00 14/03/2011 09:08
C. La sofferenza obbliga a credere
1) L’ora della sofferenza! L’ora in cui si darebbe
volentieri tutta la propria scienza per una piccola
consolazione: l’ora in cui le lacrime tracciano solchi
amari sul nostro viso ed il nostro cuore minaccia di
spezzarsi; l’ora in cui si vede chiara la verità, che l’uomo
non può sopportare l’assenza di Dio.
Le gravi realtà della vita aprono gli occhi anche a
quelli che rimangono dinanzi a Dio in una comoda
pigrizia. Sotto questo punto di vista è ben interessante la
constatazione del celebre esploratore Stanley: “Nelle
solitudini dell’Africa la religione ha messo nella mia
anima così profonde radici, che essa è diventata per me
una guida ed un indicatore spirituale. Non si possono fare
veri e sostanziali progressi che aiutati da convinzioni
religiose, senza le quali ciò che chiamiamo progresso è
cosa vuota ed effimera. Senza la fede in Dio si è
trasportati sul mate delle incertezze”.
2) Le sofferenze, le disgrazie, le malattie, i dolori
percuotono ugualmente il credente e l’incredulo, ma con
quale differenza nell’attitudine dell’uno e dell’altro!
L’incredulo chiude i pugni in un gesto impotente contro
la crudeltà della sorte, oppure si chiude in una
rassegnazione muta, in mezzo a pene che gli sembrano
immeritate.
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In modo diverso soffre il credente. Chi soffrì più di
San Paolo? E chi l’ha inteso lamentarsene? Piangere? Noi
leggiamo che il suo cuore sofferente era inondato di
gratitudine verso Dio consolatore: Sia benedetto Dio, Padre
del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni
consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione (II Cor 1,
3-4). È vero le sue sofferenze furono immense, ma le
consolazioni furono ancora più grandi. Sono pieno di
consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione (II Cor 7,
4).
La vita certe volte, riunisce insieme uomini dalle idee
diametralmente opposte: credenti e increduli, e talvolta è
accaduto che in certi momenti di pacifica conversazione,
dalle labbra dell’incredulo sia uscita la confessione:
“Invidio la tua fede... chi crede dev’essere ben felice!”.
Ed ora aggiungo a questa confessione quella di un
illustre scrittore, ritenuto felice da tutto il mondo e
favorito dalla fortuna, Goethe, che, in una conversazione
con Eckerman, il 27 gennaio 1824, diceva che nei suoi
settantacinque anni di vita, non era stato felice quattro
settimane, ed in una delle sue opere descrive in termini
commoventi il suo stato d’anima “Mi sento come un
sorcio che ha mangiato del veleno: corre a ficcarsi in tutti
i buchi, beve tutti i liquidi, divora tutto ciò che trova sulla
sua strada, ma non può spegnere il fuoco che lo divora
dentro”20.
Come è vero il proverbio russo: “Si può vivere senza
padre e senza madre, non si può vivere senza Dio!”
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20 GOETHE, Opere, edizione di Weimar, tomo II, p. 293
Fratelli miei, la religione ha molti nemici, ma essa ha
dalla sua parte due sostegni possenti che loro non
potranno mai abbattere. Essi sono: La grandezza
dell’uomo di cui la religione sola può soddisfare le alte
aspirazioni; la piccolezza, l’impotenza, i dolori dell’uomo,
a cui la religione sola può portare una consolazione.
Finché vi saranno sulla terra dei cuori umani presi da alte
idealità che sentono la piccolezza delle limitazioni della
materia, finché ci saranno cuori umani spezzati e feriti ed
annientati dalla sofferenza, i nemici della religione non
riporteranno giammai vittoria.
Voglio ancora esporre un altro argomento che
obbliga a credere in Dio.
D. La sana ragione mi obbliga a credere in Dio
1) E qui non parlo solo nel senso figurato della
parola, ma nel senso proprio.
La fede in Dio non può essere strappata all’uomo,
perché, per farlo, bisognerebbe strappare in lui qualcosa
del suo più intimo essere, la religione appartiene all’uomo
tutto intero. La religione è, per gli uomini dal cervello
sano, la superstizione è per gli uomini dal cervello malato,
l’incredulità è per gli uomini che non hanno cervello.
E perciò vediamo che, quando qualcuno vuol farsi
apostolo della fede in Dio, non ha null’altro da fare che
lasciare l’uomo alle conclusioni della sua sana ragione: al
contrario, se qualcuno vuole estirpare la fede in Dio, può,
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se crede, caricare i fucili e inventare i mezzi di tortura più
raffinati, la fede in Dio fiorirà sempre più rigogliosa sulle
tombe arrossate di sangue innocente.
2) Naturalmente la credenza in Dio appartiene
ancora più alla salute dell’anima umana, all’integrità
dell’anima.
Indubbiamente, sarebbe il fenomeno più
incomprensibile e più incredibile della storia
dell’umanità, che l’uomo, dacché vive sulla terra, abbia
sempre creduto in Dio, abbia sempre reso un culto a Dio,
se Dio non ci fosse. Tutti i sacrifici pagani, tutti i templi,
tutti gli altari parlano di Lui. Tutte le mani giunte in
preghiera, tutte le campane squillanti, tutte le cerimonie
liturgiche parlano di Dio; tutti i cuori vittoriosi sulla
tentazione, tutti i nobili slanci della nostra anima parlano
di Dio: e Dio non ci sarebbe?
È sufficiente pensare a ciò che la civiltà umana
diventerebbe senza Dio. Quale miseria si abbatterebbe
sull’uomo! Dove avrebbero trovato il concetto basilare dei
loro capolavori Omero e Virgilio, senza le leggende
pagane sugli dei? La poesia di David, senza il culto
divino? Dante, Lopez de Vega, il Tasso, senza il
cristianesimo? L’arte gotica, senza i motivi suggeriti dalla
fede?
Togliete all’umanità la fede in Dio, e tutti i suoi
pensieri: la sua storia e la faccia stessa della terra
sarebbero cambiate. Chi può comprendere questo?
Comprendere come al mondo non ci sono né tiranni, né
carnefici, né forche, né patiboli che possano strappare la
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fede in Dio dall’anima dell’umanità? Spiegateci questo,
dateci una risposta... E non c’è altra risposta che questa:
Io credo in Dio, ed e necessario che veramente ci sia un
Dio.
* * *
Mentre esaminiamo le strade che conducono a Dio,
dovremmo nello stesso tempo guardare quelle che ci
allontanano da Lui.
Le strade che allontanano da Dio! Ai primi passi
sono strade piacevoli e facili: vie soleggiate, abbellite di
fiori inebrianti, ornate di tutte le bellezze ingannatrici del
peccato. Ma, man mano che si prosegue, la strada diventa
sempre più difficile: il sole si abbassa, il crepuscolo
comincia, i fiori appassiscono, le pietre del cammino
feriscono il piede, le forze fisiche e morali sperperate
svaniscono, e finalmente non si può più avanzare se non
strisciando attraverso paludi pestilenziali.
E le strade che conducono a Dio! Sul principio il
sentiero è dirupato e duro, faticosa è l’ascesa e vecchi
ricordi attirano indietro verso l’abisso. Ma poi, man mano
che si avanza, il cammino si fa più facile, la regione più
bella, e la veduta intorno magnifica... e finalmente
l’anima sembra volare sempre più alto come se avesse le
ali.
Fate attenzione, fratelli miei, e sappiate scegliere la
vostra strada. Quale prenderete voi? Quella che a Dio
conduce, o quella che da Dio si allontana? Abbiate il
coraggio di seguire con fermezza eroica la prima, e issare
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vittoriosamente sulla barca della vostra vita la bandiera di
una fede invitta.
Ho ricevuto la fede cristiana dai miei antenati, come
una sacra eredità: ed é per ciò che la stimo e vi rimango
fedele con pio e forte amore. Ma il suo primo dogma “Io
credo in Dio”, l’ho approfondito al lume della mia
ragione, ed ora, con incrollabile convinzione, affermo al
cospetto del mondo: La mia ragione, il mio cuore, la mia
anima, la mia logica, le mie aspirazioni spirituali, la verità
e la felicità che sospiro, esigono che io creda, giacché non
vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è
stabilito che noi siamo salvati (At 4, 12) che il nome benedetto
del nostro Dio.
A.M.D.G