00 14/03/2011 09:05

XIII. C’è un Dio?
La risposta della mia anima: L’aspirazione alla
verità e alla felicità
Ci sono delle verità che si vedono e si conoscono per
esperienza e ci sono delle verità alle quali crediamo, senza
vederle; ci sono delle verità che noi conosciamo soltanto
per via di conclusione, direi quasi che noi sentiamo con la
nostra intelligenza ed il nostro cuore. Vediamo e
sappiamo per esperienza che il vapore può mettere una
caldaia in movimento. È una “verità d’esperienza”. Noi
non abbiamo visto Cesare vincere Pompeo a Farsaglia,
ma noi crediamo alle sorgenti storiche che lo narrano: “è
una verità storica”. Noi deduciamo con la nostra
intelligenza che c’è una forza di gravitazione, giacché non
potremmo altrimenti spiegare perché una pietra cade al
suolo.
Ma a quale genere di verità appartiene
l’affermazione: c’è un Dio? È una verità che noi non
vediamo, che non sentiamo, ma affermiamo con una
certezza assoluta, perché la nostra intelligenza ed il nostro
cuore la garantisce.
La nostra ragione rende testimonianza a Dio.
“Dovunque il mio sguardo giro, immenso Iddio ti vedo”:
ed ogni angolo del mondo canta la lode di Dio creatore. Il
cielo e la terra, milioni di stelle e miliardi d’insetti, le
montagne ed i ruscelli... tutto dice alla nostra ragione che
sopra di noi c’è un Essere onnipotente, che è nostro
Padrone, nostro Dio. Ed il nostro cuore, la nostra anima
testimoniano del pari l’esistenza di Dio; testimoniano
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prima di tutto l’esistenza di un ordine morale
indipendente da noi e di un valore eterno, la cui forza
obbligatoria non si può spiegare se non s’ammette un
supremo Legislatore: Dio.
Ma la testimonianza dell’anima umana non si limita
a questo. Due santi e misteriosi sentimenti vivono nel
nostro cuore, e se li considereremo più a fondo, ne
risulterà una nuova testimonianza a favore della nostra
tesi.
A) L’uomo aspira alla verità, ma in Dio solo trova
verità completa.
B) L’uomo desidera la felicità, ma non la trova
perfetta che in Dio.
A. La verità completa
1) Facciamo precedere qualche considerazione
filosofica.
Sappiamo tutti che ci sono delle verità fondamentali
la cui realtà risulta evidente, e delle quali si può dire che
sono più chiare della luce del sole e servono di base a
tutto il pensiero umano.
Tali verità sono indipendenti da noi, e non possiamo
cambiarvi nulla. Non solo non può farlo l’individuo, ma
neppure l’umanità. Così, per esempio: Il tutto è più
grande della parte, il nulla non produce nulla. Non c’è
effetto senza causa. Invano un autorevolissimo
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Parlamento potrebbe promulgare una legge per decretare
che da quel momento in poi la parte è più grande del
tutto. Ciò non potrebbe cambiare la realtà. E quando
l’uomo non esisteva ancora sulla terra, tali verità erano
già in vigore, e là dove attualmente non c’è ancora uomo,
esse sono in vigore. Si tratta di verità eterne, che non
dipendono dall’uomo.
Ma da chi dipendono? Dall’universo? Certamente
no, poiché queste verità resteranno tali anche quando il
sole, la luna ed il mondo intero saranno scomparsi. Molti
scienziati lavorano allo studio delle leggi della natura, e
classificano sistematicamente le leggi che reggono
l’universo: ma non sono loro che hanno creato le leggi.
Queste non vengono dallo studio e dalla ragione umana.
La ragione umana constata soltanto lo stato delle cose.
Non c’è che una risposta possibile; bisogna che ci sia
qualcuno al di sopra degli uomini, del mondo, dello
spazio e del tempo, dal quale provengono e dipendono
tali verità, bisogna che in qualche parte ci sia una
sorgente di verità, una verità eterna: Dio.
2) Noi non dobbiamo far altro che entrare nella
strada che conduce alla verità, e camminarvi
instancabilmente, anche se questo deve durare anni e
anni: e quando saremo arrivati alla sorgente della verità,
incontreremo Dio. Anche se il cammino dovesse durare
venticinque anni! Dico venticinque perché un gran
convertito, Chesterton, per venticinque anni ha cercato
questa verità. E finalmente l’ha trovata.
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E devo dirvi in quale curioso modo l’ha trovata? Da
venticinque anni il geniale scrittore G. K. Chesterton
capeggiava la lotta contro la religione cattolica. Come
scrisse egli stesso, era un affiliato alle teorie atee che
l’ultimo secolo ci aveva tramandato, e si era messo in
cammino per trovare la verità. Egli esaminò a fondi tutti
gl’idoli dell’età moderna. Cominciò dalla ragione. Studiò
i razionalisti più vicini a lui che non credevano ad altro
che a sé stessi. E scoprì che l’uomo non può vivere
unicamente della ragione; che sono colpiti di malattia
mentale non solo quelli che hanno perduto la ragione, ma
quelli che hanno perduto tutto, salvo la ragione. Notò che
quelli il cui cuore è duro come una pietra, finiscono con
un rammollimento cerebrale. La prima scoperta dello
scrittore fu dunque questa: a lato di ciascun peso bisogna
mettere un contrappeso, il cuore a lato della ragione.
Dopo la ragione egli esaminò il cuore dell’uomo
moderno e la sua morale; dopo la morale, le grandi
parole d’evoluzione e di progresso e, quando finalmente
egli esaurì gli argomenti propostisi, gli venne per la prima
volta l’idea: “Forse la religione cattolica è stata
condannata a torto, perché se questa fede si combatte con
argomenti così contraddittori, bisogna che sia cosa ben
straordinaria. È pur vero che esiste da diciannove secoli, e
secondo i suoi nemici, sarebbe falsa in ogni suo punto. È
dunque un gran miracolo che possa sussistere. E piano
piano, il nostro scrittore con la ricerca della verità,
continuando a riflettere, giunse alle porte della verità
cristiana. Cominciò ad esaminare gli argomenti presentati
contro il cristianesimo e gli uomini che li utilizzavano, e
con sua gran sorpresa scoprì che in ogni accusa ed in ogni
accusatore c’erano tracce di malattia, decadenza o
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anormalità. Continuò le sue riflessioni: “Immagino di
conoscere un uomo sul quale mi si riferiscono le cose più
contraddittorie. I giganti dicono che è un nano, ed i
piccoli dicono che è un gigante. I grossi lo trovano magro,
ed i magri troppo grosso. Per i biondi svedesi è un negro,
e per i negri è un biondo. E la causa di ciò? È certo che
quest’uomo singolare è normalissimo, e che sono
anormali coloro che trovano in lui qualche cosa da
ridire”.
E così, fratelli miei, quel grande scrittore giunse con
questo metodo forse un po’ curioso, alla Chiesa Cattolica,
e vi entrò con la sua sposa; e dall’allora, ripetete in
ginocchio: Mio Signore e mio Dio!
Ecco come l’anima che cerca la verità, arriva alla
sorgente della verità. Verità... verità... quali reclute tu fai
per la fede in Dio!
B. La perfetta felicità
L’anima umana non solo cerca la verità ma nella
stessa misura: 1) la felicità; 2) quella felicità che trova solo
in Dio.
1) L’uomo cerca la felicità
a) L’uccello deve volare, il pesce nuotare e così
l’uomo corre dietro la felicità!
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In questa vita però nessuno può essere pienamente
felice. Io non esagero, fratelli miei: nessuno.
C’è chi pensa che il denaro possa fare la felicità, e si
butta anima e corpo a dargli la caccia; chi crede invece
che sia la gloria, la reputazione a darla e non pensa altro
che a conseguirle. C’è chi cerca la felicità nella scienza,
chi nella potenza, chi nel piacere, e tutti, a modo loro, si
sforzano di procurarsela. Qualcuno forse dirà: “Ma il
denaro rende veramente felici”. Risponderò con un
nome: Ford. Chi non conosce il nome di quest’uomo, uno
fra i più ricchi del mondo? E avete anche letto ciò che ha
scritto della sua ricchezza? “La ricchezza eccessiva rende
inquieti e malcontenti”19. Ecco ciò che dice un uomo
d’affari, e certamente merita credito.
“Ma i piaceri, le distrazioni, i divertimenti rendono
certamente felici”, pensa qualcun altro. Esaminiamo
allora il gaudente. È forse felice? Ogni giorno dopo
pranzo va al cinema, poi cena ed esce per il teatro... A
notte inoltrata lo troviamo nei bar, nelle sale da ballo... in
luoghi biasimevoli. Così le sue giornate si chiudono nel
disgusto, nella nausea, nella noia, nella fredda solitudine
dell’anima.
Jörgensen ieri era uno scrittore che “viveva la vita,
incredulo, darvinista e decadente”. Provò tutte le gioie
della vita, e le trovò insufficienti e ingannatrici. “Tutto è
retorica e doratura”, scrisse “una vernice poetica sul volto
avvizzito del peccato”. E dopo tante malsane esperienze,
arrivò a questa riflessione: “L’uomo vuole essere felice. Lo
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19 HENRY FORD, America, 1929, N. di Agosto 1929
vuole. Bisogna che lo sia. La natura ha scritto in noi
questa volontà. Anch’io ho voluto essere felice. Mi sono
liberato da tutte le leggi morali, ma la felicità non l’ho
trovata. Allora pensai ciò che lbsen aveva detto: non può
farci felici che la menzogna”.
“La misura era colma”, continua Jörgensen:
“nessuno al mondo ha visto che una qualunque creatura
abbia bisogno della menzogna per poter vivere. Ogni
pianta, ogni animale, tutto ciò che vive, vive di verità, ed
è felice solo per la forza della verità. Se nel più piccolo
degli animali ci fosse un solo istinto che gli facesse cercare
una cosa che non esiste, quell’animale sarebbe votato alla
morte. Solo l’uomo avrebbe necessità della menzogna per
poter vivere? No, non lo credo” esclamò Jörgensen. E
cercò la felicità fino a quando non la trovò. La trovò
presso Dio, per molto tempo negato, misconosciuto,
abbandonato. In seguito divenne un cattolico, ed un
cattolico innamorato di San Francesco. Ecco come il
desiderio della felicità recluta amici a Dio.
b) Ma continuiamo la nostra idea. Tutti sono nati per
la felicità e vogliono essere felici. Mi guardo attorno e
guardo lontano, e ahimè! Che spettacolo terribile mi si
presenta davanti! Lo spettacolo terrificante della
rettitudine perseguitata e del peccato trionfante. Ah! la
vita è crudele e piena di dissonanze. Colma di dolori, di
sofferenze, di privazioni, che spesso colpiscono proprio i
migliori. I migliori, perché la loro onestà e le loro
convinzioni morali li distolgono dalle disonestà che non
permettono d’avanzare che alle coscienze elastiche.
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Davanti a queste ingiustizie dalla voce acuta, non ci
sono che due uscite. Una è il pessimismo desolante, lo
sconforto che conduce al suicidio. “Le cose sono così, e
così resteranno perché tutto il mondo è cattivo”. L’altra
uscita, l’unica, è la soluzione appurata “C’e un Dio che
ha promulgato la legge, e non osserva inattivo alla sua
trasgressione. C’è un Dio che, dopo le numerose
sofferenze ingiustificate dei combattimenti terrestri,
attende l’eroe vittorioso con queste parole: Io sono il tuo
scudo; la tua ricompensa sarà molto grande (Gen 15, 1).
Ma questo, solo se c'è un Dio.
Quali enigmi angosciosi, quali domande strazianti
assalgono le anime, anche le migliori, anche le più
religiose! Ci sono delle ore in cui l’ombra del dubbio
sorge pauroso davanti ai nostri occhi: Perché il mondo
esiste? Da dove viene e dove va? Di certo allora non c’è
altra risposta: bisogna che uno scopo ci sia, ed è Dio, che
è il principio e la fine di tutto.
Ci sono anche altri dubbi. Quante ingiustizie, quante
rinunce, sofferenze e violenze!
E la risposta è: ognuno avrà il suo avere al cospetto di
Dio. E la mia solitudine spirituale, l’assenza di pace, la
coscienza dei miei peccati! La risposta è: Tutto si
aggiusterà davanti a Dio. È vero che la sofferenza, la
miseria, la sfortuna, l’intera vita umana sono dei grandi
misteri... e la sola soluzione di questo grande mistero è
Dio.
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c) Ed ora tiriamo la conclusione. L’uomo vuole essere
felice, ma sulla terra non può trovare felicità.
Non è solo la Sacra Scrittura che proclama: vanità
delle vanità: tutto è vanità (Qo 1, 2), ma ancora fra i Greci,
Sofocle, noto per la sua esaltazione della gioia di vivere,
nell’Edipo fa cantare il coro così: “Il meglio, non è
nascere: ma morire dopo essere nato”.
Questo accento di rassegnazione malinconica, è una
prova clamorosa che il mondo è incapace di dare
all’uomo una felicità perfetta e pacifica, ma è altresì una
prova dell’esattezza dell’affermazione di Dante: “In Dio
solo si può trovare il dolce frutto che si cerca invano su
tanti alberi e rami”.
Infatti il mondo promette molto, ma poi non
mantiene la parola. Dipinge davanti a noi le immagini
della gioia ma poi restiamo sempre delusi dalle sue
promesse ingannevoli e fallaci. E la delusione è il solo
vero tesoro che il mondo può dare, visto che almeno
questa dirige la nostra anima assetata di gioia verso
l’unica sorgente della gioia duratura, Dio. È in Dio che si
trova la felicità; poiché Dio non ha bisogno di nessuno,
mentre tutti noi abbiamo bisogno di Lui, ed é in Lui, che
un giorno, la nostra anima che aspira alla felicità, troverà
la realizzazione di tutti i suoi desideri.
Dove altrimenti l’uomo troverebbe la felicità
perfetta?
Dove trovare la felicità? In nessun luogo. Ecco la
tragicità del nostro destino. In fondo alla nostra anima
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arde il desiderio inesauribile di una vita più felice, ma è
un’immagine fittizia, un miraggio, un’aspirazione che non
sarà mai appagata. C’è chi pensa così, e noi non abbiamo
il diritto di passare oltre senza rispondere a simili penosi
lamenti.
Si, fratelli miei, sarebbe terribile, se realmente le cose
fossero così, se non avesse fondamento la mia convinzione
che mi fa uscire dalla materia; la mia aspirazione ad una
felicità perfetta.
Io navigo sul mare. Venite a me, fratelli miei. Voi che
disperate, mettetevi accanto a me sul ponte della nave.
Come le onde si sollevano maestosamente intorno a noi!
E che spettacolo grandioso! Non dimentichiamolo. Tutto
il mare, tutte le onde sono costituite da miliardi di gocce
d’acqua che si mescolano le une alle altre, e di cui
l’oceano ignora la grandezza e la bellezza. L’oceano non
lo sa, ma io lo so. Io sono dunque più dell’oceano.
Sopra il nostro capo si spiega il cielo stellato, con i
suoi astri numerosissimi. Quale dolce e poetica
commozione si desta in me!... ma soltanto in me. Perché il
cielo non è che un complesso di corpi luminosi, roteanti
l’uno accanto all’altro, senza conoscersi fra di essi, che
non sanno nulla della loro bellezza, della loro perfezione;
ma io lo so. Io sono dunque più del cielo stellato.
Il mondo che mi circonda è magnifico, ma è soltanto
materia. È magnifico fin nei minimi particolari, ma non
sono altro che materia. Si compone di milioni di
molecole, atomi, elettroni, ma questi elementi non sanno
nulla gli uni degli altri. Tu solo, uomo, puoi riflettere su te
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stesso e conoscerti. Tu sai che, nonostante la tua
piccolezza, puoi sprigionare dal tuo intimo qualcosa che
abbraccia gli astri e misura l’oceano. E perché tu
soltanto? Perché non sei soltanto materia come il cielo, gli
astri, il mare, ma qualcosa di immateriale riunisce gli
atomi del tuo corpo e li anima. E la cosa per la quale ti
conosci e nello stesso tempo può percorrere il mondo con
un colpo d’ala, la cosa a cui tu domandi consiglio e parli e
nel segreto della quale nessuno può entrare se tu non lo
permetti, non è materia. È incomparabilmente più e più
alta della materia: tu solo puoi dominarla.
Non è strano fratelli miei, che i miei occhi,
qualunque sia l’attrazione esercitata su di essi dalla terra,
si volgano sempre al cielo, non è strano che i nostri
sguardi frughino sempre le altezze, perché sentiamo di
essere qualcosa di più del mondo intero, sentiamo che,
dopo questa vita terrestre, diventeremo cittadini di un
regno migliore. Potrei quasi dire che l’uomo cerca
istintivamente il Dio capace di dare la felicità, che noi
abbiamo un’inclinazione naturale che ci porta verso il
Dio datore d’ogni gioia.
Ora, direte voi, che il desiderio della felicità deposto
in noi dalla natura è senza scopo, senza oggetto, che in
nessuna parte trova la sua realizzazione?
È ciò che io non credo. Non lo credo, perché la
natura non si trastulla con noi, e, quando ci mette in
cuore un desiderio, ce ne assicura la realizzazione.
Almeno noi vediamo compiersi questo, dovunque;
saremo delusi solamente in questo caso? La natura ci ha
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dato gli occhi, ma altresì ci ha dato la luce; ci ha dato le
orecchie, ed altresì delle melodie; ingannerebbe soltanto
quando ci dà altra sete, la sete della felicità e non la
felicita?
La natura ha creato il leone, ma ha anche creato per
lui la carne della gazzella, ha creato l’aquila, ma ha
creato anche la roccia per il suo nido; nell’eventualità in
cui nel mondo non vi fossero che erbe o topaie, la natura
non avrebbe creato né il leone, né l’aquila. Ora, la natura
avrebbe fatto un’eccezione unicamente per l’uomo?
Avrebbe messo solamente in noi il desiderio della felicità
perfetta, per non darci che delle sue misere contraffazioni
e le vanità della terra? No. Se una creatura vivente
arrivasse da Marte volando, noi arriveremmo alla
conclusione che in Marte c'è la possibilità di volare.
Analogamente, quando nella nostra anima sentiamo
spiegarsi le ali che la rapiscono alle altezze, dobbiamo
ammettere che certamente c’è un Dio infinito verso il
quale le ali vogliono sollevare l’uomo.
Accostando all’orecchio una conchiglia marina, si
ode un mormorio confuso. Si dice che è il rumore delle
onde, dalle quali la conchiglia nasce. Parimenti quando si
ascoltano le voci del profondo, della nostra anima; pare
ne esali un misterioso sospiro, un desiderio segreto. È la
voce di Dio infinito, dal Quale la nostra anima è uscita,
ed al Quale desidera tornare.
* * *
Fratelli miei, la prima risposta del catechismo, pone
l’uomo davanti al problema più angoscioso: Perché siamo
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in questo mondo? L’incredulità ha una risposta
soddisfacente e confortante, dalla quale irraggiano la
forza di vivere e l’energia dell’azione?
Intorno a noi tutto passa e precipita alla rovina: la
foglia appassisce, l’animale muore, l’uomo muore, il sole
si raffredda. E questo ultimo istante inesorabile e
distruttore insinua nelle nostre anime la domanda: Perché
tutto ciò?
Perché vivo? Perché l’umanità è vissuta? Perché tante
sofferenze, lacrime, dolori, preoccupazioni? Ecco la
terribile domanda alla quale l’incredulità non può
rispondere. Vedete la risposta degli antichi savi, e vedete
quella dei filosofi moderni: bancarotta totale, fallimento
totale dell’incredulità.
Io vi domando dunque di scegliere: o credo che c’è
un Dio, o credo che non ci sia; o credo che c’è un altro
mondo, o credo che tutto finisce con la morte. O credo
che c’è una felicità eterna, o credo che il desiderio della
felicità è in noi un istinto cieco e senza scopo. Bisogna
scegliere: e che scegliete voi? Il mattino lieto di sole, o la
notte senza stelle? Il calore che dà vita, o il freddo che dà
morte?
Io, per mio conto, ho già scelto.
Io credo perché... perché non voglio impazzire.
Credo, perché non posso ammettere che ci sia un
principio senza una fine, un viaggio senza meta.
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Credo perché non posso pensare che ci sia una
gemma senza fiore e frutto, un desiderio senza
realizzazione.
In me vive il desiderio della felicità, e credo che sarà
appagato nel regno di Dio infinitamente buono che mi
accorderà ciò a cui aspiro.
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