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INTRODUZIONE
Il segreto del buon esito della predicazione
I. Il principale segreto che rende efficace ogni
predicazione è sempre stato e sempre sarà questo: la
personalità del predicatore, uno zelo ardente, una vita
irreprensibile. Un sacerdote che sacrifica tutto per nostro
Signor Gesù Cristo e Lui pone al di sopra di ogni
interesse, esercita un’influenza profonda sugli uomini del
nostro tempo, così immersi nel materialismo.
Una predica che è priva di quell’accento di profonda
convinzione che avvince gli uditori, per quanto sia
composta secondo le regole dell’arte oratoria, resterà come
bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita (1 Cor 13,1).
Invece, se l’uditore sente che il predicatore crede a ciò che
dice dall’alto del pulpito e vive in conformità a ciò che
insegna, in maniera cioè che il suo contegno sia come un
libro aperto dinanzi ai suoi uditori, se sente attraverso le
sue parole che tutta la sua gioia e la sua felicità ed ogni
sua ambizione sono riposte nel guadagnare nuovi fedeli
alla verità, allora la deficienza degli artifici oratori non
nuocerà per nulla all’efficacia della predicazione.
Con meraviglia vediamo anche oggi, sia pure in
mezzo a gente “stanca di prediche”, gli uditori affollarsi
attorno al pulpito di un sacerdote veramente infiammato
di zelo per la gloria di Dio, che non bada a nessuna fatica
e a nessun sacrificio quando si tratta di salvare le anime, e
la cui vita di lavoro giustifica il proverbio: “Il fuoco non
dice mai basta”.
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Un miscredente così si espresse intorno al Padre de
Ravignan: “Egli stesso crede a ciò che predica e tutto in
lui ispira la Fede”. Una convinzione così ardente
compensa le deficienze e copre molti difetti (un altro
esempio abbiamo nel Santo Curato d’Ars). Un violino
non può essere sempre uno Stradivari, ma Paganini
sapeva trarre suoni melodiosi anche di un cattivo violino.
Potremmo adattare le parole di Sant’Agostino “Ama e fa
ciò che vuoi” al predicatore, così: “Sii santo e predica
come vuoi”.
A differenza dell’arte oratoria profana, noi dobbiamo
porre per la predicazione questo principio: I nostri
discorsi avranno tanto più successo quanto meglio noi ci
avvicineremo, con la nostra vita, all’ideale cattolico. Il
predicatore farà bene a leggere sovente le parole di San
Paolo a Timoteo e a Tito. Quanto egli non esigeva da
loro! (Cf. 1Tm 3, 2+; Tt 1, 7+). Annuncia la Parola, insisti al
momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta
con ogni magnanimità e insegnamento (2Tm 4,2).
“Cuius vita despicitur, restat, ut eius praedicatio contemnatur”,
ha detto il Papa San Gregorio Magno. A sua volta San
Francesco di Sales disse con ragione: “Un’oncia di buon
esempio vale più di cento belle parole». Noi oggi viviamo
talmente in un’epoca di “prestigio personale” che non é
già il “grande oratore” che compie con successo il
compito di annunciare la parola di Dio, ma il prete pio e
zelante.
È ciò che tanto bene insegna San Carlo Borromeo
nelle sue “Istruzioni pastorali”: “Quemadmodum enim in arca
testamenti duo illi Cherubim ita collocati erant ut semper mutuo se
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aspicerent: ita vita concionantis doctrinae ex altera parte respondere
debet usque adeo, ut et vitam doctrina collustret, et doctrinam rursus
vita corroboret, viresque eidem perpetuo addat...”.
Tutte queste qualità personali del predicatore che i
manuali elencano sotto il titolo complessivo “la persona
del predicatore” (la santità della vita, l’umiltà, la pietà, il
disinteresse, la purità d’anima, la gentilezza e il tatto
personale), tutto ciò ai nostri giorni, nel tempo cioè in cui
si guarda più al valore personale che a titoli d’altro
genere, acquista sempre una maggior importanza per il
successo della predicazione.
Per l’oratore profano questo ha minor importanza,
mentre né acquista sempre più per l’oratore sacro.
L’oratore profano, non mira già ad un fine
soprannaturale, a lui bastano perciò gli ordinari artifici
oratori. Non è così per il predicatore che ha come scopo
di condurre i suoi uditori alla vita soprannaturale; per
quanto la sua eloquenza sia brillante, essa non basta, ma
é la vita soprannaturale del predicatore stesso che decide
della riuscita della sua parola. Come potrebbe un
predicatore elevare i suoi uditori verso Dio, se egli stesso
non é capace di sollevarsi fino a Dio? Una conferenza
scientifica testimonia della scienza e dell’erudizione del
conferenziere. Un romanzo della ricchezza di espressione
e dell’abilità del suo autore. Una declamazione dell’arte
dell’oratore. E un discorso? Della fede del predicatore. È
certamente necessario per fare un discorso avere della
scienza, dell’erudizione, della facilità d’espressione, ma
l’essenziale è una fede viva e una ferma convinzione. Un
buon discorso attesta sempre la fede e la misura nella
quale il predicatore nella sua anima, nelle sue idee, nel
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suo sentimento e nella sua volontà è penetrato
dell’onnipotenza di Dio. È per questo, che, non può
ottenere alcun successo un discorso che si fonda
unicamente sui processi della logica e della retorica e non
è, che il frutto d’astratti ragionamenti.
Noi pertanto non esitiamo affatto ad affermare che la
meditazione quotidiana di un prete zelante è il mezzo per
eccellenza per il successo. Predica bene chi medita molto.
“Ex plenitudine contemplationis praedicatio derivatur”2. E
viceversa “qui non ardet, non incendit”.
Il Signore disse un giorno ad Ezechiele: Quando
sentirai le mie parole, le riferirai agli Israeliti (Ez 3, I7). E gli
Apostoli hanno associato la preghiera e la predicazione:
Noi apostoli, invece, impegneremo tutto il nostro tempo a pregare e ad
annunziare la parola di Dio (At 6, 4). Quante volte san Paolo
ripete questo pensiero! Egli domanda le preghiere degli
efesini: Pregate perché Dio mi faccia trovare parole decise con cui
far conoscere la verità del suo messaggio (Ef 6, I9). Egli chiede le
preghiere dei colossesi: Pregate anche per me, perché Dio mi
offra buone possibilità di diffondere il suo messaggio e di parlare del
progetto di salvezza rivelato da Cristo. Per questo mi trovo ora in
prigione. Ma voi pregate che io possa ancora predicare e parlare, così
com’è mio dovere (Col 4, 3-4). Egli domanda le preghiere dei
tessalonicesi: Pregate perché la parola del Signore si diffonda e sia
bene accolta come accade tra voi (2 Tes 3, 1). Ascoltiamo pure
queste parole di san Gregorio Magno: “Prius aurem cordis
aperiat voci Creatoris, et postmodum os sui corporis aperiat auribus
plebis”3. Sant’Agostino stima che il predicatore “Pietate
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2 Summa II-II q. 188, art. 6
3 In Ezech. I, Hom I
magis orationum, quam oratorum facultate indiget... Sit orator,
antequam dictor… Priusquam exserat proferentem linguam, ad
Deum levet animam sitientem, ut cructet, quod biberit, vel quod
impleverit fundat”4.
L’arte di ben predicare non si apprende nelle scuole,
ma in ginocchio.
II. Un’importante condizione per il successo nella
predicazione è la conoscenza della vita moderna e lo spirito
d’attualità.
Bisogna però ben comprendere il senso di
quest’espressione. S’ingannerebbe a partito il predicatore
che, allo scopo di riuscire più interessante divenisse una
gazzetta vivente, annunciando dalla cattedra di verità
tutte le notizie del giorno, facendo delle applicazioni
tirate per i capelli, e ciò per predicare in una maniera
“nuova e moderna”.
Non é questo ciò che noi intendiamo, indicando tra i
mezzi di successo nella predicazione la ricerca
dell’attualità e la comprensione della vita moderna. Si
tratta di ben altro. La pietà personale, lo zelo e la vita
degna del predicatore ancora non bastano, ma occorre
che egli sappia come far amare le verità religiose all’uomo
del giorno d’oggi.
I fedeli hanno su questo punto una profonda
intuizione e s’accorgono presto se dall’alto del pulpito,
vengono presentate loro senza vita e senz’anima, le
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4De doctrina Christi, I, IV
antiche verità tradizionali, sotto frasi ridondanti e fiumi di
parole, con voce altisonante, oppure se hanno davanti un
fratello, uno uguale ad essi, un uomo che vive nel mondo
attuale, un uomo dei nostri giorni, la cui anima vibra con
l’anima di tutti quelli che cercano Dio; un uomo, la cui
anima trema nelle lotte della vita, un uomo che, con
calore ed affetto, tende la mano ai suoi fratelli per
condurli fino al Cuore di Cristo, dove egli, prete, è già
arrivato e dove ha trovato la pace.
Se gli uditori sentono la forza della vita spirituale che
trabocca dall’anima del predicatore, se loro sentono la
sua anima sospirare, bruciare, lottare e soffrire sotto la
corrente di una vita soprannaturale ad alta tensione, se
vedono come egli trova la sua gioia e stima suo sacro
dovere di ravvivare le piccole lampade dei suoi uditori a
contatto della corrente vivificante e liberatrice di Cristo,
allora una predicazione di tal genere risponde alle
esigenze del tempo attuale.
Questa è l’attualità, l’adattamento alla vita moderna
che noi reclamiamo: una predicazione nella quale i fedeli
s’accorgano che il loro sacerdote non si smarrisce in
ragionamenti nebulosi e non si trattiene in considerazioni
puramente ascetiche, allontanandosi completamente
dalla vita reale. Non comportatevi come se foste i padroni delle
persone a voi affidate, ma siate un esempio per tutti (1 Pt 5, 3).
Se i fedeli potessero rendersi conto che l’oratore
segue con calda simpatia le dure lotte della vita, e conosce
con anima compassionevole le privazioni sovrumane
dell’esistenza attuale, e possiede uno sguardo chiaro e
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lucido al quale possono con tutta tranquillità affidare la
condotta delle loro anime tormentate!
Leggere nelle profondità delle anime, scoprire i
movimenti e gli intimi pensieri in modo da rispondere
anche ai più segreti quesiti, con una predicazione
adattata alle esigenze della vita moderna! Non è così che
può predicare il sacerdote che passa la sua vita in un
ufficio, in un segretariato, in una biblioteca o al suo
tavolo. Non può predicare così che il sacerdote che
confessa parecchio e si trattiene spesso con i suoi fedeli.
La predicazione del prete che sente quotidianamente
giungere fino a lui i lamenti che salgono dall’oceano della
vita, avrà sempre per tema le questioni più vive e più
palpitanti, e si potranno applicare a lui le parole di
Emerson: “Spremete le sue parole e ne uscirà del sangue”.
III. Terza condizione per una buona riuscita e la
naturalezza. Predichiamo con semplicità d’espressione.
L’uomo moderno non tollera più il modo solenne ed
enfatico dei nostri predecessori; egli non vuole sentire il
prete fare dell’eloquenza. Ascolterà invece con attenzione
se il prete converserà naturalmente con lui, con il
medesimo tono, con le stesse espressioni e gesti con cui
due vecchi amici si tratterebbero piacevolmente tra loro
andando a passeggio.
Il mezzo migliore per evitare la monotonia, quello
che è chiamato “il tono del predicatore”, sarà, per il
prete, il modo di esporre con tutta la sua personale
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convinzione, le verità che predica dall’alto del pulpito.
Colui, che cerca seriamente di far penetrare le idee
religiose nel suo uditorio non lo addormenterà, né lo
stordirà con i suoi gridi, ma converserà con naturalezza e
semplicità, in altre parole osserverà la punteggiatura,
l’accentuazione, farà delle pause ed eviterà tutto ciò che è
affettato ed esagerato.
È precisamente così che ci si assicura una buona
riuscita. Il predicatore ha il compito di influire sui suoi
uditori, di persuaderli.
Perciò occorrono tre cose, richieste non solo dalla
psicologia moderna, ma già da Cicerone: “Tribus rebus
omnes ad nostram sententiam perducimus: aut dicendo, aut
conciliando, aut permovendo”, cioè: esporre chiaramente il
soggetto (dicendo), renderlo simpatico (conciliando), e
suscitare l’entusiasmo (promuovendo). “Il primo fedele di
un buon curato è lui stesso”, il che vuol dire che un buon
discorso deve produrre il suo effetto più profondo, sullo
stesso predicatore.
Il predicatore, durante la sua preparazione, cerca i
mezzi e la maniera di far penetrare nella propria vita, le
conseguenze pratiche del suo soggetto e osserva gli
ostacoli che gli impediscono il cammino; il suo discorso è
penetrato di tale profondità, di tale calore e di tale forza
che non permette all’anima degli uditori di resistere. Il
predicatore, la cui anima è passata per queste differenti
fasi caratteristiche, e che conosce per esperienza le loro
ripercussioni nell’anima altrui, saprà convincere gli
uditori che le verità che loro annuncia sono realmente
indispensabili, perché danno la forza nella lotta, la
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consolazione nel dolore, la luce nelle tenebre e la
ricompensa nella vittoria.
IV. L’uso di quei predicatori che cercano nei tanti
avvenimenti della vita quotidiana gli esempi per toccare più al
vivo l’anima dei loro ascoltatori, è certamente utile. È
innegabile che l’inserzione d’esempi e di fatti, ha allargato
i limiti così rigidi in altri tempi, e ha dato alla
predicazione un’andatura che colpisce maggiormente
l’immaginazione.
I predicatori così detti classici hanno evitato per
principio l’uso degli esempi. Ma chi preferisce l’efficacia
della predica alla conformità della stesa alle regole
classiche, li può tranquillamente adoperare. Sempre con
misura, naturalmente, e a tempo e luogo.
Un avvenimento qualunque della vita, può costituire
un eccellente esordio (exordium ab illustratione) solo che
rispondi all’idea fondamentale della predica. Allo stesso
modo possiamo dare una conclusione impressionante se
abbiamo sottomano un tratto che riassuma tutto
l’argomento studiato. Ma possiamo utilizzare con grande
profitto, tanto i fatti veri e gli esempi quanto le allegorie,
le metafore e le parabole nel corpo stesso della predica.
Succede spesso anche a persone colte, di aprire il giornale
della domenica prima di tutto alla pagina del
“supplemento illustrato”. La psicologia moderna ha
constatato che anche gli intellettuali pensano per
immagini e non solamente per idee astratte; quanto poi
alla massa del pubblico di media levatura, le sarà sempre
molto difficile di pensare senza ricorrere alle immagini.
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E se possiamo anche illustrare questa o questa altra
verità astratta con un esempio che colpisca, con un
esempio interessante preso dalla vita attuale, non
solamente otterremmo dai nostri ascoltatori un’attenzione
più grande che farà maggiormente penetrare in essi l’idea
fondamentale, ma, cosa ancor più preziosa, essi vedranno
che quanto noi predichiamo può essere praticato.
L’uso degli esempi ostacola talvolta lo sviluppo logico
del pensiero e lo svolgimento della predica, ma in vista
del suo effetto possiamo ben chiudere gli occhi su tale
imperfezione. E se Nostro Signore, non ha sdegnato di
adoperare gli stessi esempi, noi non dobbiamo ometterli.
Se il divino Maestro si fosse mantenuto, nei suoi discorsi,
altrettanto nebuloso ed astratto quanto molti predicatori,
è certo che non sarebbe stato compreso; invece Nostro
Signore nelle sue predicazioni ha usato frequenti esempi:
la messe biondeggia, il fico rinverdisce, il giglio schiude i
fiori, il tramonto arde, la fiamma brilla, tutto, anche la
natura inanimata vive.
L’uso d’esempi, di concetti, di fatti e di parabole, atro
non è se non il rinnovamento dell’antica “biblia pauperum”.
Noi ci adattiamo così più facilmente alle esigenze della
moderna psicologia e pedagogia religiosa, secondo le
quali non basta soltanto esporre le verità della fede in
modo razionale, ma è necessario sforzarsi di farle
penetrare nelle anime per mezzo dell’immaginazione e
della sensibilità. Solamente in questa maniera, la predica
diverrà per le anime una sorgente di vita.
Ora, il fatto che una predica è sorgente di vita per
l’anima, é il miglior segno del suo successo.
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V. Ma per essere efficaci ci è ancora necessario di fare
un maggior uso della psicologia. Ci spiegheremo:
A) Nell’insegnamento della facoltà di teologia il
primo posto tocca naturalmente alla logica, al
ragionamento e all’argomentazione. I futuri sacerdoti
devono dimostrare, seguendo le regole di una logica
rigorosa, con prove e argomenti, che tutti i nostri dogmi,
tutti i nostri obblighi morali poggiano sopra basi solide e
sono verità che non possono venir messe in dubbio.
Ma accanto a ciò sta il pericolo che il prete continui a
seguire in pulpito il metodo dei suoi manuali di teologia e
che i suoi ascoltatori vengano sommersi da un fiotto
d’argomenti e di sillogismi. Il successo di una predica non
è assicurato dal fatto che noi abbiamo provato con
chiarezza luminosa, la verità del nostro soggetto. La
nostra predicazione avrà successo se fortificherà la
volontà favorendo le pie risoluzioni. Anche dopo il più
brillante sfoggio d’eloquenza, l’uditorio è pur sempre
minacciato da questo pericolo: mirati sunt, conversi non sunt.
Per convertire, per agire sulla volontà, per ispirare
risoluzioni pie, bisogna che accanto alla logica vi sia una
buona dose di psicologia. Una psicologia che non si
accontenti d’insistere sulla verità del soggetto esposto, ma
che si sforzi di agire contemporaneamente sulla sensibilità
e sulla volontà; ed é precisamente per questo, che essa fa
risaltare i lati più felici del soggetto stesso, per esempio la
bellezza, l’elevatezza, la forza, la consolazione, la pace
che si possono trovare nel dogma che si sta esponendo, la
conformità della morale cristiana con la natura, la
ragione umana, il bene che reca il rispetto alla legge di
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Dio, mentre la sua violazione non conduce che a
decadenza e rovina. Accanto alla teologia morale,
bisogna ancora utilizzare la psicologia morale; accanto
alla theologia mentis la theologia cordis.
La Chiesa sa bene che l’uomo non e solamente un
cervello, ma ancora una volontà e un cuore. Sa pure che
non soltanto per mezzo degli studi teologici uno diventa
un buon prete, ed impone parecchi anni di seminario al
futuro sacerdote non per il solo fatto di aguzzare la sua
intelligenza, ma per formargli la volontà ed il carattere. Il
predicatore stesso deve accorgersi che la verità del suo
argomento, malgrado la logica più severa, non basta per
influenzare la volontà e la sensibilità degli ascoltatori.
L’oratore deve tener conto che l’uomo attuale è più
accessibile alle prove storiche e psicologiche che ad una
dimostrazione logica. Più facilmente che per la ragione, si
prende quest’uomo per il cuore; e se noi ne guadagniamo
il cuore, anche la sua mente sarà nostra. Riguardo a
molte questioni, l’uomo moderno non sente come pensa,
ma pensa come sente.
I commercianti astuti hanno scoperto da parecchio
tempo che non è sufficiente avere la merce migliore, ma
che è altrettanto necessario farla conoscere e offrirla con
garbo. Grossi volumi sono stati pubblicati con il titolo di
“Psicologia del compratore”. E se non avessimo paura di
essere fraintesi, proporremmo d’imitare il procedimento
del commerciante ingegnoso per assicurare il successo
della predicazione. Sotto quale favorevole luce egli
presenta la sua merce all’acquirente! Quanto è premuroso
e piacevole! Quanto infaticabile nel vantare la qualità dei
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suoi articoli! Finché la forza di resistenza dell’acquirente
sia esaurita e che il cliente compri.
Vi potrebbe essere un predicatore pronto ad
accettare tranquillamente di venir sorpassato nel suo
lavoro per il regno eterno di Dio nell’insegnamento della
parola divina, da un semplice commerciante nella
raccomandazione più calda, più viva, più astuta, più
persuasiva d’una merce terrena e destinata a perire?