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III DOMENICA DI AVVENTO

Letture: Isaia 35,1-6a.8a.10
Giacomo 5,7-10
Matteo 11,2-11

1. I discepoli di Giovanni

E` evidente ormai a tutti che i discepoli del precursore avevano un certo risentimento nei confronti di Gesù, e che avevano sempre manifestato gelosia nei suoi confronti. Questo loro atteggiamento era già apparso evidente da quanto avevano detto al loro maestro: Colui che era con te di là dal Giordano, cui tu hai reso testimonianza, eccolo che battezza e tutti accorrono a lui (cf.Gv 3,26). In un`altra circostanza vi fu anzi una disputa tra i discepoli di Giovanni e i Giudei a proposito della purificazione, ed i primi si ayvicinarono a Gesù chiedendogli: Perché noi e i Giudei digiuniamo spesso e i tuoi discepoli non digiunano affatto? (cf.Mt 9,14).
Essi infatti non sapevano ancora chi era il Cristo e ritenevano che Gesù fosse un semplice uomo, mentre stimavano moltissimo Giovanni e lo consideravano più che un uomo: pertanto sopportavano amaramente che la fama di Gesù crescesse a discapito di quella del loro maestro, secondo le parole che Giovanni stesso aveva pronunziate. E questa gelosia impediva loro di accostarsi e di credere in Gesù: l`invidia era come un muro che sbarrava loro la via per arrivare al Salvatore. Finché Giovanni era con loro, li esortava e li ammoniva spesso, ma con scarso successo. Quando infine Giovanni si rende conto, in prigione, che la sua morte è vicina, allora compie un supremo sforzo per convincere i suoi discepoli ad abbandonare ogni invidia verso Gesù e a riconoscere in lui il Salvatore. Teme di lasciar loro qualche motivo per una falsa idea e che essi per sempre restino separati da Cristo. In realtà, lo scopo profondo di tutta la sua predicazione, sin dall`inizio, era stato quello di condurre tutti i suoi discepoli al Salvatore. Ma siccome essi non si persuadevano, compie ora che la sua morte è imminente quest`ultimo, più efficace tentativo. Se avesse detto ai suoi discepoli di andare da Gesù perchè‚ era più grande di lui, l`attaccamento che essi avevano per il loro maestro li avrebbe indotti a non obbedire a un tale ordine. Avrebbero considerato il suo invito come una conseguenza della sua umiltà, il che li avrebbe spinti, anziché ad abbandonarlo, a raddoppiare il loro affetto per lui. E neppure avrebbe ottenuto qualcosa di più se avesse taciuto. Che risolve di fare allora? Non gli resta altro che attendere ch`essi personalmente costatino i miracoli che Gesù va compiendo e tornino a riferirglieli. Allora non li esorta e non li invia tutti da Gesù: sceglie i due che ritiene più disposti a credere, in modo che le loro domande non dimostrino prevenzione e sospetto e comprendano, da ciò che vedranno, quale differenza vi è tra lui e il Cristo. Andate - dice ai due discepoli - e chiedete a Gesù: "Sei tu dunque colui che ha da venire, oppure dobbiamo aspettarne un altro?" (Mt 11,3). Cristo, che capisce subito il vero motivo per cui Giovanni gli ha mandato questa ambasciata, non risponde direttamente alla domanda dei due: - Si, sono io, - benchè‚ sarebbe stato logico che facesse così. Egli sa che una simile diretta dichiarazione li avrebbe feriti nella stima che avevano per Giovanni, e preferisce perciò lasciare che i due discepoli riconoscano chi egli è dagli stessi miracoli che compie sotto i loro occhi. Il Vangelo narra infatti che, dopo l`arrivo dei discepoli di Giovanni, Gesù guarì molti malati. Quale altra conseguenza avrebbero potuto trarre i messi di Giovanni da questa sua indiretta risposta alla loro domanda? Il Salvatore si comporta così perché sa benissimo che la testimonianza delle opere è ben più attendibile e meno sospetta di quella delle parole. Insomma, Gesù Cristo, essendo Dio, e ben conoscendo i motivi per cui Giovanni gli aveva invitato i suoi discepoli, guarisce ciechi, zoppi, e altri infermi, non per dimostrare a Giovanni la sua reale natura - perchè‚ avrebbe dovuto manifestarlo a Giovanni che già credeva e gli obbediva? - ma soltanto per ammaestrare i seguaci del precursore che ancora nutrivano dubbi. Per questo, avendo sanato rnolti infermi, disse loro: "Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete; i ciechi recuperano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri si annunzia la buona novella. E beato è colui che non troverà in me occasione di scandalo" (Mt 11,4-6). Con queste parole mostra chiaramente di conoscere i loro segreti pensieri.

(Giovanni Crisostomo, In Matth. 36, 1-2)


2. Elogio del Precursore

Ma ascoltiamo quello che [Gesù] dice di Giovanni, dopo che i discepoli di questo si sono allontanati: "Cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento?" (Mt 11,7). Così dicendo certamente intendeva negare, non affermare. La canna, infatti, alla brezza più lieve si piega in un`altra parte. E cosa s`intende per canna se non un animo carnale, che appena è sfiorato dalla lode o dal biasimo subito si piega da questa o da quella parte? Se infatti dalla bocca degli uomini soffia il vento della lode, si rallegra, si riempie di orgoglio e tutto si strugge in tenerezza. Ma se da dove veniva il vento della lode soffia il vento del biasimo, subito s`inclina dall`altra parte accendendosi d`ira. Giovanni però non era una canna agitata dal vento, poiché‚ non si lasciava blandire dal favore né il biasimo lo irritava, da qualunque parte venisse. La prosperità non lo rendeva orgoglioso e le avversità non potevano prostrarlo. Pertanto, Giovanni non era una canna agitata dal vento, dal momento che nessuna vicissitudine umana riusciva a smuoverlo dalla sua fermezza. Impariamo perciò, fratelli carissimi, a non essere come una canna agitata dal vento, rafforziamo l`animo nostro in mezzo ai soffi delle lingue, e rimanga inflessibile lo stato della mente. Nessun biasimo ci spinga all`ira, nessun favore ci inclini a una sterile debolezza. La prosperità non ci faccia insuperbire, le avversità non ci turbino, di modo che, radicati in una solida fede, non ci lasciamo smuovere dalla mutevolezza delle cose transitorie.
Così continua ad esprimersi [Gesù] riguardo a Giovanni: "Ma che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito di morbide vesti? Ecco, quelli che portano morbide vesti abitano nei palazzi dei re" (Mt 11,8). Infatti descrivono Giovanni vestito con peli di cammello intrecciati. E cos`è questo: "Ecco, quelli che portano morbide vesti abitano nei palazzi dei re", se non un dire apertamente che quanti rifuggono dal soffrire amarezze per amore di Dio e sono dediti soltanto alle cose esteriori, militano non per il regno celeste, ma per quello terreno? Nessuno dunque creda che nel lusso e nella preoccupazione delle vesti non ci sia alcun peccato, poiché se non ci fosse colpa, il Signore non avrebbe affatto lodato Giovanni per l`asprezza delle sue vesti...
E già Salomone aveva detto: "Le parole dei savi sono come pungoli, e come chiodi piantati profondamente" (Qo 12,11). A chiodi e a pungoli sono paragonate le parole dei sapienti, perché esse non sanno accarezzare le colpe dei peccatori, ma bensì le pungono.
"Ma chi siete andati a vedere nel deserto? Un profeta? Sì, vi dico; e più che un profeta" (Mt 11,9). E` infatti compito del profeta predire le cose future, non indicarle. Giovanni è più che un profeta, perché indicò, mostrandolo, colui del quale nel suo ufficio di precursore aveva profetato. Ma poichè‚ [Giovanni] non è una canna agitata dal vento, poiché non è vestito di morbide vesti, poiché‚ il nome di profeta non basta a dire il suo merito, ascoltiamo dunque in che modo possa essere degnamente chiamato. Continua [il Vangelo]: "Egli è colui del quale sta scritto: Ecco io ti mando innanzi il mio angelo, perché prepari la tua via dinanzi a te" (Ml 3,1). Ciò che in greco viene espresso col termine angelo, tradotto, significa messaggero. Giustamente, dunque, viene chiamato angelo colui che è mandato ad annunziare il sommo Giudice: affinchè‚ dimostri nel nome la dignità dell`azione che compie. Il nome è certamente alto, ma la vita non gli è inferiore.

(Gregorio Magno, Hom. 6, 2-5)