00 08/03/2011 11:06
B. Il popolo che non ha la fede è infelice
Passiamo ad un altro pensiero: com’è infelice un
popolo che non crede! Che cosa diventa? Che ne è
dell’umanità senza fede?
Colui, che vuole una risposta soddisfacente a questa
domanda, legga la storia della rivoluzione francese. Legga
fino alla fine, se i suoi nervi resistono a tanto, e veda dove
è caduto un popolo al quale si era tolto Dio. Il culto della
ragione fu proclamato nel 1793. Si volle dapprima
celebrare l’evento in un teatro, poi si ebbe l’idea diabolica
di scegliere una chiesa: Notre Dame. Una danzatrice
dell’Opera in veste bianca e manto azzurro fu messa sul
trono, nel coro e delle giovani coronate di quercia ed in
veste bianca, cantarono un inno di Chénier, in onore del
nuovo culto. I tesori della chiesa si caricarono su un asino,
a cui misero una mitra sulla testa ed una stola sul dorso. E
canti accompagnarono il suo cammino. Si bruciarono le
reliquie, si bevette nei calici, si mangiarono delle aringhe
sulle patene; il popolaccio rivestito dei paramenti
sacerdotali percorse le strade della città.
Nella Chiesa di San Eustachio si trasformò il coro in
prateria artificiale, con cespugli e capanne. Si preparò
una grande tavola carica di alimenti e bevande. La dea
serviva i “fedeli” che andavano a lei. I fanciulli bevettero
a sazietà, ed i “pii fedeli” si divertirono a vederli ubriachi.
La dea in manto azzurro si sedette sull’altare, un berretto
frigio in testa, e gli uomini, pipa in bocca, la servirono di
rinfreschi.
E come finì tutto ciò?
59
La ghigliottina tagliava dal mattino alla sera; i
carnefici erano stanchi di tanti assassini. A Nantes
s’inventò un battello il cui fondo poteva aprirsi; tutte le
sere vi si ammucchiavano i prigionieri, e durante la notte
si annegavano nella Loira. Non si può precisare il numero
delle persone finite così. In una sola volta gli annegati
furono 1300. Ci furono, si dice, ventitré di questi supplizi
in massa e 600 fanciulli furono fra le vittime. Dei banditi
stavano sulle sponde del fiume e quando qualche
disgraziato tentava di afferrarsi, gli tagliavano a colpi le
mani e lo ricacciavano nell’acqua. Negli ultimi mesi del
1793 e nei primi del 1794 furono decapitate, fucilate,
annegate, nella regione di Nantes, almeno 15 mila
persone. “Le teste di duchi, marchesi, conti, baroni
cadevano come la grandine”, scriveva Lebon,
Commissario della Convenzione per il nord della Francia,
nell’aprile 1794.
C’è bisogno d’altro per dire ciò che diventa un
popolo che ha perduto la fede?
Ci sono al nord, dei paesi ove il sole si alza appena
sull’orizzonte durante tutta una metà dell’anno. La vita
trascorre malinconicamente, in una mezza oscurità.
Manca il sole che tutto vivifica. Il sole vivificante
dell’umanità è la fede di Dio. Togliete all’umanità questa
fede. Che cosa diventa?
Dio non c’è, ma allora non c’è più nemmeno chiesa,
né altare, dai quali scaturisce la forza del sacrificio. Non
c’è più Crocifisso, né immagine della Vergine dei Dolori;
né confessione, né comunione, né preghiera nella quale
60
chi soffre possa effondere il suo cuore, o asciugare le sue
lacrime.
Non c’è Dio, ma allora non c’è autorità che possa
imporre delle leggi agli istinti ciechi dell’uomo, ed il
mondo diventa una caverna di briganti.
Non c’è Dio, ma allora non c’è neppure differenza
fra il bene e il male, allora c’è lo scatenamento di tutte le
passioni.
Non c’è Dio, ma allora ogni uomo superiore,
caritatevole, compassionevole è un pazzo.
“Non si possono costruire delle rotaie con dell’acqua
benedetta”, dicono gli empi. Machiavelli ha detto pure
qualche cosa di simile: “Non si può costruire uno stato col
rosario e la dolcezza”. Ma io vi dirò che, se la storia non
potrà provare altro, proverà tuttavia con certezza che la
base, le colonne, le giunture dello Stato sono i buoni
costumi. Provate dunque a costruire una strada ferrata
senza inchiodare le rotaie, o fabbricare una casa senza
fondamenta. Invano un popolo è vittorioso nelle armi,
nell’industria e nel commercio, se non trionfa anche nella
vita morale. Giacché un popolo vittorioso in
combattimento, ma frivolo nella vita, merita che si dica di
lui ciò che Seneca, con una concisione classica, disse di
Annibale: “Armis vicit, vitiis victus est”, “Ha vinto in guerra,
ma e stato vinto dai suoi vizi”8.
61
8 Seneca, Lettere V, II.
* * *
Fratelli miei, nel 1849 gli eroi d’Arad (Ungheria)
morirono gloriosamente. Uno di loro, il generale
Giuseppe Schweidel, era stato governatore di Buda;
all’ultimo minuto, dopo la lettura della sentenza e prima
dell’esecuzione, egli si avvicinò al confessore e gli disse:
“Padre mio, ecco la croce che ho ereditato da mio padre.
L’ho sempre portata su di me, anche in combattimento.
Vi prego di darla a mio figlio”. Poi ad un tratto, come se
una nuova idea gli avesse attraversato il cervello, la riprese
dicendo: “voglio tenerla ancora e morire con essa. La
prenderete poi dalle mie mani per darla a mio figlio”.
I fucili crepitarono e il generale cadde. Ma egli visse
più che mai, fratelli, nella memoria del popolo, e dei
padri che insegnarono ai figli l’amore nel Cristo, la fede
nel Cristo.
Padri e madri di famiglia, lasciate ai vostri figli una
simile eredità, la fede incrollabile nel Cristo.
Noi siamo poveri ma è ricco colui nella cui anima
vive il Signore. Noi siamo infermi, ma è forte colui che si
appoggia al braccio del Signore. Se abbiamo tutto
perduto, ma ci resta la fede, non abbiamo nulla perduto.
Chi perde le sue ricchezze perde molto, chi perde un
braccio perde più ancora: ma chi ha perduto la fede ha
tutto perduto. Signore, aiutate il vostro popolo così
provato, affinché noi non perdiamo tutto.
62
IV. Le vie dell’incredulità: La falsa scienza
Noi abbiamo visto che la fede è una necessità
elementare per gli individui e per i popoli. Né l’uomo né
il popolo può star bene se perdono la fede, sorgente di
ogni sforzo, di ogni rendimento nel lavoro, di ogni
perseveranza, di tutta la gioia di vivere e di ogni
consolazione. Siamo arrivati a questa conclusione nel
corso delle nostre precedenti investigazioni.
Ma qui dobbiamo arrestarci di fronte ad un fatto
angoscioso.
Nella vita incontriamo ad ogni passo, disgraziati che
hanno perduto la fede, anime di ghiaccio, separate da
Dio. Che cosa diremo loro? Noi, a cui Dio ha fatto la
grazia d’aver la fede cristiana, possiamo passare con
indifferenza dinanzi ad anime incerte, in preda al dubbio,
o che totalmente hanno fatto naufragio? No. Ciò non
sarebbe conforme allo spirito di Cristo. Deliberiamo con
cuore compassionevole e deciso di venir loro in aiuto, e
per prima cosa interroghiamoli: “Come siete arrivati a
questo ghiacciato deserto dell’incredulità? Che cosa mai
vi ha condotti a queste punto? Quali sono le ragioni della
vostra incredulità?”.
Ascoltiamo la loro risposta e cerchiamo di risolvere il
problema. Nel sermone d’oggi voglio occuparmi della
scusa più comune di quelli che hanno perduto la fede, e
che tuttavia dovrebbe meno condurre l’uomo
all’incredulità. Nel prossimo capitolo diremo le ragioni
63
che realmente possono rendere incredulo l’uomo, e che
pure egli non mette mai avanti nelle sue delucidazioni.
Più spesso si adduce una sola ragione, perché essa fa
impressione agli uomini d’oggi “nel secolo della scienza”.
Sono, dicono gli increduli, i risultati delle ricerche
scientifiche, che ci hanno condotto all’incredulità. La
scienza ha loro tolto, nell’età matura, la fede che avevano
quand’erano ancora fanciulli ignoranti.
Ma è vero che la scienza rende increduli? Trattare
questo soggetto è difficile, giacché, più di altri esige negli
uditori, riflessione filosofica, attenzione e ragionamento:
ma in cambio, è di grande importanza per confermarci
nella nostra fede.
Per poter rispondere alla questione è necessario in
primo luogo vedere in quali relazioni si trovano
reciprocamente i due tesori dell’umanità: la scienza e la
fede.
A. La scienza e la fede
Una constatazione fondamentale: esistono, fra la
scienza e la fede, le stesse relazioni che intercorrono fra
l’occhio umano e il telescopio. Qualunque sia la mia
scienza, io non ho che due occhi: ma se, oltre la scienza
ho altresì la fede, allora dinanzi ai miei occhi ho un
telescopio.
64
La fede fortifica dunque e acutizza gli occhi della
nostra anima, come il telescopio ed il microscopio, gli
occhi del nostro corpo. Colui che ha un potente
microscopio vede perfino in una goccia d’acqua che
all’occhio nudo sembra silenziosa, calma, morta, tutto un
groviglio di vita fremente: chi ha un buon telescopio
scopre migliaia e migliaia di stelle in luoghi, in parti del
cielo dove l’occhio nudo non vede che una macchia
oscura e vuota. Ugualmente colui che ha la fede trova
risposta a una folla di domande, dinanzi alle quali la
ragione pura resta in un’oscurità impotente ed ignorante.
A Monaco sulla tomba del grande astronomo
Fraunhofer, si legge: “Sidera approximavit”, “Egli ha
avvicinato le stelle”. È così che la fede avvicina la nostra
ragione alle sante realtà dell’eternità che la ragione pura
suppone senza dubbio e desidera, ma è incapace di
raggiungere senza la fede.
Mi torna alla memoria un attraente episodio della
storia della civiltà umana. Il giovane Colombo e in piedi
dritto su una riva spagnola dinanzi all’oceano. Piante
sconosciute, alghe turbinano dinanzi a lui sulle onde ed i
suoi occhi frugano lontano verso le terre dalle quali esse
sono dovute venire. Con gli occhi del suo corpo egli non
vede che dell’acqua, ma dinanzi agli occhi della sua
anima si apre un immenso continente sconosciuto, che
deve esistere, malgrado le derisioni di quelli che si fanno
beffe della sua idea fissa. Così l’anima credente si tiene
sulla riva della vita terrestre, ma i suoi occhi frugano
aldilà degli spazi, aldilà della tomba, dove, a dispetto di
tutte le derisioni, deve trovarsi un nuovo mondo
immenso.
65
Ho ragione di dirvi, fratelli miei, che, in ultima
analisi, noi non abbiamo bisogno della scienza, ma della
verità. Ciò che più preme è la verità: sia che io entri in un
laboratorio di chimica o in una scuola di catechismo.
Opporre la scienza alla fede è un gesto fuori posto. Il
dominio della scienza è tanto vasto quanto il mondo, ma
è altresì limitato come il mondo. Si tratta dunque
solamente di sapere se si deve spegnere la face della
ricerca della verità ai limiti della natura visibile, con un
“ignorammo” rassegnato, oppure se si può afferrare la
mano che la fede ci tende per guidarci nel mondo
soprannaturale, come Beatrice ha guidato Dante nei
regni dell’oltretomba.
La fede è una luce e come la luce rischiara le tenebre,
così la fede rischiara i grandi punti di interrogazione della
vita. San Tommaso da Villanova usa questo paragone: la
fede e la ragione, sono in relazione come un padrone ed il
suo servitore; vanno insieme per la strada, entrano
insieme nel palazzo, insieme salgono le scale ma, il
padrone, entra solo nella camera. La fede e la ragione
vanno insieme al pari delle cose visibili del mondo
esteriore, ed insieme salgono i gradini della creazione.
Dio è onnipotente, dice la fede. Anch’io vedo le tracce di
una mano potente nel mondo, dice la ragione. Dio è
infinitamente saggio, dice la fede. Anch’io vedo le tracce
della sua saggezza sovrana, dice la ragione. È così ch’esse
vanno insieme fino alla “camera”, ma solo la fede entra
nell’intimo del santuario, solo la fede arriva alla
contemplazione dell’essenza e della maestà divina. La
ragione, la scienza, la filosofia non possono dunque essere
altro che la prefazione umana del divino Vangelo.
66
Dio dà all’uomo la fede e la ragione. Come sarebbe
possibile che la ragione indebolisse la fede, contraddicesse
la fede? Che un uomo, o un secolo, credano che le sue
convinzioni scientifiche gli rendano impossibile la fede,
ciò prova solamente ch’egli non conosce a fondo, o la
scienza, o la fede.