00 09/03/2011 13:02
VII. Come fortificare la mia fede: Bisogna avere
cura di essa
In questi ultimi giorni ho fatto una curiosa scoperta,
in sé insignificante: ma credo tuttavia che possa servire
molto bene come introduzione alla mia predica d’oggi.
Ho incontrato per la strada uno dei miei antichi
condiscepoli di scuola, dopo tanti anni che non
c’eravamo più visti. Naturalmente abbiamo esumato dei
vecchi ricordi, lontani e quasi obliati. Fra l’altro mi
ricordai che nei primi giorni di scuola superiore spiegavo
ai miei compagni i problemi di matematica e di fisica,
scienze per le quali allora avevo assai simpatia. Rientrai
quindi a casa e, non so come, mi domandai con curiosità:
“Che cosa ricordo ancora di queste due scienze?”. E lo
confesso a mia vergogna, feci una scoperta incredibile. Mi
provai in un piccolo problema di trigonometria. “Che
cos’è il coseno?”. Non sapevo più, e tuttavia ricordai che
all’esame io avevo risposto brillantemente su questo
argomento. Tanto peggio! Proviamo i logaritmi. Nulla.
Tentativo infruttuoso. È inaudito! È vero che non apro
una tavola di logaritmi da ventiquattro anni, ma com’è
possibile che io non ricordi più nulla?
E se qualche ingegnere tra i miei uditori si
scandalizzasse della mia ignoranza di cose così
elementari, io gli chiederei: “E voi potreste ancora leggere
il greco, se per ventiquattro anni non aveste più vista una
lettera dell’alfabeto greco?”.
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Sia quel che volete, non facciamoci rimproveri a
vicenda, ma deduciamo da questo fatto la lezione che
servirà di argomento alla mia predica d’oggi. Ciò che non
si tiene in esercizio si dimentica, sia che si tratti di calcolo
logaritmico, di lingua greca, o di postulati della nostra
fede.
Chi vuole avere la fede deve coltivarla, svilupparla e
deve vegliare sopra di essa. Non deve obliarla, né lasciarla
pericolare.
Il tema d’oggi è dunque il seguito logico di quello
trattato l’ultima volta. Avevo raccolto il lamento di molti
fra gli uomini, quando sentono parlare dei benefici che la
fede apporta: “Felici quelli che hanno la fede! Ma a che
cosa mi serve il saperlo, se Dio non mi ha accordato tale
felicità? Se non mi ha dato la grazia della fede?”.
Questo lamento non è legittimo fratelli miei. Ho
detto che Dio parla a tutti gli uomini con la sua grazia,
che li invita a credere, ma dipende da noi avere il
coraggio di rispondere alla chiamata. Se voi volete avere
la fede, abbiate il coraggio di credere, costringete la vostra
ragione ed il vostro cuore a credere.
Ma ho anche detto che il coraggio non basta per
avere la fede. Per mantenere vivo questo tesoro bisogna
averne cura, bisogna non obliarla.
A) Perché bisogna aver cura della propria fede?, B)
Come bisogna aver cura della propria fede?
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A. Perché bisogna aver cura della fede?
1) Quando si leggono le Epistole di San Paolo, non si
fa a meno di constatare che l’Apostolo avverte
incessantemente i primi cristiani di coltivare la fede, di
prenderne cura.
Per esempio, egli scrive a Timoteo: Combatti la buona
battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei
stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede
davanti a molti testimoni (1 Tim 6, 12). E scrive agli Efesini:
Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere
tutte le frecce infuocate del Maligno (Ef 6, 16). E scrive ai
Corinzi: Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi in modo virile,
siate forti (1 Cor 16,13). È un continuo battere e ribattere:
Vigilate sulla vostra fede, conservatela intatta!
E perché l’Apostolo sentiva il bisogno di insistere su
questo comando? Perché i primi cristiani vivevano in un
mondo corrotto fino alle radici, incredulo e immorale, ed
erano incessantemente esposti alle tentazioni del loro
ambiente, al contagio di un mondo frivolo. Ma oggi
anche noi ci troviamo in un mondo simile all’antico. Se
San Paolo rivivesse fra noi, scriverebbe in termini ancor
più forti: “Fratelli, che avete ricevuto con il battesimo il
primo seme della fede di Cristo: fratelli, le cui anime,
grazie all’educazione familiare e all’insegnamento
religioso, hanno visto nascere dal primo seme un arbusto
pieno di speranze, fratelli che avete dovuto affrontare le
lotte della vita, vegliate sul fragile germoglio che cresce
nella vostra anima, la fede cristiana!” Vivete per forza, in
un mondo ostile; le preoccupazioni della vostra
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professione ed il lavoro quotidiano vi trascinano in
un’atmosfera priva del minimo germe vitale di pensiero
ultraterreno. Fratelli, non c’è da stupire se le cognizioni
religiose apprese da voi nei primi anni, si disseccano di
più in più nelle vostre anime, nel turbine delle
preoccupazioni per l’esistenza che vi assediano da ogni
parte. Non c’è da stupire che voi cominciate a obliare la
vostra fede, che non abbiate il tempo di approfondirla e
praticarla, e perfino che, avendola interamente perduta,
siate diventati degli increduli. Si può dimenticare la
trigonometria, si può dimenticare l’alfabeto greco, si può
dimenticare del pari la propria fede.
Si può perfino dimenticar la lingua materna. Ho
incontrato in Olanda dei fanciulli ungheresi che dopo
qualche anno appena di lontananza in famiglie olandesi,
non sapevano più una parola di ungherese. E quando
tornarono in patria, le loro madri non potevano più
comunicare con loro. Ora conoscete voi la lingua
materna della nostra anima? È la fede. Essa, del pari si
può dimenticare completamente. E tanto più presto,
quanto più presto si è cessato di praticarla. Qualunque sia
la virtuosità con la quale si è suonato il pianoforte
nell’infanzia, se si rimane degli anni senza più toccare i
tasti, si disimpara di suonare. Per numerosi che siano stati
i nostri esercizi di ginnastica durante il tempo delle
scuole, è certo che, se non ci si esercita più, dopo qualche
anno non si potrà più fare un esercizio alla sbarra fissa,
anche se un tempo si sapeva fare con tutta facilita.
2) E continuo. Affermo che non soltanto non si ha il
diritto di dimenticare le cognizioni religiose, ma al
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contrario si dovrà approfondire sempre più, e svilupparle
in misura dei bisogni spirituali di un adulto.
Perché insisto specialmente su questo punto? A causa
di ciò che molti uomini hanno perduto la fede, perché,
pur arrivati all’età adulta, hanno ancora, sulle cose della
fede, le idee ingenue della loro infanzia. Ma ciò che
bastava al modo di pensare di un fanciullo, non è più
ammissibile per un adulto. Talvolta l’adulto si domanda
come idee così infantili siano potute venirgli in mente.
Può darsi che non sia un gesto di incredulità, ma una
protesta della ragione più sviluppata contro le concezioni
troppo infantili e ingenue della fede. Ciò che conveniva al
fanciullo non conviene più all’uomo. Il fanciullo si forma
un’immagine di Dio secondo le sue strette idee sul mondo
e le sue concezioni limitate.
Ma tale immagine non conviene più per un adulto: e
se egli cessa di coltivare la fede, e non vigila, leggendo
opere religiose e ascoltando buone predicazioni, a
sviluppare di più l’immagine di Dio che vive in lui, certo
che farà faci lmente nauf ragio f ra gl i scogl i
dell’incredulità. Ma la colpa é sua, e non della fede.
Ecco il compito importante che ci incombe: non
soffermarci alla fede della nostra infanzia, ma progredire:
coltivarla e vegliare su di essa.
Ecco ora l’altra questione importante:
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B. Come dobbiamo prendere cura della nostra fede?
La risposta a questa domanda è semplicissima
Bisogna coltivare la fede come tutte le altre cose in questo
mondo: con la pratica. Colui che vuol diventare un buon
violinista, suona ogni giorno per delle ore di seguito.
Colui che vuol vincere un concorso, vi si prepara con
alacrità. E colui che vuol avere una fede viva e robusta,
deve ugualmente praticarla ogni giorno, con fedeltà e
costanza.
Per coltivare la nostra fede occorrono quindi due
cose: 1) professarla esteriormente; 2) praticare i doveri
della religione.
1) Professare esteriormente la fede.
a) La fede interiore e quella professata esteriormente
rispondono pienamente alla natura dell’uomo, composto
di interno e di esterno, di anima e di corpo.
Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la
bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza, scriveva
San Paolo (Rom 10, 10) cioè l’interno e l’esterno riunito
procurano all’uomo la salvezza.
La professione esteriore della nostra fede ci è, del
pari, necessaria, perché essa la fortifica. Colui che
afferma incessantemente che basta essere religioso
interiormente, proverà ciò che avviene a chi conosce una
lingua straniera, ma non la parla mai: dopo qualche anno
la dimentica.
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b) La fede è certamente una cosa del tutto personale
e individuale, un gioiello sacro conservato nel fondo della
mia anima: e la più bella professione di fede è una vita
terrestre passata conformemente alle prescrizioni della
religione. Ma ci sono dei momenti, delle situazioni, in cui
io devo professare esternamente la mia fede.
Tutta la famiglia parte per un’escursione il mattino di
una domenica, ma non per questo io lascio la Messa.
Viaggiando in ferrovia, o trovandomi in un salotto sento
parlare di religione, e contro i pregiudizi dei più io oso
prendere la parola in difesa delle mie convinzioni. Sono
alla Messa... suona il campanello dell’elevazione... i miei
compagni si contentano di inchinarsi... ma io ho il
coraggio di inginocchiarmi dinanzi a nostro Signore, che
scende sull’altare. Sono una povera ragazza... ed ecco che
mi si presenta un ricco pretendente, un partito brillante.
Ma c’è un ostacolo: io non potrei sposarmi secondo le
leggi della mia religione, ed ho il coraggio di dire no, e
rinunciare, confidando che Dio penserà in altro modo per
il mio avvenire. All’officina, i miei compagni di lavoro mi
fanno incessantemente guerra a causa della mia religione;
ed io ho il coraggio di continuare a frequentare la Chiesa
e non arrossire della mia fede. C’è qualcuno che si
vergogna dei suoi genitori: ma è più triste ancora
vergognarsi della propria fede. Costoro certo non hanno
mai inteso queste parole di Nostro Signore: Chi mi
rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al
Padre mio che è nei cieli (Mt 10, 33).
c) Non si può dissimulare la nostra edificazione
quando si vedono dei cattolici, passando dinanzi alla
chiesa, farsi il segno della croce. Il segno della croce!
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Sapete che il segno della croce è l’indice più distintivo
della nostra fede? Colui che lo fa su se stesso proclama
apertamente agli occhi di tutti: Io sono un discepolo di
Cristo morto sulla croce. Io vorrei vedere tutti fare
piamente, degnamente, come si deve, il segno della croce,
che é una professione cosciente della nostra fede.
Invero, se noi riportiamo i nostri sguardi sul
cristianesimo primitivo, vediamo che fu, fin dall’ora,
segno glorioso della fede. I martiri andavano alla morte,
invocando il nome di Dio, e segnandosi in fronte del
segno della croce. E non si può immaginare un segno più
semplice, più chiaro, più significativo della nostra fede.
Proclama i due dogmi fondamentali: l’unità e trinità di
Dio e la divinità di nostro Signore Gesù Cristo.
Sentite ciò che uno scrittore ecclesiastico del secondo
secolo, Tertulliano, scriveva sul segno della croce presso i
primitivi cristiani: “Quando noi cominciamo o
terminiamo il nostro lavoro, quando entriamo in casa e
quando ne usciamo, quando ci vestiamo o calziamo i
sandali, quando ci mettiamo a tavola, o accendiamo la
lampada, quando andiamo a dormire, quando ci
sediamo, quando facciamo non importa che cosa, noi
facciamo sulla nostra fronte il segno della croce”13. Ecco
ciò che si scriveva nel II° secolo; e sentite ora queste
parole radiose di fierezza di San Giovanni Crisostomo:
“Noi portiamo come una corona la croce del Cristo
perché è per mezzo suo che noi abbiamo ricevuto tutto
ciò che occorre alla nostra salvezza: quando noi
rinasciamo (battesimo) c’è la croce: quando ci nutriamo
112
13 TERTULLIANO, De Corona, 3
con le sante specie (Eucaristia), quando riceviamo
l’estrema unzione, dovunque sempre si drizza al nostro
lato questo segno di vittoria: così noi erigiamo con tanto
fervore la croce nelle nostre abitazioni, sui muri, alle
finestre, sulla nostra fronte, e soprattutto nel nostro
cuore”14. Ecco ciò che si scriveva nel IV° secolo.
Ed inoltre, fratelli miei, con il segno della croce non
solo noi confessiamo la nostra fede, ma fortifichiamo,
altresì la nostra anima nella sofferenza. Tante disgrazie ci
accasciano, ma non sono mai così pesanti come lo fu la
croce di Cristo. Gli uomini sono spesso cattivi e nemici,
ma noi non soffriremo mai a causa loro, quanto ha
sofferto il Salvatore, che era stato divinamente buono con
tutti e fu ripagato con tanta crudele incomprensione e
cattiveria.
Noi non ci vergogneremo della croce! Al contrario
dobbiamo farne la nostra gloria. Quanto a me invece non ci
sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per
mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il
mondo (Gal 6, 14). La croce ha guadagnato il mondo alla
civiltà, ha bandito gli orrori del paganesimo, ha brillato
sulla corona dei re, e si leverà un giorno sulla mia
tomba.... Possa questa croce essere il pegno della mia
eterna felicità.
Confessiamo coraggiosamente la nostra fede, e così
l’avremo già fortificata e coltivata.
2) Pratichiamo la nostra religione.
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14 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelia 54 in Matt, 4.
Non vi spaventate se vi parlo di regolarità nella vostra
vita religiosa. So che non si possono rinchiudere in uno
schema né classificare in rubriche, né sottomettere a
misura le relazioni ferventi fra l’anima e Dio, che si
chiamano religione. La religione deve penetrare tutte le
manifestazioni della nostra vita. Questa è la verità. Ci
sono tuttavia certe regole delle quali non si può fare a
meno, altrimenti la nostra anima ne soffrirebbe. Quelli
che volessero liberarsene, anche animati dalla miglior
buona volontà, avrebbero una religione senza sistema,
disordinata, capricciosa: un giorno essa si slancia verso il
cielo come la fiamma di una candela, un’altra volta
tentenna senza forza, come un lucignolo vicino a
spegnersi in una lampada. Occorrono delle regole che
non dipendano dai nostri capricci, ne buoni ne cattivi: ci
vuole un certo ordine nella vita religiosa.
Quale ordine? Esercizi abituali della vita cristiana,
che tutto il mondo conosce, ma il cui valore non è visto
da tutti. Tale è per esempio la preghiera del mattino e
della sera, fatta regolarmente ogni giorno. Non si
dovrebbe mai ne cominciare ne finire una delle nostre
giornate senza preghiera. Che poi questa preghiera è
fatta secondo una formula consacrata e imparata a
memoria, oppure sia letta in un libro di pietà, o ancora
sia una fervente elevazione della nostra anima verso Dio,
o eventualmente un’aspirazione muta verso il cielo, ciò
spetta a ciascuno di noi regolare secondo la propria
disposizione e natura.
I giorni della settimana santificati dalla preghiera
sono seguiti dalla domenica santificata dalla santa Messa.
Mi basta evocare l’azione potente esercitata sulla
114
conoscenza approfondita della nostra fede, dalla pia e
devota assistenza alla santa Messa ogni Domenica. E voi
potrete guardare tranquillamente, sul vostro letto di
morte nostro Signore Gesù Cristo, se potrete dirgli:
“Signore, vi ho visitato ogni Domenica nella vostra chiesa
ed ho preso parte al mistero del vostro Sangue,
permettetemi di partecipare altresì alle gioie dell’eterna
festa del cielo”.
Ecco ancora un altro obbligo: ricevere il Corpo Sacro
di Cristo, al fine di accrescere la vita della vostra anima;
bisogna riavere in noi il corpo di Cristo, per avere la forza
di sostenere le lotte dell’esistenza, per poter riempire di
valori divini ed imperituri questa vita terrestre polverosa,
scabrosa ed effimera. Quanto spesso dovete voi ricevere il
Corpo di Cristo? Qui ancora non c’è nulla di prescritto:
al minimo, una volta l’anno nel tempo Pasquale. Ma chi
si contenterebbe di tanto poco?
Ed ancora un altro punto: l’osservanza dei giorni
d’astinenza prescritti dalla religione. Non come se la
carne non fosse il venerdì, buona come gli altri giorni, ma
per provare di tempo in tempo se posso restare fedele a
Dio al prezzo di una rinuncia e di un sacrificio.
Al tempo della campagna di Napoleone in Russia, un
mujik non volle schierarsi a lato dell’imperatore dei
Francesi, poiché egli apparteneva allo zar. I soldati lo
bollarono con una grande N. sul braccio. Ed allora egli si
tagliò il braccio e rimase dello zar. Fare dei sacrifici per
rimanere fedele a Dio, ecco il più bel fiore della vera pietà
ed il più potente mezzo di fortificare e coltivare la propria
fede.
115
Fratelli miei, non filosofate tanto, non “staccatevi”
dalla fede e vivete la fede.
C’è della gente che non osa immergersi nell’acqua
senza molta esitazione: bagnano la punta del piede e poi
la ritirano, provano, di nuovo e rabbrividiscono di freddo.
Ma quando finalmente sono tutti immersi, gridano:
“Quest’acqua non è così fredda come io credevo!”.
Anche voi, non esitate, non perdete il vostro tempo a
ragionare sulla fede. Provatevi a saltarvi dentro: praticate
e vivete la fede, e poi mi direte se l’acqua è ancor fredda.
Cercate di vivere esattamente secondo le prescrizioni
della vostra fede e vedrete che nel vostro intimo si
ripeterà la sublime professione di fede che, un grande
ungherese, il conte Stefano Széchenyi, pronunciò con
commovente franchezza così:
“La mia fede è ferma, sono cattolico leale: vado di
frequente a Maria-Zell. A Roma ho baciato con fervore la
mano del Papa, e seguo, con tutta la mia anima, le
prescrizioni della mia religione: ciò, perché sono cattolico,
non per caso, ma per una grazia particolare di Dio, e di
tal grazia voglio mostrarmi degno. Non mi rodo l’anima
per ciò che non posso comprendere. Accetto con rispetto
tutto ciò che mi è insegnato, e rispetto quelli che si
occupano delle nostre anime e lavorano per la nostra
salvezza. Tutte le domeniche e giorni di festa ascolto la
santa Messa, osservo i digiuni prescritti, mi confesso
regolarmente, ricevo la santa Comunione e faccio con
cuore contrito le mie devozioni. Stimo tutto degno di
rispetto nella religione, perché essa ha sempre per base
fondamentale l’amore di tutti gli uomini, e io so che è
116
soltanto per mezzo della preghiera, della meditazione,
della lotta contro la sensualità, della penitenza e una
pratica perseverante, che si può divenir capaci di amare
veramente... Cerco il valore della mia religione nella
rinuncia, nel sacrifico e nell’indulgenza”.
Sublime traccia per quelli che non vogliono credere!
* * *
Fratelli miei, ecco dunque la mia ultima domanda:
Volete conservare la fede? Vegliate su di essa, coltivatela,
praticatela. Allargate, nella vostra anima l’orizzonte
tracciato dalla fede e vivetela nella speranza della vita
eterna.
Vivete nella speranza, nella prospettiva della vita
eterna; ciò vuol dire di osservare incessantemente le
parole di nostro Signore: Siate pronti, con le vesti strette ai
fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro
padrone..., in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli...
(Lc 12, 35-37).
Fate in modo che il Signore, qualunque sia l’ora in
cui arrivi, vi trovi pronti. È ben possibile che molte cose
nelle mie incombenze terrestri non siano ultimate, è
possibile che i miei figli e la mia moglie abbiano ancora
bisogno di me, ma la mia anima è pura e pronta.
Io credo. Non ho alcun disgusto per il mondo e non
lo detesto: amo anzi la vita, la famiglia, la patria e le cose
117
belle, ma non getto per tutto ciò e non dimentico le
bellezze imperiture della eterna Patria, della vita eterna.
Io credo. Il cielo sopra il mio capo è senza dubbio
greve di oscure nuvole, ma la fede in Dio mi fa scorgere le
cime delle montagne dorate dal sole, al di sopra delle valli
ottenebrate. Gli abitanti delle alte montagne godono
giornate più lunghe di quelli che abitano le valli, e più a
lungo ricevono i raggi vivificanti del sole. E perché la mia
vita in questa triste valle terrena riceva del pari i raggi del
sole, io mi afferro alla fede: forzo la mia ragione ed il mio
cuore ad inchinarsi dinanzi a Dio, e coltivo in me le
energie luminose e vivificatrici della fede, con una pratica
regolare e fervente della mia religione.
Curvo la testa e la mia ragione dichiara: Io credo.
Batto alla porta del mio cuore e la vita mi risponde: lo
credo, Signore, io credo.
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VIII. Che pensate voi di Dio?
Esiste nella lingua umana una parola che eleva
l’uomo ad altezze vertiginose, al di sopra di tutte le
creature del mondo, una parola brevissima che prova più
vittoriosamente di qualunque altra cosa l’origine e il
destino sublime dell’uomo: una parola che risuona più
spesso di qualunque altra su questa terra, ovunque una
creatura umana viva. Dal nord al sud, dall’est all’ovest,
dal levar del sole al tramonto: Dio. Tre lettere sacre. Tre
lettere che risuonano incessantemente in cielo e in terra.
Gli angeli salutano con inni d’amore infiammato “Santo,
Santo, Santo é il Signore, il Dio degli eserciti!” ed esce
ugualmente dall’anima degli uomini che pregano in
ginocchio: Io credo in Dio.
Dio! I bimbi che balbettano ed i vegliardi incurvati
pronunciano questo nome sacro. Gli uomini che pregano,
e quelli che bestemmiano, i credenti e gli atei,
pronunciano questo santo nome: Dio. I filologi pongono
questa parola fra le prime e le più antiche di ogni lingua...
questo nome passa fra noi come un vivificante raggio di
sole.
Dopo i discorsi d’introduzione al Simbolo, noi
arriviamo oggi a questa parola, che ci pone dinanzi alla
maestà divina. Con il cuore inondato di gratitudine,
umiliamoci un momento. Supplico Iddio che la mia
povera voce glorifichi degnamente il Suo Santo nome, e
voi, miei fratelli, domandateGli che la sua viva immagine
si incida più, e più maestosamente nelle nostre anime.
119
A. Perché bisogna parlar molto di Dio?
Non sarà forse noioso, penseranno alcuni, trattare a
lungo questo tema? È esso di tanta importanza?
Ebbene: ascoltate dunque, perché bisogna, e perché
voglio parlare tanto di Dio.
1) In primo luogo, perché in tutto il mondo non si
saprebbe trovare un soggetto di predicazione più
interessante e più sublime. Non conviene forse parlare e
istruirsi lungamente sull’argomento del più perfetto, del
più santo, del più saggio e del migliore dei Padri? Non
conviene parlarne ed istruirci al riguardo, precisamente in
questo tempo nel quale noi sappiamo, discutiamo e
ricerchiamo tante cose concernenti il mondo che Egli ha
creato? E se non si rimpiangono né le fatiche, né i lunghi
lavori di ricerche, probabilmente di anni e anni per tutta
la durata di una vita umana, per venire a conoscere le
leggi che reggono il mondo creato, la sua costituzione e
organizzazione; si avrà il diritto di trovare eccessivo il
tempo che vogliamo impiegare a conoscere il Creatore di
questo universo, il Dio infinito? Dio è l’ideale più sublime,
la Grandezza infinita, il Giudice Supremo, il Fine ultimo,
la perfetta Saggezza. Bisogna dunque parlare lungamente
di Lui.
2) Ancora, noi dobbiamo sapere molte cose su Dio,
per un’altra ragione. Invero è proprio sulle idee che io ho
di Dio, che si regola tutta la mia esistenza terrestre e si
determina la sorte della mia vita eterna.
120
Colui che ha freddo, vada al sole e avrà caldo. Colui
che espone costantemente la sua anima ai caldi raggi
dell’amor divino, colui che attira Dio a se con un amore
profondo e commovente, colui che realmente si afferra a
Dio e Gli resta fedele in mezzo alle più tremende
tempeste della terra, colui che, né le tentazioni né il
dolore allontaneranno dalle Sue braccia, avrà la vita
rallegrata di sole e sarà felice: si avanzerà cantando anche
se la sua strada è seminata di spine e di aguzze pietre.
Dite: avremmo noi ragione di rimpiangere il tempo
occupato così?
3) Ma c’è ancora un’altra cosa. Bisogna parlare di
Dio, perché molto si parla contro di Lui e poco in Suo
favore.
Parlano contro di Lui le tendenze filosofiche più
conosciute come il materialismo, il monismo, il
panteismo; le grandi organizzazioni sociali: socialismo e
massoneria. In Russia i senza Dio hanno le loro
associazioni speciali e i loro giornali. È contro di Lui che
sono lanciate le grandi parole mascheranti le idee frivole.
È quindi necessario farsi queste due domande di
un’importanza decisiva: C’è un Dio? e come è Dio?
Prima di tutto noi domanderemo ciò che ne dice il
mondo. C’è un Dio? Vedremo ciò che dice l’umanità. C’è
un Dio? Ascolteremo ciò che dice la nostra anima. C’è un
Dio? Sentiremo ciò che dice la vita umana. C’è un Dio?
Esamineremo ciò che ci dice la fede.
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Finalmente grideremo, con anima gioiosa; Si può
ben proclamare da tutte le parti che Dio è morto, ma noi,
noi grideremo al cospetto del mondo: Dio vive ancora.
Egli è eterno!
Chi mai avrebbe il diritto di dolersi del tempo
impiegato ad imprimere nella nostra anima in modo
indistruttibile una verità fondamentale, sicura e
d’importanza capitale?
Gli uomini hanno su Dio le idee più diverse. Ed io
vorrei, in questa serie d’istruzioni trovare accesso presso
ciascuno di loro, ed avvicinarli Lui.
Io credo in Dio. Ma voi, fratelli miei, ditemi ciò che
ne pensate. Avete di Lui un’idea esatta? O avete bisogno
di mutare le vostre idee inesatte?
B. Che cosa pensate voi di Dio?
Passiamo dunque in rivista diversi tipi d’uomo,
classificati secondo le loro idee.
1) Prima di tutto metto le anime ribelli: quelli che negano
l’esistenza di Dio.
Ci fu un tempo in cui era, dirò così, di buon gusto,
non credere. Parlare con leggerezza delle cose della fede
era un passare per intelligenti e colti. Esistono al giorno
d’oggi ancora di questi fossili? Disgraziatamente, si.
Senza dubbio non sono molto numerosi quelli che
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vogliono difendere il loro ateismo invocando “ragioni
scientifiche”, ma molti ce ne sono che negano
semplicemente, con la loro condotta, l’esistenza di Dio,
senza apportare argomenti. O è il chiasso assordante
della scienza umana o è l’asprezza della lotta per
l’esistenza che spingono questi e quelli nel deserto
agghiacciato dell’ateismo: ma soprattutto sono le loro
troppo numerose cadute morali.
Come dobbiamo compiangere i disgraziati che
reputano la scienza e le macchine sufficienti alla vita
umana!
La scienza può veramente bastare all’uomo?
La scienza non ha ancora asciugato una sola lacrima
strappata dal dolore agli occhi dell’uomo. La scienza è la
fiaccola che illumina le profondità dell’essere, ma non è
capace di rischiarare come il sole! La scienza, le
macchine, possono veramente bastare all’uomo?
La macchina è un grande aiuto per l’uomo, ma nello
stesso tempo un gran pericolo. Uomini molto seri hanno
sollevato questa questione: Lo sviluppo tecnico moderno
è un flagello o un beneficio? La macchina, dovrebbe
essere la schiava dell’uomo, invece, molto spesso, regna su
di noi. “Non riesco a liberarmi dalle forze che ho
chiamate”.
Consideriamo l’abitante della grande città, la cui
esistenza è all’altezza dello sviluppo tecnico. L’orologio
alla mano, egli conta nervosamente i minuti per non
perdere il treno, o l’ultimo tram, per non arrivare in
123
ritardo al teatro, alla Borsa, all’ufficio. Egli è impaziente e
distratto e ciò non favorisce un lavoro serio, né la
riflessione. Lo sviluppo della macchina ha abituato
l’uomo alla precipitazione e alla fretta. Ma “la fretta è
venuta dal demonio”, dice un proverbio orientale.
Sempre del nuovo, e sempre più presto! Da questo la
super produzione affrettata in tutti i campi, perfino
nell’arte. Dove trovarlo, oggi, un pittore come Raffaello?
uno scultore come Michelangelo? Non si ha più il tempo
di concepire un solo progetto di larga portata.
Povera umanità, se lascia che i valori più nobili
dell’anima siano scacciati via dai valori terrestri! Se
davanti al progresso materiale, davanti alla scienza ed alla
macchina, non accetta più la formula socratica “Possiedo
le cose e le domino e non sono esse che dominano me!”
Effettivamente, a che cosa serve possedere la terra intera,
se la nostra anima languente, affamata e atrofizzata,
crolla in mezzo a questa gran ricchezza? Se si realizzano
in noi le parole del profeta Isaia: La sua terra è piena
d'argento e d'oro, senza limite sono i suoi tesori... L'uomo sarà
piegato, il mortale sarà abbassato (Is 2, 7-9). A che serve tutto
ciò, se alla fine della vita dobbiamo prendere congedo
dalla terra e terminare come Colbert, il grande ministro
delle finanze di Luigi XIV, che disse morendo: “Ah, Sire,
se io avessi fatto per Dio tutto ciò che ho fatto per voi!”.
Poveri uomini, che negate l’esistenza di Dio!
Tuttavia la più gran parte di chi nega Dio, non si
recluta fra gli uomini di cui sto parlando. Si recluta fra chi
ha naufragato non per sottigliezze e ragioni, ma a seguito
di passioni non domate ed una vita peccaminosa. Ha
ragione la Santa Scrittura: Lo stolto pensa: "Dio non c’è". Sono
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corrotti, fanno cose abominevoli (Sal 14, 1). Dice nel suo cuore
“Il malato è il cuore”. Non ci sono che due specie
d’uomini che possono essere increduli: quelli che sono
troppo pigri per riflettere, e quelli che sono troppo deboli
per fare il bene. I primi negano l’esistenza di Dio, perché
non possono toccarlo con le loro mani: i secondi perché
niente venga ad opporsi alla loro frivola esistenza. La
maggior parte degli uomini diventa incredula per
sbarazzarsi di Dio. Poveri disgraziati che avete rinnegato
Dio!
Ecco il primo tipo d’increduli. Che cosa pensano gli
uomini di Dio?
2) Spesso si sente dire: “Noi viviamo in un mondo
così corrotto, così lontano da Dio!”. Ma ci sono
veramente molti atei fra gli uomini d’oggi? Se
consideriamo le arti e la letteratura, la stampa ed il
commercio, tutto l’insieme della civiltà moderna, davvero
si sarebbe inclinati a fare tale triste considerazione. Ma la
realtà é diversa. La gran parte dell’umanità si schiera al
lato di Dio. Cerca Dio, ma Lo cerca male.
Ecco un nuovo tipo d’uomini: Coloro che cercano
Dio goffamente. Ci sono uomini che vorrebbero credere
in Dio: “ma”, dicono, “non abbiamo una prova della sua
esistenza sufficientemente valida”. Sono quelli che non
vogliono vedere che la fede utilizza prove diverse da
quelle da laboratorio: sono quelli che vogliono le prove
matematiche, là dove è assurdo esigerne. Sentono pure
che deve esistere un Essere supremo e perfetto, ma non
vogliono ammettere Dio, come li ammette la religione;
vogliono crearsi un Dio a modo loro. Dicono che Dio è il
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mondo, la natura, l’insieme delle forze dell’universo; ma
con il loro imbrogliato concetto di Dio, la terminologia
incomprensibile, il brancolamento nelle tenebre, non
fanno che esprimere il desiderio naturale che sorge dalle
profondità dell’anima umana: Io credo in Dio, bisogna
che ci sia un Dio!
Non ho ricordato l’esistenza di questo gruppo che
per essere completo, e non già perché vi si trovino dei
rappresentanti fra i miei cari lettori.
3) Ma ecco ancora un altro gruppo, al quale,
disgraziatamente, appartengono molti cristiani: quelli che
credono in Dio, ma lo disconoscono, lo ripudiano. Si,
credono in Dio, ma nulla nella loro vita dimostra questa
fede. Se non credessero in Dio, la loro condotta sarebbe la
stessa: altrettanto libera e disordinata. Fratelli miei, ciò
confina con l’ateismo. Si può negare Dio non solo con la
parola, ma con la pratica della vita.
Chi crede in Dio deve rispecchiare la sua fede in tutti
i suoi atti. Non basta gettare un’occhiata in una Chiesa la
notte di Natale o la sera del Venerdì Santo. Ripudia Dio
chi si accontenta di questo.
Disconoscono Dio anche coloro che, nel loro culto
della divinità, cercano la propria consolazione, non
l’omaggio al Creatore: sono quelli che non pregano,
perché “ciò non dice loro niente”, non vanno a Messa la
domenica perché “non si la sentono”, e la religione è per
loro più una sensibilità estetica che un maggio
riconoscente della loro religione e del loro cuore alla
Maestà divina.
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Disconoscono ugualmente Dio coloro che hanno per
Lui idee meschine di timore e d’angoscia, e mai possono
allietarsi in Lui, le anime timorose senza motivo che
guardano a Dio come ad un agente di polizia all’angolo
della strada, che nota compiacendosene, tutti i loro sbagli;
chi conosce solo il Giudice vendicatore e non l’Amico che
ci aiuta e vuole il nostro amore. Tutti costoro
disconoscono Dio. Ed è perché non accada di pensare
così male anche a noi, che voglio parlare di Lui molto
lungamente.
4) Ancora un altro tipo: coloro che si sono ingannati
sul conto di Dio, sono ramasti delusi e perciò lo hanno
abbandonato. Chi sono questi tristi naufraghi? L’uno è
stato terribilmente colpito dalla sorte. Nel volgere di un
anno ha perduto la sposa e l’unico figlio ed ora dice le
parole tristissime: “Se Dio ci fosse non avrebbe permesso
questo...”. Un altro è stato ridotto all’indigenza da rovesci
finanziari. Un tempo egli godeva di tutto il benessere:
adesso vive di prestiti, e tuttavia vede dei profittatori
condurre una vita dispendiosa ed allegra. “Se Dio ci
fosse, non permetterebbe questo”. Un terzo dice di non
aver mai fatto del male durante la sua vita: onesto, ha
servito Dio fedelmente... e tuttavia le disgrazie si
abbattono sopra di lui, colpo su colpo. Un quarto dice:
“Ho pregato tanto... e non ho mai ottenuto quel che
domandavo. Ora... non voglio più saperne di Dio”.
Lamenti che si sentono risuonare continuamente.
5) Ci sono infine quelli che hanno di Dio una
conoscenza esatta e gli rendono culto conveniente; che si
attaccano a Lui con tutta l’anima, che vogliono
conoscerlo, amarlo e adempiere la Sua volontà. A questi
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ugualmente, sarà utile sentirmi parlare lungamente di
Dio, e vedermi dipingere la Sua immagine sempre più
bella nelle loro anime: in pratica far crescere Dio in loro.
Dio deve ingrandirsi nelle nostre anime? Come può
accader ciò? Può, e deve accadere. Da giovani abbiamo
sentito parlare di Dio che tutto ha creato, che di tutto si
occupa, che castiga e premia. L’immagine di Dio era in
noi come quella di un vecchio venerando, dal viso
benevolo e la barba d’argento. Dolci e miti giorni
dell’infanzia! Poi quando abbiamo incominciato ad
andare a scuola ed al catechismo, l’immagine di Dio si è
ingrandita in noi. Dio non è più per noi solo un vecchio
ed un Giudice severo, ma anche un Padre che ci dà forza
e ci aiuta, che sta vicino a noi ed in noi con la grazia ed i
sacramenti, che, se cadiamo in colpa, ci perdona e ci fa
rialzare; che se la nostra anima ha sete, la disseta. Come
Dio, è ingrandito nella nostra anima il giorno della prima
Confessione e della prima Comunione!
Ma già nel corso di questi anni, altre immagini
hanno cominciato ad occupare la nostra mente accanto a
quella del vero Dio. Immagini d’idoli che sono diventati
sempre più forti, hanno voluto, come l’erba cattiva,
soffocare l’immagine santa.
Poi noi abbiamo lasciato la scuola ed il catechismo, e
ciò che avevamo appreso di Dio, ci accade di
dimenticarlo, l’immagine del vero Dio si è sempre più
oscurata, mentre le immagini degli idoli si facevano più
vive ed esigenti: idoli degli istinti sensuali, del denaro,
della potenza, del capriccio, dell’infedeltà al dovere. In
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quanti adulti queste cattive erbe hanno soffocato
l’immagine del vero Dio!
Bisogna dunque che Dio cresca in noi. Questa
immagine di Dio deve essere terminata alla nostra morte:
noi dobbiamo dunque sempre meglio conoscer Dio,
attaccarci a Lui più ardentemente, aderire sempre di più
a Lui. Invero, guardate gli uomini che trascurano di fare
questo. Vedete ciò che Egli é diventato oggi per molti.
Tre lettere, una parola fredda. Si crede che Dio c’è, si
confessa che Egli possiede tutti gli attributi in grado
infinito, ed è tutto. Ma come siamo incapaci a
rappresentarci, quando pronunciamo la parola Dio, il
creatore onnipotente del mondo nel quale viviamo, ci
muoviamo ed esistiamo, e senza il consenso del quale non
un solo capello della nostra testa cade; come siamo
incapaci di rappresentarci Colui che conserva l’universo,
ma che nello stesso tempo é il Padre che ci ama!
Che cosa è il Cristo per molti di noi? Non dico per
gli increduli: dico per noi. Un personaggio storico che è
vissuto duemila anni fa e ci ha detto di averci riscattati,
Uno il cui insegnamento è predicato nelle nostre Chiese...
ed è tutto. Ci fu un tempo, in qualche luogo, un Cristo.
Tuttavia il Cristo è ancor oggi il Dio vivente, nostro
Redentore, ogni parola del quale, altra volta pronunciata,
vibra ancora in centinaia di milioni d’anime: è Colui di
cui io sento l’impronta quando opero il bene, e il dolce e
luminoso sguardo quando trionfo sulla tentazione, ma di
cui sento lo sguardo afflitto quando cado nel peccato.
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Ecco ciò che dovrebbe essere. Ma in realtà è così?
Noi sentiamo questo, ogni volta che passiamo davanti ad
una chiesa? Ogni volta che facciamo una genuflessione?
Quando la tentazione ci assedia? Quando i mali della vita
ci opprimono?
Io credo in Dio. Ma dietro queste parole c’è un riso,
ogni volta che le pronunciamo? un senso serio e
rispettoso? Ah, quante volte ascoltando il nome di Dio
sulla bocca di un cristiano, se si domandasse: “a chi
pensi?”, la risposta dovrebbe essere: “a nulla!”.
Pronunciare il nome divino e non pensare a nulla, quale
deplorevole leggerezza! E perché così non sia, consacrerò
i prossimi capitoli a queste due questioni fondamentali:
C’è un Dio? E che cos’è Dio?