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Noi vorremmo inoltre attirare l’attenzione sopra un
certo numero di sfumature che potrebbero essere
catalogate sotto il nome globale di Metodo psicologico di
predicazione e la cui osservazione fa pure parte del segreto
per il buon successo della predicazione. Una di queste
sfumature, per esempio, consiste nella modestia
dell’atteggiamento e del contegno del predicatore, poiché
la vanità non sarà mai tanto spiacevole quanto sul pulpito
cristiano. Bisogna anche attenersi strettamente a certe
regole di convenienza, note sotto il nome di decorum. Così
per esempio, al giorno d’oggi la durata di una predica
deve tener conto del la nervos i tà dei nos t r i
contemporanei. È soprattutto necessario trattare con
molto tatto le questioni delicate e sgradevoli. Non si può
sempre totalmente evitare di biasimare dal pulpito, di
criticare con qualche severità le opinioni pericolose e di
condannare le false massime morali, ma tutto ciò va fatto
con la più grande delicatezza, con moderazione e
senz’allusioni personali che possano ferire.
Siamo particolarmente prudenti e sempre in guardia
nel giudicare certe tendenze che sono in fondo, buone e
legittime; pericolose solamente nei loro eccessi.
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Nella preparazione delle prediche, che racchiudono
rimproveri o biasimi, ricordiamoci della piccola storia,
che racconta di due predicatori d’America nell’epoca del
movimento anti-schiavista. Parlavano tutti e due con lo
stesso entusiasmo contro la schiavitù, ma mentre la gente
ascoltava il più anziano, il più giovane non incontrava che
canzonature e minacce. Il poveretto finì per lagnarsene
con il suo confratello e gli osservò: “Non ci capisco
niente. Noi insegniamo tutti e due le medesime cose e voi
siete ascoltato, mentre di me tutti si burlano”. L’altro
rispose “è perché voi, ripetete continuamente ai vostri
ascoltatori: se fate la tale o la talaltra cosa, sarete
certamente dannati. All’opposto io dico loro: miei cari
amici, se in avvenire non farete più la tale o la tal altra
cosa, non sarete dannati certamente. E vedete bene che
mi ascoltano, mentre si scostano da voi”.
VI. Una cosa che contribuisce grandemente al
successo della predicazione è anche la scelta metodica del
soggetto o, per chi volesse usare un’espressione moderna, la
razionalizzazione della scelta del soggetto.
Sul terreno intellettuale e materiale, si reclama ogni
giorno di più la razionalizzazione e sarebbe un vero
peccato di non preoccuparcene allorché prepariamo le
nostre prediche. C’è forza riconoscere che scegliendo
senza metodo, un po’ a caso, il soggetto della predica, noi
facciamo spreco di molte forze intellettuali e diamo gran
numero d’istruzioni senza successo, poiché si realizzano le
parole della Sacra Scrittura: In quel giorno però morirono in
guerra alcuni sacerdoti che volevano fare gli eroi e sconsideratamente
si esposero alla battaglia (1 Mac 5, 67).
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I predicatori esprimono con insistenza il desiderio di
possedere nuove pericopi per le domeniche, poiché quelle
attualmente in uso non contengono che una piccola parte
dei Libri Sacri e sono già state largamente utilizzate per
la predicazione omiletica. Ma chi conosce le difficoltà che
si oppongono a questa realizzazione non attenderà il
compimento assai incerto di tale desiderio per rinnovare
il fondo delle sue prediche e accrescerne l’interesse, e
introdurrà invece, accanto alle pericopi attuali, la
razionalizzazione della predicazione.
Un mezzo veramente pratico è il corso coordinato di
prediche. Il pubblico attuale preferisce ascoltare tutta una
serie di prediche sopra questo o quell’argomento,
piuttosto che delle istruzioni senz’alcun legame tra loro e
che si occupano di soggetti differenti di domenica in
domenica. L’autore di queste righe ha predicato, nella
chiesa dell’Università di Pazmany, davanti alla parte colta
del pubblico di una grande città, per un anno intero
sull’enciclica «Quas primas » relativa a Cristo Re, per altri
due anni sui Comandamenti, attualmente parla sul
Simbolo, ed è veramente commosso dall’attenzione e
dalla fedeltà manifestate dai suoi ascoltatori nel seguire
queste serie di predicazione.
Del resto, gli argomenti adatti a serie più o meno
lunghe d’istruzioni e capaci di suscitare grande interesse,
non mancano. Eccone qualcuno: i Miracoli di Nostro
Signore, le Parabole, i ritratti biblici dell’Antico e del
Nuovo Testamento, i Sacramenti, la Santa Messa, ecc.;
gli ascoltatori restano anche molto impressionati quando
seguendo lo sviluppo sistematico di queste predicazioni,
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possono scorgere il lavoro che il predicatore s’impone per
la salute delle loro anime.
VII. È finalmente indispensabile, al successo della
predicazione, il portarvi una preparazione seria. Non si
ripeterà mai abbastanza a questo proposito che quello
che è solito chiamare “uno scilinguagnolo sciolto”, la
facilità di parola, non é affatto una garanzia di successo.
Difatti la questione non é tanto di saper se parliamo, ma
come parliamo. Chi si prepara superficialmente, e troppo
alla svelta a predicare, non ha la minima idea della
missione sublime del predicatore, e della grave
responsabilità che pesa sopra di lui. Coloro che si vantano
della loro facilità di preparazione, dovrebbero prima
rendersi conto della difficoltà che il pubblico trova a
comprenderli.
Essi dovrebbero prendere bene in considerazione le
parole di san Paolo: Mi sottopongo a dura disciplina e cerco di
dominarmi per non essere squalificato proprio io che ho predicato agli
altri (1 Cor 9, 27), e l’avvertimento di Cicerone: “Quoties
dicimus, toties de nobis judicatur”.
A questi predicatori che si preparano così presto e
con tanta facilità vorrei ricordare un episodio della vita
del Lacordaire, allora all’apogeo della sua reputazione di
oratore. Un giorno che visitava un pensionato, il direttore
gli domandò di rivolgere “qualche parola” ai suoi giovani.
E l’illustre predicatore a rispondere: “Se me l’aveste
domandato prima d’ora, avrei riflettuto a quello che
dovevo dire. Ma ho in troppo grande stima la parola
pronunciata in pubblico per parlare senz’alcuna
preparazione”. Ecco veramente ciò che si può chiamare
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“il rispetto per la maestà della parola” come dice W.
Keppler.
Una preparazione approfondita é richiesta non
solamente dal rispetto dovuto alla parola di Dio, ma
anche dalla mentalità di coloro che oggi frequentano le
chiese. Dov’è il tempo in cui l’uditorio ascoltava con
rispetto e sottomissione tutte le parole che venivano dalla
cattedra di verità quando pure fossero presentate in
forma semplicissima e senza pretesa? Il pubblico attuale
viziato dai libri, dai giornali, dalla radio, dalle conferenze,
critica più severamente, pesa le parole del predicatore e se
é disgustato da espressioni banali o da istruzioni mal
preparate, non mette più piede in chiesa.
Chi vuole predicare agli uomini d’oggi, stretti dalle
preoccupazioni, inaspriti, malcontenti e insensibili alle
cose dell’eternità sulla vita soprannaturale e le sue verità,
ha bisogno di prepararsi in un modo assolutamente
particolare. Dobbiamo dunque essere ben persuasi che
chi ai nostri giorni vuole assolvere, sia pure con successo
relativo, il compito difficile di ministro della parola di Dio
davanti ad uditori diventati molto esigenti, ha bisogno di
una preparazione profonda e accuratissima. Durante il
corso dell’intera settimana è necessario occuparsi
ininterrottamente del proprio soggetto, osservare e
giudicare gli avvenimenti mondiali non meno di quelli
della propria, piccola parrocchia sempre con il medesimo
scopo, lavorare la predica, rigirarla per tutti i versi, e
quindi scriverla (per quanto é possibile non
accontentandosi di un semplice abbozzo) e finalmente
impararla ed esercitarsi a ripeterla; tutto ciò esige lavoro,
un lavoro serio, sfibrante, ma che é la sorgente del
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successo. All’opposto nessuno si stupisca se ancora oggi si
verifica il vecchio adagio: “Qui ascendit sine labore, descendit
sine honore”.
Mentre il predicatore prepara il suo argomento,
riflette su questioni dogmatiche o morali sbarazzate dai
loro termini tecnici e si sforza di rivestirle di forma e
d’espressioni appropriate ai bisogni delle anime degli
ascoltatori, egli compie un lavoro analogo a quello di un
trasformatore elettrico che permette alla corrente ad alta
tensione proveniente dalla centrale lontana di essere
utilizzata per il comune consumo giornaliero. È in questo
che risiede il lato faticoso della preparazione: passare
dalla logica alla psicologia; dare a delle definizioni aride
le tinte fresche della vita, perché la predica non riesca
troppo dottrinale e non si perda nelle nuvole di
sottigliezze filosofiche, ma si svincoli dalle pallide
astrazioni per penetrare nella vita reale.
Non si può negare che il ministero pastorale di
adesso, con le sue opere, con le sue riunioni d’ogni specie,
assorbe talmente il sacerdote che questi é spesso costretto
a ridurre fortemente il tempo della preparazione
indispensabile al successo della predicazione. Ed é cosa
da deplorarsi profondamente. Ma un’altra questione é di
sapere se uno vi si può troppo facilmente adattare, se ciò
che nel ministero pastorale può esser considerato
superfluo ha il diritto di distogliere il prete dal suo
compito di massima importanza, la predicazione della
parola di Dio. Per parte mia credo che gli Apostoli
sarebbero ancora della stessa opinione di venti secoli fa,
quando confidarono ai diaconi le loro occupazioni
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accessorie dicendo: Noi apostoli, invece, impegneremo tutto il
nostro tempo a pregare e ad annunziare la parola di Dio (At 6, 4).
Senza dubbio una buona predica é sempre il frutto di
un lavoro serio e faticoso. Come l’ape va di fiore in fiore
per attingere il succo, trasformarlo e produrre il miele,
così bisogna che il predicatore legga molto, apprenda
molto, pensi a lungo al soggetto, per captare le idee,
lavorarle, svilupparle, dar loro una forma definitiva e
trascriverle. Fino a che la predica non é al punto giusto,
noi proviamo tutte le angosce, le fatiche, le pene di
un’azione creatrice. Coloro che ascoltano una predica
non hanno la più piccola idea di quanto sia costata di
riflessioni e di letture, di sudore e di fatica intellettuale e
nervosa. Nondimeno per il prete zelante questa
preparazione che tutto lo assorbe e che si rinnova di
settimana in settimana per decine d’anni, non é un
obbligo pesante, ma é l’occasione di fare uno dei sacrifici
inerenti alla vita sacerdotale, non é sorgente di malumore,
ma é piuttosto l’entusiastico punto di partenza per una
crociata alla conquista delle anime, uno degli esercizi più
utili dell’ascetismo sacerdotale.
* * *
Per il mio ciclo di prediche sopra i Comandamenti
ho scritto una prefazione intitolata “La nuova
predicazione”. Si comprenderà più facilmente il modo di
realizzare i consigli che vi si danno leggendo la prefazione
presente.
Possa io riuscire con le mie prediche a far avanzare,
anche d’un solo passo, la santa causa della nuova
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predicazione affinché per ciascuno dei miei fratelli nel
ministero e per l’autore di queste pagine si realizzi questa
frase dei nostri Libri Sacri: Cominciate a lavorare di buon
mattino e, quando verrà il momento, il Signore vi darà la ricompensa
(Sir 51,30).
E che si realizzi ancora per ciascuno di noi che
predichiamo la parola di Dio, la preghiera del breviario
da noi tanto spesso ripetuta: Per evangelica dicta deleantur
nostra delicta.
L’autore
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I. La fede dei nostri padri
All’inizio di questi discorsi la prima parola
pronunciata su questa cattedra, sia un grido di lode al
nostro Padre celeste, al nostro Dio! Curviamo la fronte
dinanzi a Lui e facciamo salire fino a Lui le nostre fervide
preci.
È di Voi, Padre celeste, che io vorrei parlare
quest’anno ai miei cari uditori. Siate dunque con noi per
vostra bontà, quando, con animo umile, noi mediteremo
sulla vostra Maestà santa. Siate presso di noi con i vostri
lumi, quando studieremo i dogmi della vostra fede, per
più e più conoscerli ed amarli. Aiutateci con la vostra
grazia, affinché, fortificati nella nostra fede cristiana, noi
realizziamo i vostri sacri disegni per il grande momento,
nel quale, compiute le lotte della nostra vita terrestre, noi
potremo arrivare fino a Voi, nostro buon Padre del cielo,
per l’eternità.
Questa serie di sermoni tratterà della nostra fede
cristiana, del Simbolo degli Apostoli. Invero, come
osserverebbe i Comandamenti di Dio chi non conosce
Dio, non stima la sua fede in Lui, e non vi é attaccato con
un amore pronto a qualsiasi sacrificio?
L’esperienza insegna che assai spesso l’ignoranza
religiosa è una delle cause più frequenti della violazione
della legge morale.
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Consacrerò i miei primi discorsi alle questioni
fondamentali d’introduzione, che mostreranno
l’importanza del soggetto che stiamo per studiare.
Nell’istruzione d’oggi, per esempio, vorrei spiegare
che: È necessario parlare della fede perché é conosciuta
troppo poco ed è importantissimo conoscerla meglio.
A. La fede è sconosciuta
L’ignoranza religiosa è spaventevole non solo in terra di
missione, ma pure presso i popoli cristiani.
Vi dirò ciò che è accaduto in un sobborgo di Parigi
ad un prete che domandava ad un ragazzo:
- “Amico mio, sai tu che cos’è la Trinità?”
- “Sì, lo so, - rispose il ragazzo - é una stazione della
Metropolitana”.
- E’ vero che c’é una stazione di questo nome. Ma tu
non sai nient’altro sulla SS. Trinità?
- “No”.
Ecco tutto ciò che sapeva sulla SS. Trinità un
ragazzo nato e cresciuto in un paese cristiano.
E questa misera risposta ci costerna nella sua terribile
realtà. Due diverse categorie d’uomini, due mondi diversi
vivono oggi intorno a noi, l’uno presso l’altro: due mondi
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fra i quali la tensione é così grande, i contrasti così vivi,
che penetrano perfino attraverso le porte della casa,
drizzando un muro di separazione fra i migliori amici,
generando differenze ed urti fra loro.
C’è qualcosa di spaventevole nell’esistenza, gomito
contro gomito, di questi due mondi diversi, quello della
fede e l’altro dell’incredulità. Lo sposo deride ciò che e
sacro per la sua sposa. I genitori sono schierati in altro
campo che non é quello dei figli. La nuova generazione
definisce pregiudizio fuori moda ciò che la vecchia
generazione riguardava come verità santa. Ciò che un
gruppo considera base della civiltà umana, l’altro gruppo
lo stima inutile fardello.
Risuonano le campane della domenica e molta gente
si affretta verso la chiesa e inginocchiata prega Nostro
Signore Gesù Cristo, il Redentore; molta altra scuote la
testa senza comprendere: é possibile che ancora oggi ci
siano nel mondo uomini di idee così arretrate?
Fratelli miei, questi “arretrati” siamo noi. Noi che,
ancora seguiamo la fede dei nostri padri. Noi, che oggi
ancora recitiamo il Credo. Noi che, sentiamo il dovere di
testimoniare la nostra fede dinanzi al mondo. Ecco
perché ho scelto per il mio nuovo ciclo di prediche la
spiegazione dei dogmi fondamentali della fede cattolica.
Noi siamo tutti cristiani e recitiamo ogni giorno il
Credo; ma con quale anima? Conosciamo a fondo la
nostra fede e l’amiamo come deve essere amata?
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Sappiamo quanto la nostra fede é bella? Ah, quanto
bella! tanto, che dovremmo gridare: se tutto fosse bello
del pari! Sappiamo anche che la nostra fede é vera? Essa
é così fiera che possiamo tranquillamente inclinare la
nostra testa sotto il suo giogo dolcissimo.
La verità della nostra fede e la sua bellezza, ecco ciò
di cui vi parlerò ora, e nelle conferenze che seguiranno.
1) La nostra fede è vera
Noi passeremo in rivista i dogmi della nostra santa
religione cattolica; vedremo le ragioni che parlano in loro
favore, i problemi che essi sollevano, e ci faremo questa
domanda: possiamo, oggi ancora, tenerci tranquillamente
avvinti al nostro vecchio Credo, alla cattolica fede dei
nostri padri?
Gettiamo uno sguardo indietro su questa fede dei
nostri padri, risaliamo il corso di duemila anni, e
constateremo con fierezza che non abbiamo da
arrossirne. La nostra religione ha salvato i preziosi tesori
della civiltà antica, minacciati di distruzione. La nostra
religione ha messo al servizio della cultura intellettuale la
forza viva dei giovani popoli barbari. Dalla nostra
religione uscirono la profonda filosofia e l’arte
incomparabile del Medioevo. La nostra religione ha
fecondato l’immaginazione artistica di Raffaello e di
Michelangelo, e il genio poetico di Dante. È la nostra
religione che ha inviato i suoi missionari al Venezuela, al
Perù, in Bolivia... Come ha inviato a decine di migliaia le
suore di carità negli ospedali, negli orfanotrofi, negli
ospizi e nelle case d’educazione. In verità non c’è da
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arrossire di un Credo che, da duemila anni, non fa che
versare sull’umanità un fiume di benefici morali e
materiali.
Ripeto: non abbiamo da arrossire della fede dei
nostri padri. E dobbiamo essere convinti della verace
testimonianza resa dagli intellettuali antichi e moderni,
che il Credo cristiano ha l’ultima parola nelle questioni
religiose, che la morale cristiana è il più puro
abbellimento dell’anima umana, che l’umanità non potrà
mai sorpassare le altezze della cristiana civiltà.
Più è chiaro l’effetto disastroso del caos intellettuale e
morale nel quale sprofonda l’umanità d’oggi che si è
staccata dalle idee cristiane, e più dobbiamo guardare con
venerazione il blocco di granito dei dogmi del nostro
Credo.