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A. Il coraggio dinanzi alla mia ragione
“Ah, perché non ho la fede! Come sarei felice se
l’avessi! Ma se Dio non mi ha concesso questa felicità, che
posso farci?”.
No, fratelli miei, voi vi lamentate senza motivo. Dio
offre a tutti la grazia della fede: soltanto, non tutti osano
afferrarla. La fede è un dono di Dio senza dubbio, ma
necessario cooperare al suo acquisto. Cooperare con la
mia volontà e con essa muovere la mia ragione ad
accettare le verità divine.
a) Le verità della nostra fede non possono essere
scorte dalla nostra ragione al modo di 2+2=4, quando
cioè nessun dubbio sia possibile al loro riguardo. È vero
che delle prove e degli argomenti così forti parlano in
favore della mia fede, che la sana ragione non mi
permette di metterne in dubbio la verità, ma non posso
toccare con le mie mani, non posso percepire con i miei
sensi il contenuto della fede. Se la ragione vuol resistere,
essa lo può, e dice: “Non credo”.
Ma precisamente perché la volontà ha una parte
nella fede, la mia fede è meritoria. Ditemi: dove sarebbe il
mio merito, se io vedessi Dio, la vita eterna, l’anima ecc.,
così chiaramente come 2+2=4 e dicessi in seguito: Io
credo? Qual merito c’è al credere che 2+2=4? Nessuno:
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giacché non potrebbe essere altrimenti. Ho invece del
merito a credere in Dio, alla vita eterna, all’anima? Si, ho
del merito: giacché potrei fare altrimenti. Io potrei
resistere; potrei dire: Non vedo, dunque non credo.
Ci vuole dunque del coraggio per credere, giacché la
fede non è solamente affare di ragione.
b) La fede non è solamente un prodotto della
ragione, ma altresì è più, della volontà. “Non
comprendo” direte forse voi. “Potrebbe la mia volontà
rigettare quello che la mia ragione accetta e riguarda
come vero?”.
Disgraziatamente ciò è possibile. La volontà umana
ha questo triste e misterioso privilegio di poter agire
anche contro la sua stessa ragione. Mi spingo ancor più
lontano: essa può anche indurre la ragione in errore.
Quante la nostra volontà (a volte incosciente) ha diretto la
nostra ragione in maniera tale che l’errore sia stato a
nostro vantaggio?
Ecco come i sentimenti e la volontà agiscono sulla
ragione. Ed ecco ancora un altro esempio.
Uno qualunque, pur conosciuto come scaltro e
intelligente, commette una sciocchezza. Qual è il nostro
primo commento appena lo sappiamo? “Non comprendo
come mai un uomo svelto, che sa quel che fa, ha potuto
far questo”. Ma che cosa proviamo con ciò? che
nell’uomo la volontà ha, accanto alla ragione, una parte,
una funzione di pari importanza. Cioè, la mia ragione si
sforzerebbe invano se la mia volontà la contraddicesse. È
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necessario aver del coraggio: coraggio per fare l’ultimo
passo che, dopo lo studio dei migliori libri d’apologetica
ed i più brillanti ragionamenti intellettuali, resta ancora
da fare. Invano la mia ragione mi dice che senza Dio il
mondo non si spiega ed il mistero della vita non ha
risposta alle domande più angosciose: invano la mia
ragione mi dice che senza Dio non c’è morale, né vita
veramente umana, né pace dell’anima, se essa si
irrigidisce, o non vuol credere, o non osa credere. Essa
non ha il coraggio di pronunciare le parole salvatrici:
“Dio eterno, io non Vi vedo, ma credo in Voi!”. Perché la
mia fede sia solida e senza dubbi, la volontà entra in
gioco per una parte importante, giacché, lasciata a sé
stessa, la ragione dice come l’apostolo incredulo San
Tommaso: Se non vedo... non credo (Gv 20,25).
È a questo punto che la volontà deve intervenire, e
drizzarsi risolutamente contro il dubbio.
c) I dubbi contro la fede! Tocco con il dito una piaga
bruciante. Ah, se potessi credere! ma ho tanti dubbi!
Come sono felici quelli che hanno la fede! Così si
lamentano tante persone, e non vogliono persuadersi
che del loro stato d’animo, essi stessi sono responsabili.
Colpa loro se non fanno tacere la critica, questa
vecchia chiacchierona assisa sui gradini del regno della
fede. Con la sua cattiva lingua entra in conversazione con
tutti: “Se le cose non fossero così? se questo e quello non e
vero?”, ecc. Disgraziato colui che ascolta: colui che non
passa avanti diritto con sicura risoluzione, ripetendo con
calma superiore le parole di San Paolo: Io so infatti a chi ho
creduto (2 Tim 1,12). Naturalmente io devo qui ricordare
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che i dubbi di cui qui si tratta sono quelli sollevati per
leggerezza e trattenuti per orgoglio, che si alimentano
ciecamente, e non quelli che sorgono talvolta pur nelle
anime seriamente religiose, procurando loro dei momenti
d’angoscia ben grande. Invero, è curioso constatare che
perfino i santi sono stati tormentati da dubbi contro la
fede, e che talvolta questi dubbi turbano i nostri momenti
più raccolti e migliori, le nostre preghiere, le nostre azioni
di grazia. Oggi io non parlo di questa specie di dubbi.
Questi ultimi non sono idee coscienti, dipendenti dalla
nostra volontà: essi trovano la loro spiegazione nella
debolezza del nostro sistema nervoso, nell’eccitazione o
nella stanchezza del nostro spirito, e il meglio che si possa
fare è il non preoccuparcene. Oppure, se ci accasciano
troppo, bisogna recitare con tutta calma il Simbolo degli
Apostoli. E come la neve fonde ai raggi del sole,
ugualmente spariranno i dubbi che ci tormentano.
Ma ora intendo parlare dei dubbi volontari, ricercati
e attizzati ciecamente.
E se non dovessi temere di essere eventualmente mal
compreso, presentirei uno speciale argomento per questo
genere di dubbi contro la fede. Vi prego di capirmi bene:
se devo vigilare a fortificare la mia fede con l’aiuto della
volontà, devo ben utilizzare tutti gli argomenti che mi si
presentano. E uno di questi è: Io devo essere più credente
che incredulo, perché la fede è argomento, più
ragionevole, più saggio, più utile, più vantaggioso
dell’incredulità.
Che sia più ragionevole e saggio credere che non
credere, si può dimostrare in poche parole: perché la
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grandezza e la bellezza della fede cristiana stanno a prova
di una logica superiore che sorpassa tutti gli altri sistemi
filosofici, come la sua forza vitale sorpassa, a
testimonianza di due millenni, tutte le altre concezioni del
mondo.
Sì, io voglio dire ai miei fratelli che sono alle prese
con i dubbi contro la religione: la fede è più vantaggiosa
dell’incredulità perché, più di quest’ultima, offre garanzie
e promesse. E anche se l’incredulità potesse presentare
altrettanti argomenti in suo favore, il che non è, pure in
tal caso, noi dovremmo fare questa riflessione: l’una e
l’altra possono avere ragione o torto. Mi metto dunque
dal lato dove ho più da guadagnare e meno da perdere.
È vero che questo calcolo ha un sapore commerciale
ed interessato, ma forse non mancano le anime
suscettibili d’essere impressionate da tale considerazione.
Che cosa perdo e che cosa guadagno se mi schiero
dal lato della fede? Se veramente c’è Dio ed un’eternità, e
se regolo la mia vita in conseguenza, se mi conduco
secondo la moralità e l’onestà, allora io posso
tranquillamente attendere la seconda vita. Ho tutto da
guadagnare. Me se la religione ha torto e dopo la morte
non c’è nulla che cosa ho perduto? Allora, ciò è esatto, ho
perso sulla terra molte gioie sospette, disoneste, fangose,
ma almeno ho goduto la dolcezza segreta, nascosta nel
bene, nella pratica dell’onestà, che trova già in sé stessa la
sua ricompensa.
E vediamo ora ciò che perdo e ciò che guadagno se
io mi schiero dal lato dell’incredulità e se passo la mia
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esistenza terrestre come se non ci fossero né Dio né vita
eterna, né anima immortale. Se la ragione è dalla parte
dell’incredulità, allora quaggiù io mi sono concesso
qualche godimento, qualche istante di piacere, seguito
però dall’oscurità, dal nulla. Sarebbe il caso migliore.
Ma che cosa arriverebbe se l’incredulità non avesse
ragione? Se, realmente, c’è un Dio, contro la volontà del
quale io ho passato tutta la mia vita? Se c’è realmente
una vita eterna, della quale io non mi sono mai
preoccupato e per la quale io non ho mai mosso un dito?
Da quale parte ci schiereremo noi? Se mi schiero
dalla parte della fede, ed ha ragione, il mio guadagno è
infinito: se ho torto, la mia perdita e minima. Se mi
schiero dalla parte dell’incredulità e che essa abbia
ragione, il mio guadagno e minimo, ma se ha torto, la
mia perdita è infinita.
Dove c’è il maggior rischio? Dalla parte della fede o
in quella dell’incredulità?
Voi dite che io mi sbaglio, e che la mia fede è senza
fondamento. Pure allora devo riconoscere che non ho
subito alcun danno. Essa non ha arrestato una sola nobile
ambizione, né paralizzato una sola forza e valore in me.
E, se voglio essere sincero, dirò ch’essa ha favorito
grandemente in me lo sviluppo morale, ha sostenuto
vigorosamente le mie debolezze. La mia fede in Dio è
stata per me un’amica devota, una vera guida ed il
migliore dei consiglieri che mi ha accompagnato durante
tutta la mia esistenza.
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B. Il coraggio di fronte al mio cuore
Se occorre coraggio per piegare la mia ragione, ne
occorre ancora più per vincere i1 cuore. La nostra
ragione s’inchinerebbe dinanzi alla fede, se la fede non
esigesse del pari la sommissione del cuore e di tutta la
nostra vita morale.
a) La fede interviene potentemente nella vita morale,
ed in essa incontra degli ostacoli certamente più penosi di
quelli che le attraversano il passo nel dominio della
ragione. Come l’uomo crede con gioia ciò che ama e
desidera, e come gli è difficile credere a ciò che contrasta i
suoi sentimenti! Dio ha unito la luce e le tenebre, nel
mondo, ad un tal punto che la luce, cioè la verità, sarà
una via vittoriosa verso una meta felice per chi la vuole:
ma colui che non la vuole può incessantemente ricorrere
all’oscurità e scusare con essa le sue passioni
peccaminose.
Un esempio classico su questo punto ce lo fornisce
San Paolo e il governatore romano Felice. L’ho già
ricordato nel mio ultimo discorso: ma è così istruttivo che
vale la pena di rileggerlo. San Paolo predica dinanzi a
Felice, sulla fede in nostro Signore Gesù Cristo, ed il
governatore lo ascolta con animo attento. Ma, essendo
Paolo venuto a parlare di giustizia, di purezza e del
giudizio finale, Felice spaventato gli dice: “Per il momento
puoi andare; ti farò chiamare quando ne avrò il tempo” (At 24,25).
Il quale mai in seguito si presentò. Invece, finché bastava
credere con la ragione, tutto procedeva benissimo: ma
dall’istante in cui la fede doveva intervenire nella vita,
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nella sua vita, allora le cose si guastavano, egli non poteva
più credere. Perché aveva dei “dubbi d’intelligenza”, delle
“difficoltà filosofiche”? Manco per sogno: egli aveva tre
mogli, l’ultima delle quali, Drusilla, l’aveva sedotta e
rapita al marito e, secondo Tacito, si credeva permessa
qualunque scelleratezza. Ecco perché non poteva credere.
Ed è così che noi possiamo spiegare, per esempio, un fatto
a prima vista inesplicabile: quello di fratelli e sorelle
educati alla stessa maniera, vissuti nello stesso ambiente, e
tuttavia diventati totalmente opposti di credenze; gli uni
accettando, gli altri respingendo la fede, per capire il fatto
bisogna entrare nell’intimo della loro diversa vita morale.
Al momento della morte del Salvatore il sole si
oscurò, tremò la terra, le tombe si aprirono ed il
centurione pagano si convertì ai piedi della Croce (Cf. Mt
27,54), ma i farisei induriti non mutarono anima. Perché?
Perché non ebbero il coraggio di forzare il loro cuore e la
loro vita a credere.
b) Dunque: che cosa dobbiamo noi fare per avere la
fede? Ciò che Gesù Cristo ha insegnato: Chiunque infatti fa
il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le
sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia
chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio (Gv 3, 20-21).
Le parole di Nostro Signore sono formali; credere in
Dio non significa avere incessantemente il nome suo sulle
labbra, ma portare Dio in sé stesso. Dio offre la fede a
ciascun uomo: ed uno l’accetta, l’altro no. Avrà la fede
chi, secondo le parole di Nostro Signore, è pronto a fare
la volontà di Dio (Cf. Gv 7, I7).
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Voi non avete la fede? Vorreste averla, ma non sapete
come fare? Guardate in voi, riconoscete che non siete
l’uomo che dovreste essere: non così buono, non così
giusto; voi non avete le mani e l’anima pure, non siete
fedele al dovere, né indulgente, né onesto. Quindi non vi
resta che piangere sulla vostra vita. Mettetevi a piangere
ed alle prime vostre lacrime troverete subito Dio; giacché
si può trovar Dio con la ragione, ma si trova del pari con
il cuore. E si dice che chi trova Dio e lo porta in sé, quegli
ha la fede. Se uno mi ama, osserverà la mia parola (Gv
14,23) ha detto chiaramente Nostro Signore.
Rousseau stesso ha scritto molto giustamente
“Serbate la vostra anima nello stato nel quale voi
desiderereste che essa fosse, se Dio c’è, e non dubiterete
mai della verità”.
E le parole della Santa Scrittura non dicono
diversamente sugli increduli: essi sono dunque inescusabili,
perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno
reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e
si è ottenebrata la loro mente ottusa (Rm 1, 21). Essi sono stati
increduli nella loro ragione, perché non hanno voluto
divenire credenti nella loro vita.
Vale per la vita ciò che un filosofo francese (Claudio
Piat) ha detto del popolo: “il popolo cessa di credere in
Dio quando comincia a perdere lilla moralità”. San Paolo
ugualmente proclama che la fede e la morale sono
inseparabili. Egli esorta a Timoteo a combattere la buona
battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l'hanno
ripudiata hanno fatto naufragio nella fede (1 Tim, 1,19).
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Chi vuol credere deve, prima di tutto, voler essere
buono. Avete osservato, fratelli miei, l’espressione che io
ho usato? “deve, prima di tutto, volere esser buono?” Non
oso dunque dire: solo può credere chi è già buono, già
senza peccato. Chi potrebbe, invero, dir ciò di sé stesso?
Ma che per lo meno la nostra volontà sia diretta verso il
bene, che la legge morale stia dinanzi ai nostri occhi sul
mare delle tentazioni, perché possiamo guardarla come il
marinaio guarda la bussola quando la tempesta infuria. E
se tuttavia soccombiamo, ci resti almeno la seria volontà
di risollevarci e tornare verso Dio.
Giacché chi ha abbastanza coraggio per forzare la
sua ragione a credere, vorrà ancor più tenacemente
forzare il suo cuore e costringerlo in una via conforme
alla fede: e non perderà il prezioso tesoro neppure in
mezzo ai flutti minacciosi della vita.
* * *
Fratelli miei, tempo fa un gran transatlantico lasciava
un giorno altezzosamente il porto, e iniziava il suo viaggio
sui mari. Tutto era in ordine sul ponte: le macchine
funzionavano benissimo, la bussola indicava esattamente
la direzione; tuttavia andava fuori strada. Il capitano,
accortosi, fece fermare la nave. Si calcolò, si ispezionò, si
discusse, si esaminò la bussola, inutilmente. Tutto
appariva in ordine perfetto, e tuttavia il continente cui si
voleva approdare era in tutta altra direzione. Presto si
scoprì la causa della deviazione. Nella stiva della nave si
trovò una gran quantità di ferro, la cui massa aveva
completamente deviato la bussola. Si gettò il ferro in
mare e subito l’ago tornò verso il nord: il naviglio riprese
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la sua strada con sicurezza. Per fortuna, non era ancora
troppo tardi...
Io vorrei dire, ai miei fratelli che lottano senza
bussola sul mare tempestoso dei dubbi contro la fede:
“Per voi ugualmente non é troppo tardi, per gettare via il
carico che pesa sulla vostra anima e vi allontana da Dio”.
Qual carico? Quello delle comodità del corpo, la cieca
potenza degli istinti non domati, le resistenze della
ragione, i sofismi del cuore, tutto ciò insomma che di falso
e d’impuro vi trascina all’incredulità.
Dio fa verso ciascun uomo il primo passo, ma
dipende da me camminare verso di Lui con il passo
fermo della fede. Dio dà alla mia anima il primo impulso,
ma dipende da me il seguirlo e rafforzarlo con la mia
buona volontà. Dio pronuncia il primo invito, ma
dipende da me rispondere all’appello.
Non dite “Ah, se potessi credere!”. Dite: “lo credo,
Signore, credo”. E se la mia ragione volesse soltanto
vedere, ma non credere, possano allora risuonare alle mie
orecchie le vostre sante parole Perché mi hai veduto, hai
creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno! (Gv 20,
29).
Io credo, Signore, io credo! E se il mio cuore non
volesse credere, possano, o Dio, risuonare alle mie
orecchie le vostre sante parole: Non chiunque mi dice: Signore,
Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del
Padre mio che è nei cieli (Mt 7, 21). Signore, io voglio credere.
“Credo, aiutami nella mia incredulità” (Mc 9,24).
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