agostino, In Ioan. Ep. 5, 7)



    4. La rete di Dio


    Come la Roccia immortale, vivente (cf. 1Pt 2,4),

    essa è per la rovina e per il risollevamento (cf. Lc 2,34);

    come il Giudice di tutte le anime,

    essa si presenta con autorità ammirabile

    per maledire e per benedire (cf. Mt 25,34.41);

    come il Veggente di cose invisibili,

    essa denuncia l`uno e cura l`altro;

    essa chiama a sé col loro nome

    come il Signore che comanda agli esseri (cf. Sal 147,4).

    Come la montagna eterna,

    essa è invulnerabile ai colpi degli avversari (cf. Sal 125,1);

    essa prende gli uomini spirituali

    come una rete inventata dal Grande (cf. Mt 13,47); innocente e infallibile, essa corre sulle tracce del Cristo (cf. Ef 5,24-27)

    con una sublime ricchezza, senza confusione,

    con ardimento essa tiene alta la testa,

    sull`esempio del Lodato.


    (Gregorio di Narek, Liber orat. 77, 10)



    5. Inno primo sulla perla


    Un giorno,

    Miei fratelli,

    Presi una perla,

    Vi percepii dei simboli,

    Relativi al regno,

    Immagini e tipi,

    Di quella (divina) Maestà.

    Essa divenne una fontana

    E io mi ci abbeverai

    Dei simboli del Figlio.


    RITORNELLO


    Beato colui che possiede una perla

    Ha confrontato il regno dell`Altissimo! (Cf. Mt 13,45).


    La collocai, fratelli,

    Nel cavo della mano.

    Per meglio esaminarla,

    Mi disposi a guardarla

    Su una sola faccetta.

    Però, da tutti i lati,

    Non era che faccetta.

    Tale è la ricerca del Figlio,

    Lui che non si può scrutare,

    Poich`Egli è tutta luce.

    In questa purezza (della perla)

    Io riconosco il Puro

    Che non sopporta macchia,

    E in tale limpidità


    Il grande mistero

    Del corpo del Signore,

    Che è totalmente puro.

    Nella sua indivisione

    Riconosco la verità

    Che è indivisibile.


    E` ancora Maria

    Che io là scorgevo

    E il suo puro concepimento.

    Anche la Chiesa

    E il Figlio nel suo seno

    Come la nube (cf. Es 13,21)

    Che lo porta:

    Simbolo del cielo

    Donde rifulge

    Il suo scoppio risplendente.


    Io vidi in lei i trofei,

    E delle sue vittorie

    E delle sue corone.

    Io vidi in lei il suo appoggio

    E le risorse sue

    Tanto celate

    Che manifeste,

    Piú vaste per me

    Dell`Arca

    Dove mi perdo.


    Ho visto in lei segreti

    Che non hanno ombra alcuna

    Poiché essa è dell`Astro figlia

    Vidi figure

    Senza lingua evocate

    E simboli

    Senza le labbra espressi:

    Muta cetra

    Che senza produrre suoni

    Fa scoltare canti.

    Ma ecco venne della tromba il suono

    E il tuono mormorò:

    Non esser temerario,

    Lascia cadere le questioni oscure,

    Non prender altro che ciò che ti è chiaro.

    Allora io vidi nel cielo sereno

    Una pioggia tutta nuova;

    Una fonte ai miei orecchi

    Sembrando uscire dalla nube,

    Li colmò di spiegazioni (cf. Es 18,44; Os 6,3).


    Era come la manna

    Che da sola

    Saziò il popolo,

    Rimpiazzando ogni altro piatto (cf. Es 16,15; Sap 16,20s).

    Anche me, delle sue delizie,

    Essa ha saziato, Quella perla,

    Sostituendomi libri,

    Letture e anche

    I commenti.


    E dato che le chiesi

    Se vi fossero ancora in essa

    Altri simboli:

    La perla non ha bocca

    Da cui io la senta parlare

    Cosí come non ha orecchi

    Per sentirmi parlare.

    O tu che non hai sensi,

    Che presso te io acquisti

    Dei sensi tutti nuovi!


    Essa rispose e dissemi:

    Io son la figlia

    Dell`immenso mare.

    Piú vasta di questo mare

    Da cui son risalita,

    Un tesoro di simboli

    Nel mio seno alberga.

    Scruta il mare, se vuoi!

    Ma scrutar tu non devi

    Il signore del mare!


    Ho visto i palombari

    Avventurarsi alla mia ricerca

    Col fiato mozzo

    Quando dal fondo del mare

    Risalgono alla terra

    Dopo brevi momenti:

    E` perché non ne posson piú!

    Chi dunque po,trebbe fissare,

    Scrutare le profondità

    Della Divinità?


    Il mare del Figlio

    E` tutto benefico

    Ma anche malefico.

    Non hai tu osservato

    Le onde del mare?

    Sol che una barca voglia lottarvi contro,

    Esse la infrangeranno.

    Ma ch`essa si abbandoni

    E non sia piú ribelle:

    Allora essa è salva.


    In mare essi perirono tutti,

    Gli Egiziani

    Senza raggiungere i loro nemici (cf. Es 14,28).

    E, senza esser interpellati,

    Sulla terra, gli Ebrei

    Del pari furono inghiottiti (cf. Nm 16,31).

    (E voi) come sopravvivrete?

    Anche le genti di Sodoma

    Furono arse dal fuoco! (Cf. Gen 19,24).

    (E voi) come potrete vincere?


    Durante tutti questi tormenti

    I pesci nel mare

    Vicino a noi tremarono.

    Avete dunque un cuore di pietra

    Voi che leggete questi racconti

    E li dimenticate?

    C`è da temere ancor piú

    Per il fatto che la giustizia (di Dio)

    Ha taciuto sí a lungo.


    La ricerca gareggia

    Con il riconoscimento

    Sul quale avrà la meglio.

    La lode abbonda

    Come altresí la ricerca

    Provenendo dalla stessa lingua.

    Quale verrà ascoltata?

    La ricerca o la preghiera?

    Venendo dalla stessa bocca,

    Quale verrà esaudita?


    In mare

    Durante tre giorni

    Tremarono per Giona

    Divenuto loro vicino

    Gli animali marini (cf. Gn 2,1).

    Chi dunque mai

    Può sfuggire a Dio?

    Giona, lui, è scappato,

    E voi, da parte vostra,

    Oserete scrutare (Dio) ?


    (Efrem, Carmen de margarita, 1-16)



    6. Il tesoro è lo stesso Verbo di Dio


    Questo tesoro, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (cf. Col 2,2s), è il Verbo di Dio, che si rivela nascosto nel corpo di Cristo (cf. "ibid".), o le Sante Scritture, nelle quali è riposta ogni verità riguardante il Salvatore. Quando qualcuno trova in esse tale verità, deve rinunziare a tutte le ricchezze di questo mondo, pur di possedere quanto ha trovato. Le parole: "l`uomo che lo ha scoperto, lo nasconde di nuovo" (Mt 13,44), non indicano che quest`uomo si comporta cosí perché ne è geloso, ma perché ha timore di perderlo e vuole conservarlo, e perciò cela nel suo cuore colui per il quale ha rinunziato a tutte le ricchezze che aveva...

    Le belle perle sono la Legge e i Profeti, e la conoscenza del Vecchio Testamento. Ma una sola è la perla di grande valore, cioè la conoscenza del Salvatore, il sacramento della sua passione, il mistero della sua risurrezione. Il mercante che ha scoperto, a somiglianza dell`apostolo Paolo, tutti i misteri della Legge e dei Profeti e le antiche osservanze, nel rispetto delle quali ha sinora vissuto, tutte alla fine le disprezza come spazzatura e banalità, per guadagnarsi Cristo (cf. Fil 3,8). Non perché la scoperta della nuova perla comporti la condanna di quelle antiche; ma perché, al suo confronto, tutte le altre perle appaiono di minor valore . . .

    Il vaticinio di Geremia, che dice: "Ecco, manderò a voi molti pescatori" (Ger 16,16), si è compiuto: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dopo avere udito le parole: Seguitemi, e vi farò pescatori di uomini (cf. Mt 4,19; Mc 1,17) hanno intrecciato per sé stessi, ricavandola dal Vecchio e dai Nuovo Testamento, una rete fatta di insegnamenti evangelici e l`hanno gettata nel mare di questo mondo. Questa rete è ancor oggi tesa in mezzo ai flutti e prende, dalle onde amare e salate, tutto quanto incontra, cioè uomini buoni e cattivi, pesci buoni e cattivi. Ma quando verrà la fine del mondo, come Gesú piú avanti chiaramente dirà, allora la rete sarà tratta a riva, allora sarà manifesto il giudizio che separerà i pesci: come in un tranquillissimo porto, i buoni saranno riposti nell`ufficio delle celesti mansioni, mentre i cattivi saranno gettati nel fuoco della geenna, dove saranno bruciati e inariditi (cf. Mt 13,47-50).


    (Girolamo, In Matth. II, 13, 44-46)

     

    49

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    00 26/07/2011 11:44

    XVIII DOMENICA


    Letture: Isaia 55,1-3

    Romani 8,35.37-39

    Matteo 14,13-21


    1. Gesù opera per accrescere la fede dei discepoli


    "Venuta la sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto, e l`ora è già passata; licenzia, dunque, le turbe, affinché vadano per i villaggi a comperarsi da mangiare»" (Mt 14,15).

    Certo, anche prima Gesú aveva curato molti malati; tuttavia neppure con ciò i discepoli possono prevedere il miracolo della moltiplicazione dei pani; sono ancora deboli nella loro fede.

    Ma voi considerate la sapienza del Maestro, ammirate come li invita e li conduce discretamente alla fede. Non afferma subito: Io darò da mangiare, perché ciò non sarebbe parso loro ammissibile, ma: "Non c`è bisogno che se ne vadano, date voi da mangiare loro" (Mt 14,16). E neppure dice: io do loro, ma «date voi».

    I discepoli tuttavia lo considerano ancora soltanto come uomo, e neppure a queste parole si elevano piú in alto, ma continuano a parlare con Gesú come se fosse soltanto tale, contestandogli: "Noi non abbiamo che cinque pani e due pesci" (Mt 14,17). Marco, a questo punto, riferisce che i discepoli non compresero quanto Gesú aveva loro detto, in quanto il loro cuore era indurito (cf. Mc 8,17).

    Poiché, dunque, si trascinano ancora per terra con i loro pensieri umani, allora Cristo interviene personalmente e ordina: "Portatemeli qua" (Mt 14,18): se quel luogo è deserto, colui che è qui presente alimenta tutta la terra; se l`ora è già passata, ora vi parla chi non è soggetto né all`ora né al tempo...

    "E dopo aver comandato alle turbe di adagiarsi sopra l`erba, presi i cinque pani e i due pesci, con gli occhi levati al cielo pronunziò la benedizione. E li spezzò e li diede ai discepoli, e i discepoli alle turbe" (Mt 14,19-20).

    Perché Gesú leva gli occhi al cielo e pronunzia la benedizione? Afmnché essi credano che egli è inviato dal Padre e che è uguale al Padre. Tuttavia, le prove di queste due verità sembrano contraddirsi e combattersi a vicenda. Gesú dimostra di essere uguale al Padre operando tutto con la sua personale autorità. D`altra parte non possono credere che egli sia inviato dal Padre, se egli non agisce con tutta umiltà, riferendo al Padre ogni sua azione, e invocandolo quando deve compiere i suoi miracoli. Cristo, perciò, non mette in atto esclusivamente questo o quel comportamento, affinché ambedue queste realtà possano essere ugualmente confermate. Cosí, ora compie i miracoli con piena autorità, ora invece prega prima il Padre. Per evitare che questo fatto non sembri una contraddizione, quando compie prodigi meno grandi leva gli occhi al cielo; mentre quando opera miracoli straordinari agisce totalmente di propria autorità. Insegna in tal modo che se nei miracoli meno sorprendenti egli alza lo sguardo al cielo non è per mutuare da altri la sua potenza, ma perché vuole glorificare il Padre. Cosí quando rimette i peccati, apre le porte del paradiso facendovi entrare il ladrone, abroga la legge, risuscita innumerevoli morti, placa la tempesta del mare, rivela gli intimi segreti degli uomini, guarisce il cieco nato, azioni che non possono essere che esclusiva opera di Dio, non lo si vede affatto pregare; quando invece si appresta a moltiplicare i pani, miracolo assai meno straordinario di tutti quelli menzionati, allora leva gli occhi al cielo. In pari tempo egli vuol dimostrare questo che vi ho detto e insegnarci che non dobbiamo mai prender cibo senza ringraziare prima Dio che ce lo procura.


    (Giovanni Crisostomo, In Matth. 49, 1 s.)



    2. I discepoli vogliono che Gesú congedi la folla


    "Venuta la sera, gli si avvicinarono i suoi discepoli" (Mt 14,15), cioè alla consumazione del secolo, nel momento in cui si può giustamente dire che si "è all`ultima ora" (1Gv 2,18), quella di cui si argomenta nella Lettera di Giovanni; essi non comprendendo ancora ciò che il Logos stava per fare, gli dissero che "il luogo era deserto" (Mt 14,15), poiché costatavano l`assenza della fede e della parola divine tra le masse. Aggiunsero che "l`ora è ormai avanzata (ibid.)", come se se ne fosse andato il tempo favorevole della fede e dei profeti. Forse parlavano cosí perché si esprimevano in linguaggio spirituale, dal momento che Giovanni era stato decapitato e che la Legge e i profeti, che avevano retto fino a Giovanni (cf. Lc 16,16), avevano visto la fine. L`ora è dunque avanzata, dissero essi, e qui non vi è del cibo, poiché non è piú il tempo favorevole di questo, che aveva fatto sí che quelli che lo avevano seguito nel deserto fossero sottomessi alla Legge e ai profeti. E i discepoli aggiungono: "Congedali dunque (ibid.)", affinché ciascuno, se non è piú possibile procurarsene nelle città, acquisti di che mangiare nei villaggi, luoghi piú disprezzati. I discepoli parlavano cosí perché ignoranvo che le folle erano in procinto di scoprire, dopo l`abrogazione della lettera della Legge e la cessazione dei profeti, cibi straordinari e nuovi. Quanto a Gesú, considera quel ch`egli risponde ai discepoli, quasi gridando, e in un linguaggio chiaro: Voi credete proprio che se si allontana da me, questa folla numerosa, bisognosa di cibo, ne troverà nei villaggi, piuttosto che presso di me, e negli agglomerati umani, non tanto quelli delle città, bensí quelli delle campagne, piuttosto che rimanendo in mia compagnia. Ma io vi dichiaro che di ciò che voi credete che essi abbiano bisogno, essi non ne hanno alcun bisogno, poiché non è necessario per loro andarsene; però ciò di cui, a vostro parere, essi non necessitano affatto, cioè di me - visto che credete che io sono incapace di nutrirli - è di quello, contrariamente alla vostra aspettativa, che essi hanno bisogno. Dunque, dal momento che, attraverso il mio insegnamento, vi ho resi capaci di dare, a coloro che ne difettano, il nutrimento spirituale, sta a voi dar da mangiare alle folle che mi hanno accompagnato (cf. Mt 14,16): infatti voi possedete, poiché lo avete ricevuto da me, il potere di dar da mangiare alle folle e, se ne aveste tenuto conto, avreste capito che io posso nutrirli molto di piú, e non avreste detto: "Congeda le folle, perché possano andare ad acquistarsi di che mangiare" (Mt 14,15).


    (Origene, In Matth. 11, 1)



    3. La ricerca di Cristo nel deserto


    Ma nota bene a chi è distribuito. Non agli sfaccendati, non a quanti abitano nella città, cioè nella Sinagoga o fra gli onori del mondo, ma a quanti cercano Cristo nel deserto, proprio coloro che non ne hanno noia sono accolti da Cristo, e il Verbo di Dio parla con essi, non di questioni terrene, ma del Regno dei cieli. E se taluni hanno addosso le piaghe di qualche passione del corpo, Egli accorda volentieri a costoro la sua medicina.

    Era dunque logico che Egli con nutrimenti spirituali salvasse dal digiuno quanti aveva guarito dal dolore delle loro ferite. Perciò nessuno riceve il nutrimento di Cristo se prima non è stato risanato, e coloro che sono invitati alla cena, sono prima risanati da quell`invito. Se c`era uno zoppo, questi, per venire, avrebbe conseguito la possibilità di camminare; se c`era qualcuno privo del lume degli occhi, certo non sarebbe potuto entrare nella casa del Signore senza che gli fosse stata ridata la luce.

    Dappertutto, pertanto, viene rispettato l`ordinato svolgimento del mistero: prima si provvede il rimedio alle ferite mediante la remissione dei peccati, successivamente l`alimento della mensa celeste vien dato in abbondanza, sebbene questa folla non sia ancora saziata da cibi piú sostanziosi, né quei cuori ancor digiuni di una fede piú ferma siano nutriti col Corpo e col Sangue di Cristo.


    (Ambrogio, In Luc. 6, 69-71)



    4. La croce, nostra somma gloria


    Ogni atto compiuto dal Cristo è una gloria della Chiesa cattolica: gloria delle glorie è, però, la croce. Questo, appunto, intendeva Paolo, nell`affermare: "A me non avvenga mai di menar vanto, se non nella croce di Cristo" (Gal 6,14). Suscita la nostra ammirazione, certo anche il miracolo in seguito al quale il cieco dalla nascita riacquistò, a Siloe, la vista (cf. Gv 9,7ss): ma cosa è un cieco di fronte ai ciechi di tutto il mondo? Straordinaria, e soprannaturale, la risurrezione di Lazzaro, morto già da quattro giorni (cf. Gv 11,39). Una grazia del genere, tuttavia, è toccata ad uno soltanto: che beneficio ne avrebbero tratto quanti, nel mondo intero, erano morti per i loro peccati? (cf.Ef 2,1). Strepitoso il fatto che cinque pani riuscirono a sfamare cinquemila persone (cf. Mt 14,21): ma a che cosa sarebbe servito, se pensiamo a coloro che, su tutta la terra, erano tormentati dalla fame dell`ignoranza? (cf. Am 8,11). Stupefacente, ancora, la liberazione della donna, in preda a Satana da diciotto anni (cf. Lc 13,11ss): che importanza avrebbe avuto, però, per tutti noi, imprigionati dalle catene dei nostri peccati? (cf. Pr 5,22).

    La gloria della croce, invece, ha illuminato chi era accecato dall`ignoranza, liberando tutti coloro che erano prigionieri del peccato e portando la redenzione all`intera umanità.


    (Cirillo di Gerusal., Catechesis, 13, 1-3)



    5. La compassione di Gesú


    Nelle parole evangeliche sempre la lettera è unita allo spirito, e se qualche particolare sulle prime ti sembra privo di calore, se lo tocchi vedrai che brucia. Il Signore stava nel deserto, e le folle lo seguivano, abbandonando le loro città, cioè le loro antiche abitudini e le varie loro credenze religiose. Il fatto che Gesú scende dalla barca, significa che le folle avevano certamente la volontà di andare da lui, ma non le forze necessarie per farlo; per questo il Salvatore scende dal luogo ove stava e va loro incontro, allo stesso modo che in un`altra parabola il padre corre incontro al figlio pentito (cf. Lc 15,20). Vista la folla, ne ha compassione e cura i malati per dare alla fede sincera e piena subito il suo premio.


    (Girolamo, In Matth. II, 14,14)



    6. Moltiplicazione dei pani (Mt 14,13-21; 15,32-38)


    Con soli cinque pani Tu hai avuto

    Il superfluo per cinquemila persone;

    E di nuovo con quattro (pani)

    Tu li hai nutriti in pieno deserto.


    Io che sono affamato del tuo Pane,

    Del tuo Pane divino, celeste,

    Con questo degnati di saziarmi l`anima

    Che è disceso dal cielo ed è immortale.


    (Nerses Snorhalí, Jesus, 486-487)

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    00 02/08/2011 10:01

    XIX DOMENICA


    Letture: 1 Re 19,9a.11-13a

    Romani 9,1-5

    Matteo 14,22-23


    1. Perché Gesú si ritira sul monte


    Egli è solito, d`altra parte, quando compie grandi miracoli, congedare le turbe e anche i discepoli, per insegnarci a non cercare in nessun modo la gloria degli uomini e a non trascinarsi dietro la folla. La parola che usa l`evangelista, «obbligò», indica il gran desiderio che i discepoli avevano di stare in compagnia di Gesú. Gesú, dunque, li manda via con il pretesto che egli deve congedare la moltitudine, ma in realtà è perché egli vuole ritirarsi sul monte. Il Signore si comporta cosí per darci un nuovo ammaestramento: non dobbiamo cioè star continuamente in mezzo alla folla, né dobbiamo d`altra parte fuggire sempre la moltitudine; dobbiamo, invece, fare entrambe le cose con profitto, alternando l`una cosa e l`altra secondo la necessità e l`opportunità.

    Perché Gesú sale sul monte? Per insegnarci che il deserto e la solitudine sono propizi quando dobbiamo supplicare Dio. Per questo infatti egli si ritira spesso in luoghi solitari e ivi passa le notti in preghiera, inducendo cosí anche noi a cercare sia il tempo sia il luogo piú tranquillo per le nostre orazioni. La solitudine infatti è la madre della quiete, è un porto tranquillo che ci mette al riparo da ogni tumulto. Ecco perché Gesú sale sulla montagna. I suoi discepoli, invece, sono nuovamente travolti dai flutti e devono sopportare una tempesta violenta come la precedente. Allora, però, il Signore era con loro nella barca, mentre qui essi sono soli e lontani dal Maestro. Egli vuole infatti condurli soavemente e farli progredire a poco a poco verso esperienze piú grandi; in particolar modo desidera che sopportino coraggiosamente tutto quanto accade loro. Quando stavano per correre il primo pericolo, egli era presente anche se dormiva, e poteva offrir loro un immediato conforto e un sostegno. Ora, invece, per abituarli a una maggiore pazienza non resta con loro, ma si apparta permettendo che si scateni una grande tempesta in mezzo al mare, tanto che sembra non esservi da nessuna parte speranza di salvezza. E li lascia per tutta la notte in balia delle onde, desiderando, come io credo, risvegliare il loro cuore indurito. Questo infatti era l`effetto del terrore, cui contribuiva, oltre la tempesta, anche la notte con la sua oscurità. In realtà il Signore, oltre a questo acuto e profondo spavento, vuole eccitare nei suoi discepoli un piú grande desiderio e un continuo ricordo di lui: perciò non si presenta immediatamente a loro.

    "Alla quarta vigilia della notte egli se ne venne a loro, camminando sopra il mare" (Mt 14,25): voleva abituarli a non cercar subito di essere liberati dalle difficoltà, ma a sopportare gli avvenimenti con coraggio.

    Ma quando sembra che siano fuori pericolo, ecco che sono colti di nuovo dalla paura. "E i discepoli, vedutolo camminare sopra il mare, si impaurirono, pensando che fosse un fantasma; e dalla paura si misero a gridare" (Mt 14,26). Dio agisce sempre cosí: quando sta per liberarci da prove terribili, ne fa sorgere altre piú gravi e spaventose. E cosí accade anche in questa occasione. Insieme alla tempesta, l`apparizione del Maestro turba ancor di piú i discepoli. Ma neppure ora Gesú dissipa l`oscurità, né si rivela immediatamente perché vuol prepararli con questa continua sequela di prove a sostenere altre lotte e indurli a essere pazienti e costanti.

    Cosí Dio si comportò con Giobbe. Quando infatti si apprestava a liberarlo dalla prova, permise che la fine delle sue sofferenze fosse piú dura dell`inizio: non dico per la morte dei figli o per le lamentele e le tentazioni della moglie, ma a causa degli insulti rivoltigli dai suoi stessi domestici e dagli amici. Quando Dio decise di trarre Giacobbe dalla miseria sofferta in terra straniera, permise che egli si trovasse a temere ancor piú fortemente: il suocero infatti lo minacciava di morte (cf. Gen 31,1-23) e, dopo di lui, il fratello che stava per accoglierlo in patria lo mise in estremo pericolo (cf. Gen 32,7-12). Siccome i giusti non possono essere provati con violenza per lungo tempo, quando stanno per terminare le loro battaglie, Dio, volendo che essi ne ritraggano una piú grande ricompensa, aggiunge altre prove. Nello stesso modo agí con Abramo, ponendogli come ultima prova il sacrificio del figlio (cf. Gen 22,1). Cosí le prove piú intollerabili si fanno sopportabili: esse, infatti, quando sono giunte al limite della sopportazione hanno prossima la liberazione. In tal modo Cristo si comporta qui con gli apostoli. Si rivela loro solo dopo che si sono messi a gridare. Cosí, quanto piú grande è stato il terrore che li ha assaliti, tanto piú gioiscono nel vederlo.

    "Ma Gesú subito rivolse loro la parola dicendo: "«Fatevi coraggio, sono io; non abbiate paura!»" (Mt 14,27). Queste parole dissipano del tutto il loro timore e ridanno loro fiducia. Siccome essi, a causa di questa sua straordinaria maniera di camminare sulle onde e per l`oscurità della notte, non lo possono riconoscere con la vista, egli si fa riconoscere con la voce.

    Ma che fa ora Pietro, che è sempre ardente e va sempre avanti agli altri? Gli rispose Pietro: "«Signore, se sei tu, comandami di venire a te sopra le acque» (Mt 14,28). Non gli dice: prega, o supplica, ma «comandami». Vedete quale fervore? E che fede! Certo, molte volte egli si espone al pericolo, perché va oltre la misura e difatti anche qui chiede una cosa molto grande: tuttavia lo fa solo per amore e non per un sentimento di vanità. Ecco perché non dice semplicemente: comandami di camminare sopra le acque, ma precisa «comandami di venire a te». Nessuno ha infatti tanto amato Gesú quanto lui. La stessa cosa egli farà dopo la risurrezione del Salvatore. Allora, non attenderà di andare con gli altri al sepolcro, ma li precederà. In questa circostanza egli dimostra non soltanto il suo amore, ma anche la sua fede. Pietro non solo crede che Gesú può camminare sull`acqua, ma che egli può farvi camminare anche gli altri: perciò desidera avvicinarsi subito a lui.

    "Ed egli rispose: «Vieni». E Pietro, disceso dalla barca, si mise a camminare sulle acque e giunse presso Gesú. Ma, vedendo il vento gagliardo, ebbe paura. E cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami». E subito Gesú, stesa la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?»" (Mt 14,29-31).

    Questo miracolo è piú straordinario di quello della tempesta sedata e perciò il Signore lo compie dopo di quello. Aveva mostrato, in quel primo miracolo, che egli comandava al mare; qui compie un prodigio ben piú sorprendente. Allora s`era fatto obbedire dai venti; ora egli cammina sulle acque e concede a un altro di fare la stessa cosa. Se al tempo del primo miracolo avesse ordinato a Pietro di camminare sulle acque, l`apostolo non si sarebbe dimostrato ugualmente pronto e deciso, perché non possedeva ancora tanta fede.

    Ma perché ora Gesú acconsente alla richiesta di Pietro? Perché, se gli avesse risposto: Non puoi, l`apostolo, essendo tanto ardente, avrebbe insistito. Gesú quindi lo persuade per via di fatti, cosí che in avvenire sia piú moderato. Ma neppure in tal modo Pietro si conterrà. Buttatosi dunque fuori della barca, incominciò ad essere sbattuto dai flutti, poiché aveva avuto timore.

    Gettatosi, dunque, dalla barca, Pietro andava verso Gesú, felice non tanto di camminare sopra le acque, quanto di andare verso di lui. Ma, dopo aver compiuto quanto era piú difficile, l`apostolo cominciò ad essere sopraffatto da un pericolo minore, dall`impeto cioè del vento, non dalla violenza del mare.

    Cosí è la natura dell`uomo: spesso, dopo aver trionfato delle piú grandi prove, cade nelle piú piccole.

    Quando ancora è scosso dal terrore della tempesta, ha il coraggio di gettarsi in acqua, mentre, subito dopo, non può resistere al gagliardo assalto del vento, nonostante sia vicino a Gesú. Non giova a nulla infatti esser vicini al Salvatore, se non gli siamo vicini con la fede.

    Ma perché, in questo caso, il Signore non comanda ai venti di smettere di soffiare e stende invece la mano per afferrare e sostenere Pietro? Perché c`era bisogno della sua fede. Quando noi cessiamo di fare la nostra parte, anche Dio cessa di aiutarci. Per far capire quindi al suo apostolo che non è l`impeto del vento, ma la scarsezza della sua fede a farlo affondare, Gesú gli dice: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Se la sua fede non si fosse indebolita, egli avrebbe facilmente resistito anche al vento. E la prova sta nel fatto che il Signore, anche dopo aver preso Pietro per mano, lascia che il vento continui a soffiare con tutta la sua forza, per manifestare che esso non potrebbe assolutamente nuocergli, qualora la sua fede fosse salda. E come la madre sostiene con le sue ali e riporta nel nido l`uccellino che uscito anzitempo sta per cadere a terra, cosí fa anche Cristo con Pietro.

    "E montati che furono in barca, il vento cessò" (Mt 14,32).

    Quando sopravvenne la calma dopo la prima tempesta, gli apostoli si chiesero: "E chi è mai costui che anche i venti e il mare gli ubbidiscono?" (Mt 8,27). Ma ora non si rivolgono piú questa domanda. "Allora quelli che erano nella barca gli si prostrarono davanti, dicendo: «Veramente tu sei il Figlio di Dio!»" (Mt 14,33)


    (Giovanni Crisostomo, In Matth. 49, 3; 50, 1-2)



    2. Questa traversata è segno della vita cristiana


    Che qualcuno piú semplice si contenti del racconto degli avvenimenti! Noi però, se un giorno saremo alle prese con tentazioni inevitabili, ricordiamoci che Gesú ci ha obbligati ad imbarcarci e che vuole che lo precediamo sulla sponda opposta (cf. Mt 14,22). Infatti, è impossibile a chi non ha sopportato la prova delle onde e del vento contrario (cf. Mt 14,24) pervenire sulla riva opposta. Poi, quando verremo avvolti da difficoltà numerose e penose, stanchi di navigare in mezzo ad esse con la povertà dei nostri mezzi, pensiamo che la nostra barca è allora in mezzo al mare (cf. Mc 6,47), scossa dalle onde che vorrebbero vederci "far naufragio nella fede" (1Tm 1,19) o in qualche altra virtù. Se d`altro canto vediamo il soffio del maligno accanirsi contro i nostri sforzi, pensiamo che allora il vento ci è contrario. Quando perciò, in mezzo a tali sofferenze, avremo resistito per tre vigilie della notte oscura che regna nei momenti di tentazione, lottando del nostro meglio e rimanendo vigilanti su di noi per evitare «il naufragio nella fede» o in un`altra virtù - la prima vigilia rappresenta il padre delle tenebre (cf. Rm 13,12) e del peccato, la seconda suo figlio, «l`avversario», in rivolta contro tutto ciò che ha nome Dio o ciò che è oggetto di adorazione (2Ts 2,3-4), la terza lo spirito nemico dello Spirito Santo -,siamo certi allora che, venuta la quarta vigilia, "quando la notte sarà avanzata e già il giorno si avvicina" (Rm 13,12), arriverà accanto a noi il Figlio di Dio, per renderci il mare propizio, camminando sui suoi flutti. E quando vedremo apparirci il Logos, saremo assaliti dal dubbio (cf.Mt 14,26) fino al momento in cui capiremo chiaramente che è il Salvatore esiliatosi (cf. Mt 21,33; Mc 12,1; Lc 20,9) tra noi e, credendo ancora di vedere un fantasma, pieni di paura, grideremo; ma lui ci parlerà tosto, dicendoci: "Abbiate fiducia, sono io; non abbiate paura!" (Mt 14,26-27). A queste parole rassicuranti, ci sarà forse tra noi, animato dal piú grande ardore, un Pietro in cammino "verso la perfezione" (Eb 6,1) - senza che vi sia ancora pervenuto -,che scenderà dalla barca, nella coscienza di essere sfuggito alla prova che lo scuoteva; dapprima, nel suo desiderio di andare davanti a Gesú, egli camminerà sulle acque (cf. Mt 14,29), ma, essendo ancora la sua fede insufficiente e permanendo lui stesso nel dubbio, vedrà la "forza del vento" (Mt 14,30), sarà colto dalla paura e comincerà ad affondare; peraltro sfuggirà a tale sciagura, poiché invocherà Gesú a gran voce, dicendo: "Signore, salvami!" (Mt 14,30). E, appena quest`altro Pietro avrà finito di parlare, dicendo: «Signore, salvami!», il Logos stenderà la mano, gli arrecherà soccorso e lo afferrerà nel momento in cui cominciava ad affondare, rimproverandogli la sua poca fede e i suoi dubbi. Stai attento, tuttavia, che egli non ha detto: «Incredulo», bensí: «Uomo di poca fede», e che sta scritto: «Perché hai dubitato, poiché avevi un po` di fede, ma tu hai piegato nel senso ad essa contrario» (cf. Mt 14,31).

    Dopodiché, Gesú e Pietro risaliranno sulla barca, il vento cesserà e i passeggeri, comprendendo a quali pericoli sono sfuggiti, lo adoreranno dicendo, non semplicemente: "Tu sei il Figlio di Dio", come hanno detto i due ossessi (Mt 8,28), ma: "Veramente, tu sei il Figlio di Dio" (Mt 14,33); e questa parola sono i discepoli saliti «sulla barca» a dirla, poiché io ritengo che non avrebbero potuto essere altri che i discepoli a dirla.


    (Origene, In Matth. 11, 6-7)

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    00 10/08/2011 20:45

    XX DOMENICA


    Letture: Isaia 56,1.6-7

    Romani 11,13-15.29-32

    Matteo 15,21-28


    1. Perseverare nella preghiera come la Cananea


    Nella lettura del santo Vangelo che è stata appena letta, fratelli carissimi, abbiamo ascoltato la grande fede, pazienza, costanza e umiltà di una donna. La devozione del suo cuore è tanto piú degna di ammirazione in quanto, pagana qual era in effetti, era stata completamente separata dalla dottrina contenuta nelle parole divine, e tuttavia non era priva di quelle virtù che tali parole predicano. La sua fede infatti, era davvero perfetta... Possiede la virtù della pazienza in non scarsa misura, lei che, pur non rispondendo il Signore alla sua prima richiesta, non cessa affatto dal pregarlo, ma con piú insistenza continua a implorare l`aiuto della sua pietà...

    "Donna, grande è la tua fede, ti sia fatto come desideri" (Mt 15,28). Sí, aveva davvero una grande fede, lei che, pur non conoscendo gli antichi miracoli, precetti o promesse dei profeti, né quelli recenti dello stesso Signore, al di là del fatto che tante volte viene da lui trattata con indifferenza, persevera nelle preghiere; e non cessa di sollecitare con suppliche colui che, propagandosi la fama, aveva saputo essere un cosí grande Salvatore. Ed è per questo che la sua richiesta ottiene grande effetto, dal momento che, alle parole del Signore "ti sia fatto come desideri", da allora sua figlia è risanata... Se qualcuno di noi ha la coscienza macchiata dall`avarizia, dall`impeto [ delle passioni ], dalla vanagloria, dallo sdegno, dall`ira o dall`invidia, e da tutti gli altri vizi, è come avesse una figlia maltrattata dal demonio, per la cui guarigione può ricorrere supplice al Signore... Sottomesso con la dovuta umiltà, nessuno si giudichi degno della comunanza con le pecore d`Israele, cioè con le anime monde, ma piuttosto che deve subire un confronto, e si ritenga indegno dei doni celesti. E tuttavia, non cessi, per la disperazione, di adoperarsi con preghiera insistente, ma con animo certo confidi nella bontà del sommo donatore: poiché colui che di un ladro poté fare un testimone, di un persecutore un apostolo, di un pubblicano un evangelista, di pietre figli di Abramo, proprio lui può trasformare anche un essere vergognoso come un cane in una pecora del gregge d`Israele.


    (Beda il Vener., Hom. 1, 19)



    2. La preghiera è efficace se è frutto di conversione


    Non restiamo, dunque, ad aspettare oziosamente l`aiuto degli altri. E` certo che le preghiere dei santi hanno molta efficacia, ma solo quando noi mutiamo condotta e diventiamo migliori. Mosè, che pure salvò il fratello e seicentomila uomini dalla collera divina, non riuscí a salvare sua sorella, sebbene il peccato di lei fosse minore di quello degli altri: ella, infatti, aveva mormorato contro Mosè, mentre il reato degli altri era l`empietà contro Dio stesso. Ma lascio a voi di riflettere su questa questione e cercherò invece di spiegare e risolvere un`altra piú difficile. Perché, infatti trattenerci a parlare della sorella, quando Mosè stesso, il condottiero del popolo eletto, non poté ottenere quanto desiderava? Infatti, dopo aver sofferto infinite pene e fatiche ed aver guidato per quarant`anni il popolo ebreo, non gli fu concesso di entrare nella terra tante volte promessa. Quale ne fu la causa? Questa grazia non sarebbe stata utile, anzi avrebbe recato molto danno e avrebbe potuto causate la rovina e la caduta di molti fra i Giudei. Essi, infatti, dopo esser partiti dal paese d`Egitto, avevano abbandonato Dio e seguivano Mosè riferendo a lui ogni cosa; se poi egli li avesse condotti nella terra promessa, chissà a quale empietà si sarebbero di nuovo abbandonati. Per questo, il sepolcro di Mosè rimase sempre nascosto e ignorato (cf. Dt 34,6). Quanto a Samuele, pur avendo egli spesso salvato gli Israeliti, non poté salvare Saul dalla collera di Dio (cf. 1Sam 16,1). Geremia, dal canto suo, non poté liberare i Giudei, ma salvò come profeta molti altri. Daniele poté salvare dalla morte i sapienti di Babilonia, ma non poté liberare il suo popolo dalla schiavitú (cf. Dn 2). Noi vediamo, del resto, nei Vangeli verificarsi per uno stesso uomo queste due situazioni: chi ha potuto riscattarsi una volta non può piú farlo in un`altra circostanza. Colui che doveva diecimila talenti, supplicando ottenne che il suo debito gli fosse rimesso, ma non poté piú ottenere la stessa cosa subito dopo. E al contrario, quegli che dapprima si era perduto, piú tardi si salvò. Chi è costui? Si tratta di quel figliol prodigo il quale, dopo aver dissipato le sostanze del padre, ritornò da lui e ottenne il perdono (cf. Lc 15,30). Insomma, se noi siamo pigri e negligenti, neppure gli altri ci potranno soccorrere: ma se vegliamo su noi stessi, da noi medesimi ci soccorreremo e lo faremo molto meglio di quanto potrebbero farlo gli altri. Dio preferisce accordare la sua grazia direttamente a noi, piuttosto che ad altri per noi, perché lo zelo che poniamo nel cercare di allontanare la sua collera ci spinge ad agire con fiducia e a diventare migliori di quel che siamo. Per questo il Signore fu misericordioso con la cananea e cosí egli salvò la Maddalena e il ladrone, senza che alcun mediatore fosse intervenuto a favore.


    (Giovanni Crisostomo, In Matth 5, 4)



    3. Pregare confidando nel Signore


    Allontana da te ogni dubbio e non esitare, neppure un istante, a chiedere qualche grazia al Signore, dicendo fra te e te: Come è possibile che io possa chiedere e ottenere dal Signore, che ho tanto peccato contro di lui? Non pensare a ciò, ma rivolgiti a lui di tutto cuore e pregalo senza titubare; sperimenterai la sua grande misericordia. Dio non è come gli uomini che serbano rancore; egli dimentica le offese e ha compassione per la sua creatura .

    Tu dunque purifica prima il tuo cuore da tutte le vanità di questo mondo e da tutti i peccati che abbiamo menzionati, poi prega il Signore e tutto otterrai. Sarai esaudito in ogni tua preghiera, se chiederai senza titubare. Se invece esiterai in cuor tuo, non potrai conseguire nulla di ciò che chiedi. Chi, pregando Dio, dubita, è uno di quegli indecisi che nulla assolutamente ottengono; invece chi è perfetto nella fede, chiede tutto confidando nel Signore e tutto riceve, perché prega senza dubbio o titubanza. Ogni uomo indeciso e tiepido, se non farà penitenza, difficilmente avrà la vita.

    Purifica il tuo cuore da ogni traccia di dubbio, rivestiti di fede robusta, abbi la certezza che otterrai da Dio tutto ciò che domandi. Se poi avviene che, chiesta al Signore qualche grazia, egli tarda a esaudirti, non lasciarti prendere dallo scoraggiamento per il fatto di non aver ottenuto subito ciò che domandasti: certamente questo ritardo nell`ottenere la grazia chiesta o è una prova o è dovuto a qualche tuo fallo che ignori. Perciò non cessare di rivolgere a Dio la tua intima richiesta, e sarai esaudito, se invece ti scoraggi e cominci a diffidare, incolpa te stesso, e non colui che è disposto a concederti tutto.

    Guardati dal dubbio! E` sciocco e nocivo e sradica molti dalla fede, anche se sono assai convinti e forti. Tale dubbio è fratello del demonio e produce tanto male tra i servi di Dio. Disprezzalo dunque e dominalo in tutto il tuo agire, corazzandoti con una fede santa e robusta, perché la fede tutto promette e tutto compie; il dubbio invece, poiché diffida di sé, fallisce in tutte le opere che intraprende.

    Vedi, dunque, che la fede viene dall`alto, dal Signore, e ha una grande potenza, mentre il dubbio è uno spirito terreno che viene dal diavolo, e non ha vera energia. Tu dunque servi alla fede, che ha vera efficacia, e tienti lontano dal dubbio che ne è privo. E cosí vivrai in Dio; e tutti coloro che ragionano cosí vivranno in Dio.


    (Erma, Pastor, Precetto IX)



    4. La preghiera deve essere fatta con tutto il cuore


    Quando dunque, fratelli carissimi, ci mettiamo a pregare, dobbiamo essere vigilanti e completamente intenti alle preghiere con tutto il cuore. Sia lontano da noi ogni pensiero carnale e mondano, affinché appunto l`anima non si concentri che sulla preghiera.

    Ecco perché il vescovo, con un prefazio prima della preghiera (eucaristica), prepara lo spirito dei fedeli dicendo: «In alto i cuori», cui il popolo risponde: «Li abbiamo rivolti al Signore». Si è esortati cosí a non pensare ad altro che al Signore.

    Si chiuda il cuore all`avversario e lo si apra solo a Dio; non si permetta affatto che il nemico penetri in noi durante il tempo della preghiera. Egli infatti usa strisciare e insinuarsi sottilmente per deviare le nostre preghiere da Dio: cosicché una cosa abbiamo nel cuore e un`altra sulle labbra; mentre si deve pregare il Signore con la sincera applicazione non del suono della voce ma dell`anima e del pensiero. Quale indolenza non è quella per cui ci si fa portar via e si diventa preda di pensieri frivoli e profani, proprio mentre tu preghi il Signore, - come se potessi avere di meglio da pensare rispetto a quello di cui parli con Dio!

    Come pretendi d`essere ascoltato da Dio, quando tu non ascolti neppure te stesso? E come vuoi che il Signore si ricordi di ciò che domandi nella preghiera, se non te ne ricordi tu stesso? Questo significa non guardarsi affatto dal nemico; questo significa, dacché preghi Dio, offendere la sua maestà con la negligenza della tua preghiera questo non è altro che vegliare con gli occhi e dormire col cuore, mentre al contrario il cristiano anche quando con gli occhi dorme dovrebbe vegliare col cuore, cosí come, nel Cantico dei Cantici, sta scritto di colei che parla quale figura della Chiesa: "Io dormo, ma il mio cuore veglia" (Ct 5,2). E perciò l`Apostolo è sollecito e saggio ad avvertirci: "Siate assidui nella preghiera e vegliate" (Col 4,2): ci insegna cosí e ci mostra che possono ottenere da Dio quel che gli chiedono, solo coloro che Dio vede vigilanti nella preghiera.


    (Cipriano di Cartagine, De orat. dom. 31)



    5. Certezza di essere esauditi


    Risveglia la tua attenzione, o anima fedele, e ascolta con discernimento quanto egli dice nella promessa, e cioè: «In nome mio», egli non ha detto: «Tutto ciò che chiederete», in qualsiasi modo, ma: "Tutto ciò che chiederete in nome mio, lo farò" (Gv 14,13). E colui che ci ha promesso un cosí grande dono, come si chiama? Gesú Cristo. Cristo significa re, Gesú significa salvatore. Non è un qualsiasi re che ci salverà, ma il re salvatore: e perciò qualsiasi cosa chiediamo che sia contraria alla nostra salvezza, non la chiediamo nel nome del Salvatore. E tuttavia, egli non cessa di essere il nostro Salvatore, non solo quando esaudisce quanto gli chiediamo, ma anche quando non esaudisce la nostra preghiera. Poiché, non esaudendo ciò che gli viene chiesto a danno della nostra salvezza, mostra appunto di essere il nostro Salvatore. Il medico sa se quanto chiede l`ammalato è a vantaggio o a danno della sua salute, e perciò se non soddisfa la volontà di chi chiede ciò che è dannoso, lo fa per proteggere la sua salute. Quando dunque noi vogliamo che il Signore esaudisca le nostre preghiere, chiediamo a lui non in un qualunque modo, ma nel suo nome, cioè nel nome del Salvatore. E non chiediamo quanto è nocivo alla nostra salvezza: se esaudisse tale preghiera, non si comporterebbe da Salvatore qual è, poiché egli è questo per i suoi fedeli. Egli, che si degna di essere il Salvatore dei fedeli, è anche il Giudice che condanna gli empi.

    Chi dunque crede in lui, qualunque cosa chieda in suo nome, cioè nel nome che gli riconoscono quanti in lui credono, sarà esaudito, perché egli cosí facendo agirà da Salvatore. Ma se invece chi crede in lui, per ignoranza chiede qualcosa che è dannoso alla sua salvezza, non chiede nel nome del Salvatore: il Signore non sarebbe suo Salvatore, se gli concedesse ciò che non torna a vantaggio della sua salvezza eterna. E` quindi molto meglio in questo caso per il fedele che il Signore non conceda ciò che gli vien chiesto, mostrando cosí di essere veramente il Salvatore. Ecco perché colui che non soltanto è il Salvatore ma è anche il buon Maestro, per poter esaudire tutto ciò che chiediamo, ci insegna cosa dobbiamo chiedere nella stessa preghiera che ci ha data. Egli ci insegna, cioè, a non chiedere, in nome del Maestro, ciò che è contrario ai principi del suo insegnamento.

    Tuttavia, sebbene noi si chieda nel suo nome, nel nome del Salvatore e secondo il suo insegnamento, talvolta egli non ci esaudisce nel momento in cui gli rivolgiamo la preghiera. E` vero però che finisce con l`esaudirci. Noi gli chiediamo, ad esempio, che venga il regno di Dio: egli non ci esaudisce nel momento in cui lo chiediamo, perché non regniamo subito con lui nell`eternità; rimanda la realizzazione di quanto gli chiediamo ma non ce la nega. Non tralasciamo quindi di pregare, comportiamoci come i seminatori: verrà il tempo giusto per il raccolto.


    (Agostino, In Ioan. 73, 3-4)

    [Modificato da Coordin. 18/08/2011 08:55]
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    Coordin.
    00 18/08/2011 08:54
    XXI DOMENICA

    Letture: Isaia 22,19-23
    Romani 11,33-36
    Matteo 16,13-20

    1. La fede di Pietro nel Cristo

    "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l`hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17)... che inabita le celesti menti e le illumina con la luce di verità. "Ha nascosto", infatti, "queste cose ai sapienti e le ha rivelate ai piccoli" (Mt 11,25), quale è Pietro, non superbo, bensí umile. Perciò Simone viene benedetto, come dire dichiarato obbediente; figlio di Giona, ovvero di Giovanni, che si interpreta grazia di Dio; infatti la virtù dell`obbedienza procede dalla grazia divina.
    Tale beatitudine si sostanzia soprattutto di conoscenza e di amore, come dire di fede e di carità. Delle quali virtù, l`una è prima, l`altra è precipua... Entrambe, il Signore le richiese da Pietro: la fede, quando gli dette le chiavi; la carità, quando gli affidò il gregge (cf. Gv 21). Nella concessione delle chiavi, interrogando sulla fede, chiese: "Ma voi chi dite che io sia? E Pietro rispose: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo" (Mt 16,15-16). Nell`affidamento del gregge, esigendo la carità, chiese: "Simone di Giovanni, mi ami tu piú di costoro? Ed egli rispose: Signore, tu sai che io ti amo" (Gv 21,15)...
    Quale e quanta fosse la fede di Pietro, lo indicò senza dubbio la sua risposta: "Tu sei" - egli disse - "il Cristo, il Figlio del Dio vivo. Infatti, con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione della fede per avere la salvezza" (Rm 10,10). Egli confessa difatti in Cristo due nature e una persona. La natura umana, quando dice: "Tu sei il Cristo", che significa "unto", secondo l`umanità, come afferma di lui il Profeta: "Il tuo Dio ti ha unto con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali" (Sal 44,8). La natura divina, quando aggiunge: "Figlio del Dio vivo"...
    Quindi non "sei" soltanto Figlio dell`uomo, ma anche "Figlio di Dio": non morto, in ogni caso come gli dèi dei gentili... bensí "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo", che vive in sé e vivifica l`universo, "nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo" (At 17,28). Una cotal fede il Signore non permise che subisse l`erosione di alcuna tentazione. Per cui, quando disse al beato Pietro, all`approssimarsi della Passione: "Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano", aggiunse subito: "Ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,31-32). Si può infatti ritenere che talvolta abbia dubitato, ragion per cui il Signore lo rimproverò: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?" (Mt 14,31); tuttavia, poiché convalidò la solidità della sua fede, lo liberò all`istante dal pericolo pelagiano.
    Questa fede vera e santa, non procedette da formulazione umana, ma da rivelazione divina. Motivo per cui Cristo concluse: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l`hanno rivelato, ma il Padre che sta nei cieli". Su questa fede quasi su pietra, è fondata la Chiesa; ecco perché il Signore aggiunse: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,17-18). Questa dignità si esplicita in due modi, in quanto il beatissimo Pietro è nientemeno fondamento e insieme capo della Chiesa. In effetti, va detto che primo ed essenziale fondamento è Cristo, cosí come afferma l`Apostolo: "Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesú Cristo" (1Cor 3,11), esistono tuttavia fondamenta di second`ordine e secondari, ovvero gli apostoli e i profeti e, in merito a ciò, dice l`Apostolo: "Edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti" (Ef 2,20), dei quali altrove è detto per bocca del Profeta: "Le sue fondamenta sono sui monti santi" (Sal 86,1). Tra questi, il beatissimo Pietro è primo e precipuo.

    (Innocenzo III, Sermo 21)


    2. Pietro non ha abbandonato il timone della Chiesa

    Pur avendo delegato a molti pastori la cura delle sue pecore, egli non ha abbandonato la custodia del gregge diletto. E dalla sua assistenza, fondamentale ed eterna, deriva anche a noi l`appoggio dell`apostolo Pietro, che certo non vien mai meno alla sua missione.
    La saldezza di questo fondamento su cui è costruita tutta la Chiesa nella sua altezza, non è mai scossa, per quanto grande sia la mole del tempio che la sovrasta. La saldezza di quella fede, lodata nel principe degli apostoli, è perpetua; e come resta per sempre ciò che Pietro credette in Cristo, cosí resta per sempre ciò che Cristo stabilí in Pietro. Infatti come è stato annunciato nella lettura del Vangelo, avendo il Signore interrogato i discepoli che cosa essi lo ritenessero, tra le disparate opinioni dei molti, rispose il beato Pietro dicendo: "Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivo". Il Signore disse: "Beato sei tu, Simone Bar-Iona, perché non la carne e il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io ti dico che tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa, e a te darò le chiavi del regno dei cieli. E tutto ciò che avrai legato sulla terra, sarà legato anche nei cieli; e tutto ciò che avrai sciolto sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli (Mt 16,16ss).
    Resta per sempre, dunque, questa disposizione della Verità; e Pietro, perseverando nella saldezza di pietra assegnatagli, non ha piú abbandonato il timone della Chiesa. Egli infatti fu preposto a tutti gli altri, e cosí, quando vien detto «pietra», quando vien nominato «fondamento», quando vien costituito «portiere del regno dei cieli», quando vien preposto come «arbitro del legare e dello sciogliere» i cui giudizi rimarranno stabili anche nei cieli, ci è dato conoscere quale sia la sua unione con Cristo attraverso il mistero di questi appellativi. Ed ora compie con maggior pienezza e potenza gli incarichi affidatigli, ed eseguisce in tutti i particolari gli uffici e gli impegni, in colui e con colui dal quale fu glorificato. Se, dunque, da noi si fa qualche azione retta o si prende qualche decisione giusta, se con le suppliche quotidiane otteniamo qualcosa dalla misericordia di Dio, è per la sua opera e per i suoi meriti: nella sua sede vive la sua potestà, vi eccelle la sua autorità.
    Ciò fu ottenuto, dilettissimi, da quella gloriosa affermazione che, ispirata da Dio Padre al suo cuore apostolico, trascese ogni incertezza delle opinioni umane e ricevette la fermezza di pietra che non sarà mai scossa da nessun attacco. In tutta la Chiesa infatti «Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivo», dice ogni giorno Pietro, e ogni lingua che loda il Signore viene formata dal magistero di questa voce.

    (Leone Magno, Serm. 3, 1-4)


    3. Successione apostolica e tradizione della Chiesa

    Cosí dunque, la tradizione degli apostoli, che è stata manifestata nel mondo intero, può essere colta in tutta la Chiesa da quanti vogliono vedere la verità. E potremmo enumerare i vescovi che furono stabiliti dagli apostoli nelle Chiese, e i loro successori fino a noi. Ora, essi non hanno insegnato né conosciuto niente che somigli alle fantasie deliranti di costoro. Se tuttavia gli apostoli avessero conosciuto dei misteri segreti che avrebbero insegnato ai «perfetti», a parte e all`insaputa degli altri, certamente avrebbero trasmesso questi misteri anzitutto a coloro a cui affidavano le Chiese stesse. Poiché volevano che fossero assolutamente perfetti e in tutto irreprensibili coloro che essi lasciavano come successori e ai quali trasmettevano la loro propria missione di insegnamento: se questi uomini assolvevano correttamente il loro compito, era un grande vantaggio, mentre, se dovevano fallire, sarebbe stata la peggiore disgrazia.
    Ma poiché sarebbe troppo lungo, in un`opera come questa, enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo soltanto una di esse, la Chiesa massima e piú antica e conosciuta di tutte, che i due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo fondarono e stabilirono a Roma, mostrando che la tradizione che essa ha degli apostoli e la fede che annuncia agli uomini sono giunte fino a noi per successione episcopale...; con questa Chiesa infatti, a motivo della sua origine piú eccellente, deve accordarsi tutta la Chiesa, cioè i fedeli di ogni luogo - lei in cui sempre è stata conservata, a beneficio di questi che sono dovunque, la tradizione che viene dagli apostoli.
    Pertanto, dopo aver fondato e edificato la Chiesa, i beati apostoli rimisero a Lino la carica dell`episcopato; è questo Lino che Paolo nomina nelle lettere a Timoteo. A lui succede Anacleto. Dopo di lui, al terzo posto a partire dagli apostoli, l`episcopato tocca a Clemente. Egli aveva visto gli stessi apostoli e aveva avuto rapporti con loro: la predicazione di quelli risuonava ancora ai suoi orecchi e la loro tradizione era ancora davanti ai suoi occhi. D`altronde, non era il solo, perché in quell`epoca erano ancora vivi molti che erano stati istruiti dagli apostoli. Sotto questo Clemente, dunque, sorse un grave dissenso tra i fratelli di Corinto; la Chiesa di Roma indirizzò allora ai Corinzi una lettera importantissima per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro fede e annunciare loro la tradizione che aveva appena ricevuto dagli apostoli... A questo Clemente succede Evaristo; a Evaristo, Alessandro, poi, sesto a partire dagli apostoli, è costituito Sisto dopo di lui, Telesforo, che rese gloriosa testimonianza; quindi Igino; quindi Pio; dopo di lui, Aniceto; essendo succeduto Sotero ad Aniceto, ora è Eleuterio che, al dodicesimo posto a partire dagli apostoli, detiene la funzione dell`episcopato. Ecco per quale sequenza e quale successione la tradizione esistente nella Chiesa a partire dagli apostoli e la predicazione della verità sono giunte fino a noi. Ed è questa una prova molto completa che è una e identica a se stessa questa fede vivificante che, dagli apostoli fino ad ora, si è conservata e trasmessa nella verità.

    (Ireneo di Lione, Adv. Haer. 3, 2)


    4. L`unità della Chiesa

    Il Signore dice a Pietro: "Io ti dico: tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell`inferno non prevarranno contro di essa. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli: ciò che tu legherai sulla terra, sarà legato anche in cielo, e cio che tu scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche in cielo (Mt 16,18s). Su uno solo egli edifica la Chiesa, quantunque a tutti gli apostoli, dopo la sua risurrezione, abbia donato uguali poteri dicendo: "Come il Padre ha mandato me, cosí io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo! A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti" (Gv 20,21-23). Tuttavia, per manifestare l`unità, costituí una cattedra sola, e dispose con la sua parola autoritativa che il principio di questa unità derivasse da uno solo. Quello che era Pietro, certo, lo erano anche gli altri apostoli: egualmente partecipi all`onore e al potere; ma l`esordio procede dall`unità, affinché la fede di Cristo si dimostri unica. E a quest`unica Chiesa di Cristo allude lo Spirito Santo nel Cantico dei Cantici quando, nella persona del Signore, dice: "Unica è la colomba mia, la perfetta mia, unica di sua madre, la prediletta della sua genitrice" (Ct 6,9). Chi non conserva quest`unità della Chiesa, crede forse di conservare la fede? Chi si oppone e resiste alla Chiesa, confida forse di essere nella Chiesa? Eppure è anche il beato apostolo Paolo che lo insegna, e svela il sacro mistero dell`unità dicendo: "Un solo corpo e un solo spirito, una sola speranza della vostra vocazione un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio (Ef 4,4-6).

    (Cipriano di Cartagine, De Eccl. unitate, 4-5)
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    Coordin.
    00 23/08/2011 07:20

    XXII DOMENICA


    Letture: Geremia 20,7-9

    Romani 12,1-2

    Matteo 16,21-27


    1. Seguire Gesú è opera libera di amore


    Nel Vangelo di Giovanni si legge: "Se il chicco di grano cadendo in terra non muore, resta solo; ma se muore dà grande frutto" (Gv 12,24). Qui, trattando con maggior ricchezza di argomenti questa verità, Gesú aggiunge che non solo lui stesso deve morire, ma che pure i suoi discepoli debbono essere pronti a patire e a morire. Vi sono - egli fa capire - talmente tanti vantaggi in queste passeggere sofferenze che sarebbe un danno e una disgrazia per voi il non voler morire; mentre sarebbe un bene e una grazia se foste disposti al supremo sacrificio. Ma ciò è reso manifesto con evidenza dalle parole che seguono: per ora Cristo tratta solo una parte di tale verità. Notate come non mette costrizioni nelle sue parole. Non dice, ad esempio: Sia che lo vogliate, sia che non lo vogliate, è necessario che affrontiate gravi sofferenze. Dice soltanto: "Chi vuol venire dietro a me..." (Mt 16,24), cioè: Io non costringo né obbligo alcuno a seguirmi, ma lascio ciascuno padrone della propria scelta; perciò dico «chi vuole». Io infatti vi invito ai beni, non vi chiamo ai mali e alle pene, né al castigo e al supplizio, perché io debba costringervi. La stessa natura di questo bene ha forza sufficiente per trascinarvi. Parlando in tal modo il Signore li attira ancor piú fortemente. Chi usa violenza, invece, chi costringe con la forza, finisce spesso con l`allontanare. Al contrario, chi lascia alla volontà dell`ascoltatore la libertà di accettare o di respingere una cosa, l`attira a sé piú sicuramente. Il rispetto e l`ossequio della libertà è piú forte della violenza. Ecco perché Gesú dice qui: «Chi vuole». I beni che offro - egli fa intendere - sono cosí grandi ed eccezionali, che dovreste correre spontaneamente verso di essi. Se qualcuno vi offrisse dell`oro e vi mettesse davanti un tesoro, non userebbe certo vioienza nel proporvi di accettarlo. Ebbene, se andiamo verso quei doni senza esser spinti da nessuna costrizione, tanto piú spontaneamente dovremmo correre ai beni del cielo. Se, da sola, la natura di questi beni non vi convince ad accorrere per ottenerli, vuol dire che siete indegni di riceverli: e qualora li riceviate ugualmente, non sarete in grado di apprezzarne a fondo il valore. Ecco perché Cristo non costringe, ma con indulgenza ci esorta. Siccome Gesú nota che i discepoli sussurrano tra di loro, sono turbati per le sue parole, aggiunge: Non occorre agitarsi cosí. Se non siete convinti che quanto vi propongo, qualora si compia non solo in me, ma anche in voi, sia causa di infiniti beni, io non vi forzo, né vi costringo, ma chiamo soltanto chi vuol seguirmi. E non crediate che «seguirmi» significhi ciò che voi avete fatto sinora, accompagnandomi nelle mie peregrinazioni. E` necessario che voi sopportiate molte fatiche, innumerevoli pericoli, se volete davvero venire dietro a me. Tu, o Pietro, che mi hai riconosciuto Figlio di Dio, non devi certo pretendere di ottenere la corona soltanto perché hai fatto questa professione di fede, né devi credere che essa sia sufficiente per assicurarti la salvezza, e che tu puoi vivere d`ora in avanti tranquillamente come se già avessi compiuto tutto. Io potrei sicuramente, in quanto sono Figlio di Dio, esimerti dal subire sciagure e prevenire tutti i pericoli cui sarai esposto, ma non voglio farlo nel tuo stesso interesse, perché tu possa portare qualcosa di tuo, contribuendo alla tua salvezza e procurandoti cosí maggior gloria. Se qualcuno di coloro che presiedono ai giochi olimpici ha un amico atleta, non vorrà certo proclamarlo vincitore solo per pura grazia e amicizia, ma piuttosto per i suoi sforzi personali: e proprio per questo motivo si comporterà cosí, in quanto è suo amico e gli vuol bene. Nello stesso modo agisce Cristo: quanto piú ama un`anima, tanto piú vuole che essa contribuisca con le sue forze alla propria gloria e non solo che l`ottenga grazie al suo aiuto.


    (Giovanni Crisostomo, In Matth. 55, 1)



    2. Il ritorno sulla via della giustizia


    Voi sapete, fratelli, che il nostro pellegrinaggio in questa carne, su questo mondo, è breve e dura pochi giorni; la promessa di Cristo, invece, è grande, meravigliosa, come grande e meraviglioso è il riposo nella vita eterna. Che cos`altro dovremo compiere, allora, per conseguire questi beni, se non perseverare a vivere nella santità e nella giustizia, tenendo ben presente che tutti i valori riconosciuti tali da parte di questo mondo sono estranei a noi cristiani? Poiché è quando desideriamo possedere tali beni che disertiamo la via della giustizia.

    Ammonisce, infatti, il Signore: "Nessuno può servire due padroni" (Mt 6,24; Lc 16,13). Se noi, pertanto, avremo la pretesa di servire sia Dio che Mammona, ne riceveremo un grave danno: "Che cosa giova", infatti, "guadagnare tutto il mondo, se, poi, si perde la propria anima?" (Mt 16,26; Mc 8,36; Lc 9,25).


    (Pseudo-Clemente, Sec. Epist. ad Corinth. 5)



    3. Libertà dal mondo nella solitudine


    Assomiglio a quelli che, per la poca abitudine a navigare, sul mare si sentono male e son presi dalla nausea: non sopportando la grandezza della nave col suo forte rollio, trasbordano su un canotto o una scialuppa, ma anche ivi soffrono il mal di mare, perché la nausea e la bile viaggia con loro. Tale è dunque la nostra situazione. Portiamo con noi i nostri mali interni e ovunque siamo tribolati allo stesso modo.

    Ecco dunque ciò che si deve fare e come ci è possibile seguire le orme di colui che ci è guida alla salvezza: "Se qualcuno vuol venire dietro a me", dice, "rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24).


    (Basilio di Cesarea, Epist. 2, 1)



    4. L`invito di Gesú è per tutti


    Guarda dunque a questa uscita, o discepolo, e che la tua sia come quella, e non tardare a rispondere alla voce vivente di Cristo che ti ha chiamato. Là, egli chiamava solo Abramo: qui, nel suo Vangelo, egli chiama e invita ad uscire dietro di lui tutti quelli che lo vogliono; ha infatti fatto sentire un appello generale a tutti gli uomini quando ha detto: "Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24); e mentre là non ha scelto che Abramo, qui, invita tutti a divenire simili ad Abramo.


    (Filosseno di Mabbug, Hom. 4, 76)



    5. Ciò che è veramente essenziale


    Ecco perché tutto è pieno di confusione, di disordine e di turbamento: perché si trascura l`anima, si dimentica ciò che è necessario e fondamentale, per occuparsi con grande sollecitudine di ciò che è secondario e disprezzabile. Non sai che il piú grande favore che puoi fare a tuo figlio è di conservarlo immune dall`impurità della fornicazione? Nessuna cosa infatti è cosí preziosa quanto l`anima. "Che giova all`uomo" - dice Cristo -"guadagnare il mondo intero, se poi perde l`anima?" (Mt 16,26). Ma l`amore delle ricchezze ha pervertito e sovvertito tutto: come un tiranno s`impossessa della cittadella cosí l`avarizia occupa l`anima degli uomini e vi bandisce il giusto timor di Dio. Ecco perché trascuriamo la nostra salvezza e quella dei nostri figli, avendo come unica preoccupazione quella di arricchire sempre piú.


    (Giovanni Crisostomo, In Matth. 59, 7)



    6. La via regale della croce


    1) A molti sembrano assai dure queste parole: «Sacrifica te stesso, prendi la tua croce e segui Gesú» (cf.Mt 16,24). Ma saranno assai piú aspre queste estreme parole: "Andate lontano da me, voi maledetti, nel fuoco eterno!" (Mt 25,41).

    Quelli che adesso ascoltano e praticano le parole circa la croce, allora (al giudizio finale) non temeranno di sentirsi gridare quelle altre parole di eterna dannazione.

    Quando il Signore verrà all`ultimo giudizio, "allora comparirà nel cielo il segno del figlio dell`uomo (la croce)" (Mt 24,30).

    Allora tutti i servi della Croce, che in questa vita imitarono il Crocifisso, si avvicineranno a Cristo giudice con grande fiducia.

    2) Perché dunque hai tanta paura di accostarti alla croce, per mezzo della quale si va al regno?

    Nella croce vi è la salvezza, nella croce la vita, nella croce la protezione dai nemici. Attraverso la croce viene infusa nelI`anima la celeste soavità, vien data la robustezza alla mente, gaudio allo spirito. Nella croce vi è il compendio delle virtù, nella croce la perfezione della santità. Non vi è salvezza per l`anima, né speranza di vita eterna se non nella croce.

    Prendi su dunque la tua croce e segui Gesú; e andrai alla vita eterna.

    Ti ha preceduto Lui portando la sua croce, ed è morto Lui prima in croce, affinché anche tu porti la tua croce e muoia volentieri sulla croce; ché se lo imiterai morendo come Lui, lo imiterai anche vivendo parimenti con Lui. E se gli sarai stato compagno nella pena, lo sarai anche nella gloria.

    3) Tutto dunque si riduce alla croce e al morire sulla croce e per giungere alla vita e alla vera pace interna non vi è altra via che quella della santa croce e della quotidiana mortificazione.

    Va` pure dove vuoi, cerca pure quello che ti pare, ma non troverai lassú una via piú alta e quaggiú una via piú sicura che la via della croce.

    Disponi pure e comanda che tutto sia fatto secondo la tua volontà e il tuo parere, ma non potrai che fare questa costatazione: bisogna sempre soffrire qualche cosa o per amore o per forza: vedi dunque che sempre troverai la croce. Difatti: ora dovrai patire qualche dolore nelle membra, ora dovrai subire qualche tribolazione di spirito nell`anima.

    4) Talvolta ti sentirai oppresso per l`abbandono di Dio; talvolta sarai tormentato dal prossimo, e, quel che è piú, spesso tu stesso sarai di fastidio a te.

    E non potrai sollevarti un po` o liberarti dal male con qualche rimedio o con qualche conforto, ma ti toccherà sopportare finché a Dio piacerà; poiché Dio vuole che tu impari a soffrire il dolore senza consolazione e che tu ti sottometta a lui senza riserva e che soffrendo tu diventi piú umile.

    Nessuno partecipa con tanto cordoglio alla passione di Gesú, se non colui a cui sarà toccato di patire qualche cosa di simile a lui.

    La croce dunque è sempre pronta e ti aspetta dappertutto. Per quanto tu scappi via non potrai mai sfuggirle; anche perché, dovunque tu vada, per lo meno porterai appresso te e sempre troverai te stesso. Guarda pure in alto, guarda pure in basso, guarda pure fuori, guarda pure dentro... in ogni punto troverai sempre la croce. Ed è necessario che dappertutto tu porti pazienza se vuoi mantenere in te la pace e meritare l`immortale corona.

    5) Ma se tu la porti volentieri, la croce porterà te; e ti condurrà alla desiderata mèta, ove, cioè, non c`è piú da soffrire, anche se questo non sarà certo quaggiú.

    Se invece tu la porti con ripugnanza, la troverai piú pesante e aggraverai di piú la tua pena, mentre poi non risolvi niente, perché già, tanto, non puoi fare a meno di portarla. Se poi getti via una croce, ne troverai senza dubbio un`altra, e forse piú gravosa.

    6) Come puoi tu pensare di poter sfuggire a ciò che nessun uomo ha mai potuto evitare? Chi mai ci fu tra i Santi nel mondo che abbia vissuto senza croce?

    Nemmeno Nostro Signore Gesú Cristo, in tutto il tempo in cui visse sulla terra, fu mai un`ora sola senza croce e dolore. "Era necessario" - dice - "che il Cristo patisse tutto questo e risorgesse dai morti per entrare cosí nella sua gloria" (Lc 24,26.46).

    E allora come puoi tu pensare di cercare una via diversa da quella che è la via maestra, cioè la via della santa croce?

    7) L`intera vita di Cristo non fu che croce e martirio... e tu cerchi per te ozio e piacere?

    T`inganni, t`inganni, se cerchi qualcos`altro all`infuori del patire dolori: perché l`intera nostra vita mortale è piena di sofferenze e limitata tutt`intorno da una fila di croci. E quanto piú in alto uno avrà progredito nella vita dello spirito, tanto piú pesanti croci troverà, perché quanto piú cresce in lui l`amore verso Dio, tanto piú penoso gli riuscirà l`esilio quaggiú.

    8) Costui peraltro, anche se afflitto da tanti lati, non è del tutto privo di sollievo di qualche consolazione: perché, dal sopportare la sua croce, sente che gli viene un accrescimento di merito grandissimo; infatti siccome egli si sottopone alla croce con amore, tutta l`acerbità della pena gli si converte in fiducia di consolazione divina. E quanto piú la carne viene straziata dai dolori, tanto piú lo spirito si corrobora per l`interna grazia.

    Anzi talvolta si è talmente confortati nello stato di tribolazione e contrarietà causate dal desiderio della conformità con la croce di Cristo, che non si vorrebbe piú vivere senza dolori e avversità, perché si è convinti di essere tanto piú graditi a Dio quanto piú numerose e dolorose pene si saranno tollerate per suo amore. Certamente però una cosa simile non è virtù umana, ma è la grazia di Cristo che tali meraviglie opera nella debole carne, conducendola al punto di farle accettare ed amare col fervore dello spirito, ciò che, naturalmente, sempre aborre e fugge.

    9) Non è certo secondo natura portare la croce, amare la croce, castigare e ridurre in schiavitú il proprio corpo, fuggire gli onori, ricevere contumelie serenamente, disprezzare se stesso e desiderare di essere disprezzato, sopportare tranquillamente le cose piú avverse e dannose e non desiderare nessuna prosperità in questo mondo.

    Se tu riguardi solo a te stesso, vedi subito che con le sole tue forze, non saresti capace di nessuna di queste cose; ma se confidi in Dio, ti sarà data dal cielo la forza; e il mondo e la carne ti diverranno soggetti. Non solo, ma non temerai nemmeno il demonio, il tuo nemico, se sarai armato di fede e segnato col segno della croce di Cristo.

    10) Mettiti dunque come uno scudiero fedele e coraggioso a portare virilmente la croce del tuo Signore, crocifisso per tuo amore. Sii pronto ad affrontare molte avversità e molte angustie in questa misera vita: perché dappertutto cosí sarà per te; e cosí troveresti in realtà, dovunque tu volessi fuggire.

    E` necessario che sia cosí; e non c`è altro rimedio per liberarsi dalla tribolazione, dai mali, dai dolori, che sopportarli. Bevi dunque con amore il calice del Signore se vuoi essere suo amico e se desideri aver parte con lui. Quanto alle consolazioni, affidale a Dio; ne disponga lui come piú gli piacerà.

    Tu, dal canto tuo, disponiti a sopportare le sofferenze e figurati che siano grandissime gioie; perché "le sofferenze del tempo presente non possono essere paragonate alla gloria futura" (Rm 8,18) che dobbiamo meritarci, anche se un solo uomo li dovesse patire tutti!

    11) Quando sarai giunto a questo punto, che cioè il soffrire ti sembrerà dolce e gustoso per amore di Cristo, allora puoi star sicuro che hai raggiunto la perfezione, perché hai già trovato il paradiso in terra.

    Ma finché il patire ti riuscirà odioso e cercherai di fuggirlo, sarai sempre oppresso dal male; e il patimento ti seguirà dovunque tu fugga.

    12) Se al contrario ti decidi a vivere come devi, cioè a patire e a morire, tosto tutto andrà meglio per te e troverai la pace.

    Ricordati che, anche se tu fossi stato rapito fino al terzo cielo come Paolo, non saresti certo per questo assicurato dal patire! Gesú infatti disse a riguardo di lui: "Io gli mostrerò quante pene dovrà soffrire per il mio nome" (At 9,16).

    Se dunque vuoi amare Gesú e servirlo in perpetuo sappi che devi soffrire.

    13) Ma del resto, magari tu fossi degno di patire qualche cosa per il nome di Gesú! Quale grande gloria sarebbe per te, quanta letizia per tutti i santi di Dio, e, anche, quale mirabile esempio per il prossimo!

    Infatti tutti ammirano la forza nel sostenere i dolori, anche se poi sono pochi quelli che vogliono farlo. A ragione poi dovresti soffrire qualche piccola cosa per amore di Cristo, dal momento che tanta gente soffre cose piú penose per il mondo.

    14) Sii persuaso che tu devi vivere come chi sta per morire; e che quanto piú uno muore a se stesso, tanto piú comincia a vivere per Dio. Nessuno è atto a comprendere le cose di Dio, se non si sarà sottoposto a tollerare per Cristo le avversità. Nulla vi è di piú gradito a Dio, nulla vi è di piú salutare per te in questo mondo, che patire volentieri per Cristo.

    E se ti fosse lasciata libertà di scelta, ti converrebbe piuttosto desiderare di soffrire contrarietà per amore di Cristo, che esser deliziato da tante consolazioni; perché, cosí, saresti piú simile a Cristo e piú conforme ai santi; infatti il nostro merito e la perfezione del nostro stato non consiste nell`avere molte soavi consolazioni, ma piuttosto nel saper sostenere i grandi dolori e le avversità.

    15) E, a onor del vero, se per la salvezza dell`umanità ci fosse stato qualche metodo migliore e piú utile che il soffrire, certamente Cristo ce lo avrebbe insegnato con la parola e con l`esempio! Ma invece Egli ai discepoli che lo seguivano e a tutti quelli che desiderano seguirlo, non dà altra esortazione, ben chiara, che quella di portare la croce: "Se uno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua" (Lc 9,23)

    Dopo aver dunque letto attentamente e meditato tutte queste cose, ecco qual è la conclusione: "Si entra nel regno di Dio solo attraverso molte tribolazioni" (At 14,21).


    (Imitat. Christi, II, 12, 1-15)

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    00 30/08/2011 11:43
    XXIII DOMENICA

    Letture: Ezechiele 33,7-9
    Romani 13,8-10
    Matteo 18,15-20

    1. La correzione fraterna

    "Se tuo fratello ha mancato contro di te, riprendilo fra te e lui solo" (Mt 18,15). Perché quel riprendilo? Perché ti rincresce che ha mancato contro di te? Non sia mai. Se fai ciò per amore di te, nulla fai. Se lo fai per amore di lui, fai cosa ottima. Dunque presta attenzione alle parole in sé, per capire per quale dei due amori tu devi far ciò, se di te o di lui. "Se ti avrà ascoltato, dice, avrai conquistato tuo fratello (ibid.)." Dunque, agisci per lui, al fine di conquistarlo. Se agendo lo conquisterai, se tu non avessi agito egli si sarebbe perduto. Perché dunque la maggior parte degli uomini disprezzano codesti peccati, dicendo: Cosa ho fatto di grande? Ho peccato contro l`uomo. Non disprezzare. Hai peccato contro l`uomo: vuoi conoscere perché peccando contro l`uomo ti sei perduto? Se colui contro il quale hai peccato, ti avesse ripreso fra te e lui solo, e tu gli avessi dato ascolto, egli ti avrebbe conquistato. Che vuol dire ti avrebbe conquistato, se non che si sarebbe perduto se non avesse cercato di conquistarti? Infatti, se non stavi per perderti, in che modo ti avrebbe conquistato? Dunque, nessuno disprezzi, quando pecca contro il fratello. Dice infatti in un certo passo l`Apostolo: "Peccando cosí contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo" (1Cor 8,12): questo perché tutti siamo stati fatti membra di Cristo. Come puoi dire di non peccare contro Cristo, se pecchi contro un membro di Cristo?...
    "Se tuo fratello ha mancato contro di te, riprendilo fra te e lui solo". Se lo avrai trascurato, tu sei peggiore. Egli ti arrecò ingiuria, e ciò facendo inferse a se stesso una grave ferita: tu disprezzi la ferita di tuo fratello? Tu lo vedi perire, od anche che si è già perduto, e lo trascuri? Sei peggiore tu nel tacere che non lui nell`ingiuriare. Perciò, quando qualcuno pecca contro di noi, cerchiamo di avere grande cura, non per noi; infatti è cosa gloriosa dimenticare le ingiurie: ma tu dimentica la tua ingiuria, non la ferita di tuo fratello. Quindi, "riprendilo fra te e lui solo", con l`intenzione di correggerlo, vincendo ogni pudore. Infatti, preso da forte vergogna, egli comincia a difendere il suo peccato, e tu rendi peggiore colui che volevi correggere. "Riprendilo", perciò, "fra te e lui solo. Se ti avrà ascoltato, avrai conquistato tuo fratello": perché sarebbe perduto, se tu non lo facessi. "Se però non ti avrà ascoltato", cioè, se avra difeso il suo peccato quasi fosse un`ingiuria fattagli, "prendi con te due o tre testimoni, perche tutto si risolva sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non avrà ascoltato neppure costoro, riferisci la cosa alla Chiesa: se non avrà ascoltato neppure la Chiesa, sia per te come un pagano e un pubblicano" (Mt 18,16-17). Non annoverarlo piú nel numero dei tuoi fratelli. E tuttavia, ciò non significa che si debba trascurare la sua salvezza. Infatti, questi stessi pagani e gentili noi non li annoveriamo nel numero dei fratelli; e nondimeno sempre cerchiamo la loro salvezza. Questo, quindi, abbiamo udito dal Signore che cosí ammoniva, prendendosi tanta cura, di modo che avessimo sempre presente: "In verità vi dico, che tutto ciò che avrete legato sulla terra, sarà legato anche in cielo; e tutto ciò che avrete sciolto sulla terra, sarà sciolto anche in cielo" (Mt 18,18). Hai cominciato a ritenere tuo fratello come un pubblicano, legalo sulla terra: ma, attento, legalo da giusto. Infatti, la giustizia rompe gli ingiusti legami. Quando, per contro, tu lo hai corretto e ti sei messo d`accordo con tuo fratello, tu lo hai sciolto sulla terra. Quando lo avrai sciolto sulla terra, sarà sciolto anche in cielo. Molto tu accordi, non a te, ma a lui; infatti, molto egli ha nociuto, non a te, ma a se stesso.

    (Agostino, Sermo 82, 4 e 7)


    2. Amare il prossimo per Cristo

    "Dove due o tre sono uniti nel mio nome, ivi sono io in mezzo ad essi" (Mt 18,20). Orbene non vi sono forse due o tre uniti nel nome suo? Vi sono, sí; ma raramente. Gesú infatti non parla semplicemente di unione materiale, né ricerca solo questo, ma anche e soprattutto, come già vi ho detto, le altre virtù insieme a ciò; inoltre esige questo con molto rigore. E` come se dicesse: Se qualcuno mi tiene come fondamento e causa principale della sua amicizia per il prossimo, io sarò con lui a condizione che egli abbia anche le altre virtù. Vediamo invece al giorno d`oggi che la maggior parte degli uomini hanno altre, diverse motivazioni alle loro amicizie. Ecco: un uomo ama perché è amato; un altro perché è onorato; un altro ancora perché qualcuno gli è stato utile in qualche affare o per altro analogo motivo. Ma è difficile trovare qualcuno che per Cristo ami il suo prossimo autenticamente, come si deve amare. Generalmente gli uomini si uniscono fra di loro per interessi terreni. Non cosí amava Paolo: egli amava per Cristo; il motivo del suo amore era Cristo. Per questo, anche se non era riamato come egli amava, il suo amore non veniva meno, poiché aveva gettato in profondità la forte radice dell`amore. Ma purtroppo, oggi, non si ama piú in questa maniera. Se si esamina ogni caso, si troverà che generalmente l`amicizia ha una causa ben diversa dall`amore di Cristo. E se mi fosse consentito di fare tale indagine presso una grande moltitudine di persone, io vi dimostrerei che la maggior parte degli uomini sono uniti tra loro per motivi inerenti alle necessità della vita terrena. E quanto dico risulta evidente considerando anche le cause che provocano l`inimicizia, l`odio. Dato che gli uomini si cercano per motivi passeggeri, la loro amicizia non è ardente né costante. Un cenno di disprezzo o una parola aspra, una minima perdita di denaro, un sentimento di invidia, un desiderio di vanagloria e qualunque altro simile incidente basta per rompere l`amicizia. Il fatto è che essa non ha una radice spirituale; niente di terreno e di materiale potrebbe infatti spezzare un vincolo spirituale, non lo si potrebbe vincere né distruggere. Né le calunnie, né i pericoli, né la morte o altro possono infrangerlo, né strapparlo dall`anima dell`uomo. Colui che ama per Cristo, anche se dovesse patire infiniti dolori, mirando alla causa del suo amore, non cesserà mai di amare; chi invece ama per essere amato, smette di amare non appena soffre qualche amarezza. Colui che si è legato con l`amore di Cristo, non desisterà mai dall`amare. Perciò anche Paolo afferma: "La carità non viene mai meno" (1Cor 13,8).
    Che cosa vuoi replicare? Che l`altro ha risposto con disprezzo e ingiurie ai tuoi servizi e al tuo rispetto? che dopo essere stato beneficato ha tentato di toglierti la vita? Ma se tu ami per Cristo, tutto ciò ti spinge ad amare di piú. Ciò che per gli altri distrugge l`amore, per noi produce e rafforza l`amore. Mi chiedi come questo può accadere? Anzitutto perché colui che è ingrato e per te causa di ricompensa, in secondo luogo, perché costui ha bisogno di maggior aiuto, di intensa sollecitudine e cura. :E dunque chiaro che chi ama cosí, non guarda né ricerca nell`altro la nobiltà, la patria, le ricchezze e neppure l`amore per sé, né altre simili cose, ma anche se è odiato, insultato, minacciato di morte, egli continua ad amare, poiché gli basta, quale motivo d`amore, Cristo: e guardando a lui sta fermo, saldo, immutabile.

    (Giovanni Crisostomo, In Matth. 60, 3)


    3. Nella Chiesa ci si consola a vicenda

    Se uno giunge in piazza e vi trova anche un solo amico, tutta la sua tristezza sparisce. Ma noi non andiamo in piazza, bensí in chiesa: vi incontriamo non uno solo, ma molti amici, ci uniamo a molti fratelli, a molti padri. Non dovremmo dunque allontanare ogni nostro scoraggiamento e riempirci di letizia? Non solo per il numero delle persone che vi si radunano la riunione in chiesa è migliore degli incontri sulla piazza, ma anche per gli argomenti che vi si trattano. Vedo infatti come quelli che perdono il tempo in piazza e vi si siedono in circolo parlano spesso di cose inutili, fanno discorsi frivoli e si intrattengono su argomenti per nulla convenienti. Anzi, c`è l`abitudine di indagare e investigare con gran cura gli affari degli altri. Quanto sia incerto e pericoloso abbandonarsi a tali discorsi, oppure ascoltarli e lasciarsene influenzare, e quanto spesso questi convegni abbiano fatto sorgere dissidi nelle famiglie, non intendo trattarlo qui. Tutti senz`altro concorderanno che quei discorsi sono inutili, frivoli e mondani, ed anche che non è facile far entrare una parola spirituale in simili riunioni.
    Ma qui in chiesa non è cosí, anzi precisamente l`opposto. Ogni discorso inutile è bandito ed ogni insegnamento spirituale ha il suo posto. Parliamo della nostra anima e dei beni che interessano l`anima, della corona che c`è riposta nel cielo, della rettitudine nella vita, della bontà di Dio, e della sua provvidenza per tutto il mondo e ancora di tutte le cose che ci riguardano, il motivo per cui siamo stati creati e la sorte che ci aspettiamo quando ce ne partiamo da quaggiú, e la situazione che verrà per noi decisa. A queste riunioni non solo noi prendiamo parte, ma anche i profeti e gli apostoli; anzi, il fatto piú grande è che il Signore di noi tutti, Gesú, sta in mezzo a noi. Egli stesso ha detto: "Dove due o tre sono raccolti nel mio nome, ivi sono io in mezzo a loro (Mt 18,20). Ma se Cristo è presente dove sono radunati due o tre, quanto piú sarà in mezzo a noi quando tanti uomini, tante donne, tanti padri sono insieme con gli apostoli e i profeti. Per questo anche noi parliamo con tanto coraggio, nella certezza del suo aiuto.

    (Giovanni Crisostomo, In Genes. 5)


    4. La preghiera deve essere comunitaria

    Il Dottore della pace e il Maestro dell`unità non vuole che la preghiera si faccia individualmente e in privato, nel senso che chi prega preghi solo per sé.
    Non diciamo: Padre mio, che sei nei cieli; e neppure: dammi oggi il mio pane quotidiano; e ciascuno non domanda che gli sia rimesso solo il suo debito; né prega solo per sé affinché non sia indotto in tentazione e sia liberato dal male.
    La nostra preghiera è pubblica e comune: e quando noi preghiamo, preghiamo non per uno solo, ma per tutto quanto il popolo: e ciò perché noi, tutto intero il popolo, siamo uno.
    Il Dio della pace e il Maestro della concordia, che ha insegnato l`unità, vuole che uno preghi per tutti, cosí come in uno egli portò tutti.
    Proprio questa legge della preghiera osservarono i tre fanciulli gettati nella fornace ardente: essi pregarono in piena consonanza, spiritualmente uniti in un cuor solo. Ce lo testimonia la divina Scrittura, la quale, indicandoci come essi pregavano, ci dà il modello da imitare noi nelle nostre preghiere affinché possiamo essere come quelli. "Allora" - sta scritto - "loro tre, come con una sola voce, cantavano un inno e benedicevano Iddio" (Dn 3,51). Essi pregavano come con una sola voce, e tuttavia Cristo non aveva ancora insegnato loro a pregare! Ebbene, la loro preghiera fu efficace, poté essere esaudita, perché una preghiera pacifica, semplice e spirituale attira la benevolenza di Dio.
    Cosí vediamo che pregarono anche gli apostoli, riuniti coi discepoli, dopo l`ascensione del Signore. "E tutti" - sta scritto - "perseveravano unanimi nella preghiera, con le donne, e Maria la madre di Gesú, e con i fratelli di lui" (At 1,14). Persevera vano unanimi nella preghiera, testimoniando in tal modo, in questa loro preghiera, e l`assiduità e il loro amore scambievole: ché Dio, il quale fa abitare nella stessa casa coloro che sono una sola anima (cf. Sal 67,7), non ammette nella divina ed eterna dimora se non quelli che pregano essendo un`anima sola.

    (Cipriano di Cartagine, De orat. dom. 8)


    5. La Chiesa è adunata nel nome di Gesú

    Già tre riuniti nel Tuo nome formano la Chiesa. Conserva dunque le migliaia di adunati nella Tua casa, che prima hanno eretto nel loro cuore una chiesa e poi l`hanno portata nel tem pio edificato nel Tuo nome! Che la chiesa interiore sia magnifica come lo è l`esteriore ! Abita nella chiesa interiore e conserva l`esteriore, poiché sia il cuore che l`edificio sono consacrati nel Tuo nome!

    (Balaj, Madrase per la chiesa di Aleppo)
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    00 06/09/2011 10:15

    XXIV DOMENICA


    Letture: Siracide 27,30; 28,9

    Romani 14,7-9

    Matteo 18,21-35


    1. I vantaggi del perdono ai nemici


    Questa parabola cerca di ottenere due cose: che noi riconosciamo e condanniamo i nostri peccati, e che perdoniamo quelli degli altri. E il condannare è in funzione del perdonare, affinché cioè il perdonare diventi più facile. Colui infatti che riconosce i propri peccati, sarà più disposto a perdonare al proprio fratello. E non solo a perdonare con la bocca, ma di cuore. Altrimenti noi rivolgeremo la spada contro noi stessi. Che male può farti il tuo nemico che possa essere paragonato a quello che tu fai a te stesso, accendendo la tua ira e attirando contro di te la sentenza di condanna da parte di Dio? Se infatti tu sei vigilante e vivi filosoficamente, tutto il male ricadrà sulla testa di chi ti offende e sarà lui a pagare il malfatto; ma se ti ostini nella tua indignazione e nel risentimento, allora sarai tu stesso a riportare il danno: non quello che ti procurerà l`offesa del nemico, ma quello che ti deriverà dal tuo rancore. Non dire che t`insultò e che ti calunniò e ti fece mille mali, quanti più oltraggi tu enumeri, tanto più dimostri che egli è tuo benefattore. Egli infatti ti ha dato modo di espiare i tuoi peccati. Quanto più infatti egli ti ha offeso tanto più è diventato per te causa di perdono. Infatti se noi vogliamo, nessuno potrà danneggiarci; anzi i nostri stessi nemici saranno per noi causa di bene immenso. Ma perché parlo soltanto degli uomini? C`è qualcosa di più perverso del demonio? Eppure anche lui può essere per noi occasione di grande gloria, come lo dimostra Giobbe. Se dunque il diavolo può essere per te occasione di ricompensa, perchè temi un uomo, tuo nemico? Considera infatti quanto tu guadagni sopportando con mansuetudine gli attacchi dei tuoi nemici. Il primo e più grande vantaggio è il perdono dei tuoi peccati. In secondo luogo tu acquisti costanza e pazienza e inoltre mitezza e misericordia: infatti chi non sa adirarsi contro coloro che l`offendono, tanto più sarà mite verso gli amici. Infine, sradicheremo per sempre da noi l`ira: e non vi è bene pari a questo. Chi infatti è libero dall`ira, evidentemente sarà libero dalla tristezza di cui l`ira è fonte e non consumerà la sua vita in vani affanni e dolori. Chi non s`adira né odia, non sa neppure essere triste, ma godrà di gioia e di beni infiniti. Odiando infatti gli altri, noi puniamo noi stessi; e, al contrario, benefichiamo noi stessi, amando. Oltre a tutto questo, tu sarai rispettato persino dai tuoi nemici, anche se essi sono demoni; anzi, con questo tuo atteggiamento non avrai più neppure un nemico. Infine, ciò che vale più di tutto ed è prima di tutto: tu ti guadagnerai la benevolenza di Dio; se hai peccato, otterrai il perdono; e se hai praticato il bene, aggiungerai nuovi motivi di fiducia e di speranza.

    Sforziamoci dunque di non odiare nessuno, affinché Dio ci ami. Anche se noi siamo debitori di mille talenti, egli avrà misericordia di noi e ci perdonerà. Ma tu dici che sei stato offeso dal tuo nemico . Ebbene, abbi compassione di lui e non odiarlo; compiangilo vivamente, non disprezzarlo. Infatti, non sei stato tu ad offendere Dio, ma lui; tu, invece, hai acquistato gloria se hai sopportato con pazienza il suo odio. Ricorda che Cristo, quando stava per essere crocifisso, si rallegrò per sè e pianse per i suoi crocifissori. Tale deve essere la nostra disposizione d`animo; e quanto più noi siamo offesi, tanto più dobbiamo piangere per coloro che ci offendono. A noi provengono molti beni da questo fatto mentre a loro accade tutto il contrario. Costui - tu replichi - mi ha oltraggiato e schiaffeggiato dinanzi a tutti. E io ti dico che egli si è disonorato davanti a tutti ed ha aperto la bocca di mille accusatori; per te invece ha intrecciato più grandi e splendide corone e ha aumentato il numero degli araldi della tua pazienza. Ma egli mi ha insultato davanti agli altri - tu obietti ancora. E che è questo, quando Dio solo sarà il tuo giudice e non coloro che hanno inteso quelle calunnie? Per sé, infatti, ha aggiunto nuovo motivo di castigo, cosicché egli dovrà render conto non solo dei propri atti, ma anche delle parole che pronunciò contro di te. Se ti ha accusato presso gli uomini, egli però si è screditato davanti a Dio. Se poi queste considerazioni non ti bastano, pensa che anche il tuo Dio è stato calunniato non solo da Satana, ma anche dagli uomini e da quelli che amava sopra tutti.


    (Giovanni Crisostomo, In Matth. 61, 5)



    2. Il perdono dato è misura della misericordia che otterremo


    "E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" (Mt 6,12). O ineffabile clemenza di Dio! Non solo ci ha dato un modello di preghiera e ha stabilito una regola di vita che ci rende a lui accetti, non solo - attraverso la formula insegnataci con la quale ci prescrive di pregarlo sempre - strappa via le radici dell`ira e della tristezza, ma offre a chi prega un`occasione e apre una via a fare su di noi un giudizio indulgente e misericordioso; egli ci dà in certo modo la possibilità di addolcire noi stessi la nostra sentenza, di forzarlo al perdono delle nostre colpe con l`esempio della nostra indulgenza, poiché gli diciamo: "Perdona a noi, come noi perdoniamo agli altri".

    Pertanto, fidando in questa preghiera, domanderà perdono con certezza di essere esaudito chiunque si sarà dimostrato remissivo verso i suoi debitori. Verso i suoi debitori, non verso quelli del Signore. Si nota infatti in molti una cosa ancora peggiore: le ingiurie fatte a Dio, per quanto gravissime, ci trovano dolci e pieni di clemenza; ma quando si tratta di offese anche minime fatte a noi, esigiamo una riparazione con severità inesorabile. E` certo però che chiunque non avrà perdonato di cuore i torti ricevuti dal fratello, con questa preghiera otterrà per sè non l`indulgenza ma la condanna poiché chiederà lui stesso un giudizio più severo dicendo: "Perdonami come io ho perdonato". Se sarà trattato secondo la sua domanda, che altro gli potrà toccare se non di venir punito, a suo esempio, con una collera implacabile e una sentenza senza remissione? Se dunque vogliamo essere giudicati benignamente, anche noi dobbiamo mostrarci benigni verso coloro che ci hanno arrecato qualche offesa. Infatti ci sarà perdonato nella misura in cui avremo perdonato loro, qualunque cattiveria ci abbiano fatto.

    Molti tremano a questo pensiero, e quando in chiesa questa preghiera è cantata in coro da tutto il popolo lasciano passare queste parole senza dirle, per paura di condannarsi con la loro stessa bocca, invece di giustificarsi; e non s`accorgono che queste sono sottigliezze vane, con cui cercano invano di coprirsi agli occhi del Giudice di tutti, il quale ha voluto mostrare in anticipo, a coloro che lo pregano, in che modo li giudicherà. E` perchè non vuole che lo troviamo severo e inesorabile, lui che ci ha rivelato la regola dei suoi giudizi, affinché noi così giudichiamo i nostri fratelli, qualora abbiano commesso qualcosa contro di noi "poiché il giudizio sarà senza misericordia per colui che non ha usato misericordia" (Gc 2,13).


    (Giovanni Cassiano, Collationes, 9, 22)



    3. Nell`orazione stringiamo un patto con Dio


    "Perdono da dare al fratello per poterlo ricevere da Dio". Se dunque, chiunque tu sia, rivolgi il tuo pensiero a Cristo, e desideri ricevere quello che egli ti ha promesso, non essere pigro nel fare quel che egli ha ordinato. Cosa infatti ha promesso? La vita eterna. E cosa ha ordinato? Di perdonare il fratello. Come se ti dicesse: Tu, uomo, da` il perdono all`uomo affinché io, Dio, ti possa perdonare... Intendo dire, non vuoi tu dunque ricevere dal tuo Signore quanto ti è ordinato di dare al tuo fratello? Dimmi se non vuoi, e non vuoi dare. Cos`è questo, se non che tu disconosci chi lo domanda, mentre chiedi di essere ignorato? Oppure se non hai di che essere ignorato, oso dire, non voler essere ignorato. Per quanto non avrei dovuto dire una cosa simile, anche se non hai di che essere ignorato, ignora.

    "Sull`esempio di Dio, si devono condonare i debiti". Forse sei sul punto di dirmi: Ma io non sono Dio, sono un uomo peccatore. Grazie a Dio, poiché ti è dato di confessare la tua realtà di peccato. Perciò ignora affinché ti sia rimessa. Peraltro siamo esortati ad imitare lo stesso Signore nostro Dio. Anzitutto, lo stesso Dio Cristo, del quale l`apostolo Pietro ha detto: "Cristo ha patito per noi, lasciandovi l`esempio, perchè ne seguiate le orme; egli che non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca" (1Pt 2,21-22). E in ogni caso, egli che non aveva peccato è morto per i nostri peccati ed ha effuso il suo sangue per la remissione dei peccati. Accettò per noi ciò che non doveva, perché fossimo liberati dal delitto. Egli non doveva morire e noi non dovevamo vivere. Perchè? Perchè eravamo peccatori. Né a lui era dovuta la morte, né a noi la vita: ciò che non gli era dovuto, egli lo accettò; ciò che a noi non era dovuto, egli lo dette. Ma poiché si tratta della remissione dei peccati, affinché non pensiate di imitare Cristo da voi, ascoltate l`Apostolo che dice: "Donando voi stessi, così come Dio si dette a voi in Cristo" (Col 3,13). "Siate dunque imitatori di Dio" (Ef 5,1). Sono parole dell`Apostolo, non mie. E` certamente presuntuoso imitare Dio? Ascolta l`Apostolo: "Siate imitatori di Dio, come figli carissimi (ibid.)". Sei detto figlio: se respingi l`imitazione, perché cerchi l`eredità?

    "Il peccatore compatisca chi pecca". Questo potrei dire se tu non avessi in te ombra di peccato, qualora tu desideri essere confortato. Ma, in ogni caso, chiunque tu sia, sei un uomo; anche se giusto, sei un uomo; anche se laico, monaco chierico, vescovo o apostolo, sei sempre un uomo. Ascolta la voce dell`apostolo: Se dicessimo di non avere peccato, inganneremmo noi stessi. Egli, l`evangelista Giovanni, colui che Cristo Signore prediligeva fra gli altri, che riposava sul suo petto, proprio lui dice: "Se dicessimo": non ha detto: Se diceste di non aver peccato, bensì: "Se dicessimo di non aver peccato, inganneremmo noi stessi, e la verità non è in noi" (1Gv 1,8). Si congiunse alla colpa, per esser congiunto anche al perdono. "Se dicessimo": osservate chi dice: "Se dicessimo di non avere peccato, inganneremmo noi stessi, e la verità non è in noi. Se invece avremo confessato i nostri peccati, colui che è fedele e giusto, rimetterà i nostri peccati e ci purificherà da ogni iniquità (1Gv 1,8.9) .

    Come ci purificherà? Ignorando, non quasi non trovando di che punire, bensì trovando di che perdonare. Perciò, se abbiamo peccato, fratelli, comprendiamo chi chiede venia. Non coviamo nel nostro cuore inimicizia verso gli altri. Infatti, le inimicizie covate dentro viziano ancor più il nostro cuore.

    "Nell`orazione si chiede a Dio il perdono con il patto di donarlo agli altri". Voglio quindi che tu sia comprensivo, perchè ti so alla ricerca di perdono. Ti si prega, disconosci; ti si prega e pregherai a tua volta; ti si prega, disconosci; pregherai per essere disconosciuto.


    (Agostino, Sermo 114, 2-5)

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    00 14/09/2011 09:29

    XXV DOMENICA


    Letture: Isaia 55,6-9

    Filippesi 1,20c-27a

    Matteo 20,1-16a


    1. Le ore della divina chiamata


    L`operaio, dunque, (che fu chiamato) al mattino, all`ora terza, sesta e nona, indica quell`antico popolo ebraico che fin dagli inizi del mondo, nei suoi eletti, si studiò di onorare Dio con retta fede, come se non cessasse di faticare nel coltivare la vigna. All`undicesima ora sono chiamati i pagani, ai quali anche è chiesto: "Perchè ve ne state qui tutto il giorno oziosi?" (Mt 20,6). Essi, infatti, per così lungo tempo non si erano curati di lavorare per la loro vita, come se stessero in ozio tutto il giorno. Ma pensate, fratelli carissimi, cosa risposero alla domanda: Gli risposero: "Perchè nessuno ci ha presi" (Mt 20,7). Nessun patriarca, nessun profeta era stato mandato loro. E cosa significa: «Nessuno ci ha presi a lavorare», se non questo: «Nessuno ci ha predicato le vie della vita»? Cosa dunque diremo a nostra scusa, quando abbiamo omesso di fare il bene noi che fin dal grembo della madre siamo venuti alla fede, che fin dalla culla abbiamo udito le parole di vita, che insieme al latte carnale abbiamo attinto il liquore della predicazione celeste al seno della santa Chiesa?

    Possiamo anche distinguere le diverse ore in relazione ad ogni uomo, secondo i diversi momenti delle sue età. Così il mattino è la puerizia del nostro intelletto. L`ora terza può indicare l`adolescenza, perchè quando cresce il calore dell`età è come se il sole salisse in alto. L`ora sesta è la gioventù, perchè come il sole sembra fermarsi nel mezzo (del cielo), in essa viene raggiunto il pieno vigore. L`ora nona raffigura la maturità, nella quale il sole comincia a declinare, perchè in questa età comincia a venir meno il calore della gioventù. L`undicesima ora è quella età che viene detta decrepita, cioè la vecchiaia... Siccome poi uno chiamato alla vita santa durante la puerizia, un altro nell`adolescenza, un altro nella gioventù, un altro nella vecchiaia, un altro ancora nell`età decrepita, ecco che gli operai sono chiamati alla vigna in ore diverse. Osservate pertanto i vostri costumi, fratelli carissimi, e vedete se siete già operai di Dio. Ciascuno esamini le sue opere e consideri se sta faticando nella vigna del Signore. Chi infatti in questa vita cerca le cose sue, non è ancora giunto alla vigna del Signore. Lavorano invece per lui coloro che pensano non ai propri guadagni, ma a quelli del Signore, e che per lo zelo della carità si dedicano ad opere pie, si adoperano a conquistar anime, si affrettano a condurre con sé anche gli altri alla vita. Chi invece vive per sé e si pasce dei piaceri della sua carne, è giustamente accusato di essere ozioso, perchè non aspira al frutto dell`opera divina.

    Chi poi ha trascurato fino a tarda età di vivere per Dio, è come se fosse stato in ozio fino all`undicesima ora. Per cui, giustamente, vien detto a coloro che sono rimasti indolenti fino all`undicesima ora: "Perchè ve ne state qui tutto il giorno oziosi"? E` lo stesso che dire: «Anche se non avete voluto vivere per Dio nella puerizia e nella giovinezza, ravvedetevi almeno nell`ultima età, e, sia pure in ritardo, quando ormai non c`è più molto da faticare, venite alla via della vita». Anche questi chiama il padrone di casa, e il più delle volte essi sono ricompensati prima, perchè uscendo prima dal corpo, vanno al regno prima di quelli che semhravano essere stati chiamati fin dalla puerizia. Non giunse forse all`undicesima ora il buon ladrone? Se non giunse a quell`ora per l`età, vi giunse certo quanto alla sofferenza, egli che riconobbe Dio mentre era in croce e spirò quasi mentre faceva tale professione. Il padrone di casa cominciò così la distribuzione della paga dall`ultimo, perchè condusse al riposo del paradiso il ladrone prima di Pietro. Quanti patriarchi vissero prima della Legge, quanti sotto la Legge, e tuttavia coloro che furono chiamati alla venuta del Signore giunsero senza alcun indugio al regno dei cieli!...

    Ma è terribile ciò che segue a queste (parole): "Molti sono chiamati, ma pochi eletti" (Mt 26,16), perchè molti vengono alla fede, pochi giungono al regno dei cieli. Ecco infatti in quanti siamo convenuti alla festa di oggi e riempiamo le mura di questa chiesa; e tuttavia chissà quanto pochi sono quelli che sono annoverati nel gregge degli eletti di Dio! Ecco infatti la voce di tutti grida: «Cristo!», ma la vita di tutti non grida altrettanto. I più seguono Dio a parole, lo fuggono con la condotta pratica di vita...

    Di questi tali, fratelli carissimi, ne vedete molti nella Chiesa, ma non dovete né imitarli e neppure disperare (della loro salvezza). Noi vediamo infatti quello che è oggi ciascuno, ma non sappiamo che cosa potrà diventare domani. Molte volte anche chi sembra venire dopo di noi ci precede con l`agilità delle buone opere, e a stento seguiamo quello che oggi crediamo di precedere. Certamente, mentre Stefano moriva per la fede, Saulo custodiva le vesti di coloro che lo lapidavano. Egli dunque lapidò con le mani di tutti, perchè rese tutti più spediti nel lapidare; e tuttavia con le sue fatiche precedette nella santa Chiesa quello stesso che con le sue persecuzioni aveva reso martire. Ci sono dunque due cose alle quali dobbiamo seriamente pensare. Siccome infatti "molti sono chiamati, ma pochi eletti", per prima cosa nessuno deve minimamente presumere di se stesso, perché anche se è già stato chiamato alla fede non sa se è degno del regno eterno. La seconda cosa è che nessuno osi disperare del prossimo, che forse ha visto giacere nei vizi, perchè ignora le ricchezze della misericordia divina.


    (Gregorio Magno, Hom. XIX, 1-3.5-6)



    2. I chiamati e gli eletti


    Che nessuno di voi, carissimi, si creda in sicurezza sotto il pretesto che è battezzato, poiché alla stregua di coloro che corrono negli stadi dei quali non tutti ricevono il "bravium", cioè il premio della vittoria, ma solo colui che è arrivato primo nella corsa, così non sono salvati tutti coloro che hanno la fede, bensì solamente coloro che perseverano nelle buone opere cui hanno posto mano. E come colui che lotta contro un altro «si astiene da tutto», così anche voi dovete astenervi da tutti i vizi, per poter vincere il diavolo, vostro avversario. Uomini infelici servono un re terreno con il pericolo della propria vita e passano per enormi difficoltà in vista di un risultato quanto mai effimero e presto scomparso; perchè non servite invece il re del cielo per ottenere la felicità del Regno? E visto che per la fede il Signore vi ha già chiamati nella sua vigna, cioè nell`unità della santa Chiesa, vivete, comportatevi in modo tale che, grazie alla divina liberalità, voi possiate ricevere il denaro, cioè la felicità del regno celeste.

    Che nessuno disperi a causa della grandezza dei suoi peccati, e non dica: Numerosi sono i peccati nei quali ho perseverato fino alla vecchiaia e all`estrema vecchiaia, non potrà più ormai ottenere il perdono, soprattutto per il fatto che sono i peccati che mi hanno lasciato e non io che li ho rigettati. Che costui non disperi affatto della misericordia divina, poichè alcuni sono chiamati nella vigna di Dio alla prima ora, altri alla terza, altri alla sesta, altri alla nona, altri alla undicesima, come dire che gli uni sono portati al servizio di Dio nell`infanzia, altri nell`adolescenza, altri nella giovinezza, altri nella vecchiaia, altri nell`estrema vecchiaia.

    E, come nessuno, quale che sia la sua età, deve disperare se vuole convertirsi a Dio, così nessuno deve credersi nella sicurezza solo in forza della propria fede, ma deve piuttosto temere quanto è detto: "Molti sono chiamati, ma pochi sono eletti" (Mt 20,16). Che noi siamo chiamati per la fede, lo sappiamo; ma se siamo eletti, lo ignoriamo. Ciascuno deve quindi essere tanto più umile in quanto ignora se è eletto.

    Che Dio onnipotente vi accordi di non essere nel numero di coloro che a piedi traversarono il Mar Rosso, mangiarono la manna nel deserto, bevettero la bevanda spirituale, e tuttavia perirono a causa delle mormorazioni fatte nel deserto, bensì nel numero di coloro che entrarono nella terra promessa e ottennero, lavorando fedelmente nella vigna della Chiesa di ricevere il denaro della felicità eterna, di modo che con il Cristo vostro capo voi possiate, voi sue membra, regnare per tutti i secoli dei secoli. Amen.


    (Anonimo IX sec., Hom. 4, 4-7)



    3. La chiamata è per tutti e alla prima ora


    A quale scopo, dunque, è stata composta questa parabola, e che fine vuol conseguire? Essa mira a incoraggiare gli uomini che si sono convertiti e hanno cambiato vita in età avanzata, e a evitare che si ritengano inferiori. Questa è la ragione per cui il Signore presenta altri che mal sopportano il fatto che costoro ottengano quei doni; non tanto per mostrare che quelli siano realmente rosi e consumati dall`invidia. Dio ci liberi da tale pensiero; quelli vengono introdotti solo per farci comprendere che gli ultimi arrivati godono di tale onore, che può anche causare invidia. La stessa cosa facciamo anche noi molte volte, quando diciamo ad esempio: Il tale mi ha rimproverato d`averti fatto tale onore. Con ciò noi non vogliamo dire che realmente siamo stati rimproverati, né pensiamo di screditare quell`altro, ma vogliamo dimostrare la grandezza del dono che abbiamo fatto all`amico.

    Ma voi ora mi domanderete perchè il padrone non fa venire gli operai tutti insieme a lavorare nella vigna. Per quanto dipende dal padrone, egli li ha chiamati tutti insieme, alla stessa ora; però non tutti hanno obbedito subito, e ciò per le diverse disposizioni dei chiamati. Per questo alcuni sono chiamati di buon mattino, altri all`ora terza, altri alla sesta, alla nona, fino all`undicesima ora, ciascuno nel momento in cui è pronto ad ascoltare la sua chiamata. La stessa cosa dichiara anche Paolo dicendo: "Quando è piaciuto a Dio, che mi ha separato dal ventre di mia madre" (Gal 1,15). E quando a Dio è piaciuto? Quando Paolo era pronto ad obbedirgli. Il Signore avrebbe certo desiderato chiamarlo fin dall`inizio della sua vita, ma sapendo che allora Paolo non avrebbe ceduto, ha atteso a chiamarlo nel momento in cui sarebbe stato disposto. Per questo, chiamerà il ladrone all`ultimo momento, ché altrimenti costui non avrebbe risposto alla chiamata. Paolo non gli avrebbe risposto prima, e molto meno, gli avrebbe obbedito il ladrone.

    Orbene, se gli operai dicono qui che nessuno li ha presi a soldo, non bisogna pretendere, come già vi dissi, di esaminare e di spiegare ogni minimo dettaglio nelle parabole. E non dimentichiamo che non è il padrone a dire queste parole, ma gli operai dell`ultima ora: il padrone non li rimprovera per non turbarli, e per indurli a lavorare anch`essi nella vigna. Infatti, che egli abbia l`intenzione di chiamarli tutti dal principio lo dimostra la parabola stessa, quando dice che il padrone di casa uscì la mattina di buon`ora ad assoldare operai.

    Da ogni parte, quindi, risulta evidente che la parabola è indirizzata sia a coloro che dalla prima età, sia a quelli che in età avanzata e più tardi si danno alla virtù. Ai primi, perchè non si insuperbiscano né insultino coloro che vengono all`undicesima ora; agli ultimi, perchè sappiano che possono, in breve tempo, recuperare tutto. Siccome, infatti, il Signore aveva in precedenza parlato di fervore e di zelo, di rinuncia delle ricchezze, di disprezzo di tutto ciò che si possiede - il che richiede grande sforzo e un ardore giovanile - per accendere negli ascoltatori la fiamma dell`amore e dar tono alla loro volontà, dimostra ora che pure quelli che sono giunti tardi possono ricevere la ricompensa di tutta la giornata. Tuttavia, non dice esplicitamente questo, per timore che questi si insuperbiscano e siano negligenti e trascurati; mostra invece che tutto è opera della sua bontà e, grazie ad essa, costoro non saranno trascurati, ma riceveranno anch`essi beni ineffabili. Questo è lo scopo principale che Cristo si prefigge nella presente parabola.

    Né meravigliatevi se il Signore aggiunge che "saranno primi gli ultimi e ultimi i primi e molti saranno i chiamati e pochi gli eletti" (Mt 20,16). Egli non afferma ciò deducendolo dalla parabola, ma vuole far comprendere che come è successo questo succederà anche quello. Perché qui i primi non sono diventati ultimi ma tutti hanno ottenuto, al di là di quanto potevano aspettarsi e sperare, la stessa ricompensa. Orbene, come è accaduto questo contro ogni speranza e aspettativa e gli ultimi furono messi alla pari coi primi, così accadrà un fatto ancor più grande e straordinario, vale a dire che gli ultimi saranno i primi e i primi saranno dopo di essi.


    (Giovanni Crisostomo, In Matth. 64, 3 s.)

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    00 19/09/2011 09:22

    XXVI DOMENICA


    Letture: Ezechiele 18,25-28

    Filippesi 2,1-11

    Matteo 21,28-32


    1. La parabola dei due figli


    Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; e andato dal primo, gli disse. «Figlio, va` a lavorare oggi nella vigna». Rispose: «Non voglio»; però poi, pentitosi, andò. E rivolto al secondo, gli disse lo stesso. Quegli rispose: «Vado, Signore»; ma non andò. Quale dei due ha fatto la volontà del Padre? «Il primo», risposero. E Gesú soggiunse..." (Mt 21,28-31). Questi due figli, di cui si parla anche nella parabola di Luca, sono uno onesto, l`altro disonesto; di essi parla anche il profeta Zaccaria con le parole: "Presi con me due verghe: una la chiamai onestà, l`altra la chiamai frusta, e pascolai il gregge" (Zc 11,7). Al primo, che è il popolo dei gentili, viene detto, facendogli conoscere la legge naturale: «Va` a lavorare nella mia vigna», cioè non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te (cf. Tb 4,16). Ma egli, in tono superbo, risponde: «Non voglio». Ma poi, all`avvento del Salvatore, fatta penitenza, va a lavorare nella vigna del Signore e con la fatica cancella la superbia della sua risposta. Il secondo figlio è il popolo dei Giudei, che rispose a Mosè: "Faremo quanto ci ordinerà il Signore" (Es 24,3), ma non andò nella vigna, perché, ucciso il figlio del padrone di casa, credette di essere divenuto l`erede. Altri però non credono che la parabola sia diretta ai Giudei e ai gentili, ma semplicemente ai peccatori e ai giusti: ma lo stesso Signore, con quel che aggiunge dopo, la spiega.

    "In verità vi dico che i pubblicani e le meretrici vi precederanno nel regno di Dio" (Mt 21,31). Sta di fatto che coloro che con le loro cattive opere si erano rifiutati di servire Dio, hanno accettato poi da Giovanni il battesimo di penitenza; invece i farisei, che davano a vedere di preferire la giustizia e si vantavano di osservare la legge di Dio, disprezzando il battesimo di Giovanni, non rispettarono i precetti di Dio. Per questo egli dice:

    "Perchè Giovanni è venuto a voi nella via della giustizia, e non gli avete creduto ma i pubblicani e le meretrici gli hanno creduto; e voi, nemmeno dopo aver veduto queste cose, vi siete pentiti per credere a lui" (Mt 21,32). La versione secondo cui alla domanda del Signore: «Quale dei due fece la volontà del padre?» essi abbiano risposto «l`ultimo», non si trova negli antichi codici, ove leggiamo che la risposta è «il primo», non «l`ultimo»; cosí i Giudei si condannano col loro stesso giudizio. Se però volessimo leggere «l`ultimo», il significato sarebbe ugualmente chiaro. I Giudei capiscono la verità, ma tergiversano e non vogliono manifestare il loro intimo pensiero; cosí, a proposito del battesimo di Giovanni, pur sapendo che veniva dal cielo, si rifiutarono di riconoscerlo.


    (Girolamo, In Matth. 21, 29-31)



    2. I due figli


    "Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli" (Mt 21,28). Egli chiamò i suoi «figli», per incitarli al lavoro. "D`accordo, Signore", disse l`uno. Il padre l`ha chiamato: Figlio mio, ma lui ha risposto chiamandolo: "Signore"; non lo ha chiamato: Padre, e non ha adempiuto la sua parola. "Quale dei due ha fatto la volontà del padre suo"? Essi giudicarono con rettitudine e "dissero: Il secondo" (Mt 21,31). Egli non disse: Quale vi sembra? - infatti il primo aveva detto: "Ci vado" - bensí: "Quale ha fatto la volontà del padre suo? Ecco perché i pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli (ibid.)", poiché voi avete promesso a parole, ma essi corrono piú veloci di voi. "Giovanni è venuto a voi nella via della Giustizia" (Mt 21,32), non ha trattenuto per sé l`onore del suo Signore, ma, allorché si riteneva che egli fosse il Cristo, egli ha detto: "Io non sono degno di sciogliere i lacci dei suoi sandali" (Lc 3,16).


    (Efrem, Diatessaron, XVI, 18)



    3. La gioia di Dio per il peccatore pentito


    "Cosí, io vi dico, vi sarà in cielo una gioia maggiore per un solo peccatore che si pente, che non per novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di penitenza" (Lc 15,7). Dobbiamo considerare, fratelli, perché il Signore affermi che c`è piú gioia in cielo per i peccatori che si convertono che non per i giusti che rimangono tali. Noi sappiamo per esperienza quotidiana, che il piú delle volte quelli che non si sentono oppressi dal peso dei peccati stanno sí saldi sulla via della giustizia, non commettono nulla d`illecito, ma non anelano ansiosamente alla patria celeste e tanto piú facilmente usano delle cose lecite quanto piú ricordano di non aver commesso nulla d`illecito. Essi per lo piú rimangono pigri nel fare il bene straordinario, proprio perché sono sicuri di non aver commesso colpe piú gravi. Al contrario, quelli che si ricordano di aver compiuto qualcosa d`illecito, presi dal dolore, si accendono di amor di Dio, si esercitano nelle virtù sublimi, cercano le difficoltà del santo combattimento, lasciano tutte le cose del mondo, fuggono gli onori, si rallegrano delle offese ricevute, bruciano di desiderio, anelano alla patria celeste; e poiché sanno di essersi allontanati da Dio, cercano di riparare le colpe del passato con le opere del presente. Pertanto, c`è più giola m cielo per un peccatore che si converte che non per un giusto che resta tale, perché anche il condottiero in battaglia ama di piú quel soldato che, tornato indietro dopo essere fuggito, incalza fortemente il nemico, che non quello che non ha mai voltato le spalle ma non si è mai comportato valorosamente. Anche l`agricoltore ama di piú quel campo che dopo le spine produce frutti abbondanti, di un altro che non produsse mai spine, ma non produce neppure una messe fertile.

    Ma a questo punto bisogna che si sappia che ci sono molti giusti, nella cui vita c`è soltanto gioia, cosí che non si può chiedere loro alcuna penitenza per i peccati. Molti, infatti, sono consapevoli di non aver commesso alcun male, e tuttavia si esercitano con tanto ardore a mortificarsi come se fossero ridotti alle strette da tutti i peccati. Tutto rifiutano, anche le cose lecite, si accingono con elevatezza d`animo a disprezzare il mondo, non vogliono che siano loro lecite quelle cose che piacciono, si privano anche dei beni concessi, disprezzano le cose visibili, ardono per quelle invisibili, godono nei lamenti, in ogni cosa si umiliano; e come alcuni piangono i peccati di opere, cosí fanno anch`essi per quelli di pensiero. Come dunque chiamerò costoro, se non giusti e penitenti, essi che si umiliano con penitenza del peccato di pensiero e perseverano sempre retti nelle loro azioni? Da questo bisogna capire quanta gioia dà a Dio quando un giusto umilmente piange, dal fatto che egli gode in cielo quando un ingiusto condanna con la penitenza il male che ha commesso.


    (Gregorio Magno, Hom. 34, 4-5)



    4. E` solo questo il tempo della conversione


    Il tempo per guadagnare la vita eterna Dio lo assegnò agli uomini solo in questa vita, nella quale volle che ci fosse anche una fruttuosa penitenza. Pertanto, la fruttuosa penitenza è qui, perché qui l`uomo, deposta la malizia, può vivere bene, e, mutato il volere, mutare insieme i meriti e le opere e nel timor di Dio compiere le cose che piacciono a Dio. E chi non avrà fatto ciò in questa vita, subirà di certo la pena delle sue colpe nel secolo avvenire, ma non troverà indulgenza al cospetto di Dio; poiché sebbene lí ci sarà lo stimolo della penitenza, mancherà la correzione della volontà. Da questi infatti viene talmente biasimata la loro colpa, che in nessun modo da essi può essere amata o desiderata la giustizia. Infatti, la loro volontà sarà tale, da aver sempre in sé il supplizio della propria malvagità, e da non poter mai ricevere un desiderio di bontà. Poiché come coloro che con Cristo regneranno, non avranno in sé alcun residuo di cattiva volontà, cosí coloro che saranno condannati al supplizio del fuoco eterno col diavolo e i suoi angeli, come non avranno piú alcun refrigerio, cosí non potranno in alcun modo avere una buona volontà. E come ai coeredi di Cristo sarà concessa la perfezione della grazia per l`eterna gloria, cosí a coloro che partecipano della stessa sorte del diavolo, la stessa malizia aumenterà la pena; allorché cacciati nelle tenebre esteriori, non saranno illuminati da nessuna luce interiore della verità.


    (Fulgenzio di Ruspe, De fide ad Petr. 38)



    5. La fede che giustifica e le opere buone


    Il solerte operaio riceve a testa alta la mercede del suo lavoro, mentre quello pigro ed indolente non osa guardare in volto il suo datore di lavoro. Noi, pertanto, dobbiamo essere zelanti e premurosi nell`adempimento del bene, giacché è Dio ad elargirci ogni cosa. Il Signore ha, infatti, detto: "Ecco il Signore Iddio che viene con la sua ricompensa e la sua retribuzione lo precede" (Is 40,10): "Egli accorderà a ciascuno secondo le opere che questo compie" (Pr 24,12). Con tali parole, perciò, egli ci esorta non soltanto a credere in lui con tutto il nostro cuore, ma a tenere altresí lontani da noi la passività ed il disinteresse nei confronti del bene. Poniamo nel Signore il nostro vanto ed ogni nostra sicurezza! Mostriamoci docili alla sua volontà, considerando che tutta la schiera dei suoi angeli, che gli sta intorno, si conforma costantemente alla sua volontà. La Scrittura, infatti, dice: "Diecimila miriadi lo attorniavano e mille migliaia lo servivano" (Dn 7,10), "gridando: Santo, Santo, Santo, il Signore Dio degli eserciti, tutta la creazione è piena della sua gloria" (Is 6,3). Anche noi, perciò, concordemente e tutti uniti in un cuore solo, innalziamo a lui, con insistenza, ad una sola voce, il nostro grido, affinché egli ci elargisca quei gloriosi e grandi doni che ci ha promesso. Sta, infatti, scritto: "Quel che occhio mai non vide, né orecchio mai udí, né mai cuore d`uomo ha potuto gustare, questo Dio ha preparato per coloro che lo amano (1Cor 2,9; Is 64,4; 65,16).


    (Clemente di Roma, Ad Corinth. 32-34)

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    00 26/09/2011 08:45

    XXVII DOMENICA


    Letture: Isaia 5,1-7

    Filippesi 4,6-9

    Matteo 21,33-43


    1. Parabola dei vignaioli omicidi


    "Un uomo piantò una vigna" (Lc 20,9). Parecchi deducono diversi significati dal nome della vigna, ma è evidente che Isaia ha ricordato come la vigna del Signore di Sabaoth sia la casa d`Israele (cf.Is 5,7). Chi altro mai, se non Dio, ha creato questa vigna? E` dunque Lui che la diede in affitto e partí per andare lontano, non nel senso che il Signore si sia trasferito da un luogo all`altro, dato che Egli è sempre dappertutto, ma perché è piú vicino a chi lo ama, ma sta lontano da chi lo trascura. Egli fu assente per lunghe stagioni, per evitare che la riscossione sembrasse prematura. Quanto piú longanime la benevolenza, tanto piú inescusabile la ostinatezza.

    Per cui, secondo Matteo, giustamente trovi che "la circondò anche di una siepe" (Mt 21,33; Is 5,2), cioè la recinse munendola della protezione divina, affinché non fosse facilmente esposta agli assalti delle belve spirituali.

    E al tempo dei frutti mandò i suoi poveri servi. E` giusto che abbia indicato il tempo dei frutti, non il raccolto, infatti dai Giudei non si ebbe alcun frutto, questa vigna non ha dato alcun raccolto, poiché di essa il Signore dice: "Attendevo che producesse uve, ma essa diede spine" (Is 5,2). Perciò i torchi traboccarono non di vino che rallegra, non di mosto spirituale, ma del sangue rosseggiante dei profeti. Del resto Geremia fu gettato in una cisterna (cf. Ger 38,6), di questa specie erano ormai i torchi dei Giudei, pieni non di vino ma di melma. E sebbene, come sembra, questa sia un`allusione generale ai profeti, tuttavia il passo ci permette di pensare che si tratti di quel ben noto Nabot (cf. 1Re 21,1-14), il quale fu lapidato: sebbene di lui non ci sia stata tramandata nessuna parola profetica, ci è stata però tramandata la sua storia profetica, poiché prennunziò col proprio sangue che molti sarebbero stati i martiri a favore di questa vigna. E chi è colui che viene colpito al capo? E` certamente Isaia, a cui una sega poté piú facilmente tagliare in due le membra del corpo che non far vacillare la fede, o sminuir la costanza, o troncare il vigore dell`anima.

    E ciò avvenne perché, quando ormai aveva designato tanti altri estranei, che i Giudei cacciarono senza onore e senza risultati, non essendo riusciti a cavarne nulla, per ultimo mandò anche il Figlio unigenito, e quei perfidi, mossi dalla bramosia di eliminarlo perché era l`erede, l`uccisero (cf. Lc 20,13ss) crocifiggendolo, lo respinsero rinnegandolo.

    Quante cose, e quanto importanti, in cosí brevi tratti! Anzitutto questo: che la bontà è una dote di natura, e il piú delle volte si fida di chi non lo merita; inoltre, che Cristo è venuto come estremo rimedio delle perversità; infine, che chi rinnega l`Erede, dispera del Creatore. E Cristo (cf. Eb 1,2) è al tempo stesso erede e testatore; erede, perché sopravvive alla propria morte e raccoglie nei progressi che facciamo direi come i frutti ereditari dei testamenti, ch`Egli stesso ha stabilito.

    E` però opportuno che faccia domande agli interlocutori, affinché emettano da sé stessi la sentenza della propria condanna. E afferma che alla fine giungerà il padrone della vigna (cf. Lc 20,16), perché nel Figlio è anche presente la maestà del Padre, o anche perché negli ultimi tempi, piú da vicino influirà dolcemente sugli affetti umani. Quindi coloro pronunciano contro sé stessi la sentenza, affermando che i cattivi devono andare in rovina e la vigna passare ad altri coloni ("ibid."). Consideriamo allora chi siano i coloni, e che cosa sia la vigna.

    La vigna prefigura noi: il popolo di Dio, stabilito sulla radice della vite eterna (cf. Gv 15,1-6), sovrasta la terra e formando l`ornamento del suolo meschino, ora comincia a far sbocciare fiori splendenti come gemme, ora si riveste dei verdi germogli che l`avvolgono, ora accoglie su di sé un mite giogo (cf.Mt 11,29), quando è ormai cresciuto estendendo i suoi bracci ben cresciuti come tralci di una vite feconda. Il vignaiolo è senza alcun dubbio il Padre (cf. Gv 15,1) onnipotente, la vite è Cristo, e noi siamo i tralci (cf. Gv 15,5): ma se non portiamo frutto in Cristo veniamo recisi (cf. Gv 15,2) dalla falce del coltivatore eterno. Perciò è esatto che il popolo sia chiamato la vigna di Cristo, sia perché sulla sua fronte vien posto come ornamento il segno della croce, sia perché si raccoglie il suo frutto durante l`ultima stagione dell`anno, sia perché allo stesso modo che avviene per tutti i filari della vigna, cosí nella Chiesa di Dio uguale è la misura, e non vi è alcuna differenza tra poveri e ricchi, tra umili e potenti, tra schiavi e padroni (cf. Col 3,25; Ef 6,8s). Come la vite si sposa agli alberi, cosí il corpo si congiunge all`anima, e anche l`anima al corpo. Come il vigneto sta ritto quand`è legato insieme, e, se viene potato, non s`impoverisce ma diventa piú rigoglioso, cosí la santa plebe quand`è legata è resa libera, quand`è umiliata si innalza, quand`è recisa riceve la corona. E, persino, come il tenero virgulto staccato dall`antico albero viene innestato nella fecondità di una nuova radice, cosí questo popolo santo, quando ha rimarginato i tagli dell`antico virgulto, si sviluppa perché è tenuto al sicuro dentro quel legno della croce come nel grembo di una madre affettuosa; e lo Spirito Santo, come se discendesse giú nelle buche profonde del terreno, riversandosi nel carcere di questo corpo, lava via il fetidume con la corrente dell`acqua che salva, e solleva le abitudini delle nostre membra all`altezza della disciplina celeste.

    Questa è la vigna che il premuroso vignaiolo è solito zappare aggiogare insieme, potare; egli, sgombrando i pesanti mucchi di terra, ora espone al sole cocente, ora fa intridere alla pioggia le miserie nascoste del nostro corpo, e suole sbarazzare dagli sterpi il terreno coltivabile per evitare che le gemme siano guaste dai rovi, o l`ombra del fogliame lussureggiante sia troppo densa o lo sfoggio infecondo delle parole, aduggiando le virtù, impedisca che la caratteristica della sua natura giunga a maturazione. Ma guardiamoci bene dal temere qualsiasi danno a questa vigna, che il custode sempre desto del Salvatore ha circondato col muro della vita eterna contro tutte le lusinghe della malizia mondana.

    Salve, vigna meritevole di un custode cosí grande: ti ha consacrato non il sangue del solo Nabot (cf. 1Re 21,13) ma quello di innumerevoli profeti, e anzi quello, tanto piú prezioso, versato dal Signore. E` bensí vero che colui, senza farsi atterrire dalle minacce di un re, non soffocò la costanza con la paura né, allettato da ricchissime ricompense, barattò il suo sentimento religioso ma, opponendosi al desiderio del tiranno, perché l`erba della malva non si seminasse nei suoi orticelli al posto delle viti recise, contenne col proprio sangue, non potendo fare altro, le fiamme preparate per le proprie viti; ma egli difendeva pur sempre una vigna (cf. 1Re 21,2) materiale; invece tu per noi sei stata piantata per l`eternità con lo sterminio di tanti martiri, e la croce degli apostoli, emulando la passione del Signore, ti ha diffusa fino ai confini del mondo.


    (Ambrogio, In Luc. 9, 23-30.33)



    2. Il prezzo della nostra redenzione


    Il Creatore dell`universo e Dio invisibile, egli stesso fece scendere dal cielo tra gli uomini, la sua Verità, la sua Parola santa e incomprensibile, e la stabilí nei loro cuori. E lo fece non mandando - come si poteva pensare - qualche suo servo, o angelo, o principe preposto al governo sulla terra, o all`amministrazione in cielo, ma mandando lo stesso Artefice e Fattore di tutte le cose, per cui creò i cieli e chiuse il mare nelle sue sponde e le cui leggi misteriose sono fedelmente custodite da tutti gli elementi. Da lui, infatti, ebbe il sole la misura del suo corso quotidiano, a lui obbediscono la luna - quando splende nella notte - e le stelle - quando le fanno corteo nel suo viaggio, - da lui tutto fu stabilito, disposto, ordinato: il cielo e gli esseri celesti, la terra e le creature terrestri, il mare e gli animali marini, il fuoco, l`aria, l`abisso, quello che sta in alto, quello che è nel profondo e quello che sta nel mezzo (cf. 1Cor 15,27-28; Ef 1,22; Fil 3,21; Eb 2,8). Costui Iddio mandò!

    Qualcuno potrebbe pensare: lo inviò per tiranneggiare o spaventare o colpire gli uomini. No davvero! Lo inviò con mitezza e con bontà come un re manda suo figlio (cf. Mt 21,37); lo inviò come Dio e come uomo fra gli uomini; e fece questo per salvare, per persuadere, non per violentare; a Dio non conviene la violenza! Lo inviò per chiamare, non per castigare, lo inviò per amare, non per giudicare. Lo invierà, sí, un giorno, a giudicare: e chi potrà allora sostenere la sua presenza? (cf. Ml 3,2).


    (Epist. ad Diogn. 7)



    3. Dio non ha bisogno dell`uomo


    Neppure all`inizio avvenne che Dio modellasse Adamo perché avesse bisogno dell`uomo, bensí per avere qualcuno in cui posare i suoi benefici. Poiché non solo prima di Adamo, ma prima di tutta la creazione, il Verbo glorificava il Padre, rimanendo in lui ed era glorificato dal Padre, come egli stesso dice: "Padre, glorificami con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse" (Gv 17,5). E non fu neppure perché avesse bisogno del nostro servizio che egli ordinò di seguirlo, bensí per procurare a noi stessi la salvezza. Infatti, seguire il Signore significa aver parte alla salvezza, cosí come seguire la luce è prender parte alla luce. Quando gli uomini sono nella luce, non sono essi che illuminano la luce e la fanno risplendere, ma sono illuminati e resi splendenti da essa: lungi dall`apportarle alcunché, beneficiano della luce e ne sono illuminati. Cosí avviene del servizio verso Dio: esso non apporta nulla a Dio, perché Dio non ha bisogno del servizio degli uomini; ma, a coloro che lo servono, Dio procura la vita, l`incorruttibilità e la gloria eterna. Egli accorda i suoi benefici a coloro che lo servono, perché lo servono, e a quelli che lo seguono, perché lo seguono; ma egli non riceve da loro nessun beneficio, poiché egli è perfetto e senza necessità. Se Dio sollecita il servizio degli uomini, è per poter, egli che è buono e misericordioso, accordare i propri benefici a coloro che perseverano nel suo servizio. Infatti, come Dio non ha bisogno di nulla, del pari l`uomo ha bisogno della comunione di Dio. Infatti la gloria dell`uomo sta nel perseverare nel servizio di Dio. Ecco perché il Signore diceva ai suoi discepoli: "Non siete voi che avete scelto me, ma io che ho scelto voi" (Gv 15,16), indicando con ciò che non erano essi che lo glorificavano seguendolo, bensí che, per aver seguito il Figlio di Dio, erano essi glorificati da lui. E ancora: "Voglio che là, dove sono io, siano anch`essi, perché vedano la mia gloria" (Gv 17,24): nessuna vanteria in questo, ma volontà di render partecipi i discepoli della sua gloria. E` di essi che parlava il profeta Isaia: "Dall`oriente adunerò la tua posterità e dall`occidente ti raccoglierò. Dirò all`aquilone: Restituiscili! e al vento di mezzoaiorno: Non trattenerli! Aduna i miei figli dai paesi lontani e le mie figlie dalle estremità della terra quelli che portano il mio nome, poiché è per la mia gloria che ho preparato, che ho modellato e ho fatto" (Is 43,5-7). E tutto questo perché: "là dov`è il cadavere, ivi si raduneranno gli avvoltoi" (Mt 24,28), partecipando alla gloria del Signore che li ha modellati e preparati precisamente perché, stando con lui, partecipino della sua gloria.


    (Ireneo di Lione, Adv. Haer. IV, 14, 1)

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    00 06/10/2011 09:38

    XXVIII DOMENICA


    Letture:Isaia 25,6-10a

    Filippesi 4,12-14.19-20

    Matteo 22,1-14


    1. Gli inviti di Dio


    "Il regno dei cieli è simile a un re che fece le nozze per suo figlio" (Mt 22,2)...

    Dio Padre fece le nozze per Dio Figlio quando lo congiunse alla natura umana nel grembo della Vergine... Mandò dunque i suoi servi perché invitassero gli amici a queste nozze. Li mandò una volta, e li mandò di nuovo perché fece diventare predicatori dell`incarnazione del Signore prima i profeti, poi gli apostoli. Due volte, dunque, mandò i servi a invitare, infatti, per mezzo dei profeti disse che ci sarebbe stata l`incarnazione dell`Unigenito, e poi per mezzo degli apostoli disse che essa era avvenuta. Ma siccome quelli che erano stati invitati per primi al banchetto di nozze non vollero venire, nel secondo invito si dice: Ecco, ho preparato il mio pranzo, i miei buoi e i miei animali ingrassati sono stati macellati, e tutto è pronto (Mt 22,4)...

    E (il Vangelo) continua: "Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari" (Mt 22,5). Andare nel proprio campo è darsi smodatamente alle fatiche terrene; andare ai propri affari è cercare con ogni cura guadagni mondani. Poiché chi è intento alle fatiche terrene e chi è dedito alle azioni di questo mondo finge di non pensare al mistero delI`incarnazione del Signore e di non vivere secondo esso, si rifiuta di venire alle nozze del re come uno che va al campo o agli affari. Spesso anche - e ciò è piú grave - alcuni non solo respingono la grazia di colui che chiama, ma la perseguitano. Per questo (il Vangelo) soggiunge: "Altri presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re, venendo a sapere queste cose, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e dede alle fiamme la loro città (Mt 22,6-7). Uccise gli assassini, perché fece perire i persecutori. Diede alle fiamme la loro città, perché nella fiamma dell`eterna geenna è tormentata non solo la loro anima, ma anche la carne nella quale abitarono...

    Ma questi che vede disprezzato il suo invito, non vedrà deserte le nozze del figlio suo. Egli manda a chiamare altri, perché anche se la parola di Dio fatica a trovare accoglienza presso alcuni, tuttavia troverà dove riposare. Per questò (il Vangelo) soggiunge "Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora alle uscite delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze" (Mt 22,8-9). Se nella Sacra Scrittura intendiamo «strade» come «opere», comprendiamo che «uscite delle strade» significano «mancanza di opere», poiché molte volte giungono facilmente a Dio coloro che non godono i favori della fortuna nelle opere terrene. E prosegue: Usciti nelle strade, i servi raccolsero quanti ne trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempí di commensali (Mt 22,10).

    Ecco che con la stessa qualità dei commensali è detto chiaramente che in queste nozze del re è raffigurata la Chiesa del tempo presente, nella quale si riuniscono insieme ai buoni anche i cattivi. Essa è composta da figli diversi; tutti infatti li genera alla fede, ma non tutti, con un cambiamento di vita, li conduce alla libertà della grazia spirituale, per l`impedimento posto dal peccato. Finché viviamo quaggiú, è necessario che ce ne andiamo mescolati per la via del secolo presente. Saremo separati quando saremo giunti. I soli buoni, infatti, saranno in cielo, e i soli cattivi saranno all`inferno. Ora questa vita che è posta fra il cielo e l`inferno, per il fatto che è in posizione intermedia riceve cittadini da entrambe le parti; tuttavia quelli che ora la santa Chiesa riceve promiscuamente, alla fine del mondo li dividerà. Se dunque siete buoni, mentre restate in questa vita, sopportate pazientemente i cattivi. Infatti chi non sopporta i cattivi, attesta a se stesso di non essere buono a motivo della sua impazienza...

    Ma poiché, o fratelli, con la grazia di Dio, siete già entrati nella sala del convito nuziale, cioè nella santa Chiesa, guardate bene che, entrando, il re non abbia a rimproverare nulla nell`abito dell`anima vostra. Infatti bisogna pensare con un grande batticuore a ciò che segue subito dopo: "Il re entrò per vedere i commensali, e vide là un tale che non indossava l`abito nuziale" (Mt 22,11). Quale pensiamo, fratelli carissimi, che sia il significato della veste nuziale? Se diciamo che la veste nuziale significa il battesimo o la fede, chi mai è andato a queste nozze senza il battesimo e la fede? E` escluso infatti chi ancora non ha la fede. Cosa dunque dobbiamo intendere per la veste nuziale, se non la carità? Entra alle nozze, ma senza la veste nuziale, chi facendo parte della santa Chiesa ha la fede, ma non ha la carità. Giustamente si dice che la carità è la veste nuziale, perché il nostro Redentore era vestito di essa quando venne alle nozze per congiungere a sé la Chiesa. Fu per solo amore di Dio che il suo Unigenito uní a sé le anime degli eletti. Per questo Giovanni dice: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito per noi" (Gv 3,16). Pertanto, Colui che venne agli uomini per la carità, ci svela che questa stessa carità è la veste nuziale. Ognuno di voi che vive nella Chiesa e crede in Dio, è già entrato al banchetto nuziale; ma è venuto senza la veste nuziale se non custodisce la grazia della carità...

    Chiunque, essendo commensale alle nozze, non ha questa (veste), sia pieno di ansia e di paura quando, all`arrivo del re, verrà gettato fuori. Ecco infatti come vien detto: "Il re entrò per vedere i commensali e vide là un tale che non indossava l`abito nuziale". Noi, fratelli carissimi, siamo quelli che sono commensali alle nozze del Verbo, avendo già la fede della Chiesa, nutrendoci al banchetto della Sacra Scrittura e godendo che la Chiesa sia unita con Dio. Considerate, vi prego, se siete venuti a queste nozze con la veste nuziale, esaminate attentamente i vostri pensieri. Soppesate i vostri cuori nei particolari, se non avete odio contro nessuno, se nessuna invidia vi infiamma contro la felicità altrui, se non vi studiate di danneggiare nessuno con occulta malizia.

    Ecco che il re entra nella sala delle nozze e osserva la veste del nostro cuore, e a chi non trova rivestito di carità subito dice adirato: "Amico, come hai potuto entrare qui senz`abito nuziale?" (Mt 22,12). E` cosa degna di nota, fratelli carissimi, il fatto che chiama costui amico e tuttavia lo condanna, come se lo chiamasse amico e nemico allo stesso tempo: amico per la fede, nemico nelle opere. "Ed egli ammutolí (ibid.)", cioè - e non se ne può parlare senza dolore - nell`ultimo severo giudizio verrà a mancare ogni possibilità di scusa, perché Colui che rimprovera dall`esterno sarà anche voce della coscienza che accusa l`anima dall`interno...

    Coloro pertanto che ora si lasciano spontaneamente legare dal vizio, allora saranno controvoglia legati dai tormenti. E` giusto poi dire che saranno gettati nelle tenebre esteriori. Noi chiamiamo tenebra interiore la cecità del cuore, e (chiamiamo) invece tenebra esteriore la notte eterna della dannazione. Ogni dannato dunque non viene mandato nelle tenebre interiori ma in quelle esteriori, poiché è gettato controvoglia nella notte della dannazione colui che volontariamente cade nella cecità del cuore. Si dice anche che là sarà pianto e stridor di denti, sí che stridano là i denti di coloro che qui godevano nella voracità, e piangano là gli occhi di coloro che qui si davano a concupiscenze illecite; e cosí saranno sottoposte a tormenti tutte quelle membra che qui servirono a qualche vizio.

    Subito dopo che è stato espulso costui, nel quale è raffigurata tutta la schiera dei malvagi, viene una sentenza generale, che dice: "Molti sono chiamati, ma pochi eletti" (Mt 20,16). E` tremendo, fratelli carissimi, ciò che abbiamo ascoltato! Ecco che noi, chiamati per mezzo della fede, siamo già venuti alle nozze de] re celeste, crediamo e professiamo il mistero della sua incarnazione, ci nutriamo con il cibo del Verbo divino, ma il re deve ancora venire a giudicare. Sappiamo che siamo stati chiamati: non sappiamo però se saremo eletti. Sicché è necessario che tanto piú ciascuno di noi si abbassi nell`umiltà in quanto non sa se sarà eletto. Alcuni infatti nemmeno iniziano a fare il bene, altri non perseverano affatto nel bene che avevano iniziato a fare. Uno è stato visto condurre quasi tutta la vita nel peccato, ma verso la fine di essa si converte dal suo peccato attraverso i lamenti di una rigorosa penitenza; un altro sembra condurre già una vita da eletto, e tuttavia verso la fine della sua esistenza gli capita di cadere nella nequizia dell`errore. Uno comincia bene e finisce meglio; un altro si dà alle male azioni fin da piccolo e finisce nelle medesime dopo essere diventato sempre peggiore. Tanto piú ciascuno deve temere con sollecitudine, quanto piú ignora ciò che lo aspetta, poiché - bisogna dirlo spesso e non dimenticarselo mai - "molti sono chiamati, ma pochi eletti".


    (Gregorio Magno, Hom. 38, 3.5-7.9.11-14)



    2. La veste nuziale


    "Ed entrato il re a vedere i commensali, scorse un uomo che non era in abito da nozze e gli disse: «Amico, come sei entrato qua, senza avere l`abito da nozze?». Costui ammutolí" (Mt 22,11-12). Gl`invitati alle nozze, raccolti lungo le siepi e negli angoli, nelle piazze e nei luoghi piú diversi, avevano riempito la sala del banchetto reale. Ma poi, venuto il re per vedere i commensali riuniti alla sua tavola, cioè, in un certo senso, pacificati nella sua fede (come nel giorno del giudizio verrà a vedere i convitati per distinguere i meriti di ciascuno), trovò uno che non indossava l`abito nuziale. In quest`uno son compresi tutti coloro che sono solidali nel compiere il male. La veste nuziale sono i precetti del Signore e le opere che si compiono nello spirito della Legge e del Vangelo. Essi sono l`abito dell`uomo nuovo. Se qualcuno che porta il nome di cristiano, nel momento del giudizio sarà trovato senza l`abito di nozze, cioè l`abito dell`uomo celeste, e indosserà invece l`abito macchiato, ossia l`abito dell`uomo vecchio, costui sarà immediatamente ripreso e gli verrà detto: «Amico, come sei entrato?». Lo chiama amico perché è uno degli invitati alle nozze, e rimprovera la sua sfrontatezza perché col suo abito immondo ha contaminato la purezza delle nozze. «Costui ammutolí», dice Gesú. In quel momento infatti non sarà piú possibile pentirsi, né sarà possibile negare la colpa, in quanto gli angeli e il mondo stesso saranno testimoni del nostro peccato.

    "Allora il re disse ai servi: «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nel buio; ivi sarà pianto e stridor di denti»" (Mt 22,13). L`esser legato mani e piedi, il pianto, lo stridore di denti, son tutte cose che stanno a dimostrare la verità della risurrezione. Oppure, gli vengono legati le mani e i piedi perché desista dall`operare il male e dal correre a versare sangue. Nel pianto e nello stridor di denti si manifesta metaforicamente la gravità dei tormenti .


    (Girolamo, In Matth. III, 22, 8-11)

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    00 11/10/2011 08:20

    XXIX DOMENICA


    Letture: Isaia 45,1.4-6

    1 Tessalonicesi 1,1-5b

    Matteo 22,15-21


    1. Il tributo a Cesare


    "Di chi è l`immagine e l`iscrizione?" (Lc 20,24). In questo passo Egli c`insegna che dobbiamo essere cauti nel respingere le accuse degli eretici oppure dei Giudei. In un altro punto ha detto: "Siate astuti come i serpenti". Questo, diversi lo interpretano cosí: poiché la croce di Cristo fu preannunciata nel serpente levato in alto, affinché venisse distrutto il veleno serpigno degli spiriti del male, parrebbe che si debba essere accorti come il Cristo, e semplici come lo Spirito. Ecco dunque chi è il serpente che tiene sempre protetto il capo, ed evita cosí le ferite mortali. Quando i Giudei gli chiedevano se avesse ricevuto dal Cielo la sua autorità, Egli rispose: "Il battesimo di Giovanni di dov`era, dal Cielo o dagli uomini?" (Mt 20,4). E lo scopo era che essi, non osando negare che era dal Cielo, si convincessero da soli della propria demenza nel negare che Colui che lo dava era dal Cielo. Egli chiede un didramma e domanda di chi è l`effigie: infatti diversa è l`effigie di Dio, diversa l`effigie del mondo. Per questo anche colui ci ammonisce: "E come abbiamo portato l`immagine dell`uomo terreno, cosí portiamo l`immagine dell`uomo celeste" (1Cor 15,49).

    Cristo non ha l`immagine di Cesare, perché Egli è "l`immagine di Dio". Pietro non ha l`immagine di Cesare, perché ha detto: Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito" (Mt 19,27). Non si trova l`immagine di Cesare in Giacomo o in Giovanni, perché sono i figli del tuono, ma essa si trova nel mare, dove vi sono sulle acque quei mostri dalle teste fracassate, e lo stesso mostro principale, col capo mozzo, vien dato come cibo ai popoli degli Etiopi. Ma se non aveva l`immagine di Cesare, perché mai ha pagato il tributo? Non l`ha pagato del suo, ma ha restituito al mondo ciò che apparteneva al mondo. E se anche tu non vuoi esser tributario di Cesare, non possedere le proprietà del mondo. Però hai le ricchezze: e allora sei tributario di Cesare. Se non vuoi esser assolutamente debitore del re della terra, abbandona ogni tua cosa e segui Cristo.

    E giustamente Egli ordina di dare prima a Cesare ciò che è di Cesare, perché nessuno può appartenere al Signore, se prima non ha rinunziato al mondo. Tutti, certo, rinunziamo a parole, ma non rinunziamo col cuore; infatti, quando riceviamo i sacramenti, facciamo la rinunzia. Che pesante responsabilità è promettere a Dio, e poi non soddisfare il debito! "E` meglio non fare voti", sta scritto, "piuttosto che farne e non mantenerli" (Qo 5,4). L`obbligo della fede è piú forte di quello pecuniario. Rendi quanto hai promesso, finché sei in questo corpo, prima che giunga l`esecutore "e questi ti getti in prigione. In verità ti dico che non ne uscirai prima di aver pagato fino all`ultimo spicciolo";(Lc 12, 58; Mt 5,25s).


    (Ambrogio, Exp. Ev. sec. Luc. 9, 34-36)



    2. Preghiera per i governanti


    Dona concordia e pace a noi e a tutti gli abitanti della terra come la desti ai padri nostri quando ti invocavano santamente nella fede e nella verità (cf. 1Tm 2,7). Rendici sottomessi al tuo nome onnipotente e pieno di virtù e a quelli che ci comandano e ci guidano sulla terra.

    Tu, Signore, desti loro il potere della regalità per la tua magnifica e ineffabile forza perché noi conoscendo la gloria e l`onore loro dati ubbidissimo ad essi senza opporci alla tua volontà. Dona ad essi, Signore, sanità, pace, concordia e costanza per esercitare al sicuro la sovranità data da te.

    Tu, Signore, re celeste dei secoli concedi ai figli degli uomini gloria, onore e potere sulle cose della terra. Signore, porta a buon fine il loro volere secondo ciò che è buono e gradito alla tua presenza per esercitare con pietà nella pace e nella dolcezza il potere che tu hai loro dato e ti trovino misericordioso.

    Te, il solo capace di compiere questi beni ed altri piú grandi per noi ringraziamo per mezzo del gran Sacerdote e protettore delle anime nostre Gesú Cristo per il quale ora a te sia la gloria e la magnificenza e di generazione in generazione e nei secoli dei secoli. Amen.


    (Clemente di Roma, Ad Corinth. 60, 4 - 61, 3)



    3. L`adorazione si deve a Dio solo


    Onorerò l`imperatore: non lo adorerò, ma per lui pregherò. Solo il Dio reale, il Dio vero adorerò, sapendo che da lui l`imperatore è stato fatto. Certo mi chiederai: perché non adori l`imperatore? Perché non è stato fatto per essere adorato, ma per essere onorato con l`ossequio delle leggi: non è infatti un Dio, ma un uomo costituito da Dio non ad essere adorato, ma a fungere da giusto giudice. In un certo senso gli è stata affidata da Dio l`amministrazione; ed egli stesso non vuole che chi a lui è subordinato si chiami imperatore: imperatore è il nome suo e a nessun altro è lecito chiamarsi cosí. Egualmente anche l`adorazione è unicamente di Dio. Dunque, o uomo, sei davvero in errore: onora l`imperatore amandolo, ubbidendogli, pregando per lui: facendo cosí, farai il volere di Dio. Dice infatti la legge divina: "O figlio, onora Dio e l`imperatore, e non essere disubbidiente né all`uno né all`altro. Subito infatti puniscono i loro nemici" (Pr 24,21s).


    (Teofilo di Antiochia, Ad Auct. 1, 11)



    4. Dio va messo al primo posto


    Noi ci sforziamo d`essere i primi a pagare tasse e tributi ai vostri funzionari, dovunque; e cosí da lui ci fu insegnato. In quel tempo, difatti, presentatisi a lui certuni, gli domandarono se si dovessero i tributi a Cesare. Egli rispose "Ditemi: di chi reca l`immagine la moneta?" Quelli risposero: "Di Cesare". Ed egli: "Date dunque a Cesare ciò ch`è di Cesare; a Dio ciò ch`è di Dio" (Mt 22,21). Perciò l`adorazione la prestiamo a Dio solo; quanto al resto di buon grado serviamo voi, riconoscendovi imperatori e capi degli uomini, e pregando Dio che accanto all`autorità imperiale si riscontri in voi anche un sano discernimento. Che se, pur pregando per voi e mettendo ogni cosa alla luce, ci disprezzerete, sappiate che non saremo noi a riportarne danno, dacché crediamo, anzi siamo convinti, che ciascuno sconterà la pena del fuoco eterno secondo le azioni e renderà conto in proporzione delle facoltà ricevute da Dio, secondo il monito di Cristo: "Da colui al quale Dio piú diede, piú anche si esigerà" (Lc 12,48).


    (Giustino, I Apol. 17)



    5. L`esempio di Daniele


    Pertanto, "quando Daniele venne a conoscenza dello scritto", accortosi che si trattava di un complotto contro di lui, tuttavia non ebbe paura, non si spaventò, perché era pronto ad andare in pasto alle fiere piuttosto che sottomettersi al decreto del re. Egli si ricordava dell`esempio che gli avevano dato i tre fanciulli. Poiché non avevano voluto prostrarsi davanti a]la statua del re, essi erano stati salvati dalla fornace ardente. Rientrato a casa sua, aprí le finestre "del piano superiore, in direzione di Gerusalemme, e tre volte al giorno si inginocchiava e pregava continuando a far penitenza, come faceva prima".

    Bisogna contemplare la pietà del beato Daniele. Benché sembrasse molto occupato dagli affari del re, nondimeno si applicava alla preghiera quotidiana, rendendo "a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio" (Mt 22,21). Forse mi si potrà dire: E che? Egli non poteva, di giorno, pregare Dio nel profondo del cuore, e, di notte, raccogliersi nascostamente in casa sua, come voleva, senza correre pericolo? Sí. Ma lui non voleva. Se infatti avesse agito cosí, i ministri e i satrapi avrebbero potuto dire: Che vale il suo timor di Dio, dal momento che ha paura dell`editto del re e si sottomette ai suoi ordini? Ed erano pronti a portare contro di lui un motivo di accusa: il rimprovero di infedeltà. Questo lo fa l`ipocrisia: non cosí il timore e la fede in Dio. E fu perché non diede ai suoi avversari pretesto alla maldicenza: "Perché chiunque è sottomesso a un uomo, è suo schiavo" (2Pt 2,19).

    In effetti, coloro che credono in Dio non sanno che farsene della dissimulazione, e non devono temere coloro che sono costituiti in autorità, se non commettono il male. Ma se vengono costretti, a causa della loro fede in Dio, ad agire diversamente, preferiscono morire spontaneamente piuttosto che fare ciò che è loro ordinato. E quando l`Apostolo dice che bisogna sottomettersi ad ogni "autorità costituita" (Rm 13,1), non allude a questo caso. Egli non domanda che rinneghiamo la nostra fede, né i comandamenti divini per eseguire gli ordini degli uomini, ma al contrario che, per deferenza verso l`autorità, non commettiamo alcun delitto, in modo da non essere castigati come malfattori. Ecco perché aggiunge: L`autorità è al servizio di Dio, contro coloro che fanno il male. "Vuoi non aver da temere l`autorità? Fa` il bene e ne riceverai lode. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada" (1Pt 2,14.20). Dunque l`Apostolo raccomanda, in tal modo, di sottomettersi a una esistenza santa e pia in questo mondo, e di avere davanti agli occhi il pericolo della spada. Anche gli apostoli, nonostante l`opposizione dei principi e degli scribi, continuavano tuttavia a predicare la parola e a obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (cf. At 4,18-20). Ecco perché i principi si infuriarono contro di loro e li chiusero in prigione. "Ma durante la notte un angelo li condusse fuori e disse: Andate e predicate queste parole di vita (At 5,19.20).

    Nemmeno lui, Daniele, nonostante il divieto di pregare, si sottomise all`editto del re, non volendo mettere la gloria di Dio al di sotto di quella degli uomini. Infatti quando si muore per Dio, ci si può rallegrare di aver ottenuto cosí la vita eterna. E quando si soffre per Dio e si vive quaggiú nella purezza e nel timore, non bisogna dare il minimo pretesto di accusa a coloro che lo cercano, perché cosí essi saranno ancor piú coperti di confusione.

    Cosí i ministri cercavano contro Daniele un pretesto e non ne trovavano, perché egli era fedele. E se alcuni ci obbligassero a non adorare Dio e a non pregare, minacciandoci di morte, sarebbe piú dolce per noi morire piuttosto che eseguire i loro ordini. "Chi", infatti, "ci separerà dall`amore di Dio? Forse la tribolazione, l`angoscia, la persecuzione, la fame, il pericolo, la spada"? (Rm 8,35). Ecco perché il beato Daniele, che aveva preferito il timor di Dio e si era offerto alla morte, fu salvato dai leoni grazie all`angelo. Se egli avesse tenuto conto dell`editto, se fosse rimasto tranquillo per trenta giorni, la sua fede in Dio non avrebbe piú avuto la sua purezza. "Nessuno può servire a due padroni" (Mt 6,24). Sempre l`arte del diavolo s`ingegna di perseguitare, opprimere, abbattere i santi per impedire loro di levare, nelle loro orazioni, "le mani sante" (1Tm 2,8) verso Dio. Egli infatti sa bene che la preghiera dei santi dà al mondo la pace e ai malvagi il castigo. Allo stesso modo, "quando", nel deserto, "Mosè alzava le mani, Israele era piú forte, ma quando le lasciava cadere, era piú forte Amalek" (Es 17,11). E` quanto ancor oggi ci capita: quando cessiamo di pregare, l`Avversario ha la meglio su noi, e quando ci aggrappiamo alla preghiera, la forza e la potenza del Maligno restano senza effetto.


    (Ippolito di Roma, In Daniel. 3, 21-24)

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    00 20/10/2011 09:51

    XXX DOMENICA


    Letture: Esodo 22,20-26

    1 Tessalonicesi 1,5c-10

    Matteo 22,34-40


    1. Dio ci domanda il cuore


    Bene, fratelli miei, interrogate voi stessi, scuotete le celle interiori: osservate, e vedete bene se avete un po` di carità, e quel tanto che avrete trovato accrescete. Fate attenzione ad un tale tesoro, perch‚ siate ricchi dentro. Certamente, le altre cose che hanno un grande valore, vengono definite «care»; e non invano. Esaminate la consuetudine del vostro linguaggio: questa cosa è più cara di quella. Che vuol dire è più cara, se non che è più preziosa? Se si dice più cara, cos`è più prezioso; cos`è più caro della carità stessa, fratelli miei? Qual è, riteniamo, il suo valore? Da dove deriva il suo valore? Il valore del frumento: il tuo danaro, il valore di un fondo: il tuo argento; il valore di una gemma: il tuo oro; il valore della carità sei tu stesso. Tu chiedi peraltro di sapere come possedere il fondo, la gemma, il giumento; come comprare e tenere presso di te il fondo. Ma se vuoi avere la carità, cerca te e trova te. Hai paura infatti di darti per non consumarti? Anzi, se non ti doni, ti perdi. La stessa carità parla per bocca della Sapienza, e ti dice qualcosa perch‚ non ti spaventi quanto vien detto: Dona te stesso. Se uno infatti ti vuol vendere un fondo, ti dirà: Dammi il tuo oro; e chi ti vuol vendere qualcos`altro: Dammi il tuo danaro, o dammi il tuo argento. Ascolta ciò che ti dice la carità per bocca della Sapienza: "Dammi il tuo cuore, figlio mio" (Pr 23,26). «Dammi», dice: cosa? «Il tuo cuore, figlio mio». Era male quando era da te, quando ti apparteneva: infatti eri portato alle futilità ed agli amori lascivi e perniciosi. Toglilo di là. Dove lo porti? Dammi, egli dice, il tuo cuore. Sia per me, e non si perda per te. Osserva, infatti, cosa ti dice, allorché vuole rimettere in te qualcosa, perchè‚ tu ami soprattutto te stesso: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente" (Mt 23,37; Dt 6,5). Cosa rimane del tuo cuore, per amare te stesso? Cosa della tua anima? E cosa della tua mente? Con tutto, egli dice. Tutto te stesso esige, colui che ti ha fatto.

    Però, non esser triste quasi non ti resti nulla di che rallegrarti in te stesso. "Gioisca Israele", non in sè, "bensì in colui che lo ha fatto" (Sal 149,2)

    "Il prossimo quanto deve essere amato?" Risponderei e direi: Se nulla mi rimasto, come mi amerò; poiché mi si ordina di amare con tutto il cuore, con tutta l`anima, con tutta la mente colui che mi ha fatto, in che modo mi si ordina il secondo precetto di amare il prossimo come me stesso? Il che è più che il dire di amare il prossimo con tutto il cuore, con tutta l`anima e con tutta la mente. In che modo? "Ama il prossimo tuo come te stesso" (Mt 22,37.39). Dio con tutto me stesso: il prossimo come me. Come me, così te? Vuoi sentire come ti ami? Per questo ti ami, poiché ami Dio con tutto te stesso. Ritieni infatti di avanzare con Dio, perchè ami Dio? E poiché ami Dio, si aggiunga qualcosa a Dio? E se non ami, avrai di meno? Quando ami, tu progredisci: lì tu sarai dove non perirai. Ma mi risponderai e dirai: Quando infatti non mi sono amato? Non ti amavi affatto, quando non amavi Dio che ti ha fatto. Anzi quando ti odiavi credevi di amarti. "Chi infatti ama l`iniquità, odia la sua anima" (Sal 10,6).


    (Agostino, Sermo 34, 7-8)



    2. I due amori: Dio e il mondo


    Vi sono due amori, dai quali derivano tutti i desideri, e questi sono così diversi per qualità, in quanto si distinguono per cause. L`anima razionale, infatti, che non può essere priva di amore, o ama Dio o ama il mondo. Nell`amore di Dio nulla è eccessivo, nell`amore del mondo, invece, tutto è dannoso. Per questo è necessario essere inseparabilmente attaccati ai beni eterni, e usare in maniera transitoria di quelli temporali, di modo che, per noi che siamo pellegrini e ci affrettiamo per tornare in patria, qualunque cosa ci tocchi delle fortune di questo mondo sia viatico per il viaggio e non attrattiva per il soggiorno. Per questo, il beato Apostolo così afferma: "Il tempo è breve. Rimane che quelli che hanno moglie vivano come se non l`avessero, quelli che piangono come se non piangessero, quelli che godono come se non godessero, quelli che comprano come se non possedessero, e quelli che usano di questo mondo come se non ne usassero: perchè passa la scena di questo mondo (1Cor 7,29-31). Ma ciò che piace per aspetto, abbondanza, varietà, non viene facilmente evitato, a meno di non amare, nella stessa bellezza delle cose visibili, il Creatore piuttosto che la creatura. Quando infatti egli dice: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza" (Mc 12,30), vuole che mai ci sciogliamo dai vincoli del suo amore. E quando con questo precetto del prossimo (cf.Mc 12,31ss) congiunge strettamente la carità, ci prescrive l`imitazione della sua bontà, affinché amiamo ciò che egli ama, e ci occupiamo di ciò di cui egli si occupa. Sebbene infatti siamo "il campo di Dio e l`edificio di Dio" (1Cor 3,9), e "ne chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere" (1Cor 3,7), tuttavia esige in tutto il servizio del nostro ministero, e vuole che siamo dispensatori dei suoi doni, affinché colui che porta "l`immagine di Dio" (cf. Gen 1,27), faccia la sua volontà. Per questo nella preghiera del Signore diciamo in maniera sacrosanta: "Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra" (Mt 6,10). Con tali parole cos`altro domandiamo, se non che Dio assoggetti chi non ha ancora assoggettato a sé, e, come [lo sono] in cielo gli angeli, così faccia ministri della sua volontà anche gli uomini sulla terra? Chiedendo dunque ciò, amiamo Dio e amiamo anche il prossimo, e in noi c`è non un amore diverso, ma unico, dal momento che desideriamo sia che il servo serva, sia che il padrone comandi.

    Questo affetto dunque, o carissimi, dal quale escluso l`amore terreno, si rafforza con la consuetudine delle buone opere, poiché è necessario che la coscienza si rallegri nelle azioni rette, e volentieri ascolti ciò che gode di aver fatto. Si sceglie di fare digiuno, si custodisce la castità, si moltiplicano le elemosine, si prega incessantemente, ed ecco che il desiderio dei singoli diventa il voto di tutti. La fatica alimenta la pazienza, la mitezza spegne l`ira, la benevolenza si mette sotto i piedi l`invidia, le cupidigie umane sono uccise dai santi desideri, l`avarizia è scacciata dalla generosità, e le ricchezze che costituiscono un peso diventano strumenti di virtù.


    (Leone Magno, Tractatus, 90, 3-4)



    3. Dio promette se stesso a chi lo ama


    In effetti, non una qualsiasi cosa ti promette Dio, cioè qualcosa che non sia Dio stesso. Insomma, Dio non potrebbe saziarmi, se non promettendomi Dio stesso.

    Cos`è l`intera terra? Cosa l`intero mare? O l`intero cielo? Cosa sono tutti gli astri? O il sole? Cosa la luna? Cosa le schiere stesse degli angeli? Più di tutti costoro, ho sete del Creatore: di lui stesso ho fame, di lui ho sete a lui dico: "Poiché presso di te è la fonte della vita" (Sal 35,10). E` lui che mi dice: "Io sono il pane disceso dal cielo" (Gv 6,41).

    Brami dunque ed abbia sete il mio peregrinare, perch‚ si sazi la mia presenza. Il mondo gioisce di molte cose, belle, forti, varie: più bello è però colui che le ha fatte; più forte e luminoso è colui che le ha fatte; più soave è colui che le ha fatte. "Mi sazierò, quando si manifesterà la tua gloria" (Sal 16,15). Se perciò è in voi quella fede che opera per mezzo dell`amore, già vi annoverate tra i predestinati, tra i chiamati, tra i giustificati: quindi cresca in voi. La fede infatti che opera per mezzo dell`amore, non può sussistere senza la speranza. Ma quando saremo arrivati, allora sarà ancora con te la fede? Ci sarà forse detto: Credi? No, assolutamente. Allora, lo vedremo, lo contempleremo.


    (Agostino, Sermo 158, 7)

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    00 25/10/2011 08:35

    XXXI DOMENICA


    Letture: Malachia 1,14b; 2,2b.8-10

    1 Tessalonicesi 2,7b-9.13

    Matteo 23,1-12


    1. L`essenziale della Legge


    In effetti, la tradizione dei loro anziani, che essi ostentavano di osservare al pari di una legge, era contraria alla Legge di Mosè. Motivo per cui Isaia dice: "I tuoi tavernieri mescolano il vino con l`acqua" (Is 1,2) per mostrare che all`austero precetto di Dio gli anziani mescolano una tradizione acquosa, cioè aggiungono una legge adulterata e contraria alla Legge. E` quanto il Signore ha chiaramente evidenziato, dicendo loro: "Perché trasgredite i comandamenti di Dio per la vostra tradizione?" (Mt 15,3). Non contenti di violare la Legge di Dio con la loro trasgressione mescolando il vino con l`acqua, hanno contrapposto ad essa la loro legge, che a tutt`oggi vien detta legge farisaica. Vi sopprimono alcune cose, ne aggiungono delle altre, ne interpretano altre ancora a loro modo: così ne usano in particolare i loro dottori. Volendo difendere queste tradizioni, non si sono sottomessi alla Legge di Dio che li orientava verso la venuta di Cristo, e sono arrivati persino a rimproverare al Signore di operare guarigioni in giorno di sabato, il che, come abbiamo già detto, la Legge non vietava, dal momento che anch`essa guariva in certo modo, facendo circoncidere l`uomo in quel giorno; tuttavia non riproveravano nulla a s‚ stessi, quando, per la loro tradizione e per la legge farisaica anzidetta, trasgredivano il comandamento di Dio e non possedevano l`essenziale della Legge, cioè l`amore verso Dio.

    Quell`amore è in effetti il primo e più grande comandamento, e il secondo è l`amore verso il prossimo: lo ha insegnato il Signore, dicendo che tutta la Legge e i profeti si ricollegano a questi comandamenti (cf. Mt 22,37-40). E lui stesso non ha portato altro comandamento più grande di questo, ma ha rinnovato quello stesso comandamento ingiungendo ai suoi discepoli di amare Dio con tutto il cuore e il loro prossimo come sé stessi. Se fosse disceso da un altro Padre, mai egli avrebbe fatto uso del primo e più grande comandamento della Legge: si sarebbe sforzato in tutte le maniere di apportarne uno più grande secondo un Padre perfetto e a non fare uso di quello che aveva dato l`Autore della Legge. Perciò, Paolo dice che la carità è il compimento della Legge (cf. Rm 13,10); essendo abolito tutto il resto, restano solo la fede, la speranza e la carità, ma la più grande di tutte è la carità (cf. 1Cor 13,13); senza la carità verso Dio, né la conoscenza ha alcuna utilità, né la comprensione dei misteri, né la fede, né la profezia, ma tutto è vano e superfluo senza la carità (cf. 1Cor 13,2); la carità rende l`uomo perfetto, e colui che ama è perfetto, nel secolo presente e in quello futuro: infatti mai cesseremo di amare Dio, ma, più lo contempleremo, più lo ameremo.

    Così dunque, visto che nella Legge come nel Vangelo il primo e più grande comandamento è lo stesso, cioè amare il Signore Dio con tutto il cuore, e il secondo del pari, cioè amare il prossimo come se stessi, è acquisita la prova che vi è un solo e medesimo Legislatore. I comandamenti essenziali della vita, per il fatto che sono gli stessi in un verso e nell`altro, manifestano effettivamente lo stesso Signore: infatti, se ha impartito comandi particolari adatti all`una o all`altra alleanza, per quanto attiene a comandamenti universali e più importanti, senza i quali non vi può essere salvezza, sono gli stessi da lui proposti da una parte e dall`altra.

    Chi non avrebbe confuso il Signore, quando affermava, insegnando alla folla e ai discepoli, nei termini seguenti, che la Legge non veniva da un altro Dio: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei: osservate dunque e fate tutto ciò che essi vi dicono, ma non fate secondo le loro opere, perchè dicono e non fanno; legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle degli uomini, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito (Mt 23,2-1)? Egli non condannava perciò la legge di Mosè, dal momento che li invitava ad osservarla fintanto che sussistesse Gerusalemme: ma erano essi che egli biasimava, perchè, pur proclamando le parole della Legge, erano vuoti d`amore e, per questo, violatori della Legge rispetto a Dio e al prossimo. Come dice Isaia: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me, è invano che mi rendono culto, mentre insegnano dottrine e comandamenti di uomini" (Is 29,13). Non è la Legge di Mosè che egli chiama «comandamenti di uomini», bensì le tradizioni dei loro anziani, inventate di sana pianta, per difendere i quali essi rigettavano la Legge di Dio e, come conseguenza non si sottomettevano neppure al suo Verbo. E` quanto Paolo sottolinea a loro proposito: "Ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio: infatti, il termine della Legge è Cristo, per la giustificazione di ogni credente" (Rm 10,3-1). Come Cristo sarebbe il termine della Legge, se non ne fosse stato anche il principio? Infatti, colui che ha portato a termine è anche colui che ha realizzato il principio. E` lui che diceva a Mosè: "Ho visto l`afflizione del mio popolo in Egitto, e sono disceso per liberarlo" (Es 3,7-8). Fin dal principio, infatti, era solito salire e scendere per la salvezza degli afflitti.


    (Ireneo di Lione, Adv. Haer. IV, 12, 1-4)



    2. La suprema sventura


    Guai a noi, sventurati, se abbiamo ereditato i vizi dei farisei!


    (Girolamo, In Matth. IV, 23, 5-7)



    3. Necessità delle opere


    E poiché sono pochi quelli che trovano la via stretta, egli espone l`inganno di quelli che fanno finta di cercarla: "Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore" (Mt 7,15), ecc. Bisogna notare che le parole adulatrici e la finta dolcezza devono essere giudicate dai frutti delle azioni, di modo che non ci aspettiamo da qualcuno che sia così come si dipinge a parole, ma come si comporta a fatti, perch‚ molti uomini hanno la rabbia del lupo nascosta sotto una veste di pecora. Così, siccome le spine non producono uva e i rovi non [ producono ] fichi, siccome gli alberi cattivi non portano frutti mangerecci,egli ci insegna che presso tali uomini non c`è più posto per la realizzazione di un`opera buona e che, perciò, è dai suoi frutti che bisogna riconoscere ciascuno. Non si ottiene, infatti, il regno dei cieli soltanto a forza di parole, e non sarà chi avrà detto "Signore, Signore" (Mt 7,21) ad aver parte con lui. Che merito c`è, infatti, nel dire al Signore: "Signore?" Forse che non ci sarà il Signore, se noi non lo nominiamo? Quale dovere sacro c`è nel chiamare un nome, dal momento che è piuttosto l`obbedienza alla volontà di Dio, e non il fatto di chiamare il suo nome, che farà trovare la via del regno dei cieli?

    "Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome?" (Mt 7,22), ecc. Egli condanna ora l`inganno degli pseudoprofeti e le simulazioni degli ipocriti, che trovano nella potenza della parola di che attribuirsi una gloria nella profezia della dottrina, nel cacciare i demoni e in siffatte azioni miracolose, e da ciò promettono a sè stessi il regno dei cieli - come se veramente ciò che dicono e ciò che fanno fosse proprio di loro e non fosse invece la virtù di Dio quando è invocata, a compiere tutto -, mentre è la lettura che dà la scienza della dottrina ed è il nome di Cristo che provoca la cacciata dei demoni; dobbiamo dunque meritare a nostre spese questa eternità beata, e intraprendere qualcosa da noi stessi per volere il bene, evitare ogni male, obbedire di tutto cuore ai precetti celesti e adempiere tutti questi doveri per essere conosciuti da Dio e far ciò che egli desidera, piuttosto che gloriarci di ciò che sta in suo potere, lui che respinge e scarta coloro che per le opere inique non hanno potuto conoscerlo.


    (Ilario di Poitiers, In Matth. 6, 4-5)

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    00 04/11/2011 09:10
    XXXII DOMENICA

    Letture: Sapienza 6,12-16
    1 Tessalonicesi 4,13-18
    Matteo 25,1-13

    1. Le dieci vergini

    "Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini" (Mt 25,1), e il seguito. E` dopo le affermazioni precedenti che si può comprendere anche la ragion d`essere di questo brano. Esso si riferisce interamente al gran giorno del Signore, in cui i segreti dei pensieri degli uomini saranno rivelati (cf. 1Cor 3,13) dall`indagine del giudizio divino e in cui la fede verace nel Dio che si attende avrà la soddisfazione di una speranza non incerta. Infatti, nella contrapposizione delle cinque sagge e delle cinque stolte, è definita in maniera lampante la divisione di credenti e increduli, a esempio della quale Mosè aveva ricevuto i dieci comandamenti consegnati su due tavole (cf. Es 32,15). Difatti, era necessario che essi fossero consegnati interamente su due tavole, e la doppia pagina, spartendo tra la destra e la sinistra ciò che era proprio di esse, contrassegnava la divisione dei buoni e dei cattivi, sebbene essi fossero riuniti sotto uno stesso testamento.
    Lo sposo e la sposa sono Dio nostro Signore in un corpo, poiché la carne è per lo Spirito una sposa, come lo Spirito è uno sposo per la carne. Quando, alla fine, la tromba suona la sveglia, si va incontro allo sposo soltanto, perché i due erano ormai uno, per il fatto che l`umiltà della carne aveva attinto una gloria spirituale. Ma dopo una prima tappa, noi, adempiendo i doveri di questa vita, ci prepariamo ad andare incontro alla risurrezione dai morti. Le lampade sono la luce delle anime risplendenti che il sacramento del Battesimo ha fatto brillare. L`olio (cf.Mt 25,3) è il frutto delle opere buone. I piccoli vasi (cf. Mt 25,4) sono i corpi umani, nelle cui viscere dev`essere riposto il tesoro di una coscienza retta. I venditori (cf. Mt 25,9) sono coloro che, avendo bisogno della pietà dei credenti, danno in cambio la mercanzia che è loro richiesta, cioè che stanchi della loro miseria, ci vendono la coscienza di una buona azione. E` essa che alimenta a profusione una luce inestinguibile e che occorre comprare e riporre mediante i frutti della misericordia. Le nozze (cf. Mt 25,10) sono l`assunzione dell`immortalità e l`unione della corruzione e dell`incorruttibilità secondo un`alleanza inaudita. Il ritardo dello sposo (cf. Mt 25,5) è il tempo della penitenza. Il sonno di quelle che attendono è il riposo dei credenti e la morte temporale di tutto il mondo al tempo della penitenza. Il grido in mezzo alla notte (cf. Mt 25,6) è, in mezzo all`ignoranza generale, il suono della tromba che precede la venuta del Signore (cf. 1Ts 4,16) e che sveglia tutti perché si esca incontro allo sposo. Le lampade che vengono prese (cf. Mt 25,7) sono il ritorno delle anime nei corpi e la loro luce è la coscienza risplendente di una buona azione, coscienza che è racchiusa nei piccoli vasi dei corpi.
    Le vergini sagge sono le anime che, cogliendo il momento favorevole in cui sono nei corpi per fare delle opere buone, si sono preparate per presentarsi per prime alla venuta del Signore. Le stolte sono le anime che, rilassate e negligenti, si sono curate solo delle cose presenti e, dimentiche delle promesse di Dio, non sono arrivate fino alla speranza della risurrezione. E poiché le vergini stolte non possono andare incontro con le loro lampade spente, domandano in prestito alle sagge dell`olio (cf. Mt 25,8). Ma quelle risposero che non potevano darne loro, perché forse non ce ne sarebbe stato abbastanza per tutte (cf. Mt 25,9), il che vuol dire che nessuno deve appoggiarsi sulle opere e sui meriti altrui, perché è necessario che ognuno compri olio per la propria lampada. Le sagge le invitano a tornare indietro a comprarne, qualora obbedendo sia pure in ritardo alle prescrizioni di Dio, esse si rendano degne d`incontrare lo sposo con le loro lampade accese. Ma mentre esse indugiavano, entrò lo sposo e, insieme a lui, le sagge velate e munite della loro lampada tutta pronta entrano alle nozze (cf. Mt 25,10), cioè penetrano nella gloria celeste appena giunto il Signore nel suo splendore. E poiché non hanno piú tempo per pentirsi, le stolte accorrono, chiedono che si apra loro la porta (cf. Mt 25,11). Al che lo sposo risponde loro: "Non vi conosco" (Mt 25,12). Esse, infatti, non erano state là per compiere il loro dovere verso colui che arrivava, non si erano presentate all`appello del suono della tromba, non si erano aggiunte al corteo di quelle che entravano, ma, per il loro ritardo e il loro comportamento indegno, avevano lasciato passare l`ora di entrare alle nozze.

    (Ilario di Poitiers, In Matth. 27, 3-5)


    2. Vigilanza nella preghiera

    E tu dunque, o anima, una del popolo, una della folla.... certamente una delle vergini, tu che illumini la grazia del corpo con lo splendore interiore..., tu, dico, nel tuo letto, anche di notte apparecchiata, medita sempre Cristo e la sua venuta sia in ogni momento desiderata.
    Se ti sembra che tardi, levati. Sembra tardare quando dormi a lungo; sembra tardare quando non sei intenta alla preghiera; sembra tardare quando non fai sentire la tua voce che salmeggia. Avendo dedicato a Cristo le primizie delle tue veglie, sacrifica a Cristo le primizie delle tue azioni... Chiedi dunque che lo Spirito Santo ti ispiri, che soffi sopra il tuo letto e accresca il profumo della pia mente e della grazia spirituale. Ti risponderà: "Io dormo, ma il mio cuore veglia" (Ct 5,2)...
    Aperta cosí la porta, [Cristo] entra; infatti non può mancare lui che ha promesso di entrare. Abbraccia dunque colui che hai cercato, accostati a lui, e sarai illuminata: trattienilo, pregalo di non andarsene presto, supplicalo di non lasciarti; poiché il Verbo di Dio corre, non lo si prende con la superbia, non lo si trattiene con la negligenza. La tua anima vada incontro alla sua parola, e segui le orme dei celesti detti; infatti passa presto.
    Cosa dice infine quella? "L`ho cercato, ma non l`ho trovato; l`ho chiamato, ma non mi ha dato ascolto" (Ct 5,6). Non pensare a dispiacerti, tu che hai chiamato, pregato, aperto, per il fatto che se n`è andato cosí presto, spesso egli lascia che noi siamo tentati. Cosa risponde infine nel Vangelo alle folle che lo pregano di non allontanarsi? "Bisogna che io annunzi la parola di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato" (Lc 4,43). Ma anche se ti sembra che egli se ne sia andato, esci fuori, indaga di nuovo (cf.Ct 5,7)...
    Chi dunque se non la santa Chiesa deve insegnarti come possedere Cristo? Anzi già lo ha spiegato, se comprendi ciò che leggi: "Da poco", dice, "le avevo oltrepassate" [le guardie], "quando trovai l`amato del mio cuore: lo strinsi, e non lo lascerò" (Ct 3,4). Da quali cose dunque Cristo è trattenuto? Non dai lacci dell`ingiustizia, non dai nodi delle funi; ma dai vincoli della carità, è stretto dai lacci del cuore ed è trattenuto dall`affetto dell`anima. Se vuoi trattenere Cristo anche tu, cerca incessantemente, non aver paura della sofferenza; spesso infatti Cristo lo si trova meglio in mezzo ai dolori del corpo, in mezzo alle stesse mani dei persecutori. "Da poco", dice, "le avevo oltrepassate". Quando infatti nel breve spazio di un momento sei sfuggita alle mani dei persecutori e non hai ceduto al dominio del mondo, Cristo ti si farà incontro e non permetterà che tu sia tentata oltre.
    Colei che cosí cerca Cristo e cosí lo trova, può dire: "Lo strinsi, e non lo lascerò; finché non l`abbia condotto in casa di mia madre, nella stanza della mia genitrice (ibid.)". Qual è la casa di tua madre e la stanza di lei, se non l`intimo tuo? Custodisci questa casa, dopo averne nettato l`interno; affinché essendo pura e immune dalle macchie di una coscienza adulterina, tale spirituale dimora si levi verso il sacerdozio santo sul saldo fondamento della pietra angolare, e lo Spirito Santo abiti in essa. Colei che cosí cerca Cristo e cosí lo prega, non sarà abbandonata da lui, che anzi di frequente tornerà a farle visita; infatti egli è con noi fino alla fine del mondo (cf. Mt 28,20).

    (Ambrogio, De virginit. 12, 68 s.74 s.; 13, 77 s.)


    3. Parabola delle dieci vergini (Mt 25,1-13)

    Io non sono divenuto saggio in due punti,
    Come lo erano divenute le cinque vergini sagge;
    Il bene facile con il difficile
    Io non l`ho acquistato.

    Ma son divenuto l`ultimo degli insensati
    Non conservando l`olio per la lampada:
    La misericordia con la verginità,
    O meglio ancora, l`Unzione della Fontana sacra,

    Che, nella notte finale ove non si può piú lavorare,
    Non mi son piú vendute a prezzo di denaro;
    Ecco perché le porte della Sala di Nozze, del pari
    Restan chiuse per me, neghittoso.

    Ma quaggiú, finché in un corpo io resto,
    Tu, mio Sposo, ascolta l`anima mia sposa;
    Invece di quell`ultimo clamore,
    Fin d`ora grido con voce supplichevole:

    «Aprimi la tua porta celeste
    Introducimi nella camera nuziale di lassú,
    Rendimi degno del tuo bacio santo,
    Dell`abbraccio tuo puro e immacolato.

    Che io possa non udir la voce
    Che risponda di non riconoscermi,
    Ma la fiaccola spenta riaccenda
    Del mio spirito, a me cieco, grazie alla tua luce!».

    (Nerses Snorhalí, Jesus, 688-693)
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    00 07/11/2011 08:17

    XXXIII DOMENICA


    Letture: Proverbi 31,10-13.19-20.30-31

    1 Tessalonicesi 5,1-6

    Matteo 25,14-30


    1. La simbologia dei talenti


    Sarà infatti come d`un uomo il quale, stando per fare un lungo viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, all`altro due, e a un altro uno solo: a ciascuno secondo la sua capacità" (Mt 25,14-15). Non v`è dubbio che quest`uomo, questo padrone di casa, è Cristo stesso, il quale, mentre s`appresta vittorioso ad ascendere al Padre dopo la Risurrezione, chiamati a sé gli apostoli, affida loro la dottrina evangelica, dando a uno piú e a un altro meno, non perché vuol essere con uno piú generoso e con l`altro piú parco, ma perché tiene conto delle forze di ciascuno (l`Apostolo dice qualcosa di simile quando afferma di aver nutrito col latte coloro che non erano ancora in grado di nutrirsi con cibi solidi) (cf. 1Cor 3,2). Infatti poi con uguale gioia ha accolto colui che di cinque talenti, trafficandoli, ne ha fatto dieci e colui che di due ne ha fatto quattro, considerando non l`entità del guadagno, ma la volontà di ben fare. Nei cinque, come nei due e nell`unico talento, scorgiamo le diverse grazie che a ciascuno vengono date. Oppure si può vedere, nel primo che ne riceve cinque, i cinque sensi, nel secondo che ne ha due, l`intelligenza e le opere, e nel terzo che ne ha uno solo, la ragione, che distingue gli uomini dalle bestie.

    "Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti, se ne andò a negoziarli e ne guadagnò altri cinque" (Mt 25,16). Ricevuti cioè i cinque sensi terreni, li raddoppiò acquisendo per mezzo delle cose create la conoscenza delle cose celesti, la conoscenza del Creatore: risalendo dalle cose corporee a quelle spirituali, dalle visibili alle invisibili, dalle contingenti alle eterne.

    "Come pure quello che aveva ricevuto due talenti ne guadagnò altri due (Mt 25,17). Anche costui, le verità che con le sue forze aveva appreso dalla Legge le raddoppiò nella conoscenza del Vangelo. O si può intendere che, attraverso la scienza e le opere della vita terrena, comprese le caratteristiche ideali della futura beatitudine.

    "Ma colui che ne aveva ricevuto uno solo, andò a scavare una buca nella terra e vi nascose il denaro del suo padrone" (Mt 25,18). Il servo malvagio, dominato dalle opere terrene e dai piaceri del mondo, trascurò e macchiò i precetti di Dio. Un altro evangelista dice che questo servo tenne la sua moneta legata in una pezzuola (cf. Lc 19,20), cioè, vivendo nella mollezza e nelle delizie, rese inefficiente l`insegnamento del padrone di casa.

    "Ora, dopo molto tempo, ritornò il padrone di quei servi e li chiamò a render conto. Venuto dunque colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque dicendo: «Signore, tu mi desti cinque talenti; ecco, io ne ho guadagnati altri cinque»" (Mt 25,19-20). Molto tempo c`è tra l`Ascensione del Salvatore e la sua seconda venuta. Ora, se gli apostoli stessi dovranno render conto e risorgeranno col timore del giudizio, che dobbiamo mai far noi?

    "E il padrone gli disse «Bene, servo buono e fedele; sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto: entra nella gioia del tuo Signore». Si presentò poi l`altro che aveva ricevuto due talenti e disse: «Signore, tu mi desti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due». Il suo padrone gli disse: «Bene, servo buono e fedele; sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto: entra nella gioia del tuo Signore» (Mt 25,21-23) . Ambedue i servi, e quello che di cinque talenti ne ha fatto dieci e quello che di due ne ha fatto quattro, ricevono identiche lodi dal padrone di casa. E dobbiamo rilevare che tutto quanto possediamo in questa vita, anche se può sembrare grande e abbondante, è sempre poco e piccolo a confronto dei beni futuri. «Entra - dice il padrone - nella gioia del tuo Signore»: cioè ricevi quel che occhio mai vide, né orecchio mai udí, né mai cuore d`uomo ha potuto gustare (cf.1Cor 2,9). Che cosa mai di piú grande può essere donato al servo fedele, se non di vivere insieme col proprio signore e contemplare la gioia di lui?

    "Presentatosi infine quello che aveva ricevuto un solo talento, disse: «Signore, so che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; ecco, prendi quello che ti appartiene» (Mt 25,24-25). Quanto sta scritto nel salmo: A cercare scuse per i peccati (cf. Sal 141,4), si applica anche a questo servo, il quale alla pigrizia e negligenza, ha aggiunto anche la colpa della superbia. Egli che non avrebbe dovuto fare altro che confessare la sua infingardaggine e supplicare il padrone di casa, al contrario lo calunnia, e sostiene di aver agito con prudenza non avendo cercato alcun guadagno per timore di perdere il capitale.

    "Il suo padrone gli rispose: «Servo malvagio e infingardo, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e che raccolgo dove non ho sparso; potevi dunque mettere il mio denaro in mano ai banchieri, e al ritorno io avrei ritirato il mio con l`interesse. Toglietegli perciò il talento e datelo a colui che ne ha dieci» (Mt 25,26-28). Quanto credeva di aver detto in sua difesa, si muta invece in condanna. E il servo è chiamato malvagio, perché ha calunniato il padrone; è detto pigro, perché non ha voluto raddoppiare il talento: perciò è condannato prima come superbo e poi come negligente. Se - dice in sostanza il Signore - sapevi che io son duro e crudele e che desidero le cose altrui, tanto che mieto dove non ho seminato, perché questo pensiero non ti ha istillato timore tanto da farti capire che io ti avrei richiesto puntualmente ciò che era mio, e da spingerti a dare ai banchieri il denaro e l`argento che ti avevo affidato? L`una e l`altra cosa significa infatti la parola greca arghyrion. Sta scritto: "La parola del Signore è parola pura, argento affinato nel fuoco, temprato nella terra, purificato sette volte" (Sal 12,7). Il denaro e l`argento sono la predicazione del Vangelo e la parola divina, che deve essere data ai banchieri e agli usurai, cioè o agli altri dottori (come fecero gli apostoli, ordinando in ogni provincia presbiteri e vescovi), oppure a tutti i credenti, che possono raddoppiarla e restituirla con l`interesse, in quanto compiono con le opere ciò che hanno appreso dalla parola. A questo servo viene pertanto tolto il talento e viene dato a quello che ne ha fatto dieci affinché comprendiamo che - sebbene uguale sia la gioia dei Signore per la fatica di ciascuno dei due, cioè di quello che ha raddoppiato i cinque talenti e di quello che ne ha raddoppiato due - maggiore è il premio che si deve a colui che piú ha trafficato col denaro del padrone. Per questo l`Apostolo dice: "Onora i presbiteri, quelli che sono veramente presbiteri, e soprattutto coloro che s`affaticano nella parola di Dio (1Tm 5,17). E da quanto osa dire il servo malvagio: «Mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso», comprendiamo che il Signore accetta anche la vita onesta dei pagani e dei filosofi, e che in un modo accoglie coloro che hanno agito giustamente e in un altro coloro che hanno agito ingiustamente, e che infine, paragonandoli con quelli che hanno seguito la legge naturale, vengono condannati coloro che violano la legge scritta.

    "Poiché a chi ha, sarà dato e sarà nell`abbondanza, ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che crede di avere" (Mt 25,29). Molti, pur essendo per natura sapienti e avendo un ingegno acuto, se però sono stati negligenti e con la pigrizia hanno corrotto la loro naturale ricchezza, a confronto di chi invece è un poco piú tardo, ma con il lavoro e l`industria ha compensato i minori doni che ha ricevuto, perderanno i loro beni di natura e vedranno che il premio loro promesso sarà dato agli altri. Possiamo capire queste parole anche cosí: chi ha fede ed è animato da buona volontà nel Signore, riceverà dal giusto Giudice, anche se per la sua fragilità umana avrà accumulato minor numero di opere buone. Chi invece non avrà avuto fede, perderà anche le altre virtù che credeva di possedere per natura. Efficacemente dice che a costui «sarà tolto anche quello che crede di avere». Infatti, anche tutto ciò che non appartiene alla fede in Cristo, non deve essere attribuito a chi male ne ha usato, ma a colui che ha dato anche al cattivo servo i beni naturali.

    "E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre, dove sarà pianto e stridor di denti" (Mt 25,30). Il Signore è la luce; chi è gettato fuori, lontano da lui, manca della vera luce.


    (Girolamo, In Matth. IV, 22, 14-30)



    2. Parabola dei talenti


    Son stato simile al cattivo servo

    Che nulla ha tratto dai talenti confidatigli;

    Anzi l`ho persino superato,

    Perché ho perduto il dono della grazia.


    Non ho fatto raddoppiare il tuo talento,

    Né quadruplicare i due, né decuplicare i cinque,

    Per cui regno completamente

    Sulle dieci cittadelle del sensibile.


    Ma ho sotterrato l`unico (talento),

    Nel velame dei vizi ravvolgendolo;

    Non ho posto il tuo denaro in banca,

    Per darti modo di averne l`interesse,


    (Non ho portato) cioè la parola del Comandamento

    Alle orecchie dell`essere pensante,

    Che son la banca spirituale

    Della sapienza del Pane di Vita.


    Ecco perché io mi spetto

    D`esser punito e gettato nelle tenebre,

    Finché Tu venga a richiedere il talento,

    Che m`hai concesso alla Fontana sacra.


    Ma a Te, Salvatore della mia anima,

    Piangendo, voglio rivolgere queste parole:

    «Poiché m`è dato ancor di fare il bene,

    Dammi la grazia di piacerTi per suo mezzo».


    Ascolterò cosí la (sentenza) gioiosa

    Come il servo fedele:

    «Entra nella casa celeste

    Nella gioia del tuo Signore!».


    (Nerses Snorhalí, Jesus, 694-700)

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    00 14/11/2011 09:21

    XXXIV DOMENICA: SOLENNITA` DI CRISTO RE


    Letture: Ezechiele 34,11-12.15-17

    1 Corinti 15,20-26a.28

    Matteo 25,31-46


    1. Nell`amore dei poveri costruiamo il nostro eterno futuro


    "Io ho avuto fame, ho avuto sete, ero forestiero e nudo, e infermo e carcerato" (Mt 25,35). "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi (miei fratelli), l`avete fatto a me" (v. 40). Per cui, "venite", dice, "benedetti del Padre mio" (v. 34). Che cosa impariamo da queste cose? Che la benedizione e il più grande bene sono riposti nello zelo e nell`osservanza dei precetti; la maledizione e il massimo dei mali derivano dall`accidia e dal disprezzo dei comandamenti. Abbracciamo allora la prima e fuggiamo questa seconda, finché ci è possibile, affinché delle due noi possiamo avere quella che desideriamo. Infatti, in quello a cui con grande alacrità d`animo ci saremo inclinati, noi saremo stabiliti. Per la qual cosa, il Signore della benedizione, che parimenti accetterà da noi ciò che per sollecitudine e per dovere avremo fatto nei confronti dei poveri, come fatto a lui, rendiamocelo benevolo e costringiamolo almeno in questo tempo in cui a noi, mentre viviamo, è data la grande possibilità di osservare il comandamento; e sono molti che mancano del necessario, molti che sono carenti nello stesso corpo, logorati e consumati dalla stessa violenza del male. Cosicché, noi in questa cosa, cioè, per dirla più ampiamente, poniamo più cura e diligenza nel curare coloro che sono colpiti da gravissimo morbo, per conseguire quel magnifico premio promesso... (Cosa dirò forse degli angeli) quando lo stesso Signore degli angeli, lo stesso re della celeste beatitudine si è fatto uomo per te, e queste sordide e abiette spoglie della carne cinse a sé, unitamente all`anima che di esse era rivestita, affinché col suo contatto egli curasse le tue infermità? Tu invece, che sei della stessa natura di chi è ammalato, fuggi uomini di quel genere. Non ti piaccia, fratello, te ne prego, far tuo il cattivo proposito. Considera chi sei, e di chi ti interessi: uomo (sei) soprattutto, tra gli uomini, che nulla hai di proprio in te e nulla di estraneo alla natura comune. Non compromettere le cose future. Mentre infatti condanni la passione grande nel corpo altrui, pronunci una incerta sentenza di tutta la natura. Di quella natura, poi, anche tu sei partecipe, come tutti gli altri. Per la quale cosa, si decida come di cosa comune...

    Che cosa dobbiamo fare, perchè non sembri che noi pecchiamo contro la legge di natura? E` sufficiente che deploriamo le loro passioni e che con la preghiera togliamo via la malattia e ci commuoviamo al suo stesso ricordo? O non si richiede che, con dei fatti mostriamo verso di essi la misericordia e la benevolenza? E` proprio così. Infatti, il rapporto che sussiste tra le cose vere e le pitture appena abbozzate, è quello che c`è tra le parole separate dalle opere. Dice infatti il Signore che la salvezza non sta nelle parole, ma nel compiere le opere della salvezza. Per cui, quello che c`è comandato per causa di essi, occorre che noi lo facciamo per lui... "Via, lontano da me, nel fuoco eterno: perch‚ ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei miei fratelli, non l`avete fatto a me" (Mt 25,41.45).

    Se infatti pensassero di conseguire tali cose in quel modo, non arriverebbero mai a subire quella sentenza, allontanando da sé coloro che soffrono, né stimerebbero contagio per la nostra vita l`impegno per gli sventurati. Per cui, se consideriamo che colui che promise è fedele, ottemperiamo ai suoi comandi, senza dei quali non possiamo essere degni delle sue promesse. Il forestiero, il nudo, l`affamato, il malato, il carcerato, e tutto quello che ricorda il Vangelo, in questo misero ti viene posto dinanzi. Egli va errabondo e nudo e infermo, e a causa della povertà che consegue alla malattia, manca del necessario. Chi infatti non ha a casa di che sostentarsi, né d`altronde può guadagnare col lavoro, questi manca delle cose che le necessità della vita esigono. Per tale motivo, quindi, è schiavo perchè legato dai vincoli della malattia. Pertanto, in ciò avrai adempiuto l`essenziale di tutti i comandamenti, e lo stesso Signore di tutte le cose, per quello che gli avrai prestato con benignità, avrai legato e obbligato a te (cf.Pr 19,17). Perché dunque fai assegnamento su ciò che è la rovina della tua vita? Colui, infatti, che non vuole avere amico il Signore di tutte le cose, è a se stesso grandemente nemico. A quel modo, infatti, che viene realizzata l`osservanza dei comandamenti, viene liberato dalla crudeltà (del supplizio eterno) "Prendete" (dice) "il mio giogo su di voi" (Mt 11,29). Chiama giogo l`osservanza dei comandamenti, obbediamo a colui che comanda.

    Facciamoci giumento di Cristo, rivestendo i vincoli della carità. Non rifiutiamo questo giogo, non scuotiamolo, esso è soave e lieve. A chi si sottomette, non opprime il collo, ma lo accarezza. "Seminiamo in benedizione", dice l`Apostolo, "perchè possiamo anche mietere nelle benedizioni" (2Cor 9,6). Da un tale seme germinerà una spiga dai molti grani. Ampia è la messe dei comandamenti, sublimi sono le stirpi della benedizione. Vuoi capire a quale aitezza si libra il rigoglio di tale progenie? Esse toccano gli stessi vertici del cielo. Tutto ciò che infatti in esse avrai portato, lo troverai al sicuro nei tesori del cielo. Non diffidare delle cose dette, non ritenere che sia da disprezzare la loro amicizia. Le loro mani certamente sono mutilate, ma non inidonee a recare aiuto. I piedi sono divenuti inutili, ma non vietano di correre a Dio. Vien meno la luce degli occhi, ma con l`anima scelgono quei beni che l`acutezza della vista non può fissare... Non c`è infatti chi non sappia, chi non consideri eccellente il premio prima nascosto che viene conferito umanamente e benignamente nelle altrui sventure. Poiché infatti le umane cose signoreggia l`una e medesima natura. E a nessuno è data certezza che a lui in perpetuo le cose saranno prospere e favorevoli. In tutta la vita, occorre ricordare quel precetto evangelico secondo il quale quanto vogliamo che gli uomini facciano a noi, noi lo facciamo loro. Perciò, finché puoi navigare tranquillamente, stendi la mano a colui che ha fatto naufragio; comune è il mare, comune la tempesta, comune il perturbamento dei flutti gli scogli che si nascondono sotto le onde, le sirti, gli inciampi, e tutte infine quelle molestie che alla navigazione di questa vita incutono un uguale timore a tutti i naviganti.

    Mentre sei integro, mentre con sicurezza attraversi il mare di questa vita, non trascurare inumanamente colui la cui nave andò a urtare. Chi può garantire, qui, che avrai sempre una felice navigazione? Non sei ancora pervenuto al porto della quiete (cf Sal 106,19). Non sei ancora stabilito fuori dal pericolo dei flutti. La vita non ti ha ancora collocato in luogo sicuro. Nel mare della vita sei ancora esposto alla tempesta. Quale ti mostrerai verso il naufrago, tali verso di te troverai coloro che insieme navigano.


    (Gregorio di Nissa, Oratio II: De pauper. amandis)



    2. L`amore a Cristo nei poveri


    Niente infatti ha l`uomo di così divino, quanto il meritare bene dagli altri: sebbene quello (Dio) conferisca maggiori benefici, e questo (l`uomo) minori, l`uno e l`altro, io credo, in ragione delle proprie forze. Quegli formò l`uomo, e di nuovo lo raccoglie una volta che si sia dissolto: tu non disprezzare il caduto. Egli ne ha avuto compassione nelle cose di ben altro peso, quando a lui dette, oltre al resto, la Legge, i profeti e ancor prima la legge naturale non scritta, censore delle cose che vengono fatte, riprendendo, ammonendo, castigando; infine, donando se stesso per la redenzione del mondo...

    Colui che naviga, è vicino al naufragio, e lo è tanto di più, quanto più naviga con audacia; e chi coltiva il corpo, è più vicino ai mali del corpo, tanto di più, quanto più cammina altezzoso, e non si accorge di coloro che giacciono davanti a lui. Mentre viaggi col vento favorevole, porgi aiuto a colui che fa naufragio: mentre sei sano e ricco, soccorri chi è ridotto male. Non aspettare di apprendere per diretta esperienza quanto male sia l`inumanità, e quale bene mettere a disposizione dei poveri le proprie sostanze. Non voler far esperienza di Dio che stende la mano contro coloro che alzano il collo, e passano oltre (senza curarsi) dei poveri. Nelle disgrazie altrui impara questo, a chi ha hisogno da` qualcosa: non è poco infatti per chi manca di tutto, anzi neppure allo stesso Dio è impari considerare le rispettive forze. Che tu abbia al posto della più grande dignità la sollecitudine dell`animo: se non hai nulla, versa lacrime. Grande sollievo è la compassione per chi ha l`animo colpito da grande calamità. . .

    O tu ritieni che la benevolenza non sia per te necessaria ma libera? che sia consiglio, anziché norma? Anche questo in sommo grado vorrei e stimerei, ma mi spaventa quella mano sinistra, e i capri, e gli anatemi lanciati da chi li ha collocati lì; non perchè saccheggiarono i templi, o commisero adulterio, o fecero altra cosa di quelle vietate con sanzione, ma perchè non si curarono minimamente di Cristo nei poveri.

    Di conseguenza, se ritenete di dovermi ascoltare in qualcosa, servi di Cristo, e fratelli, e coeredi, visitiamo Cristo, tutto il tempo che ci è possibile, curiamo Cristo, nutriamo Cristo, vestiamo Cristo, riuniamo Cristo, onoriamo Cristo, non solo alla mensa, come qualcuno, né con gli unguenti, come Maria, né soltanto al sepolcro, come Giuseppe d`Arimatea, né con le cose che riguardano la sepoltura, come quel Nicodemo che amava Cristo solo a metà, né infine con l`oro, l`incenso e la mirra come i Magi prima ancora di tutti coloro che abbiamo nominato, ma poiché da tutti il Signore esige la misericordia e non il sacrificio, e la cui misericordia supera le migliaia di pingui agnelli, e questa portiamogli attraverso i poveri prostrati a terra in questo giorno, affinché quando saremo usciti di qui, essi ci ricevano nei tabernacoli eterni nello stesso Cristo Signore nostro, a cui è la gloria nei secoli. Amen.


    (Gregorio di Nazianzo, Oratio XIV de pauper. amore, 27 s., 39 s.)



    3. Quanto avete fatto ad uno dei più piccoli...


    Avevamo una libera intelligenza per capire che in ogni povero era Cristo affamato che veniva nutrito, o dissetato quando ardeva dalla sete, o ricoverato quand`era forestiero, o vestito allorche era nudo, o visitato mentre era malato, o consolato con la nostra parola quand`era in carcere. Ma le parole che seguono: "Quanto avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l`avete fatto a me" (Mt 25,40), non mi sembra siano rivolte genericamente a tutti i poveri, ma a coloro che sono poveri in spirito, a coloro ai quali, indicandoli con la mano, ha detto: "Ecco, mia madre e i miei fratelli sono coloro che fanno la volontà del Padre mio" (Mc 3,34-35; Lc 8,21).


    (Girolamo, In Matth. IV, 22, 40)

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    00 21/12/2011 11:57

    Dal "Commento sul salmo 118" di sant'Ambrogio di Milano

    Accogliamo il Signore che viene a noi

    "Io e il Padre verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Gv 14, 23). Sia aperta a colui che viene la tua porta, apri la tua anima, allarga il seno della tua mente perché il tuo spirito goda le ricchezze della semplicità, i tesori della pace, la soavità della grazia. Dilata il tuo cuore, va' incontro al sole dell'eterna luce "che illumina ogni uomo"(Gv 1, 9).
    Per certo quella luce vera splende a tutti. Ma se uno avrà chiuso le finestre, si priverà da se stesso della luce eterna. Allora, se tu chiudi la porta della tua mente, chiudi fuori anche Cristo. Benché possa entrare, nondimeno non vuole introdursi da importuno, non vuole costringere chi non vuole. Nato dalla Vergine, uscì dal suo grembo irradiando la sua luce sulle cose dell'universo intero, per risplendere a tutti.

    Quelli che lo desiderano ricevono la chiarezza dell'eterno fulgore che nessuna notte riesce ad alterare. A questo sole che vediamo ogni giorno tiene dietro la notte tenebrosa. Ma il sole di giustizia non tramonta mai perché la sua luce di sapienza non viene mai offuscata da alcuna ombra. Beato colui alla cui porta bussa Cristo. La porta è la fede la quale, se è forte, rafforza la casa. E’ questa la porta per la quale entra Cristo. Perciò anche la Chiesa dice nel Cantico dei Cantici: "Un rumore! E’ il mio diletto che bussa" (5, 2).

    Ascolta colui che bussa, ascolta colui che desidera entrare: "Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia; perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne" (5, 2). Rifletti sul tempo nel quale il Dio Verbo bussa più che mai alla tua porta: allorché il suo capo è pieno di rugiada notturna. Infatti egli si degna visitare quelli che si trovano nella tribolazione e nelle tentazioni perché nessuno, vinto per avventura dall'affanno, abbia a soccombere.
    Il suo capo dunque si riempie di rugiada, ovvero di gocce, quando il suo corpo soffre. E’ allora che bisogna vegliare, perché quando lo Sposo verrà non si ritiri, vistosi chiuso fuori. Infatti, se dormi e il tuo cuore non veglia, se ne va prima di bussare ma se il tuo cuore veglia, egli bussa e domanda che gli si apra la porta. Abbiamo dunque la porta della nostra anima, abbiamo anche le porte delle quali è scritto: "Sollevate, porte, i vostri frontali alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria" (Sal 23, 7).

    Se vorrai alzare queste porte della tua fede, entrerà da te il re della gloria, recando il trionfo della sua passione. Anche la giustizia ha le sue porte. Infatti anche di queste leggiamo scritto quanto il Signore Gesù ha detto per mezzo del profeta: "Apritemi le porte della giustizia" (Sal 117, 19). L'anima dunque ha le sue porte, l'anima ha il suo ingresso. Ad esso viene Cristo e bussa, egli bussa alle porte. Aprigli, dunque; egli vuole entrare, vuol trovare la sposa desta.
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