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A. Felice l’uomo che ha la fede
Perché felice? 1) Perché non rivolge a sé stesso
domande senza risposta; 2) Perché non soffre senza
consolazione.
1) Colui che ha la fede, possiede la risposta alle
domande più angosciose, alle più snervanti ed importanti
che sempre interessarono, ed interesseranno l’uomo che
pensa, domande alle quali nessuno al mondo può dare
risposta soddisfacente, se non la fede. Per contro, la fede
dà una risposta tale, che la dolce serenità di una gioia
vivificante si spande nelle anime.
Quali sono queste importanti e decisive domande?
Sono i problemi vitali e fondamentali della vita umana.
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Quando l’uomo passa dalla prima infanzia inconsapevole
all’età adulta, s’accende in lui, come un lampo, la grande
domanda che attende risposta: “Che cerchi tu qua sulla
terra? Come ci sei venuto? Di dove vieni? Perché sei qui?
E dove vai?”.
Domande assillanti. Quaggiù voi salite il duro
calvario della vita: perché e come finirà tutto ciò? Cosa vi
attende poi? Voi siete impiegato: ogni mattina vi sedete al
vostro tavolo di lavoro e sbrigate corrispondenza e affari e
tenete conti, e poi stanco rientrate in casa, per
ricominciare il giorno dopo; e così per mesi ed anni e
decine d’anni durate la stessa fatica, ma perché questo?
Come finirà questo?
Voi siete operaio: ogni mattina, vi mettete a lato di
una macchina che cigola e vibra; ogni sera, stanchissimo,
vi lavate le mani macchiate d’olio e di carbone, ed il
giorno dopo ricominciate, ma perché? Che cosa vi
attende in seguito? Voi siete madre di famiglia: ogni
giorno all’alba siete la prima in casa ad alzarvi: e fino alla
sera tardi non vi arrestate un attimo, in mezzo alle mille
preoccupazioni domestiche e la cura di vostro marito e
dei figli: ma perché? Come finirà tutto questo?
Ecco le domande angosciose e torturanti della vita.
Attendete una risposta dai sistemi filosofici: silenzio.
Domandate una risposta alle arti ed alla letteratura:
silenzio.
Ma domandate una risposta alla fede, ed essa vi dirà:
Uomo, tu vieni da Dio, e ritorni a Dio. Dio ti ha dato
un’anima immortale in un corpo terrestre, e nel ciclo di
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qualche decina d’anni di una vita onesta, seria,
coscienziosa, la tua anima tornerà alla sua patria, cioè fra
le mani di Colui che l’ha creata.
Stefano Széchenyi aveva ragione di scrivere: “Gli
uomini migliori e i più saggi che sono fin qui vissuti sulla
terra, riconoscono tutti che nessuna religione ha più
illuminato l’umanità e meglio fatto conoscere le finalità
dell’esistenza umana che la fede cristiana”6. Non è
dunque da stupire che la religione, capace di dare tale
risposta, sia divenuta per l’uomo un tesoro da difendere
più della vita, se egli la conosce e l’ama. Non è da stupire
che i primi cristiani abbiano saputo morire, anche fra i
più atroci tormenti, per la fede che assicurava loro la più
grande felicità. Non è da stupire che quando l’Unione
Sovietica decise aprire l’Università fondata per propagare
l’ateismo non abbia potuto farlo per mancanza di uditori
sufficienti e questo anche dopo anni ed anni della più
sfrenata persecuzione religiosa.
Perché, non si può costringere l’uomo all’irreligione
ed all’incredulità. Perché, non si può cambiare l’anima e
la natura umana. Ci sono persone che vogliono scartare,
allontanare il pensiero di Dio e dell’eternità, ma se ne
trovano male. Come un’ombra misteriosa, le perseguita il
problema che esse non vogliono risolvere. Il loro spirito é
vuoto, deserto: un baratro oscuro s’apre nel loro cuore. Si
sforzano, con il lavoro e le distrazioni, di svincolarsi dai
dubbi che l’assediano: ma avviene che precisamente in
seguito al tempo consacrato al lavoro o al piacere, arriva
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6Stecchenti, Nagy Magyar Szatira, p. 379
l’istante in cui sulla loro povera anima torturata piomba
tutto il vuoto della vita terrestre.
Strappate al suo nido un uccellino implume, griderà
lamentosamente cercando sua madre. Dio è il caldo nido
della mia anima. Togliete il fiore dalla luce del sole, ed
esso tenderà a lui. Dio è per l’animo come i raggi del suo
sole. Togliete il pesce dall’acqua del mare, e appena esso
potrà farlo, nuovamente vi si immergerà. Dio è per la mia
anima l’eterno oceano. Immergete una barca sotto le
acque, e appena la lascerete libera da costrizione,
rimonterà alla superficie, giacché il suo destino è altro: la
barca che resta sott’acqua non è più che un rottame,
l’anima che può restare sommersa nel mare del mondo, e
non sentire che il suo destino la spinge verso l’alto è simile
ad un rottame, l’avanzo di un naufragio.
L’anima umana non può trovar riposo che in Dio.
Tutto ciò che esiste nel mondo segue la sua intima natura.
La stella non può restare immobile. L’ossigeno e
l’idrogeno non possono associarsi che secondo leggi
determinate. Il fuoco, la fiamma tendono all’alto. La
pietra che cade tende al basso. Provate a versare
dell’acqua sopra l’olio: non ci riuscirete, l’olio galleggerà.
Tutto è regolato in natura: ogni cosa cerca il suo posto e,
quando l’ha trovato, vi resta tranquilla. Provate a
separare l’anima da Dio: essa sarà inquieta e agitata e
dolente. Essa lo ricercherà e non avrà pace se non
quando l’abbia ritrovato.
Il poeta Lenan, quando perdette la fede, trovò
appena parole per descrivere il vuoto e la desolazione
dell’anima che si è allontanata da Dio. Il mondo le
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sembra una città morta, con le sue lunghe strade scure
ove deve circolare. Da ogni finestra la morte e la rovina
sogghignano al vederla. “Dopo che ho lasciato la strada
sicura della fede, ho perduto la nobile gioia del mio
cuore”.
Chi possiede Dio, ha altre orecchie e altri occhi. Ma
colui che non lo possiede che cosa sentirà? Il gemito, lo
stridore delle ruote delle macchine, le grida di dolore
della miseria. E chi possiede Dio? A lui dinanzi le
montagne, le foreste, le spine, i cespugli, i ruscelli, le
fabbriche, gli uomini, tutto canta un inno sublime.
Chi possiede Dio, vede del pari tutto diverso da colui
che non lo possiede. Quest’ultimo non vede che punti
d’interrogazione, problemi senza soluzione e angoscianti;
ma gli occhi di chi lo possiede, non solo assorbono la luce,
ma irraggiano e penetrano del loro splendore le tenebre
del mondo; e là dove altri non vedono che nubi, scorge il
sole che le attraversa; là ove altri non vedono che tenebre,
scorge le stelle.
2) Ma l’uomo che ha la fede è ancor felice perché
non soffre senza consolazione.
Nella sofferenza l’incredulo o s’annienta o chiude e
tende il pugno in un impeto di collera impotente: ma il
credente ha ali, che lo elevano al di sopra del pesante
meccanismo del mondo. Se non ho la fede, sono soltanto
un ingranaggio insignificante nella mostruosa macchina
che è il mondo, sono un pezzo qualunque fra i miliardi di
pezzi di cui l’universo si compone e appena, appena le
cose mie volgono a male, cade nella disperazione. Ma se
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ho la fede, mi elevo al disopra di tutto il mondo materiale,
e più, non lo guardo con occhi cupi e dolorosi, neppure
quando il cielo stellato si oscura sopra di me. Quaggiù,
durante la nostra vita terrestre, noi vediamo il valore
benefico della religione forse più e meglio appunto nel
momento in cui soffriamo.
Più lo spaventoso nulla di tutta l’esistenza terrestre, e
della nostra in particolare, più il nulla della nostra
effimera vita ci pesa, e più una pace meravigliosa
discende nella nostra anima quando pensiamo
all’eternità. La nostra fede può dare una spiegazione a
tutte le domande della vita. Giacché, se la vita è un
periodo di preparazione il cui fine non é certo di lasciarci
sprofondare nei piaceri, ma di conformare la nostra
anima, e maturarla, in vista del suo grandioso ed eterno
destino; se la nostra vita terrestre è la prefazione di un
libro che sarà edito in breve, allora, ma allora solamente,
noi sopporteremo con coraggio le lotte e le prove di
quaggiù.
Voi conoscete il Faust del Goethe. È la
personificazione del combattimento perpetuo dell’uomo
contro il male, e dei suoi sforzi verso il bene. Il poeta fa
tutti i tentativi con il suo eroe, ma egli non trova da
nessuna parte la soluzione soddisfacente, salvo la fede in
un Dio che ricompensa o castiga, e nell’eternità. E la
Divina Commedia di Dante, e la Messa solenne di
Beethoven, ed il Requiem di Mozart, e la Creazione di
Haydn, ed il Parsifal di Wagner, e le Opere di Bach, Liszt,
Brahms, ecc., nelle quali si espande in singhiozzi l’anelito
ardente dell’anima alla ricerca di Dio, tutti questi
capolavori confermano la constatazione di uno scrittore
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ecclesiastico del terzo secolo, Tertulliano, che “l’anima
umana è naturalmente cristiana” (anima naturaliter
christiana).
Invano voi cercate di soffocare questa fiamma,
gettandovi sopra pugni di terra. “Tutti gli uomini hanno
sete di Dio”, già diceva Omero nell’Odissea, e soprattutto
l’uomo che soffre.
Felice colui, che ha la fede, giacché non solo con gli
occhi egli guarda il mondo, ma altresì, con la sua anima.
Come gli altri egli è assalito dalle mille impressioni
caotiche della vita, ma la sua fede gli fa vedere in colori
brillanti, e gli fa comprendere ciò che per l’incredulo resta
confuso.
Felice colui, che ha la fede! Egli pure dovrà
camminare sulla terra in mezzo a fitte e spaventevoli
ombre, ma egli camminerà in mezzo ad esse, come il
fanciullo traversa con il cuore che batte una camera
oscura, sapendo che aldilà, in una grande camera vicina
piena di luce, suo padre l’attende a braccia aperte.
Felice colui, che ha la fede! Come tutti, sente
abbattersi su di sé le incomprensioni e le oscurità della
vita, ma nell’intimo della sua anima arde la luce della
fede, che fa splendere i suoi occhi come due finestre
aperte alla luce del sole. Fratelli miei: avete voi questi
occhi brillanti, pieni di speranza, queste due stelle che vi
rischiareranno... voi e tanti altri, prede del dubbio?
Si, fratelli miei: felice colui, che ha la fede.
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