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B. Felice il popolo che ha la fede
1) Che cosa la fede può donare ad un popolo?
Moralità, gioia di vivere, forza di resistenza, confidenza in
sé, spirito di intrapresa e di costruzione.
Citerò un esempio antico. La Francia conserva
piamente il ricordo di santa Giovanna d’Arco, che,
cinque secoli or sono, liberò, in nome del cielo, il
territorio della patria occupato allora dagli Inglesi.
Rievochiamo la situazione. Una giovanetta di 17 anni,
che giammai aveva maneggiato un’arma, si riveste di una
corazza e, accompagnata da qualche cavaliere, si mette in
marcia contro la potenza militare più grande di
quell’epoca, contro la quale nessuna armata osava
misurarsi apertamente. La cavalleria francese era già
annientata, l’erede del trono di Francia stava nel suo
palazzo, timoroso e inattivo, mentre gli Inglesi
assediavano Orléans, sua ultima piazzaforte. E questa
semplice fanciulla, con la sua fiducia in Dio, realizza
l’impossibile. Rianima il popolo intero e la nazione, che,
ripreso coraggio, riporta vittoria.
Ecco cosa ha potuto fare per il suo paese una debole
donna, in cui viveva la fede divina.
Esaminiamo ancora che cosa significano per un
popolo, per una patria, dei cittadini generosi fino al
sacrificio, onesti, di puri costumi, animati dallo spirito del
dovere religioso. Se questi cittadini adempiono i doveri
del proprio stato con tutte le loro forze, se fanno il loro
dovere, ciò avviene perché la fede ha loro detto: “è per
questa via che voi otterrete il diritto alla vita eterna”. Se
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questi cittadini conducono vita retta nel seno delle loro
famiglie, se hanno costumi integri, mani pure, ciò è
perché la fede ha loro detto: “è così che renderete degna
di Dio la vostra anima immortale”. Se questi cittadini, ad
onta delle preoccupazioni, sopportano sorridendo il peso
della vita quotidiana, e diventano le salde colonne della
vita sociale, ciò avviene perché Dio abita nei loro cuori.
Negli antichi templi greci spesso si vedono delle
magnifiche figure di donne, che si chiamano cariatidi, la
cui testa alzata sopporta il testo del santuario. Un peso
enorme grava su di esse, e tuttavia la loro fronte, i loro
occhi, tutta la loro attitudine non lascia intravedere
stanchezza: una specie di fierezza di fiducia in loro stesse
le sostiene, come se non sentissero il peso che le schiaccia.
Ugualmente le braccia muscolose e le anime invitte dei
cittadini credenti e religiosi, sostengono il pesante edificio
della vita nazionale.
Nel 1787 Washington, uno dei fondatori degli Stati
Uniti, disputava, con 55 compagni sulla futura sorte dello
Stato. Ad un tratto il vecchio Franklin si alzò, e disse:
“Signori, preghiamo! Io sono ormai vecchio, ma più ho
vissuto e più ho constatato chiaramente che gli affari
umani è Dio che li dirige. Se un passero non cade a terra
senza ch’egli lo voglia o permetta, come uno Stato
potrebbe essere costruito senza il suo soccorso?”.
Felice il popolo che ha una fede, che ha religione!
2) Tuttavia, fratelli miei, prima di chiudere, sento che
devo rispondere ad una obiezione che potrebbe essermi
sollevata: “Non c’è sulla terra un sol popolo senza fede e
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religione. E allora perché insistere specialmente su questo
punto?”.
Risponderò che quando io parlo della fede, intendo
sempre una fede vissuta; ciò che, disgraziatamente, non é
sempre bene comune di tutti i popoli. Invero, in che
consiste la fede vissuta? Consiste nell’essere così convinti
della verità della nostra fede, che il suo spirito penetri
quasi inavvertitamente i nostri atti, i nostri pensieri, le
nostre parole, così come viviamo, respirando senza
accorgercene, e non prestando attenzione ai battiti vitali
del nostro cuore.
Il mio giusto per fede vivrà (Eb 10,38) dice la lettera agli
Ebrei. Vive. La fede regola non solo questa o quella delle
sue azioni, ma tutta la sua vita. Lo spirito di Gesù Cristo
circola in lui, come il suo sangue: lo penetra e lo satura,
come l’acqua imbeve la spugna, e segna ciascuno dei suoi
atti.
Ogni cristiano crede nella vita eterna, ciò e ben
naturale, ma quante poche persone si domandano,
all’inizio delle loro azioni: “A che cosa, questo che sto per
fare, mi servirà per la vita eterna?”. Ora, vivere per la
fede, significa considerare ogni cosa in vista dell’eternità.
Fratelli miei, prima di sacrificare il vostro onore alla
vostra carriera, ponetevi questa domanda: “Agirei così al mio
ultimo istante? Quanto faccio, mi servirà per l’eternità?”.
Prima di cedere alle seduzioni di un’ambizione disonesta,
domandatevi sempre: “Che cosa ne dirà Dio?”. Ecco che
cos’è una fede vivente, che cosa vuol dire vivere la propria
fede.
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Forse voi direte: Se non avessi la fede non mi
preoccuperei affatto della mia anima. È vero, ma io vi
domando: Se voi aveste una fede vissuta forse che ve ne
preoccupereste così poco? Voi dite: “Se non avessi la fede
non pregherei”. È vero: ma se voi aveste una fede vissuta,
forse preghereste con tante distrazioni? Dite: “Non andrei
a confessarmi”. È vero: ma voi ci andreste così
raramente? Dite: “Non andrei a comunicarmi”. Vero: ma
vi comunichereste con tanta freddezza?
Ecco, fratelli miei, il nostro grande difetto, la piaga
fondamentale dei paesi cristiani. Noi siamo cristiani, si lo
siamo, ma solamente a parole, non per le opere, per la
nostra vita. Siamo cristiani a parole: nella vita siamo
pagani. Crediamo a parole; siamo, per i nostri atti,
increduli.
Quando io affermo dunque: felice colui, che ha la
fede, ed il popolo che ha la fede, io penso alla fede vissuta
e vivificante; alla fede che non é soltanto una professione
verbale, ma una vita, da essa, in tutto e per tutto regolata;
ad una fede che é un ritmo; ad una fede che fa battere il
cuore: ad una fede che sia forza direttrice dell’esistenza.
Un vero credente è un uomo dall’anima pura, dalle
mani pure, dagli occhi, dai desideri, dai pensieri puri. Un
popolo credente è un popolo rispettoso della morale,
laborioso ed energico.
La mia fede non è soltanto una parola, un dogma. É
altresì un’attività, una sorgente d’energia. Ah, fratelli
miei, nella fede, non dimenticatelo, noi viviamo fra
increduli, e bisogna che la nostra vita sia tale da splendere
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in mezzo a loro come una stella luminosa nelle tenebre
della notte. Che la nostra vita sia, al loro cospetto, pura e
trasparente, come quella di un pesce esposto al pubblico
dietro i vetri di un acquario. Questo affinché i
miscredenti, contemplando le parole e gli atti della nostra
vita, alzino lodi al Padre che è nei cieli, e lo ringrazino
d’aver inviato dei cristiani sulla terra (cf. 1 Pt 1,12).
* * *
Fratelli miei, ciò che sto per narrarvi, è avvenuto il 19
agosto 1093 ad Alba Reale. Presso la tomba di
sant’Stefano, un re era in preghiera, San Ladislao, e con
lui l’eletta parte del suo regno. E c’era un fanciullo di
sette anni, storpio piedi e mani, dalla nascita. I suoi
genitori, piangendo e pregando, lo deposero sulla tomba
di sant’Stefano, ed ecco che d’un tratto, sotto gli occhi
della folla, i suoi muscoli si stesero, le ginocchia si
piegarono, ed il fanciullo prima si mosse, poi si tenne ritto
sulle gambe. Il re Ladislao fu egli stesso testimone di
questo miracolo, e lacrime di gioia gli scaturirono dagli
occhi: prese il fanciullo nelle sue braccia, lo portò verso
l’altare, e ringraziò in forma solenne Dio, autore di tanto
prodigio”.
Perché questo racconto alla fine della mia predica?
Perché nella nostra Europa, da molto tempo, è risuonato
questo grido spaventoso: Uomini, attenti! La civiltà
europea è in decadenza e s’avvia alla sua tomba: le
membra altra volta così robuste dell’Europa cristiana
sono paralizzate.
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Chi potrebbe negare che al disopra della cultura
morale dell’Europa sono sospese realmente le nuvole del
crepuscolo, per le quali le nostre anime sospirano: Resta
con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto (Lc 24,
29).
Unendomi all’Apostolo san Pietro, fratelli miei, io
così prego: rimanete stretti alla nostra fede cristiana, a
Nostro Signore Gesù Cristo giacché voi lo amate, pur senza
averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia
indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la
salvezza delle anime. (1 Pt, 8-9).
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