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II DOMENICA DI AVVENTO ANNO A

Letture: Isaia 11,1-10
Romani 15,4-9
Matteo 3,1-12


1. La figura del Battista

In quei giorni venne Giovanni a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: "Pentitevi, perché il regno dei cieli è vicino", ecc. In Giovanni bisogna esaminare il luogo, la predicazione, il vestito, il cibo, e ciò per ricordarci che la verità dei fatti non è compromessa, se la ragione di una intelligenza interiore soggiace al compimento dei fatti. Avrebbe potuto esserci, per lui che predicava, un luogo piú opportuno, un vestito piú comodo e un cibo piú appropriato, ma sotto i fatti c`è un esempio nel quale l`atto compiuto è di per sé una preparazione. Giunge infatti nel deserto della Giudea, regione deserta quanto alla presenza di Dio, non del popolo, e vuota quanto all`abitazione dello Spirito Santo, non degli uomini, di modo che il luogo della predicazione attestava l`abbandono di coloro ai quali la predicazione era stata indirizzata. Siccome il regno dei cieli è vicino, egli lancia anche un invito a pentirsi, grazie al quale si torna indietro dall`errore, ci si distoglie dalla colpa e ci si impegna a rinunziare ai vizi dopo averne arrossito, perché egli voleva che la deserta Giudea si ricordasse che doveva ricevere colui nel quale si trova il regno dei cieli, per non essere piú vuota in futuro, a condizione di essersi purificata dai vizi di un tempo mediante la confessione del pentimento. La veste intessuta anche con peli di cammello sta a indicare la fisionomia esotica di questa predicazione profetica: è con spoglie di bestie impure, alle quali siamo pareggiati, che si veste il predicatore di Cristo; e tutto ciò che in noi era stato in precedenza o inutile o sordido è reso santo dall`abito di profeta. Il circondarsi di una cintura è una disposizione efficace per ogni opera buona, nel senso che abbiamo la nostra volontà cinta per ogni forma di servizio a Cristo. Per cibo inoltre egli sceglie delle locuste che fuggono davanti all`uomo e che volano via ogni volta che ci sentono arrivare: siamo noi, quando ci allontaniamo da ogni parola dei profeti e da ogni rapporto con essi lasciandoci analogamente portar via dai salti dei nostri colpi. Con una volontà errante, con opere inefficaci, con parole lamentose, con una dimora da stranieri, noi siamo ora quel che costituisce il nutrimento dei santi e l`appagamento dei profeti, essendo scelti nello stesso tempo del miele selvatico per fornire proveniente da noi, il cibo piú dolce, estratto non dagli alveari della Legge, ma dai nostri tronchi di alberi silvestri.
Predicando dunque in quest`abito, Giovanni chiama i Farisei e i Sadducei che vengono al battesimo "razza di vipere": li esorta a produrre un "frutto degno di penitenza" e a non gloriarsi di "avere Abramo per Padre", perché Dio, da pietre, è capace di suscitare figli ad Abramo. Non è richiesta infatti la discendenza carnale, ma l`eredità della fede. Pertanto il prestigio della discendenza consiste nel carattere esemplare delle azioni e la gloria della razza è conservata dall`imitazione della fede. Il diavolo è senza fede, Abramo ha la fede; l`uno infatti ha dimostrato la sua cattiva fede al tempo della disobbedienza dell`uomo, l`altro invece è stato giudicato mediante la fede. Si acquisiscono dunque i costumi e il genere di vita dell`uno o dell`altro grazie all`affinità di una parentela che fa sí che quanti hanno la fede sono discendenza di Abramo per la fede, e quanti non l`hanno sono mutati in progenie del diavolo per l`incredulità, giacché i Farisei sono chiamati razza di vipere e il gloriarsi di avere un padre santo è loro vietato, giacché da pietre e rocce sorgono figli ad Abramo ed essi sono invitati a produrre frutti degni di penitenza, di modo che coloro che avevano avuto prima per padre il diavolo ridiventino figli d`Abramo per la fede con quelli che sorgeranno dalle pietre. La scure posta alla radice degli alberi testimonia il diritto della potenza che agisce in Cristo, perché essa indica che, abbattendo e bruciando gli alberi sterili, si prepara la rovina dell`inutile incredulità in vista della conflagrazione del giudizio. E col pretesto che l`opera della legge era ormai inutile per la salvezza e che egli si era presentato come messaggero a coloro che dovevano essere battezzati in vista del pentimento il dovere dei profeti, infatti, consisteva nel distogliere dai peccati, mentre era proprio di Cristo salvare i credenti,Giovanni dice che egli battezza in vista del pentimento, ma che verrà uno piú forte, i cui sandali egli non è degno di incaricarsi di portare, lasciando agli apostoli la gloria di portare ovunque la predicazione, poiché ad essi era riservato di annunciare coi loro bei piedi la pace di Dio. Fa dunque allusione all`ora della nostra salvezza e del nostro giudizio, quando dice a proposito del Signore: "Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco" - poiché a quanti sono battezzati in Spirito Santo resta di essere consumati dal fuoco del giudizio - "e avendo in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile". L`opera del ventilabro consiste nel separare ciò che è fecondo da ciò che non lo è. Messo nella mano del Signore, indica il verdetto della sua potenza che calcina col fuoco del giudizio il grano che deve essere riposto nei granai e sono i frutti giunti a maturità dei credenti e, d`altra parte, la pula, vacuità degli uomini inutili e sterili.

(Ilario di Poitiers, In Matth. 2, 2-4)



2. La preghiera deve essere unita alle opere

E ancora, coloro che pregano non si presentino a Dio con preghiere spoglie, non accompagnate da frutti. E` inefficace la preghiera a Dio, se è sterile. Come ogni albero che non dà alcun frutto è tagliato e gettato nel fuoco (cf. Mt 3,10), cosí pure una preghiera che non ha frutto non può propiziarsi Iddio, non essendo feconda di opere. Appunto la divina Scrittura dice: "Buona è la preghiera unita al digiuno e all`elemosina" (Tb 12,8).
Ecco, colui che nel giorno del giudizio renderà a ciascuno il premio per le sue opere ed elemosine, oggi ascolta benigno colui che viene alla preghiera con le opere.

(Cipriano di Cartagine, De orat. dom. 32)


3. La tolleranza nella Chiesa

Abbi oltremodo per certo e non dubitare in alcun modo, che il campo di Dio è la Chiesa cattolica, e nel suo recinto sono contenuti, sino alla fine del mondo, la paglia assieme al grano, cioè si mischiano, nella comunione dei sacramenti, buoni e cattivi; e in ogni ufficio, sia di chierici, come di monaci o di laici, ci sono, insieme, buoni e cattivi. Né sono da abbandonare i buoni per il fatto che ci sono i cattivi, ma in considerazione dei buoni, devono essere tollerati i cattivi nella misura richiesta dalla fede e dalla carità, cioè, se nella Chiesa non spargono semi di eresia, o con esiziale imitazione non portano i fratelli a qualche malvagia impresa. Neppure è possibile che chi nella Chiesa cattolica crede con rettitudine e vive bene si macchi mai del peccato di altri, se egli non o,rfre a colui che pecca né consenso, né favore. Ed è ben utile che i cattivi siano tollerati, all`interno della Chiesa, dai buoni, se con essi si agisce cosí, vivendo bene e ammonendo bene, affinché vedendo e sentendo le cose che sono buone, essi guardino le proprie opere malvagie, e giudicando sé stessi da Dio per le proprie opere malvagie si ravvedano; e cosí, prevenuti dal dono della grazia, arrossiscano delle loro iniquità, e per la misericordia di Dio si convertano ad una vita buona. Ora poi, per la diversità delle opere, nella Chiesa, in quanto cattolica, i buoni devono essere separati dai cattivi, affinché con coloro con i quali comunicano i divini sacramenti non abbiano in comune le cattive opere, per le quali questi sono biasimevoli. Alla fine del mondo, per certo, i buoni dovranno essere separati dai cattivi anche nel corpo, quando verrà Cristo col "ventilabro in mano e pulirà la sua aia e ammasserà il suo grano nel granaio, e brucerà la paglia col fuoco inestinguibile" (Mt 3,12), allorché con giusto giudizio separerà i giusti dagli ingiusti, i buoni dai cattivi, i retti dai perversi; e metterà i buoni alla destra, i cattivi alla sinistra, e pronunciata dalla sua bocca di giudice giusto ed eterno l`immutabile sentenza, i cattivi tutti "andranno al fuoco eterno, i giusti poi alla vita eterna" (Mt 25,46); i cattivi bruceranno sempre col diavolo, i giusti invece regneranno senza fine con Cristo.

(Fulgenzio di Ruspe, De fide ad Petrum, 86)