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LA FEDE (Toth Tihamer)

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    00 08/03/2011 10:53
    Toth Tihamer
    La Fede
    L’esistenza di Dio
    ISTITUTO DEL VERBO INCARNATO



    INDICE
    PREFAZIONE DELL’EDITORE
    INTRODUZIONE

    I. La fede dei nostri padri
    II. Felice colui che ha fede
    III. Infelice colui che non ha fede
    IV. Le vie dell’incredulità: la falsa scienza
    V. Le vie dell’incredulità: malintesi, vita, cuore
    VI. Come fortificare la mia fede (bisogna avere il
    coraggio di credere)
    VII. Come fortificare la mia fede (bisogna avere
    cura di essa)
    VIII. Che pensate voi di Dio
    IX. C’è un Dio? La risposta del mondo
    X. C’è un Dio? La risposta dell’uomo
    XI. Gli atei non hanno alcun motivo di scusa
    XII. C’è un Dio? La risposta della mia anima: La
    legge morale
    XIII.C’è un Dio? La risposta della mia anima:
    L’aspirazione alla verità e alla felicità
    XIV. C’è un Dio? La risposta dell’umanità
    XV. È necessario che io creda in Dio

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    00 08/03/2011 10:59
    PREFAZIONE DELL’EDITORE
    Presentiamo a te, caro giovane, questo “piccolo gioie!o” del
    vescovo ungherese Tihamer Toth. Fu tradotto al italiano e
    pubblicato per prima volta nel 1943. Ha come pregio
    principale il far capire l’importanza di una fede vissuta e
    coerente in Dio. Originariamente fu il primo di sette volumi
    intitolati “Il Simbolo degli Apostoli” in qui l’autore sviluppò
    amena e profondamente il Credo Apostolico.
    Abbiamo riscattato del oblio questo volume per aiutare ad
    ancorare la tua vita sulla salda roccia della verità
    su!'esistenza di Dio; infatti, il Catechismo de!a Chiesa
    Cattolica con molta chiarezza sostiene e insegna che Dio,
    principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con
    certezza con il lume naturale de!a ragione umana partendo
    da!e cose create1 . Nel sostenere la capacità che la ragione
    umana ha di conoscere Dio, la Chiesa esprime la sua fiducia
    ne!a possibilità di parlare di Dio a tutti gli uomini e con tutti
    gli uomini. Invece, siamo certi, che la chiusura ideologica a
    Dio e l'ateismo de!'indifferenza, che dimenticano il Creatore
    e rischiano di dimenticare anche i valori umani, si presentano
    o&i tra i ma&iori ostacoli a!a crescita serena de!a gioventù
    portando in sé un germe di autodistruzione.
    Abbiamo voluto conservare l’introduzione che fece
    l’autore in quel momento ne!a quale, senza pretesa di essere
    esaustivi, vengono dati consigli utilissimi ed attuali per coloro
    (sacerdoti e laici) che con zelante dedizione si dedicano a!a
    trasmissione catechistica del Vangelo.
    3
    1 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 36.
    Come ne!e altre tre opere da noi pubblicate (“La
    religiosità del giovane” , “Il carattere del giovane”
    e “Cristo e il giovane”) abbiamo modificato, ne!a
    redazione finale, que!e espressioni grammaticali in disuso.
    Tuttavia, ne!a rielaborazione dei testi abbiamo avuto la
    massima accuratezza di rispettare il contenuto del messa&io
    che l’autore ha voluto trasmettere, pur conferendo a!a lettura
    la pacatezza e attualità che merita.
    Ne!a fiducia che questa opera incora&i te, lettore amico,
    ad approfondire e vivere in pienezza la fede, invoco
    l’intercessione di Maria, Madre di Dio.
    P. Ernesto Caparrós V.E
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    00 08/03/2011 11:00
    .
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    INTRODUZIONE
    Il segreto del buon esito della predicazione
    I. Il principale segreto che rende efficace ogni
    predicazione è sempre stato e sempre sarà questo: la
    personalità del predicatore, uno zelo ardente, una vita
    irreprensibile. Un sacerdote che sacrifica tutto per nostro
    Signor Gesù Cristo e Lui pone al di sopra di ogni
    interesse, esercita un’influenza profonda sugli uomini del
    nostro tempo, così immersi nel materialismo.
    Una predica che è priva di quell’accento di profonda
    convinzione che avvince gli uditori, per quanto sia
    composta secondo le regole dell’arte oratoria, resterà come
    bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita (1 Cor 13,1).
    Invece, se l’uditore sente che il predicatore crede a ciò che
    dice dall’alto del pulpito e vive in conformità a ciò che
    insegna, in maniera cioè che il suo contegno sia come un
    libro aperto dinanzi ai suoi uditori, se sente attraverso le
    sue parole che tutta la sua gioia e la sua felicità ed ogni
    sua ambizione sono riposte nel guadagnare nuovi fedeli
    alla verità, allora la deficienza degli artifici oratori non
    nuocerà per nulla all’efficacia della predicazione.
    Con meraviglia vediamo anche oggi, sia pure in
    mezzo a gente “stanca di prediche”, gli uditori affollarsi
    attorno al pulpito di un sacerdote veramente infiammato
    di zelo per la gloria di Dio, che non bada a nessuna fatica
    e a nessun sacrificio quando si tratta di salvare le anime, e
    la cui vita di lavoro giustifica il proverbio: “Il fuoco non
    dice mai basta”.
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    Un miscredente così si espresse intorno al Padre de
    Ravignan: “Egli stesso crede a ciò che predica e tutto in
    lui ispira la Fede”. Una convinzione così ardente
    compensa le deficienze e copre molti difetti (un altro
    esempio abbiamo nel Santo Curato d’Ars). Un violino
    non può essere sempre uno Stradivari, ma Paganini
    sapeva trarre suoni melodiosi anche di un cattivo violino.
    Potremmo adattare le parole di Sant’Agostino “Ama e fa
    ciò che vuoi” al predicatore, così: “Sii santo e predica
    come vuoi”.
    A differenza dell’arte oratoria profana, noi dobbiamo
    porre per la predicazione questo principio: I nostri
    discorsi avranno tanto più successo quanto meglio noi ci
    avvicineremo, con la nostra vita, all’ideale cattolico. Il
    predicatore farà bene a leggere sovente le parole di San
    Paolo a Timoteo e a Tito. Quanto egli non esigeva da
    loro! (Cf. 1Tm 3, 2+; Tt 1, 7+). Annuncia la Parola, insisti al
    momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta
    con ogni magnanimità e insegnamento (2Tm 4,2).
    “Cuius vita despicitur, restat, ut eius praedicatio contemnatur”,
    ha detto il Papa San Gregorio Magno. A sua volta San
    Francesco di Sales disse con ragione: “Un’oncia di buon
    esempio vale più di cento belle parole». Noi oggi viviamo
    talmente in un’epoca di “prestigio personale” che non é
    già il “grande oratore” che compie con successo il
    compito di annunciare la parola di Dio, ma il prete pio e
    zelante.
    È ciò che tanto bene insegna San Carlo Borromeo
    nelle sue “Istruzioni pastorali”: “Quemadmodum enim in arca
    testamenti duo illi Cherubim ita collocati erant ut semper mutuo se
    6
    aspicerent: ita vita concionantis doctrinae ex altera parte respondere
    debet usque adeo, ut et vitam doctrina collustret, et doctrinam rursus
    vita corroboret, viresque eidem perpetuo addat...”.
    Tutte queste qualità personali del predicatore che i
    manuali elencano sotto il titolo complessivo “la persona
    del predicatore” (la santità della vita, l’umiltà, la pietà, il
    disinteresse, la purità d’anima, la gentilezza e il tatto
    personale), tutto ciò ai nostri giorni, nel tempo cioè in cui
    si guarda più al valore personale che a titoli d’altro
    genere, acquista sempre una maggior importanza per il
    successo della predicazione.
    Per l’oratore profano questo ha minor importanza,
    mentre né acquista sempre più per l’oratore sacro.
    L’oratore profano, non mira già ad un fine
    soprannaturale, a lui bastano perciò gli ordinari artifici
    oratori. Non è così per il predicatore che ha come scopo
    di condurre i suoi uditori alla vita soprannaturale; per
    quanto la sua eloquenza sia brillante, essa non basta, ma
    é la vita soprannaturale del predicatore stesso che decide
    della riuscita della sua parola. Come potrebbe un
    predicatore elevare i suoi uditori verso Dio, se egli stesso
    non é capace di sollevarsi fino a Dio? Una conferenza
    scientifica testimonia della scienza e dell’erudizione del
    conferenziere. Un romanzo della ricchezza di espressione
    e dell’abilità del suo autore. Una declamazione dell’arte
    dell’oratore. E un discorso? Della fede del predicatore. È
    certamente necessario per fare un discorso avere della
    scienza, dell’erudizione, della facilità d’espressione, ma
    l’essenziale è una fede viva e una ferma convinzione. Un
    buon discorso attesta sempre la fede e la misura nella
    quale il predicatore nella sua anima, nelle sue idee, nel
    7
    suo sentimento e nella sua volontà è penetrato
    dell’onnipotenza di Dio. È per questo, che, non può
    ottenere alcun successo un discorso che si fonda
    unicamente sui processi della logica e della retorica e non
    è, che il frutto d’astratti ragionamenti.
    Noi pertanto non esitiamo affatto ad affermare che la
    meditazione quotidiana di un prete zelante è il mezzo per
    eccellenza per il successo. Predica bene chi medita molto.
    “Ex plenitudine contemplationis praedicatio derivatur”2. E
    viceversa “qui non ardet, non incendit”.
    Il Signore disse un giorno ad Ezechiele: Quando
    sentirai le mie parole, le riferirai agli Israeliti (Ez 3, I7). E gli
    Apostoli hanno associato la preghiera e la predicazione:
    Noi apostoli, invece, impegneremo tutto il nostro tempo a pregare e ad
    annunziare la parola di Dio (At 6, 4). Quante volte san Paolo
    ripete questo pensiero! Egli domanda le preghiere degli
    efesini: Pregate perché Dio mi faccia trovare parole decise con cui
    far conoscere la verità del suo messaggio (Ef 6, I9). Egli chiede le
    preghiere dei colossesi: Pregate anche per me, perché Dio mi
    offra buone possibilità di diffondere il suo messaggio e di parlare del
    progetto di salvezza rivelato da Cristo. Per questo mi trovo ora in
    prigione. Ma voi pregate che io possa ancora predicare e parlare, così
    com’è mio dovere (Col 4, 3-4). Egli domanda le preghiere dei
    tessalonicesi: Pregate perché la parola del Signore si diffonda e sia
    bene accolta come accade tra voi (2 Tes 3, 1). Ascoltiamo pure
    queste parole di san Gregorio Magno: “Prius aurem cordis
    aperiat voci Creatoris, et postmodum os sui corporis aperiat auribus
    plebis”3. Sant’Agostino stima che il predicatore “Pietate
    8
    2 Summa II-II q. 188, art. 6
    3 In Ezech. I, Hom I
    magis orationum, quam oratorum facultate indiget... Sit orator,
    antequam dictor… Priusquam exserat proferentem linguam, ad
    Deum levet animam sitientem, ut cructet, quod biberit, vel quod
    impleverit fundat”4.
    L’arte di ben predicare non si apprende nelle scuole,
    ma in ginocchio.
    II. Un’importante condizione per il successo nella
    predicazione è la conoscenza della vita moderna e lo spirito
    d’attualità.
    Bisogna però ben comprendere il senso di
    quest’espressione. S’ingannerebbe a partito il predicatore
    che, allo scopo di riuscire più interessante divenisse una
    gazzetta vivente, annunciando dalla cattedra di verità
    tutte le notizie del giorno, facendo delle applicazioni
    tirate per i capelli, e ciò per predicare in una maniera
    “nuova e moderna”.
    Non é questo ciò che noi intendiamo, indicando tra i
    mezzi di successo nella predicazione la ricerca
    dell’attualità e la comprensione della vita moderna. Si
    tratta di ben altro. La pietà personale, lo zelo e la vita
    degna del predicatore ancora non bastano, ma occorre
    che egli sappia come far amare le verità religiose all’uomo
    del giorno d’oggi.
    I fedeli hanno su questo punto una profonda
    intuizione e s’accorgono presto se dall’alto del pulpito,
    vengono presentate loro senza vita e senz’anima, le
    9
    4De doctrina Christi, I, IV
    antiche verità tradizionali, sotto frasi ridondanti e fiumi di
    parole, con voce altisonante, oppure se hanno davanti un
    fratello, uno uguale ad essi, un uomo che vive nel mondo
    attuale, un uomo dei nostri giorni, la cui anima vibra con
    l’anima di tutti quelli che cercano Dio; un uomo, la cui
    anima trema nelle lotte della vita, un uomo che, con
    calore ed affetto, tende la mano ai suoi fratelli per
    condurli fino al Cuore di Cristo, dove egli, prete, è già
    arrivato e dove ha trovato la pace.
    Se gli uditori sentono la forza della vita spirituale che
    trabocca dall’anima del predicatore, se loro sentono la
    sua anima sospirare, bruciare, lottare e soffrire sotto la
    corrente di una vita soprannaturale ad alta tensione, se
    vedono come egli trova la sua gioia e stima suo sacro
    dovere di ravvivare le piccole lampade dei suoi uditori a
    contatto della corrente vivificante e liberatrice di Cristo,
    allora una predicazione di tal genere risponde alle
    esigenze del tempo attuale.
    Questa è l’attualità, l’adattamento alla vita moderna
    che noi reclamiamo: una predicazione nella quale i fedeli
    s’accorgano che il loro sacerdote non si smarrisce in
    ragionamenti nebulosi e non si trattiene in considerazioni
    puramente ascetiche, allontanandosi completamente
    dalla vita reale. Non comportatevi come se foste i padroni delle
    persone a voi affidate, ma siate un esempio per tutti (1 Pt 5, 3).
    Se i fedeli potessero rendersi conto che l’oratore
    segue con calda simpatia le dure lotte della vita, e conosce
    con anima compassionevole le privazioni sovrumane
    dell’esistenza attuale, e possiede uno sguardo chiaro e
    10
    lucido al quale possono con tutta tranquillità affidare la
    condotta delle loro anime tormentate!
    Leggere nelle profondità delle anime, scoprire i
    movimenti e gli intimi pensieri in modo da rispondere
    anche ai più segreti quesiti, con una predicazione
    adattata alle esigenze della vita moderna! Non è così che
    può predicare il sacerdote che passa la sua vita in un
    ufficio, in un segretariato, in una biblioteca o al suo
    tavolo. Non può predicare così che il sacerdote che
    confessa parecchio e si trattiene spesso con i suoi fedeli.
    La predicazione del prete che sente quotidianamente
    giungere fino a lui i lamenti che salgono dall’oceano della
    vita, avrà sempre per tema le questioni più vive e più
    palpitanti, e si potranno applicare a lui le parole di
    Emerson: “Spremete le sue parole e ne uscirà del sangue”.
    III. Terza condizione per una buona riuscita e la
    naturalezza. Predichiamo con semplicità d’espressione.
    L’uomo moderno non tollera più il modo solenne ed
    enfatico dei nostri predecessori; egli non vuole sentire il
    prete fare dell’eloquenza. Ascolterà invece con attenzione
    se il prete converserà naturalmente con lui, con il
    medesimo tono, con le stesse espressioni e gesti con cui
    due vecchi amici si tratterebbero piacevolmente tra loro
    andando a passeggio.
    Il mezzo migliore per evitare la monotonia, quello
    che è chiamato “il tono del predicatore”, sarà, per il
    prete, il modo di esporre con tutta la sua personale
    11
    convinzione, le verità che predica dall’alto del pulpito.
    Colui, che cerca seriamente di far penetrare le idee
    religiose nel suo uditorio non lo addormenterà, né lo
    stordirà con i suoi gridi, ma converserà con naturalezza e
    semplicità, in altre parole osserverà la punteggiatura,
    l’accentuazione, farà delle pause ed eviterà tutto ciò che è
    affettato ed esagerato.
    È precisamente così che ci si assicura una buona
    riuscita. Il predicatore ha il compito di influire sui suoi
    uditori, di persuaderli.
    Perciò occorrono tre cose, richieste non solo dalla
    psicologia moderna, ma già da Cicerone: “Tribus rebus
    omnes ad nostram sententiam perducimus: aut dicendo, aut
    conciliando, aut permovendo”, cioè: esporre chiaramente il
    soggetto (dicendo), renderlo simpatico (conciliando), e
    suscitare l’entusiasmo (promuovendo). “Il primo fedele di
    un buon curato è lui stesso”, il che vuol dire che un buon
    discorso deve produrre il suo effetto più profondo, sullo
    stesso predicatore.
    Il predicatore, durante la sua preparazione, cerca i
    mezzi e la maniera di far penetrare nella propria vita, le
    conseguenze pratiche del suo soggetto e osserva gli
    ostacoli che gli impediscono il cammino; il suo discorso è
    penetrato di tale profondità, di tale calore e di tale forza
    che non permette all’anima degli uditori di resistere. Il
    predicatore, la cui anima è passata per queste differenti
    fasi caratteristiche, e che conosce per esperienza le loro
    ripercussioni nell’anima altrui, saprà convincere gli
    uditori che le verità che loro annuncia sono realmente
    indispensabili, perché danno la forza nella lotta, la
    12
    consolazione nel dolore, la luce nelle tenebre e la
    ricompensa nella vittoria.
    IV. L’uso di quei predicatori che cercano nei tanti
    avvenimenti della vita quotidiana gli esempi per toccare più al
    vivo l’anima dei loro ascoltatori, è certamente utile. È
    innegabile che l’inserzione d’esempi e di fatti, ha allargato
    i limiti così rigidi in altri tempi, e ha dato alla
    predicazione un’andatura che colpisce maggiormente
    l’immaginazione.
    I predicatori così detti classici hanno evitato per
    principio l’uso degli esempi. Ma chi preferisce l’efficacia
    della predica alla conformità della stesa alle regole
    classiche, li può tranquillamente adoperare. Sempre con
    misura, naturalmente, e a tempo e luogo.
    Un avvenimento qualunque della vita, può costituire
    un eccellente esordio (exordium ab illustratione) solo che
    rispondi all’idea fondamentale della predica. Allo stesso
    modo possiamo dare una conclusione impressionante se
    abbiamo sottomano un tratto che riassuma tutto
    l’argomento studiato. Ma possiamo utilizzare con grande
    profitto, tanto i fatti veri e gli esempi quanto le allegorie,
    le metafore e le parabole nel corpo stesso della predica.
    Succede spesso anche a persone colte, di aprire il giornale
    della domenica prima di tutto alla pagina del
    “supplemento illustrato”. La psicologia moderna ha
    constatato che anche gli intellettuali pensano per
    immagini e non solamente per idee astratte; quanto poi
    alla massa del pubblico di media levatura, le sarà sempre
    molto difficile di pensare senza ricorrere alle immagini.
    13
    E se possiamo anche illustrare questa o questa altra
    verità astratta con un esempio che colpisca, con un
    esempio interessante preso dalla vita attuale, non
    solamente otterremmo dai nostri ascoltatori un’attenzione
    più grande che farà maggiormente penetrare in essi l’idea
    fondamentale, ma, cosa ancor più preziosa, essi vedranno
    che quanto noi predichiamo può essere praticato.
    L’uso degli esempi ostacola talvolta lo sviluppo logico
    del pensiero e lo svolgimento della predica, ma in vista
    del suo effetto possiamo ben chiudere gli occhi su tale
    imperfezione. E se Nostro Signore, non ha sdegnato di
    adoperare gli stessi esempi, noi non dobbiamo ometterli.
    Se il divino Maestro si fosse mantenuto, nei suoi discorsi,
    altrettanto nebuloso ed astratto quanto molti predicatori,
    è certo che non sarebbe stato compreso; invece Nostro
    Signore nelle sue predicazioni ha usato frequenti esempi:
    la messe biondeggia, il fico rinverdisce, il giglio schiude i
    fiori, il tramonto arde, la fiamma brilla, tutto, anche la
    natura inanimata vive.
    L’uso d’esempi, di concetti, di fatti e di parabole, atro
    non è se non il rinnovamento dell’antica “biblia pauperum”.
    Noi ci adattiamo così più facilmente alle esigenze della
    moderna psicologia e pedagogia religiosa, secondo le
    quali non basta soltanto esporre le verità della fede in
    modo razionale, ma è necessario sforzarsi di farle
    penetrare nelle anime per mezzo dell’immaginazione e
    della sensibilità. Solamente in questa maniera, la predica
    diverrà per le anime una sorgente di vita.
    Ora, il fatto che una predica è sorgente di vita per
    l’anima, é il miglior segno del suo successo.
    14
    V. Ma per essere efficaci ci è ancora necessario di fare
    un maggior uso della psicologia. Ci spiegheremo:
    A) Nell’insegnamento della facoltà di teologia il
    primo posto tocca naturalmente alla logica, al
    ragionamento e all’argomentazione. I futuri sacerdoti
    devono dimostrare, seguendo le regole di una logica
    rigorosa, con prove e argomenti, che tutti i nostri dogmi,
    tutti i nostri obblighi morali poggiano sopra basi solide e
    sono verità che non possono venir messe in dubbio.
    Ma accanto a ciò sta il pericolo che il prete continui a
    seguire in pulpito il metodo dei suoi manuali di teologia e
    che i suoi ascoltatori vengano sommersi da un fiotto
    d’argomenti e di sillogismi. Il successo di una predica non
    è assicurato dal fatto che noi abbiamo provato con
    chiarezza luminosa, la verità del nostro soggetto. La
    nostra predicazione avrà successo se fortificherà la
    volontà favorendo le pie risoluzioni. Anche dopo il più
    brillante sfoggio d’eloquenza, l’uditorio è pur sempre
    minacciato da questo pericolo: mirati sunt, conversi non sunt.
    Per convertire, per agire sulla volontà, per ispirare
    risoluzioni pie, bisogna che accanto alla logica vi sia una
    buona dose di psicologia. Una psicologia che non si
    accontenti d’insistere sulla verità del soggetto esposto, ma
    che si sforzi di agire contemporaneamente sulla sensibilità
    e sulla volontà; ed é precisamente per questo, che essa fa
    risaltare i lati più felici del soggetto stesso, per esempio la
    bellezza, l’elevatezza, la forza, la consolazione, la pace
    che si possono trovare nel dogma che si sta esponendo, la
    conformità della morale cristiana con la natura, la
    ragione umana, il bene che reca il rispetto alla legge di
    15
    Dio, mentre la sua violazione non conduce che a
    decadenza e rovina. Accanto alla teologia morale,
    bisogna ancora utilizzare la psicologia morale; accanto
    alla theologia mentis la theologia cordis.
    La Chiesa sa bene che l’uomo non e solamente un
    cervello, ma ancora una volontà e un cuore. Sa pure che
    non soltanto per mezzo degli studi teologici uno diventa
    un buon prete, ed impone parecchi anni di seminario al
    futuro sacerdote non per il solo fatto di aguzzare la sua
    intelligenza, ma per formargli la volontà ed il carattere. Il
    predicatore stesso deve accorgersi che la verità del suo
    argomento, malgrado la logica più severa, non basta per
    influenzare la volontà e la sensibilità degli ascoltatori.
    L’oratore deve tener conto che l’uomo attuale è più
    accessibile alle prove storiche e psicologiche che ad una
    dimostrazione logica. Più facilmente che per la ragione, si
    prende quest’uomo per il cuore; e se noi ne guadagniamo
    il cuore, anche la sua mente sarà nostra. Riguardo a
    molte questioni, l’uomo moderno non sente come pensa,
    ma pensa come sente.
    I commercianti astuti hanno scoperto da parecchio
    tempo che non è sufficiente avere la merce migliore, ma
    che è altrettanto necessario farla conoscere e offrirla con
    garbo. Grossi volumi sono stati pubblicati con il titolo di
    “Psicologia del compratore”. E se non avessimo paura di
    essere fraintesi, proporremmo d’imitare il procedimento
    del commerciante ingegnoso per assicurare il successo
    della predicazione. Sotto quale favorevole luce egli
    presenta la sua merce all’acquirente! Quanto è premuroso
    e piacevole! Quanto infaticabile nel vantare la qualità dei
    16
    suoi articoli! Finché la forza di resistenza dell’acquirente
    sia esaurita e che il cliente compri.
    Vi potrebbe essere un predicatore pronto ad
    accettare tranquillamente di venir sorpassato nel suo
    lavoro per il regno eterno di Dio nell’insegnamento della
    parola divina, da un semplice commerciante nella
    raccomandazione più calda, più viva, più astuta, più
    persuasiva d’una merce terrena e destinata a perire?
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    00 08/03/2011 11:01
    Noi vorremmo inoltre attirare l’attenzione sopra un
    certo numero di sfumature che potrebbero essere
    catalogate sotto il nome globale di Metodo psicologico di
    predicazione e la cui osservazione fa pure parte del segreto
    per il buon successo della predicazione. Una di queste
    sfumature, per esempio, consiste nella modestia
    dell’atteggiamento e del contegno del predicatore, poiché
    la vanità non sarà mai tanto spiacevole quanto sul pulpito
    cristiano. Bisogna anche attenersi strettamente a certe
    regole di convenienza, note sotto il nome di decorum. Così
    per esempio, al giorno d’oggi la durata di una predica
    deve tener conto del la nervos i tà dei nos t r i
    contemporanei. È soprattutto necessario trattare con
    molto tatto le questioni delicate e sgradevoli. Non si può
    sempre totalmente evitare di biasimare dal pulpito, di
    criticare con qualche severità le opinioni pericolose e di
    condannare le false massime morali, ma tutto ciò va fatto
    con la più grande delicatezza, con moderazione e
    senz’allusioni personali che possano ferire.
    Siamo particolarmente prudenti e sempre in guardia
    nel giudicare certe tendenze che sono in fondo, buone e
    legittime; pericolose solamente nei loro eccessi.
    17
    Nella preparazione delle prediche, che racchiudono
    rimproveri o biasimi, ricordiamoci della piccola storia,
    che racconta di due predicatori d’America nell’epoca del
    movimento anti-schiavista. Parlavano tutti e due con lo
    stesso entusiasmo contro la schiavitù, ma mentre la gente
    ascoltava il più anziano, il più giovane non incontrava che
    canzonature e minacce. Il poveretto finì per lagnarsene
    con il suo confratello e gli osservò: “Non ci capisco
    niente. Noi insegniamo tutti e due le medesime cose e voi
    siete ascoltato, mentre di me tutti si burlano”. L’altro
    rispose “è perché voi, ripetete continuamente ai vostri
    ascoltatori: se fate la tale o la talaltra cosa, sarete
    certamente dannati. All’opposto io dico loro: miei cari
    amici, se in avvenire non farete più la tale o la tal altra
    cosa, non sarete dannati certamente. E vedete bene che
    mi ascoltano, mentre si scostano da voi”.
    VI. Una cosa che contribuisce grandemente al
    successo della predicazione è anche la scelta metodica del
    soggetto o, per chi volesse usare un’espressione moderna, la
    razionalizzazione della scelta del soggetto.
    Sul terreno intellettuale e materiale, si reclama ogni
    giorno di più la razionalizzazione e sarebbe un vero
    peccato di non preoccuparcene allorché prepariamo le
    nostre prediche. C’è forza riconoscere che scegliendo
    senza metodo, un po’ a caso, il soggetto della predica, noi
    facciamo spreco di molte forze intellettuali e diamo gran
    numero d’istruzioni senza successo, poiché si realizzano le
    parole della Sacra Scrittura: In quel giorno però morirono in
    guerra alcuni sacerdoti che volevano fare gli eroi e sconsideratamente
    si esposero alla battaglia (1 Mac 5, 67).
    18
    I predicatori esprimono con insistenza il desiderio di
    possedere nuove pericopi per le domeniche, poiché quelle
    attualmente in uso non contengono che una piccola parte
    dei Libri Sacri e sono già state largamente utilizzate per
    la predicazione omiletica. Ma chi conosce le difficoltà che
    si oppongono a questa realizzazione non attenderà il
    compimento assai incerto di tale desiderio per rinnovare
    il fondo delle sue prediche e accrescerne l’interesse, e
    introdurrà invece, accanto alle pericopi attuali, la
    razionalizzazione della predicazione.
    Un mezzo veramente pratico è il corso coordinato di
    prediche. Il pubblico attuale preferisce ascoltare tutta una
    serie di prediche sopra questo o quell’argomento,
    piuttosto che delle istruzioni senz’alcun legame tra loro e
    che si occupano di soggetti differenti di domenica in
    domenica. L’autore di queste righe ha predicato, nella
    chiesa dell’Università di Pazmany, davanti alla parte colta
    del pubblico di una grande città, per un anno intero
    sull’enciclica «Quas primas » relativa a Cristo Re, per altri
    due anni sui Comandamenti, attualmente parla sul
    Simbolo, ed è veramente commosso dall’attenzione e
    dalla fedeltà manifestate dai suoi ascoltatori nel seguire
    queste serie di predicazione.
    Del resto, gli argomenti adatti a serie più o meno
    lunghe d’istruzioni e capaci di suscitare grande interesse,
    non mancano. Eccone qualcuno: i Miracoli di Nostro
    Signore, le Parabole, i ritratti biblici dell’Antico e del
    Nuovo Testamento, i Sacramenti, la Santa Messa, ecc.;
    gli ascoltatori restano anche molto impressionati quando
    seguendo lo sviluppo sistematico di queste predicazioni,
    19
    possono scorgere il lavoro che il predicatore s’impone per
    la salute delle loro anime.
    VII. È finalmente indispensabile, al successo della
    predicazione, il portarvi una preparazione seria. Non si
    ripeterà mai abbastanza a questo proposito che quello
    che è solito chiamare “uno scilinguagnolo sciolto”, la
    facilità di parola, non é affatto una garanzia di successo.
    Difatti la questione non é tanto di saper se parliamo, ma
    come parliamo. Chi si prepara superficialmente, e troppo
    alla svelta a predicare, non ha la minima idea della
    missione sublime del predicatore, e della grave
    responsabilità che pesa sopra di lui. Coloro che si vantano
    della loro facilità di preparazione, dovrebbero prima
    rendersi conto della difficoltà che il pubblico trova a
    comprenderli.
    Essi dovrebbero prendere bene in considerazione le
    parole di san Paolo: Mi sottopongo a dura disciplina e cerco di
    dominarmi per non essere squalificato proprio io che ho predicato agli
    altri (1 Cor 9, 27), e l’avvertimento di Cicerone: “Quoties
    dicimus, toties de nobis judicatur”.
    A questi predicatori che si preparano così presto e
    con tanta facilità vorrei ricordare un episodio della vita
    del Lacordaire, allora all’apogeo della sua reputazione di
    oratore. Un giorno che visitava un pensionato, il direttore
    gli domandò di rivolgere “qualche parola” ai suoi giovani.
    E l’illustre predicatore a rispondere: “Se me l’aveste
    domandato prima d’ora, avrei riflettuto a quello che
    dovevo dire. Ma ho in troppo grande stima la parola
    pronunciata in pubblico per parlare senz’alcuna
    preparazione”. Ecco veramente ciò che si può chiamare
    20
    “il rispetto per la maestà della parola” come dice W.
    Keppler.
    Una preparazione approfondita é richiesta non
    solamente dal rispetto dovuto alla parola di Dio, ma
    anche dalla mentalità di coloro che oggi frequentano le
    chiese. Dov’è il tempo in cui l’uditorio ascoltava con
    rispetto e sottomissione tutte le parole che venivano dalla
    cattedra di verità quando pure fossero presentate in
    forma semplicissima e senza pretesa? Il pubblico attuale
    viziato dai libri, dai giornali, dalla radio, dalle conferenze,
    critica più severamente, pesa le parole del predicatore e se
    é disgustato da espressioni banali o da istruzioni mal
    preparate, non mette più piede in chiesa.
    Chi vuole predicare agli uomini d’oggi, stretti dalle
    preoccupazioni, inaspriti, malcontenti e insensibili alle
    cose dell’eternità sulla vita soprannaturale e le sue verità,
    ha bisogno di prepararsi in un modo assolutamente
    particolare. Dobbiamo dunque essere ben persuasi che
    chi ai nostri giorni vuole assolvere, sia pure con successo
    relativo, il compito difficile di ministro della parola di Dio
    davanti ad uditori diventati molto esigenti, ha bisogno di
    una preparazione profonda e accuratissima. Durante il
    corso dell’intera settimana è necessario occuparsi
    ininterrottamente del proprio soggetto, osservare e
    giudicare gli avvenimenti mondiali non meno di quelli
    della propria, piccola parrocchia sempre con il medesimo
    scopo, lavorare la predica, rigirarla per tutti i versi, e
    quindi scriverla (per quanto é possibile non
    accontentandosi di un semplice abbozzo) e finalmente
    impararla ed esercitarsi a ripeterla; tutto ciò esige lavoro,
    un lavoro serio, sfibrante, ma che é la sorgente del
    21
    successo. All’opposto nessuno si stupisca se ancora oggi si
    verifica il vecchio adagio: “Qui ascendit sine labore, descendit
    sine honore”.
    Mentre il predicatore prepara il suo argomento,
    riflette su questioni dogmatiche o morali sbarazzate dai
    loro termini tecnici e si sforza di rivestirle di forma e
    d’espressioni appropriate ai bisogni delle anime degli
    ascoltatori, egli compie un lavoro analogo a quello di un
    trasformatore elettrico che permette alla corrente ad alta
    tensione proveniente dalla centrale lontana di essere
    utilizzata per il comune consumo giornaliero. È in questo
    che risiede il lato faticoso della preparazione: passare
    dalla logica alla psicologia; dare a delle definizioni aride
    le tinte fresche della vita, perché la predica non riesca
    troppo dottrinale e non si perda nelle nuvole di
    sottigliezze filosofiche, ma si svincoli dalle pallide
    astrazioni per penetrare nella vita reale.
    Non si può negare che il ministero pastorale di
    adesso, con le sue opere, con le sue riunioni d’ogni specie,
    assorbe talmente il sacerdote che questi é spesso costretto
    a ridurre fortemente il tempo della preparazione
    indispensabile al successo della predicazione. Ed é cosa
    da deplorarsi profondamente. Ma un’altra questione é di
    sapere se uno vi si può troppo facilmente adattare, se ciò
    che nel ministero pastorale può esser considerato
    superfluo ha il diritto di distogliere il prete dal suo
    compito di massima importanza, la predicazione della
    parola di Dio. Per parte mia credo che gli Apostoli
    sarebbero ancora della stessa opinione di venti secoli fa,
    quando confidarono ai diaconi le loro occupazioni
    22
    accessorie dicendo: Noi apostoli, invece, impegneremo tutto il
    nostro tempo a pregare e ad annunziare la parola di Dio (At 6, 4).
    Senza dubbio una buona predica é sempre il frutto di
    un lavoro serio e faticoso. Come l’ape va di fiore in fiore
    per attingere il succo, trasformarlo e produrre il miele,
    così bisogna che il predicatore legga molto, apprenda
    molto, pensi a lungo al soggetto, per captare le idee,
    lavorarle, svilupparle, dar loro una forma definitiva e
    trascriverle. Fino a che la predica non é al punto giusto,
    noi proviamo tutte le angosce, le fatiche, le pene di
    un’azione creatrice. Coloro che ascoltano una predica
    non hanno la più piccola idea di quanto sia costata di
    riflessioni e di letture, di sudore e di fatica intellettuale e
    nervosa. Nondimeno per il prete zelante questa
    preparazione che tutto lo assorbe e che si rinnova di
    settimana in settimana per decine d’anni, non é un
    obbligo pesante, ma é l’occasione di fare uno dei sacrifici
    inerenti alla vita sacerdotale, non é sorgente di malumore,
    ma é piuttosto l’entusiastico punto di partenza per una
    crociata alla conquista delle anime, uno degli esercizi più
    utili dell’ascetismo sacerdotale.
    * * *
    Per il mio ciclo di prediche sopra i Comandamenti
    ho scritto una prefazione intitolata “La nuova
    predicazione”. Si comprenderà più facilmente il modo di
    realizzare i consigli che vi si danno leggendo la prefazione
    presente.
    Possa io riuscire con le mie prediche a far avanzare,
    anche d’un solo passo, la santa causa della nuova
    23
    predicazione affinché per ciascuno dei miei fratelli nel
    ministero e per l’autore di queste pagine si realizzi questa
    frase dei nostri Libri Sacri: Cominciate a lavorare di buon
    mattino e, quando verrà il momento, il Signore vi darà la ricompensa
    (Sir 51,30).
    E che si realizzi ancora per ciascuno di noi che
    predichiamo la parola di Dio, la preghiera del breviario
    da noi tanto spesso ripetuta: Per evangelica dicta deleantur
    nostra delicta.
    L’autore
    24
    I. La fede dei nostri padri
    All’inizio di questi discorsi la prima parola
    pronunciata su questa cattedra, sia un grido di lode al
    nostro Padre celeste, al nostro Dio! Curviamo la fronte
    dinanzi a Lui e facciamo salire fino a Lui le nostre fervide
    preci.
    È di Voi, Padre celeste, che io vorrei parlare
    quest’anno ai miei cari uditori. Siate dunque con noi per
    vostra bontà, quando, con animo umile, noi mediteremo
    sulla vostra Maestà santa. Siate presso di noi con i vostri
    lumi, quando studieremo i dogmi della vostra fede, per
    più e più conoscerli ed amarli. Aiutateci con la vostra
    grazia, affinché, fortificati nella nostra fede cristiana, noi
    realizziamo i vostri sacri disegni per il grande momento,
    nel quale, compiute le lotte della nostra vita terrestre, noi
    potremo arrivare fino a Voi, nostro buon Padre del cielo,
    per l’eternità.
    Questa serie di sermoni tratterà della nostra fede
    cristiana, del Simbolo degli Apostoli. Invero, come
    osserverebbe i Comandamenti di Dio chi non conosce
    Dio, non stima la sua fede in Lui, e non vi é attaccato con
    un amore pronto a qualsiasi sacrificio?
    L’esperienza insegna che assai spesso l’ignoranza
    religiosa è una delle cause più frequenti della violazione
    della legge morale.
    25
    Consacrerò i miei primi discorsi alle questioni
    fondamentali d’introduzione, che mostreranno
    l’importanza del soggetto che stiamo per studiare.
    Nell’istruzione d’oggi, per esempio, vorrei spiegare
    che: È necessario parlare della fede perché é conosciuta
    troppo poco ed è importantissimo conoscerla meglio.
    A. La fede è sconosciuta
    L’ignoranza religiosa è spaventevole non solo in terra di
    missione, ma pure presso i popoli cristiani.
    Vi dirò ciò che è accaduto in un sobborgo di Parigi
    ad un prete che domandava ad un ragazzo:
    - “Amico mio, sai tu che cos’è la Trinità?”
    - “Sì, lo so, - rispose il ragazzo - é una stazione della
    Metropolitana”.
    - E’ vero che c’é una stazione di questo nome. Ma tu
    non sai nient’altro sulla SS. Trinità?
    - “No”.
    Ecco tutto ciò che sapeva sulla SS. Trinità un
    ragazzo nato e cresciuto in un paese cristiano.
    E questa misera risposta ci costerna nella sua terribile
    realtà. Due diverse categorie d’uomini, due mondi diversi
    vivono oggi intorno a noi, l’uno presso l’altro: due mondi
    26
    fra i quali la tensione é così grande, i contrasti così vivi,
    che penetrano perfino attraverso le porte della casa,
    drizzando un muro di separazione fra i migliori amici,
    generando differenze ed urti fra loro.
    C’è qualcosa di spaventevole nell’esistenza, gomito
    contro gomito, di questi due mondi diversi, quello della
    fede e l’altro dell’incredulità. Lo sposo deride ciò che e
    sacro per la sua sposa. I genitori sono schierati in altro
    campo che non é quello dei figli. La nuova generazione
    definisce pregiudizio fuori moda ciò che la vecchia
    generazione riguardava come verità santa. Ciò che un
    gruppo considera base della civiltà umana, l’altro gruppo
    lo stima inutile fardello.
    Risuonano le campane della domenica e molta gente
    si affretta verso la chiesa e inginocchiata prega Nostro
    Signore Gesù Cristo, il Redentore; molta altra scuote la
    testa senza comprendere: é possibile che ancora oggi ci
    siano nel mondo uomini di idee così arretrate?
    Fratelli miei, questi “arretrati” siamo noi. Noi che,
    ancora seguiamo la fede dei nostri padri. Noi, che oggi
    ancora recitiamo il Credo. Noi che, sentiamo il dovere di
    testimoniare la nostra fede dinanzi al mondo. Ecco
    perché ho scelto per il mio nuovo ciclo di prediche la
    spiegazione dei dogmi fondamentali della fede cattolica.
    Noi siamo tutti cristiani e recitiamo ogni giorno il
    Credo; ma con quale anima? Conosciamo a fondo la
    nostra fede e l’amiamo come deve essere amata?
    27
    Sappiamo quanto la nostra fede é bella? Ah, quanto
    bella! tanto, che dovremmo gridare: se tutto fosse bello
    del pari! Sappiamo anche che la nostra fede é vera? Essa
    é così fiera che possiamo tranquillamente inclinare la
    nostra testa sotto il suo giogo dolcissimo.
    La verità della nostra fede e la sua bellezza, ecco ciò
    di cui vi parlerò ora, e nelle conferenze che seguiranno.
    1) La nostra fede è vera
    Noi passeremo in rivista i dogmi della nostra santa
    religione cattolica; vedremo le ragioni che parlano in loro
    favore, i problemi che essi sollevano, e ci faremo questa
    domanda: possiamo, oggi ancora, tenerci tranquillamente
    avvinti al nostro vecchio Credo, alla cattolica fede dei
    nostri padri?
    Gettiamo uno sguardo indietro su questa fede dei
    nostri padri, risaliamo il corso di duemila anni, e
    constateremo con fierezza che non abbiamo da
    arrossirne. La nostra religione ha salvato i preziosi tesori
    della civiltà antica, minacciati di distruzione. La nostra
    religione ha messo al servizio della cultura intellettuale la
    forza viva dei giovani popoli barbari. Dalla nostra
    religione uscirono la profonda filosofia e l’arte
    incomparabile del Medioevo. La nostra religione ha
    fecondato l’immaginazione artistica di Raffaello e di
    Michelangelo, e il genio poetico di Dante. È la nostra
    religione che ha inviato i suoi missionari al Venezuela, al
    Perù, in Bolivia... Come ha inviato a decine di migliaia le
    suore di carità negli ospedali, negli orfanotrofi, negli
    ospizi e nelle case d’educazione. In verità non c’è da
    28
    arrossire di un Credo che, da duemila anni, non fa che
    versare sull’umanità un fiume di benefici morali e
    materiali.
    Ripeto: non abbiamo da arrossire della fede dei
    nostri padri. E dobbiamo essere convinti della verace
    testimonianza resa dagli intellettuali antichi e moderni,
    che il Credo cristiano ha l’ultima parola nelle questioni
    religiose, che la morale cristiana è il più puro
    abbellimento dell’anima umana, che l’umanità non potrà
    mai sorpassare le altezze della cristiana civiltà.
    Più è chiaro l’effetto disastroso del caos intellettuale e
    morale nel quale sprofonda l’umanità d’oggi che si è
    staccata dalle idee cristiane, e più dobbiamo guardare con
    venerazione il blocco di granito dei dogmi del nostro
    Credo.
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    Coordin.
    00 08/03/2011 11:02
    Mano di Dio
    [Modificato da Coordin. 08/03/2011 11:19]
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 08/03/2011 11:03

    Un giorno, mentre il poeta tedesco Enrico Heine
    stava, rapito, contemplando la magnifica cattedrale di
    Colonia, gli sfuggì questa frase, che fu in seguito molto
    ripetuta: “Gli antichi ben potevano costruire, giacché
    avevano dei dogmi; ma noi, noi non abbiamo che delle
    opinioni, con le quali costruire non si può... Non si
    costruiscono delle Cattedrali con opinioni!”
    Questa santa forza che scaturisce dal nostro Simbolo
    è, ancora oggi, una realtà vivente. Oggi non c’è né
    organizzazione, né fabbrica, né impresa, né società... non
    c’è nulla al mondo che possa, sia pure alla lontana,
    raggiungere il livello del cristianesimo, nella sua
    benedetta opera di cultura spirituale. Come per il passato
    fu per centinaia di popoli e miliardi d’individui una guida
    29
    verso le altezze della cultura spirituale, così ancora oggi,
    costruisce sulle rovine e le tombe delle nazioni, il loro
    futuro avvenire e l’armoniosa vita degli individui.
    Oh! Sii benedetta fede dei nostri padri. Noi non
    vorremo mai staccarci da te, per non smarrirci nelle
    tenebre dell’errore e del dubbio.
    2) La nostra fede e bella
    a) Sì, l’abbiamo provato noi stessi tante volte, direte
    voi. Quando, la sera, lascio le vie animate e rumorose
    della capitale per entrare fra le silenziose mura di una
    delle nostre Chiese, dove pregano, la fronte reclinata fra
    le mani, uomini che trascinano il peso della vita, e sento,
    di quando in quando, un sospiro uscire da un cuore
    stanco, o vedo una giovane ragazza entrare con un
    mazzetto di fiori, che depone dinanzi al Santissimo
    Sacramento, allora, in quegli istanti di pace, sono
    penetrato da questo pensiero: come é bella la nostra santa
    religione!
    E quando il suono delle campane ci chiama alle
    funzioni del mese di Maria, e le anime assetate nel
    deserto cammino della vita, si affrettano alla Chiesa per
    inginocchiarsi ai piedi della Benedetta fra le donne, la cui
    soavità attira irresistibilmente ai suoi altari perfino uomini
    stranieri alla nostra fede, oh, si pensa, com’è bella la
    nostra santa religione! Bella, quando il sacerdote, nei suoi
    paramenti dorati, alla Consacrazione eleva l’Ostia Santa
    sopra i fedeli inginocchiati in pio raccoglimento. Bella
    quando le candele colorate dell’albero di Natale si
    accendono e, nella notte dicembrina si elevano il Gloria
    30
    degli Angeli, il canto dei pastori, belare delle pecore
    innocenti... Quale poesia, quale bellezza nella nostra
    santa religione!
    b) Ed ora, fratelli miei, voi mi guardate con occhi
    spalancati: ma io vi dico che non é in questo che vedo la
    vera beltà della nostra religione. La vedo più nel fatto che
    essa apporta la soluzione di tutti i misteri della vita e la
    forza di superare tutte le nostre più ardue difficoltà. Dirò
    dunque che c'è un Dio sopra di noi, un Padrone
    onnipotente, che è altresì per noi un Padre dal cuore
    tenerissimo. Dirò che il peccato è una disgrazia
    spaventosa, e Dio un giudice severo, ma dirò altresì, ed è
    questa la vera beltà della nostra fede, che non c'è peccato,
    pur spaventoso ch’esso possa essere, che Dio non perdoni
    al peccatore pentito. Dirò che l’eterna dannazione è cosa
    orribile a pensare, ma dirò altresì che nessuno vi cade
    senza averlo, nella sua depravazione, voluto. Dirò: quale
    meravigliosa pace, quale armoniosa felicità riempiono
    l’anima di colui che regola la propria vita secondo le
    prescrizioni della nostra santa religione, e rimette
    all’ultima ora, la sua vita fra le mani misericordiose del
    Padre celeste.
    Ecco la vera bellezza della nostra fede, della fede dei
    nostri padri.
    B. Perché è necessario conoscere meglio la fede?
    Si può domandare: non è pericoloso investigare la
    nostra fede e discuterla?
    31
    “Io sono cattolico come lo erano i miei vecchi. Mia
    madre mi ha insegnato il Credo e da allora io lo
    custodisco come la più preziosa eredità dei miei genitori.
    Lo recito di quando in quando, non nego alcuno dei suoi
    articoli, e tuttavia... sarebbe meglio che non entrassi nei
    suoi particolari. Ho paura. Ho paura che esso crolli da
    cima a fondo, se studio seriamente nei particolari e
    nell’insieme, ciascuno dei suoi dogmi. Le vecchie sedie
    ereditate dai nonni, sono fatte per essere allineate in un
    angolo della stanza e conservate con venerazione, ma non
    è prudente di sedersi sopra”.
    Io credo che tale idea sia venuta a qualcuno dei miei
    uditori, soprattutto se giovani, che, avrebbe preferito
    trattare qualche altro argomento. Il loro timore non é da
    sprezzare, ma, non stupitevi delle mie parole, nessuno ha
    tanto bisogno di questi sermoni quanto proprio essi ne
    hanno.
    Perché è necessario che noi conosciamo meglio la
    nostra religione?
    1) Prima di tutto perché non dobbiamo affatto
    considerare la nostra fede come un mobile venerabile
    ereditato dai nostri antenati, un mobile senz’anima che
    trasciniamo con noi. Disgraziatamente, per molti uomini,
    la fede non è molto più di questo. Ma noi, quantunque
    l’abbiamo ricevuta in eredità dai nostri vecchi, pur
    dobbiamo, con il nostro stesso lavoro intellettuale, fare
    della nostra fede un bene personale e cosciente. Non sono
    cattolico solamente perché mio padre lo era, e perché da
    secoli i miei antenati lo erano, ma lo sono anche perché
    conosco i principi della mia religione, perché so che oggi
    32
    ancora essi sono di una bellezza e di una verità
    incrollabili, e sono fiero di poter essere, io pure, cattolico.
    Possiamo noi, oggi ancora, professare il vecchio
    Credo? Non appartiene esso a tempi sorpassati? Non ha
    bisogno di essere riconsiderato a fondo? Non è
    minacciato di rovina?
    Tali pensieri possono nascere nella mente di qualsiasi
    uomo istruito, che segue ad occhi aperti la strada
    dell’umanità, e nessuno ha il diritto di lasciare affondare
    di tali spine nella sua anima. Poniamoci dunque la
    domanda: possiamo ancora essere cristiani? La risposta ci sarà
    data dalla vita. Non solo si può essere ancora cristiani: ma
    esserlo è necessario. O saremo dei cristiani, non solo a
    parole ma a fatti, o cesseremo d’essere uomini.
    Il cristianesimo o una lotta sanguinosa e bestiale. Il
    cristianesimo o il triste asilo degli alienati. Il cristianesimo o
    le donne si sbarazzeranno dei loro mariti... Il cristianesimo o
    l’aperta immoralità. Il cristianesimo o i figli alzeranno le
    mani violente sui loro genitori.
    Non dobbiamo rinnegare, cambiare la fede dei nostri
    padri. Essa è ancora oggi capace di soddisfare a tutti i
    bisogni intellettuali dell’uomo. Le nostre maniere esteriori
    di vivere sono cambiate, ma l’anima umana non è
    cambiata. Un tempo, gli uomini facevano un segno di
    croce partendo per un lungo viaggio, oggi ci sono
    aviatori che fanno lo stesso segno prima di cominciare un
    volo. Ci sono impresari che assistono alla santa Messa
    così puntualmente come i loro nonni, salvo che questi
    ultimi vi andavano a piedi, e loro ci vanno in auto. Ci
    33
    sono artisti che vogliono essere sepolti con l’abito di san
    Francesco. Ci sono degli operai che restano fedeli alla
    chiesa pur in mezzo alle sommosse dei rossi.
    La nostra epoca richiede dei cristiani animati di tali
    convinzioni, come lo era il conte Stefano Széchenyi, che
    al figlio Adalberto scriveva le seguenti righe: “Ho
    osservato fedelmente tutte le pratiche della religione
    cattolica, non già per dare il buon esempio ai contadini,
    oh no, ciò sarebbe una specie d’ipocrisia, ma perché sono
    cattolico”.
    2) Se vi domandate, perché è necessario conoscere la
    religione, ecco la risposta: Io devo studiare la mia fede da
    vicino, in profondità; non deve sussistere in me alcun
    dubbio, alcun “ma”, alcun “forse”; la mia fede deve
    sfidare come una roccia tutte le critiche, perché essa esige
    da me numerosi e immensi sacrifici. Esige che io inclini la
    mia ragione dinanzi alle verità divine, esige che io curvi la
    mia volontà dinanzi ai Comandamenti di Dio. Ora, di ciò
    io non sono capace se non so che ogni frase, ogni parola
    del Credo, è verità santa.
    La nostra religione non si contenta di farci recitare i1
    Credo in Dio, ma essa trae da questa formula gravi
    conseguenze per noi. La nostra fede interviene nella
    nostra vita di ogni giorno, interviene nel nostro diuturno
    lavoro, e per mezzo dei suoi Comandamenti, talvolta
    penosi e che tagliano sul vivo, regola tutta la nostra
    esistenza. La mia fede non è solamente con me quando
    prego in Chiesa, ma mi accompagna al mio tavolo di
    lavoro, al magazzino, mi segue in cucina, nelle
    conversazioni di salotto e nei miei divertimenti; penetra
    34
    nel santuario più intimo della mia famiglia, dovunque
    dice la sua parola e dovunque pone la sua regola.
    E chi dunque potrebbe seguire i suoi severi
    comandamenti, se prima non fosse persuaso della sua
    assoluta verità? Se non vedesse che la sua fede ha
    realmente il diritto di esigere tutto ciò che impone? Con
    una fede timida, pervasa di dubbi, timorosa, non si può
    rispondere alle severe esigenze della morale cristiana.
    Noi abbiamo bisogno di una fede uguale a quella che
    anima l’illustre scrittore francese Paolo Claudel. Durante
    la sua giovinezza egli fu totalmente incredulo e condusse
    facile vita: ma rispondendo all’invito della grazia divina,
    si convertì ed ora ha scritto di sé stesso le seguenti parole:
    “Io sono mille volte più sicuro delle verità della fede
    cattolica che dell’esistenza del sole che brilla sopra di
    me”5.
    E con queste parole dell’illustre scrittore, io termino
    il mio discorso. Possano esse incessantemente risuonare
    alle nostre orecchie. È vero che c'è di che rattristarci
    considerando il mondo attuale, ma non mancano
    elementi anche per rallegrarci. Se per tutto l’ultimo
    secolo, tanti e tanti hanno perduto il contatto con la fede
    dei loro padri, in queste ultime decine d’anni, molti altri
    hanno imparato invece a conoscerla e ad amarla. Si può
    rattristarci guardando quei pagani moderni per i quali il
    sole del cristianesimo è spento, ma ci rallegreremo, con
    fierezza, che la fede cristiana con il suo valore
    moralizzatore, educativo e civilizzatore oggi ancora resti
    35
    5Les Témoins du renouveau catholique
    senza rivali, e abbia salvato all’umanità dei tesori
    inestimabili, che senza di essa sarebbero andati
    irrimediabilmente perduti: il matrimonio, la famiglia, la
    proprietà privata, il principio di autorità, l’onestà, la
    disciplina.
    Felice colui, che vive in questa santa fede cristiana!
    Costui non può sorridere senza dirsi che un giorno egli
    sorriderà eternamente; e non può piangere, senza pensare
    che giorno verrà in cui le sue lacrime saranno asciugate
    per sempre. Dunque, anche se il mondo attuale sia ben
    diverso da quello dei miei antenati, persevero nella fede
    dei miei padri.
    L’aeroplano assorda con il suo rombo, l’auto fa
    squillare il suo clacson, la radio lancia i suoi appelli. Ed io
    alzo la testa e grido: Credo! Credo! Credo!
    36
    II. Felice colui che ha fede!
    Alla fine della mia ultima istruzione, parlando della
    fede cristiana, ho insistito su questa affermazione: Felice
    l’uomo che ha la fede, giacché egli non può sorridere
    senza pensare che un giorno egli sorriderà eternamente, e
    non può piangere senza dirsi che verrà giorno in cui non
    piangerà mai più.
    Questa idea sembra essere una formula vuota e
    sonora: sento dunque la necessità di dimostrarne la verità.
    Felice l’uomo che ha la fede e felice il popolo che ha
    la fede. Intorno a queste due idee, raggrupperò i miei
    argomenti oggi.
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    Coordin.
    00 08/03/2011 11:03

    A. Felice l’uomo che ha la fede
    Perché felice? 1) Perché non rivolge a sé stesso
    domande senza risposta; 2) Perché non soffre senza
    consolazione.
    1) Colui che ha la fede, possiede la risposta alle
    domande più angosciose, alle più snervanti ed importanti
    che sempre interessarono, ed interesseranno l’uomo che
    pensa, domande alle quali nessuno al mondo può dare
    risposta soddisfacente, se non la fede. Per contro, la fede
    dà una risposta tale, che la dolce serenità di una gioia
    vivificante si spande nelle anime.
    Quali sono queste importanti e decisive domande?
    Sono i problemi vitali e fondamentali della vita umana.
    37
    Quando l’uomo passa dalla prima infanzia inconsapevole
    all’età adulta, s’accende in lui, come un lampo, la grande
    domanda che attende risposta: “Che cerchi tu qua sulla
    terra? Come ci sei venuto? Di dove vieni? Perché sei qui?
    E dove vai?”.
    Domande assillanti. Quaggiù voi salite il duro
    calvario della vita: perché e come finirà tutto ciò? Cosa vi
    attende poi? Voi siete impiegato: ogni mattina vi sedete al
    vostro tavolo di lavoro e sbrigate corrispondenza e affari e
    tenete conti, e poi stanco rientrate in casa, per
    ricominciare il giorno dopo; e così per mesi ed anni e
    decine d’anni durate la stessa fatica, ma perché questo?
    Come finirà questo?
    Voi siete operaio: ogni mattina, vi mettete a lato di
    una macchina che cigola e vibra; ogni sera, stanchissimo,
    vi lavate le mani macchiate d’olio e di carbone, ed il
    giorno dopo ricominciate, ma perché? Che cosa vi
    attende in seguito? Voi siete madre di famiglia: ogni
    giorno all’alba siete la prima in casa ad alzarvi: e fino alla
    sera tardi non vi arrestate un attimo, in mezzo alle mille
    preoccupazioni domestiche e la cura di vostro marito e
    dei figli: ma perché? Come finirà tutto questo?
    Ecco le domande angosciose e torturanti della vita.
    Attendete una risposta dai sistemi filosofici: silenzio.
    Domandate una risposta alle arti ed alla letteratura:
    silenzio.
    Ma domandate una risposta alla fede, ed essa vi dirà:
    Uomo, tu vieni da Dio, e ritorni a Dio. Dio ti ha dato
    un’anima immortale in un corpo terrestre, e nel ciclo di
    38
    qualche decina d’anni di una vita onesta, seria,
    coscienziosa, la tua anima tornerà alla sua patria, cioè fra
    le mani di Colui che l’ha creata.
    Stefano Széchenyi aveva ragione di scrivere: “Gli
    uomini migliori e i più saggi che sono fin qui vissuti sulla
    terra, riconoscono tutti che nessuna religione ha più
    illuminato l’umanità e meglio fatto conoscere le finalità
    dell’esistenza umana che la fede cristiana”6. Non è
    dunque da stupire che la religione, capace di dare tale
    risposta, sia divenuta per l’uomo un tesoro da difendere
    più della vita, se egli la conosce e l’ama. Non è da stupire
    che i primi cristiani abbiano saputo morire, anche fra i
    più atroci tormenti, per la fede che assicurava loro la più
    grande felicità. Non è da stupire che quando l’Unione
    Sovietica decise aprire l’Università fondata per propagare
    l’ateismo non abbia potuto farlo per mancanza di uditori
    sufficienti e questo anche dopo anni ed anni della più
    sfrenata persecuzione religiosa.
    Perché, non si può costringere l’uomo all’irreligione
    ed all’incredulità. Perché, non si può cambiare l’anima e
    la natura umana. Ci sono persone che vogliono scartare,
    allontanare il pensiero di Dio e dell’eternità, ma se ne
    trovano male. Come un’ombra misteriosa, le perseguita il
    problema che esse non vogliono risolvere. Il loro spirito é
    vuoto, deserto: un baratro oscuro s’apre nel loro cuore. Si
    sforzano, con il lavoro e le distrazioni, di svincolarsi dai
    dubbi che l’assediano: ma avviene che precisamente in
    seguito al tempo consacrato al lavoro o al piacere, arriva
    39
    6Stecchenti, Nagy Magyar Szatira, p. 379
    l’istante in cui sulla loro povera anima torturata piomba
    tutto il vuoto della vita terrestre.
    Strappate al suo nido un uccellino implume, griderà
    lamentosamente cercando sua madre. Dio è il caldo nido
    della mia anima. Togliete il fiore dalla luce del sole, ed
    esso tenderà a lui. Dio è per l’animo come i raggi del suo
    sole. Togliete il pesce dall’acqua del mare, e appena esso
    potrà farlo, nuovamente vi si immergerà. Dio è per la mia
    anima l’eterno oceano. Immergete una barca sotto le
    acque, e appena la lascerete libera da costrizione,
    rimonterà alla superficie, giacché il suo destino è altro: la
    barca che resta sott’acqua non è più che un rottame,
    l’anima che può restare sommersa nel mare del mondo, e
    non sentire che il suo destino la spinge verso l’alto è simile
    ad un rottame, l’avanzo di un naufragio.
    L’anima umana non può trovar riposo che in Dio.
    Tutto ciò che esiste nel mondo segue la sua intima natura.
    La stella non può restare immobile. L’ossigeno e
    l’idrogeno non possono associarsi che secondo leggi
    determinate. Il fuoco, la fiamma tendono all’alto. La
    pietra che cade tende al basso. Provate a versare
    dell’acqua sopra l’olio: non ci riuscirete, l’olio galleggerà.
    Tutto è regolato in natura: ogni cosa cerca il suo posto e,
    quando l’ha trovato, vi resta tranquilla. Provate a
    separare l’anima da Dio: essa sarà inquieta e agitata e
    dolente. Essa lo ricercherà e non avrà pace se non
    quando l’abbia ritrovato.
    Il poeta Lenan, quando perdette la fede, trovò
    appena parole per descrivere il vuoto e la desolazione
    dell’anima che si è allontanata da Dio. Il mondo le
    40
    sembra una città morta, con le sue lunghe strade scure
    ove deve circolare. Da ogni finestra la morte e la rovina
    sogghignano al vederla. “Dopo che ho lasciato la strada
    sicura della fede, ho perduto la nobile gioia del mio
    cuore”.
    Chi possiede Dio, ha altre orecchie e altri occhi. Ma
    colui che non lo possiede che cosa sentirà? Il gemito, lo
    stridore delle ruote delle macchine, le grida di dolore
    della miseria. E chi possiede Dio? A lui dinanzi le
    montagne, le foreste, le spine, i cespugli, i ruscelli, le
    fabbriche, gli uomini, tutto canta un inno sublime.
    Chi possiede Dio, vede del pari tutto diverso da colui
    che non lo possiede. Quest’ultimo non vede che punti
    d’interrogazione, problemi senza soluzione e angoscianti;
    ma gli occhi di chi lo possiede, non solo assorbono la luce,
    ma irraggiano e penetrano del loro splendore le tenebre
    del mondo; e là dove altri non vedono che nubi, scorge il
    sole che le attraversa; là ove altri non vedono che tenebre,
    scorge le stelle.
    2) Ma l’uomo che ha la fede è ancor felice perché
    non soffre senza consolazione.
    Nella sofferenza l’incredulo o s’annienta o chiude e
    tende il pugno in un impeto di collera impotente: ma il
    credente ha ali, che lo elevano al di sopra del pesante
    meccanismo del mondo. Se non ho la fede, sono soltanto
    un ingranaggio insignificante nella mostruosa macchina
    che è il mondo, sono un pezzo qualunque fra i miliardi di
    pezzi di cui l’universo si compone e appena, appena le
    cose mie volgono a male, cade nella disperazione. Ma se
    41
    ho la fede, mi elevo al disopra di tutto il mondo materiale,
    e più, non lo guardo con occhi cupi e dolorosi, neppure
    quando il cielo stellato si oscura sopra di me. Quaggiù,
    durante la nostra vita terrestre, noi vediamo il valore
    benefico della religione forse più e meglio appunto nel
    momento in cui soffriamo.
    Più lo spaventoso nulla di tutta l’esistenza terrestre, e
    della nostra in particolare, più il nulla della nostra
    effimera vita ci pesa, e più una pace meravigliosa
    discende nella nostra anima quando pensiamo
    all’eternità. La nostra fede può dare una spiegazione a
    tutte le domande della vita. Giacché, se la vita è un
    periodo di preparazione il cui fine non é certo di lasciarci
    sprofondare nei piaceri, ma di conformare la nostra
    anima, e maturarla, in vista del suo grandioso ed eterno
    destino; se la nostra vita terrestre è la prefazione di un
    libro che sarà edito in breve, allora, ma allora solamente,
    noi sopporteremo con coraggio le lotte e le prove di
    quaggiù.
    Voi conoscete il Faust del Goethe. È la
    personificazione del combattimento perpetuo dell’uomo
    contro il male, e dei suoi sforzi verso il bene. Il poeta fa
    tutti i tentativi con il suo eroe, ma egli non trova da
    nessuna parte la soluzione soddisfacente, salvo la fede in
    un Dio che ricompensa o castiga, e nell’eternità. E la
    Divina Commedia di Dante, e la Messa solenne di
    Beethoven, ed il Requiem di Mozart, e la Creazione di
    Haydn, ed il Parsifal di Wagner, e le Opere di Bach, Liszt,
    Brahms, ecc., nelle quali si espande in singhiozzi l’anelito
    ardente dell’anima alla ricerca di Dio, tutti questi
    capolavori confermano la constatazione di uno scrittore
    42
    ecclesiastico del terzo secolo, Tertulliano, che “l’anima
    umana è naturalmente cristiana” (anima naturaliter
    christiana).
    Invano voi cercate di soffocare questa fiamma,
    gettandovi sopra pugni di terra. “Tutti gli uomini hanno
    sete di Dio”, già diceva Omero nell’Odissea, e soprattutto
    l’uomo che soffre.
    Felice colui, che ha la fede, giacché non solo con gli
    occhi egli guarda il mondo, ma altresì, con la sua anima.
    Come gli altri egli è assalito dalle mille impressioni
    caotiche della vita, ma la sua fede gli fa vedere in colori
    brillanti, e gli fa comprendere ciò che per l’incredulo resta
    confuso.
    Felice colui, che ha la fede! Egli pure dovrà
    camminare sulla terra in mezzo a fitte e spaventevoli
    ombre, ma egli camminerà in mezzo ad esse, come il
    fanciullo traversa con il cuore che batte una camera
    oscura, sapendo che aldilà, in una grande camera vicina
    piena di luce, suo padre l’attende a braccia aperte.
    Felice colui, che ha la fede! Come tutti, sente
    abbattersi su di sé le incomprensioni e le oscurità della
    vita, ma nell’intimo della sua anima arde la luce della
    fede, che fa splendere i suoi occhi come due finestre
    aperte alla luce del sole. Fratelli miei: avete voi questi
    occhi brillanti, pieni di speranza, queste due stelle che vi
    rischiareranno... voi e tanti altri, prede del dubbio?
    Si, fratelli miei: felice colui, che ha la fede.
    43
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    Coordin.
    00 08/03/2011 11:04
    B. Felice il popolo che ha la fede
    1) Che cosa la fede può donare ad un popolo?
    Moralità, gioia di vivere, forza di resistenza, confidenza in
    sé, spirito di intrapresa e di costruzione.
    Citerò un esempio antico. La Francia conserva
    piamente il ricordo di santa Giovanna d’Arco, che,
    cinque secoli or sono, liberò, in nome del cielo, il
    territorio della patria occupato allora dagli Inglesi.
    Rievochiamo la situazione. Una giovanetta di 17 anni,
    che giammai aveva maneggiato un’arma, si riveste di una
    corazza e, accompagnata da qualche cavaliere, si mette in
    marcia contro la potenza militare più grande di
    quell’epoca, contro la quale nessuna armata osava
    misurarsi apertamente. La cavalleria francese era già
    annientata, l’erede del trono di Francia stava nel suo
    palazzo, timoroso e inattivo, mentre gli Inglesi
    assediavano Orléans, sua ultima piazzaforte. E questa
    semplice fanciulla, con la sua fiducia in Dio, realizza
    l’impossibile. Rianima il popolo intero e la nazione, che,
    ripreso coraggio, riporta vittoria.
    Ecco cosa ha potuto fare per il suo paese una debole
    donna, in cui viveva la fede divina.
    Esaminiamo ancora che cosa significano per un
    popolo, per una patria, dei cittadini generosi fino al
    sacrificio, onesti, di puri costumi, animati dallo spirito del
    dovere religioso. Se questi cittadini adempiono i doveri
    del proprio stato con tutte le loro forze, se fanno il loro
    dovere, ciò avviene perché la fede ha loro detto: “è per
    questa via che voi otterrete il diritto alla vita eterna”. Se
    44
    questi cittadini conducono vita retta nel seno delle loro
    famiglie, se hanno costumi integri, mani pure, ciò è
    perché la fede ha loro detto: “è così che renderete degna
    di Dio la vostra anima immortale”. Se questi cittadini, ad
    onta delle preoccupazioni, sopportano sorridendo il peso
    della vita quotidiana, e diventano le salde colonne della
    vita sociale, ciò avviene perché Dio abita nei loro cuori.
    Negli antichi templi greci spesso si vedono delle
    magnifiche figure di donne, che si chiamano cariatidi, la
    cui testa alzata sopporta il testo del santuario. Un peso
    enorme grava su di esse, e tuttavia la loro fronte, i loro
    occhi, tutta la loro attitudine non lascia intravedere
    stanchezza: una specie di fierezza di fiducia in loro stesse
    le sostiene, come se non sentissero il peso che le schiaccia.
    Ugualmente le braccia muscolose e le anime invitte dei
    cittadini credenti e religiosi, sostengono il pesante edificio
    della vita nazionale.
    Nel 1787 Washington, uno dei fondatori degli Stati
    Uniti, disputava, con 55 compagni sulla futura sorte dello
    Stato. Ad un tratto il vecchio Franklin si alzò, e disse:
    “Signori, preghiamo! Io sono ormai vecchio, ma più ho
    vissuto e più ho constatato chiaramente che gli affari
    umani è Dio che li dirige. Se un passero non cade a terra
    senza ch’egli lo voglia o permetta, come uno Stato
    potrebbe essere costruito senza il suo soccorso?”.
    Felice il popolo che ha una fede, che ha religione!
    2) Tuttavia, fratelli miei, prima di chiudere, sento che
    devo rispondere ad una obiezione che potrebbe essermi
    sollevata: “Non c’è sulla terra un sol popolo senza fede e
    45
    religione. E allora perché insistere specialmente su questo
    punto?”.
    Risponderò che quando io parlo della fede, intendo
    sempre una fede vissuta; ciò che, disgraziatamente, non é
    sempre bene comune di tutti i popoli. Invero, in che
    consiste la fede vissuta? Consiste nell’essere così convinti
    della verità della nostra fede, che il suo spirito penetri
    quasi inavvertitamente i nostri atti, i nostri pensieri, le
    nostre parole, così come viviamo, respirando senza
    accorgercene, e non prestando attenzione ai battiti vitali
    del nostro cuore.
    Il mio giusto per fede vivrà (Eb 10,38) dice la lettera agli
    Ebrei. Vive. La fede regola non solo questa o quella delle
    sue azioni, ma tutta la sua vita. Lo spirito di Gesù Cristo
    circola in lui, come il suo sangue: lo penetra e lo satura,
    come l’acqua imbeve la spugna, e segna ciascuno dei suoi
    atti.
    Ogni cristiano crede nella vita eterna, ciò e ben
    naturale, ma quante poche persone si domandano,
    all’inizio delle loro azioni: “A che cosa, questo che sto per
    fare, mi servirà per la vita eterna?”. Ora, vivere per la
    fede, significa considerare ogni cosa in vista dell’eternità.
    Fratelli miei, prima di sacrificare il vostro onore alla
    vostra carriera, ponetevi questa domanda: “Agirei così al mio
    ultimo istante? Quanto faccio, mi servirà per l’eternità?”.
    Prima di cedere alle seduzioni di un’ambizione disonesta,
    domandatevi sempre: “Che cosa ne dirà Dio?”. Ecco che
    cos’è una fede vivente, che cosa vuol dire vivere la propria
    fede.
    46
    Forse voi direte: Se non avessi la fede non mi
    preoccuperei affatto della mia anima. È vero, ma io vi
    domando: Se voi aveste una fede vissuta forse che ve ne
    preoccupereste così poco? Voi dite: “Se non avessi la fede
    non pregherei”. È vero: ma se voi aveste una fede vissuta,
    forse preghereste con tante distrazioni? Dite: “Non andrei
    a confessarmi”. È vero: ma voi ci andreste così
    raramente? Dite: “Non andrei a comunicarmi”. Vero: ma
    vi comunichereste con tanta freddezza?
    Ecco, fratelli miei, il nostro grande difetto, la piaga
    fondamentale dei paesi cristiani. Noi siamo cristiani, si lo
    siamo, ma solamente a parole, non per le opere, per la
    nostra vita. Siamo cristiani a parole: nella vita siamo
    pagani. Crediamo a parole; siamo, per i nostri atti,
    increduli.
    Quando io affermo dunque: felice colui, che ha la
    fede, ed il popolo che ha la fede, io penso alla fede vissuta
    e vivificante; alla fede che non é soltanto una professione
    verbale, ma una vita, da essa, in tutto e per tutto regolata;
    ad una fede che é un ritmo; ad una fede che fa battere il
    cuore: ad una fede che sia forza direttrice dell’esistenza.
    Un vero credente è un uomo dall’anima pura, dalle
    mani pure, dagli occhi, dai desideri, dai pensieri puri. Un
    popolo credente è un popolo rispettoso della morale,
    laborioso ed energico.
    La mia fede non è soltanto una parola, un dogma. É
    altresì un’attività, una sorgente d’energia. Ah, fratelli
    miei, nella fede, non dimenticatelo, noi viviamo fra
    increduli, e bisogna che la nostra vita sia tale da splendere
    47
    in mezzo a loro come una stella luminosa nelle tenebre
    della notte. Che la nostra vita sia, al loro cospetto, pura e
    trasparente, come quella di un pesce esposto al pubblico
    dietro i vetri di un acquario. Questo affinché i
    miscredenti, contemplando le parole e gli atti della nostra
    vita, alzino lodi al Padre che è nei cieli, e lo ringrazino
    d’aver inviato dei cristiani sulla terra (cf. 1 Pt 1,12).
    * * *
    Fratelli miei, ciò che sto per narrarvi, è avvenuto il 19
    agosto 1093 ad Alba Reale. Presso la tomba di
    sant’Stefano, un re era in preghiera, San Ladislao, e con
    lui l’eletta parte del suo regno. E c’era un fanciullo di
    sette anni, storpio piedi e mani, dalla nascita. I suoi
    genitori, piangendo e pregando, lo deposero sulla tomba
    di sant’Stefano, ed ecco che d’un tratto, sotto gli occhi
    della folla, i suoi muscoli si stesero, le ginocchia si
    piegarono, ed il fanciullo prima si mosse, poi si tenne ritto
    sulle gambe. Il re Ladislao fu egli stesso testimone di
    questo miracolo, e lacrime di gioia gli scaturirono dagli
    occhi: prese il fanciullo nelle sue braccia, lo portò verso
    l’altare, e ringraziò in forma solenne Dio, autore di tanto
    prodigio”.
    Perché questo racconto alla fine della mia predica?
    Perché nella nostra Europa, da molto tempo, è risuonato
    questo grido spaventoso: Uomini, attenti! La civiltà
    europea è in decadenza e s’avvia alla sua tomba: le
    membra altra volta così robuste dell’Europa cristiana
    sono paralizzate.
    48
    Chi potrebbe negare che al disopra della cultura
    morale dell’Europa sono sospese realmente le nuvole del
    crepuscolo, per le quali le nostre anime sospirano: Resta
    con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto (Lc 24,
    29).
    Unendomi all’Apostolo san Pietro, fratelli miei, io
    così prego: rimanete stretti alla nostra fede cristiana, a
    Nostro Signore Gesù Cristo giacché voi lo amate, pur senza
    averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia
    indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la
    salvezza delle anime. (1 Pt, 8-9).
    49
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    Coordin.
    00 08/03/2011 11:05
    III. Infelice colui che non ha fede!
    In un dramma intitolato “Asilo notturno”, del poeta
    russo Massimo Gorki, c’è una scena commovente,
    quando i miserabili ospiti dell’Asilo, questi diseredati della
    vita, si svegliano il mattino in un’atmosfera inquinata e
    fetida, e ricominciano la loro esistenza senza scopo,
    incerta ed infelice. Un uomo straziato, mussulmano, si
    alza, e volto verso l’Oriente recita la sua preghiera del
    mattino. Gli altri miseri lo guardano, gli uni con curiosità,
    gli atri con aria di beffa, mentre egli si prosterna con
    gesto solenne dinanzi ad Allah: e non possono
    comprendere che nello spaventoso abbandono di
    quell’asilo di miseria si possa ancora credere in Dio.
    Tuttavia sul loro volto non è solo uno sguardo indifferente
    o sprezzante che appare, ma ancora una dolorosa
    nostalgia, un vago desiderio senza nome, il desiderio di
    un regno da lungo tempo svanito, del quale la fede apre
    la porta dinanzi agli uomini...
    Fratelli miei, non e solo negli asili notturni che questa
    singolare nostalgia, prende gli uomini alla gola. Nelle sale
    più elegantemente mobiliate, nei ristoranti dei grandi
    rapidi, splendidamente illuminati, nell’atmosfera febbrile
    degli uffici, esala un’aspirazione ardente alla felicità di
    quelli che possono credere. L’uomo d’oggi sente sempre
    più quanto ha perduto perdendo la fede, e ciò che gli
    manca quando gli manca Dio.
    Ove Dio manca, tutto manca! Questo sarà il pensiero
    dominante nel mio sermone d’oggi.
    50
    Dunque, è vero? non mi basta avere un comodo
    alloggio? Un buon conto in banca? Delle terre, una
    fabbrica? Una sposa bella ed amabile che mi comprende,
    dei bimbi sani e allegri? Posso essere infelice, possedendo
    tanto bene? Si, fratelli mici. Avendo tutto ciò, voi potete
    essere infelici, giacché sono infelici gli individui ed il
    popolo che non hanno fede.
    A. L’uomo che non ha la fede è infelice
    1) L’uomo che non ha la fede si pone le stesse
    domande del credente, ma non riceve risposta: o
    piuttosto, la risposta che riceve lo accascia ed annienta.
    Egli istintivamente si propone il quesito: “Cosa
    dobbiamo pensare di questo mondo? E dell’uomo? Che
    cos’è l’uomo? Quale valore ha la sua esistenza? Di dove
    viene? Perché è in questo mondo? Che cosa l’attende
    dopo la morte?”. Domande terribilmente gravi alle quali
    nessuno potrebbe rinunciare di dare una risposta.
    a) Che cos’è il mondo? Quale idea né avete voi?
    Talvolta terribili epidemie si abbattono sull’umanità: il
    colera, la peste, l’influenza... Del pari, nella vita
    intellettuale, infieriscono delle epidemie che devastano
    nazioni intere, paesi, secoli. Il disprezzo della religione, il
    dubbio e l’ateismo hanno molte volte alzato la testa in
    mezzo all’umanità, ma sempre l’uomo, in tali periodi di
    crisi, si e trovato a disagio. Giacché l’uomo che riflette,
    resta sempre inquieto dinanzi ad una domanda senza
    risposta, e non può come lo struzzo dinanzi al pericolo,
    nascondere la sua testa nella sabbia per non vederlo.
    51
    Nella Chiesa di San Paolo a Londra ci sono le tombe
    di molti inglesi eminenti. Sopra una pietra funeraria si
    può leggere questa triste iscrizione: “Dubius vixi, incertus
    morior, quo eam nescio”, “ho vissuto nel dubbio, muoio
    nell’incertezza, non so dove vado”. Può esserci
    condizione più tragica per un’anima che riflette e ha sete
    di luce? A che cosa serve tutto sapere, e solo ignorare
    questa suprema fra le cose? Invano so calcolare e scrutare
    il corso degli astri, il numero dei cromosomi in una
    cellula, invano o posso contare le vibrazioni dell’etere nei
    raggi ultravioletti, se non so rispondere a queste
    domande: Che cos’è il mondo? che cosa è l’uomo? che
    cosa attende l’uomo dopo la morte?
    Filosofia del mondo! Oh si, l’incredulo pure ha una
    filosofia. Uno ha la “filosofia dello stomaco”, un altro la
    “filosofia del denaro”, un terzo la “filosofia
    dell’ambizione”, un quarto la “filosofia degli istinti”. Ma
    la vita umana se ne accontenta?
    Un giorno un tale chiese ad un cinese: Qual’è la tua
    religione? La risposta fu: “La mia religione è ben
    mangiare, bere bene, ben digerire e ben dormire”. Ah,
    fratelli miei, voi manco sapete quanti ci sono nelle nostre
    città che, come quel cinese, hanno provato a vivere
    giorno per giorno, vegetando, e senza idee sul mondo!
    Ho detto, di proposito “vegetando” giacché, così non si
    può che vegetare e non già condurre un’esistenza degna
    di un uomo.
    Uno dei fenomeni più caratteristici della natura
    umana è riflettere sopra i fenomeni della natura, e cercare
    il fine ultimo degli avvenimenti del mondo. Il mondo non
    52
    è per me un mucchio di cose senza legame, né un caos,
    ma un cosmo, cioè una bellezza mirabilmente ordinata
    ove, ciascun popolo, ciascun individuo, ogni foglia ed
    ogni avvenimento hanno il loro posto e il loro fin, se... se
    ho la fede. E il tutto non è che un caos, inconcepibile se...
    se non ho la fede.
    b) Ed ecco l’altra grande domanda alla quale
    l’incredulo non può rispondere: Che cosa è l’uomo e
    quale è il valore della vita?
    Se ho la fede, ho altresì la risposta sul valore della
    vita: il fine della mia vita terrena è di riprodurre Dio nella
    mia anima, con una vi ta conforme ai suoi
    comandamenti, onesta e laboriosa; Se ho fede credo
    all’anima, un’anima chiamata alla vita eterna, ed allora la
    vita umana vale più di tutti i tesori del mondo. Se non ho
    la fede, non credo nell’anima, ed allora la vita umana non
    vale neppure un dollaro.
    Già... essa non vale un dollaro, ma soltanto 98
    centesimi! È uno scienziato americano che ha calcolato
    questo in dati precisi. Egli dice: Il corpo umano contiene
    l’acqua bastante per lavare una tovaglia. Con il ferro dei
    globuli rossi, si potrebbero fare sette chiodi di ferro da
    cavallo. Con la sua calce si potrebbe imbiancare uno dei
    quattro muri di una piccola stanza. Trasformata in grafite
    darebbe 65 matite. Con il suo fosforo si potrebbe fare una
    scatola di fiammiferi. Si potrebbe ancora cavare qualche
    cucchiaio da caffè di sali. Tutto questo, dice il sapiente
    americano, non vale più di un dollaro.
    53
    Colui, che non ha la fede non ottiene risposta alle più
    assillanti domande, o arriva ad una risposta di questo
    genere. Povero orfano, povero incredulo abbandonato!
    2) Ma ecco l’altra parte della nostra tesi: Colui, che
    non ha la fede, manca d’ogni consolazione: a) nelle sue
    sofferenze; b) all’ora della sua morte.
    a) Ma davvero, voi siete, increduli, miei disgraziati
    fratelli? Ditemi, ma sinceramente, non ci sono proprio
    nella vostra vita dei momenti in cui, dalle profondità più
    segrete della vostra anima, geme una voce, che piange la
    fede smarrita della vostra infanzia?
    Forse... se voi non viveste sulla terra... se voi non
    viveste in una valle di lacrime, potreste, forse, resistere
    senza la fede. Ma nella realtà della vita? Per quanto
    grandi siano la vostra scienza, la vostra fortuna,
    qualunque siano le vostre gioie, c’è un istante in cui
    l’anelito dell’anima si rafferma. Istanti d’impotenza, di
    sensazione di vuoto, di sofferenza.
    Ed è di uno di questi istanti, che parla un filosofo
    inglese.
    Durante una corsa in un misero quartiere di
    Dublino, egli trovò una donna morente, coricata per terra
    su della paglia: ed al suo lato, era steso morto un
    bambino. “Siete voi il medico?”; gli disse dolcemente la
    donna. “No”, rispose il filosofo, “ma non tarderà a
    venire”. “Pregate”, riprese la donna, “perché Dio non
    prenda la mia anima in stato di peccato”. Il filosofo
    s’inginocchiò e pregò a lato della donna, fino all’arrivo di
    54
    un medico, e del prete. “Dio vi renda questa carità”,
    balbettò la donna, “ora sono tranquilla!”. “Immaginate”
    raccontava in seguito il filosofo, “che io avessi detto alla
    morente tutto ciò che sapevo sui filosofi e gli scrittori
    greci, e ciò che avevo scoperto nel labirinto della filosofia,
    a che le avrebbe servito?”. “Senza dubbio, voi direte,
    perché si trattava di una povera donna senza istruzione”.
    Ma avesse anche appartenuto ad una classe superiore e
    colta, forse ciò le avrebbe servito? La filosofia, l’istruzione
    sono cose buone, ma unicamente come ornamento. Su
    un sofà, in un salotto, con una tazza di tè accanto, ciò
    può andare7.
    Come diceva quella donna? “Pregate, perché Dio
    non si prenda la mia anima quando è ancora in stato di
    peccato”. Ah, qual sentimento terribile, fratelli miei!
    Voi non avete la fede; voi non credete in Dio? Sia;
    ma voi avete dei peccati, non potete dire di no, e che cosa
    ne risulta? Voi non avete Cristo che riscatta le vostre
    colpe, e allora il peccato pesa sopra di voi come una
    pietra tombale. L’uomo cerca la felicità nella scienza, e
    non la trova. Se voi siete scettico, siete felice? Se siete
    stanco di tutto, avete la felicità? Se siete un indifferente,
    ciò vi appaga? E vi dà della forza quando vi sentite
    abbattuti? Del coraggio quando esitate? Della
    consolazione quando siete ammalato? Una risposta nel
    tempo del dolore?
    No, nessuna risposta.
    55
    7PROHASZKA, Meditazioni, Alba Reale, 1908, p. 2o6.
    Povero orfano, incredulo disgraziato!
    b) Colui, che non ha la fede non ha la consolazione
    nell’ora della morte.
    Voi non credete dunque a niente? E vi sentite bene
    nel deserto ghiacciato? Le candele multicolori splendono
    sull’albero di Natale, i vostri piccoli figli saltellano
    intorno, gli occhi brillanti di gioia: voi solo vi tenete in
    disparte, l’anima vuota, lo sguardo incerto. Come
    resistete a questo? Le campane di Pasqua cantano
    l’Alleluia, e ciò non ha significato per voi. Come potete
    sopportarlo? Eccovi dinanzi alla tomba di un vostro
    famigliare amato, ed un pensiero terribile attraversa il
    vostro spirito: un giorno pur di me non rimarrà che un
    pugno di cenere e polvere. Potete sopportare tale cosa?
    Cenere e polvere. È tutto ciò che resta. Sì. Tutto.
    Questo pensiero sorge in voi, e voi vorreste
    sbarazzarvene, ma non potete. L’inquietudine vi prende.
    Il mondo tutto intero è così bene organizzato, la
    macchina ingegnosa che esso è, è così bene adatta al suo
    fine, la vita tutta è così penetrata del desiderio
    dell’eternità, che non è possibile che tutto finisca nel
    nulla. Il mio cervello può ridursi in polvere, ma i miei
    pensieri, la mia volontà, i miei sentimenti e le nobili
    ambizioni del mio cuore, i miei voli verso l’ideale, che
    non erano prodotti del mio corpo, non possono risolversi
    in polvere. “La vita è mutata, non tolta, vita mutatur, non
    tollitur” dice il prefazio della Messa dei defunti, per grande
    consolazione di colui che ha la fede. Ma colui che non
    l’ha?
    56
    L’anima di colui che ha la fede è tranquilla e serena
    pur dinanzi alla morte; essa diventa una delle bellezze più
    impressionanti del mondo. Belle le cime delle montagne
    coperte di neve, belle le praterie in fiore nel mese di
    maggio, belli i quadri o le statue dei grandi maestri. Il
    Creatore ci é largo donatore di bellezze! Ma l’anima del
    credente che si dispone a partire per la sua celeste patria,
    é assai più bella. Giacché la più bella statua di marmo di
    Carrara può essere ridotta in frantumi, la più bella
    pittura del Murillo sotto il dente degli anni può ridursi ad
    una semplice tela polverosa, ma l’anima formata ad
    immagine di Dio, come la fede insegna, vivrà
    eternamente.
    Quando verrà il momento più grave della mia vita, la
    morte, e la mia testa stanca s’inclinerà nelle braccia dei
    miei cari, ed io non sarò più io, la mia anima indecisa si
    dirà: “Ed ora dove andrò?”. Oh, come sarà felice chi ha
    la fede perché il Signore gli dirà: “Venite a me voi tutti
    che siete stanchi!”.
    Nella morte, solo è felice chi ha la fede. E chi non
    l’ha? Vi descriverò ora la morte di un ateo.
    Quando la morte venne per uno dei più famosi
    personaggi della rivoluzione francese, Mirabeau, che il
    dubbio torturava, che fece il disgraziato prima di rendere
    l’anima? Sul suo letto di morte egli si lavò con dell’acqua
    profumata: si mise sulla testa una corona di fiori, e fece
    veni re dei mus i c i , per poter addormentar s i
    tranquillamente e gioiosamente nell’eterno sonno. Ma a
    nulla valse tutto ciò. Le sue sofferenze aumentarono di
    minuto in minuto, e più ancora i dubbi che tormentavano
    57
    la sua anima. Allora chiese al suo medico qualche
    farmaco che gli avrebbe affrettato la morte, ma
    rifiutandosi questi a ciò, morì in mezzo a sofferenze
    grandissime.
    Com’è abbandonato, all’ora della morte, l’uomo che
    non ha fede! Come lo senti, agli ultimi istanti, Anatole
    France, il “papa dell’incredulità” che al momento di
    morire chiamava sua madre! “La morte è là... essa viene
    piano, piano. Eccola. Mamma, mamma!”. Furono queste
    le sue ultime parole. Com’è infelice l’uomo che non ha la
    fede!
    Guardate il fiore strappato dal vento al suo stelo. Che
    cosa diventa esso?
    Guardate il ruscello che lascia il suo letto. Che cosa
    diventa esso?
    Guardate l’uccello che è caduto dal nido. Che cosa
    diventa esso?
    Guardate il raggio che si separa dal sole. Che cosa
    diventa esso?
    Guardate l’uomo che è separato da Dio. Che cosa
    diventa esso?
    Povero incredulo, orfano, infelice e abbandonato!
    58
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 08/03/2011 11:06
    B. Il popolo che non ha la fede è infelice
    Passiamo ad un altro pensiero: com’è infelice un
    popolo che non crede! Che cosa diventa? Che ne è
    dell’umanità senza fede?
    Colui, che vuole una risposta soddisfacente a questa
    domanda, legga la storia della rivoluzione francese. Legga
    fino alla fine, se i suoi nervi resistono a tanto, e veda dove
    è caduto un popolo al quale si era tolto Dio. Il culto della
    ragione fu proclamato nel 1793. Si volle dapprima
    celebrare l’evento in un teatro, poi si ebbe l’idea diabolica
    di scegliere una chiesa: Notre Dame. Una danzatrice
    dell’Opera in veste bianca e manto azzurro fu messa sul
    trono, nel coro e delle giovani coronate di quercia ed in
    veste bianca, cantarono un inno di Chénier, in onore del
    nuovo culto. I tesori della chiesa si caricarono su un asino,
    a cui misero una mitra sulla testa ed una stola sul dorso. E
    canti accompagnarono il suo cammino. Si bruciarono le
    reliquie, si bevette nei calici, si mangiarono delle aringhe
    sulle patene; il popolaccio rivestito dei paramenti
    sacerdotali percorse le strade della città.
    Nella Chiesa di San Eustachio si trasformò il coro in
    prateria artificiale, con cespugli e capanne. Si preparò
    una grande tavola carica di alimenti e bevande. La dea
    serviva i “fedeli” che andavano a lei. I fanciulli bevettero
    a sazietà, ed i “pii fedeli” si divertirono a vederli ubriachi.
    La dea in manto azzurro si sedette sull’altare, un berretto
    frigio in testa, e gli uomini, pipa in bocca, la servirono di
    rinfreschi.
    E come finì tutto ciò?
    59
    La ghigliottina tagliava dal mattino alla sera; i
    carnefici erano stanchi di tanti assassini. A Nantes
    s’inventò un battello il cui fondo poteva aprirsi; tutte le
    sere vi si ammucchiavano i prigionieri, e durante la notte
    si annegavano nella Loira. Non si può precisare il numero
    delle persone finite così. In una sola volta gli annegati
    furono 1300. Ci furono, si dice, ventitré di questi supplizi
    in massa e 600 fanciulli furono fra le vittime. Dei banditi
    stavano sulle sponde del fiume e quando qualche
    disgraziato tentava di afferrarsi, gli tagliavano a colpi le
    mani e lo ricacciavano nell’acqua. Negli ultimi mesi del
    1793 e nei primi del 1794 furono decapitate, fucilate,
    annegate, nella regione di Nantes, almeno 15 mila
    persone. “Le teste di duchi, marchesi, conti, baroni
    cadevano come la grandine”, scriveva Lebon,
    Commissario della Convenzione per il nord della Francia,
    nell’aprile 1794.
    C’è bisogno d’altro per dire ciò che diventa un
    popolo che ha perduto la fede?
    Ci sono al nord, dei paesi ove il sole si alza appena
    sull’orizzonte durante tutta una metà dell’anno. La vita
    trascorre malinconicamente, in una mezza oscurità.
    Manca il sole che tutto vivifica. Il sole vivificante
    dell’umanità è la fede di Dio. Togliete all’umanità questa
    fede. Che cosa diventa?
    Dio non c’è, ma allora non c’è più nemmeno chiesa,
    né altare, dai quali scaturisce la forza del sacrificio. Non
    c’è più Crocifisso, né immagine della Vergine dei Dolori;
    né confessione, né comunione, né preghiera nella quale
    60
    chi soffre possa effondere il suo cuore, o asciugare le sue
    lacrime.
    Non c’è Dio, ma allora non c’è autorità che possa
    imporre delle leggi agli istinti ciechi dell’uomo, ed il
    mondo diventa una caverna di briganti.
    Non c’è Dio, ma allora non c’è neppure differenza
    fra il bene e il male, allora c’è lo scatenamento di tutte le
    passioni.
    Non c’è Dio, ma allora ogni uomo superiore,
    caritatevole, compassionevole è un pazzo.
    “Non si possono costruire delle rotaie con dell’acqua
    benedetta”, dicono gli empi. Machiavelli ha detto pure
    qualche cosa di simile: “Non si può costruire uno stato col
    rosario e la dolcezza”. Ma io vi dirò che, se la storia non
    potrà provare altro, proverà tuttavia con certezza che la
    base, le colonne, le giunture dello Stato sono i buoni
    costumi. Provate dunque a costruire una strada ferrata
    senza inchiodare le rotaie, o fabbricare una casa senza
    fondamenta. Invano un popolo è vittorioso nelle armi,
    nell’industria e nel commercio, se non trionfa anche nella
    vita morale. Giacché un popolo vittorioso in
    combattimento, ma frivolo nella vita, merita che si dica di
    lui ciò che Seneca, con una concisione classica, disse di
    Annibale: “Armis vicit, vitiis victus est”, “Ha vinto in guerra,
    ma e stato vinto dai suoi vizi”8.
    61
    8 Seneca, Lettere V, II.
    * * *
    Fratelli miei, nel 1849 gli eroi d’Arad (Ungheria)
    morirono gloriosamente. Uno di loro, il generale
    Giuseppe Schweidel, era stato governatore di Buda;
    all’ultimo minuto, dopo la lettura della sentenza e prima
    dell’esecuzione, egli si avvicinò al confessore e gli disse:
    “Padre mio, ecco la croce che ho ereditato da mio padre.
    L’ho sempre portata su di me, anche in combattimento.
    Vi prego di darla a mio figlio”. Poi ad un tratto, come se
    una nuova idea gli avesse attraversato il cervello, la riprese
    dicendo: “voglio tenerla ancora e morire con essa. La
    prenderete poi dalle mie mani per darla a mio figlio”.
    I fucili crepitarono e il generale cadde. Ma egli visse
    più che mai, fratelli, nella memoria del popolo, e dei
    padri che insegnarono ai figli l’amore nel Cristo, la fede
    nel Cristo.
    Padri e madri di famiglia, lasciate ai vostri figli una
    simile eredità, la fede incrollabile nel Cristo.
    Noi siamo poveri ma è ricco colui nella cui anima
    vive il Signore. Noi siamo infermi, ma è forte colui che si
    appoggia al braccio del Signore. Se abbiamo tutto
    perduto, ma ci resta la fede, non abbiamo nulla perduto.
    Chi perde le sue ricchezze perde molto, chi perde un
    braccio perde più ancora: ma chi ha perduto la fede ha
    tutto perduto. Signore, aiutate il vostro popolo così
    provato, affinché noi non perdiamo tutto.
    62
    IV. Le vie dell’incredulità: La falsa scienza
    Noi abbiamo visto che la fede è una necessità
    elementare per gli individui e per i popoli. Né l’uomo né
    il popolo può star bene se perdono la fede, sorgente di
    ogni sforzo, di ogni rendimento nel lavoro, di ogni
    perseveranza, di tutta la gioia di vivere e di ogni
    consolazione. Siamo arrivati a questa conclusione nel
    corso delle nostre precedenti investigazioni.
    Ma qui dobbiamo arrestarci di fronte ad un fatto
    angoscioso.
    Nella vita incontriamo ad ogni passo, disgraziati che
    hanno perduto la fede, anime di ghiaccio, separate da
    Dio. Che cosa diremo loro? Noi, a cui Dio ha fatto la
    grazia d’aver la fede cristiana, possiamo passare con
    indifferenza dinanzi ad anime incerte, in preda al dubbio,
    o che totalmente hanno fatto naufragio? No. Ciò non
    sarebbe conforme allo spirito di Cristo. Deliberiamo con
    cuore compassionevole e deciso di venir loro in aiuto, e
    per prima cosa interroghiamoli: “Come siete arrivati a
    questo ghiacciato deserto dell’incredulità? Che cosa mai
    vi ha condotti a queste punto? Quali sono le ragioni della
    vostra incredulità?”.
    Ascoltiamo la loro risposta e cerchiamo di risolvere il
    problema. Nel sermone d’oggi voglio occuparmi della
    scusa più comune di quelli che hanno perduto la fede, e
    che tuttavia dovrebbe meno condurre l’uomo
    all’incredulità. Nel prossimo capitolo diremo le ragioni
    63
    che realmente possono rendere incredulo l’uomo, e che
    pure egli non mette mai avanti nelle sue delucidazioni.
    Più spesso si adduce una sola ragione, perché essa fa
    impressione agli uomini d’oggi “nel secolo della scienza”.
    Sono, dicono gli increduli, i risultati delle ricerche
    scientifiche, che ci hanno condotto all’incredulità. La
    scienza ha loro tolto, nell’età matura, la fede che avevano
    quand’erano ancora fanciulli ignoranti.
    Ma è vero che la scienza rende increduli? Trattare
    questo soggetto è difficile, giacché, più di altri esige negli
    uditori, riflessione filosofica, attenzione e ragionamento:
    ma in cambio, è di grande importanza per confermarci
    nella nostra fede.
    Per poter rispondere alla questione è necessario in
    primo luogo vedere in quali relazioni si trovano
    reciprocamente i due tesori dell’umanità: la scienza e la
    fede.
    A. La scienza e la fede
    Una constatazione fondamentale: esistono, fra la
    scienza e la fede, le stesse relazioni che intercorrono fra
    l’occhio umano e il telescopio. Qualunque sia la mia
    scienza, io non ho che due occhi: ma se, oltre la scienza
    ho altresì la fede, allora dinanzi ai miei occhi ho un
    telescopio.
    64
    La fede fortifica dunque e acutizza gli occhi della
    nostra anima, come il telescopio ed il microscopio, gli
    occhi del nostro corpo. Colui che ha un potente
    microscopio vede perfino in una goccia d’acqua che
    all’occhio nudo sembra silenziosa, calma, morta, tutto un
    groviglio di vita fremente: chi ha un buon telescopio
    scopre migliaia e migliaia di stelle in luoghi, in parti del
    cielo dove l’occhio nudo non vede che una macchia
    oscura e vuota. Ugualmente colui che ha la fede trova
    risposta a una folla di domande, dinanzi alle quali la
    ragione pura resta in un’oscurità impotente ed ignorante.
    A Monaco sulla tomba del grande astronomo
    Fraunhofer, si legge: “Sidera approximavit”, “Egli ha
    avvicinato le stelle”. È così che la fede avvicina la nostra
    ragione alle sante realtà dell’eternità che la ragione pura
    suppone senza dubbio e desidera, ma è incapace di
    raggiungere senza la fede.
    Mi torna alla memoria un attraente episodio della
    storia della civiltà umana. Il giovane Colombo e in piedi
    dritto su una riva spagnola dinanzi all’oceano. Piante
    sconosciute, alghe turbinano dinanzi a lui sulle onde ed i
    suoi occhi frugano lontano verso le terre dalle quali esse
    sono dovute venire. Con gli occhi del suo corpo egli non
    vede che dell’acqua, ma dinanzi agli occhi della sua
    anima si apre un immenso continente sconosciuto, che
    deve esistere, malgrado le derisioni di quelli che si fanno
    beffe della sua idea fissa. Così l’anima credente si tiene
    sulla riva della vita terrestre, ma i suoi occhi frugano
    aldilà degli spazi, aldilà della tomba, dove, a dispetto di
    tutte le derisioni, deve trovarsi un nuovo mondo
    immenso.
    65
    Ho ragione di dirvi, fratelli miei, che, in ultima
    analisi, noi non abbiamo bisogno della scienza, ma della
    verità. Ciò che più preme è la verità: sia che io entri in un
    laboratorio di chimica o in una scuola di catechismo.
    Opporre la scienza alla fede è un gesto fuori posto. Il
    dominio della scienza è tanto vasto quanto il mondo, ma
    è altresì limitato come il mondo. Si tratta dunque
    solamente di sapere se si deve spegnere la face della
    ricerca della verità ai limiti della natura visibile, con un
    “ignorammo” rassegnato, oppure se si può afferrare la
    mano che la fede ci tende per guidarci nel mondo
    soprannaturale, come Beatrice ha guidato Dante nei
    regni dell’oltretomba.
    La fede è una luce e come la luce rischiara le tenebre,
    così la fede rischiara i grandi punti di interrogazione della
    vita. San Tommaso da Villanova usa questo paragone: la
    fede e la ragione, sono in relazione come un padrone ed il
    suo servitore; vanno insieme per la strada, entrano
    insieme nel palazzo, insieme salgono le scale ma, il
    padrone, entra solo nella camera. La fede e la ragione
    vanno insieme al pari delle cose visibili del mondo
    esteriore, ed insieme salgono i gradini della creazione.
    Dio è onnipotente, dice la fede. Anch’io vedo le tracce di
    una mano potente nel mondo, dice la ragione. Dio è
    infinitamente saggio, dice la fede. Anch’io vedo le tracce
    della sua saggezza sovrana, dice la ragione. È così ch’esse
    vanno insieme fino alla “camera”, ma solo la fede entra
    nell’intimo del santuario, solo la fede arriva alla
    contemplazione dell’essenza e della maestà divina. La
    ragione, la scienza, la filosofia non possono dunque essere
    altro che la prefazione umana del divino Vangelo.
    66
    Dio dà all’uomo la fede e la ragione. Come sarebbe
    possibile che la ragione indebolisse la fede, contraddicesse
    la fede? Che un uomo, o un secolo, credano che le sue
    convinzioni scientifiche gli rendano impossibile la fede,
    ciò prova solamente ch’egli non conosce a fondo, o la
    scienza, o la fede.
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    Coordin.
    00 08/03/2011 11:07
    B. La scienza rende increduli?
    Sembra tuttavia, fratelli miei, che la scienza
    moderna, soprattutto le scienze naturali, sono ostili alla
    religione. O almeno quelli che hanno perduto la fede
    pretendono, per la maggior parte, che la fede della loro
    infanzia ha cominciato a perder vigore in loro quando
    hanno cominciato a studiare molto, e si sono presentate
    dinanzi a loro le questioni imbarazzanti di tale e tale
    scienza particolare.
    1) Rispondiamo dunque francamente a questa
    questione. È possibile che la scienza indebolisca la fede, o
    la distrugga?
    In certi sfortunati casi è possibile. L’ottica parla di
    leggi di interferenze della luce. Esse consistono
    essenzialmente nel fatto che due raggi luminosi si
    incontrano talvolta in modo così curioso, e reagiscono in
    tale maniera l’uno sull’altro, che non solo non accrescono
    la luminosità, ma al contrario si indeboliscono a vicenda
    e si distruggono. La fede e la ragione sono al pari, due
    raggi di luce, ma essi possono incontrarsi in
    un’interferenza così disgraziata che l’una indebolisce
    67
    l’altra. Ci fu un tempo in cui la scienza rese realmente
    increduli molti uomini. Ciò avvenne al principio delle
    ricerche scientifiche. Quando nuove invenzioni si
    succedettero giorno per giorno, assalirono per così dire la
    ragione umana. La pietra cade secondo le stesse leggi che
    fanno avanzare i pianeti, si é detto. Si può predire con la
    precisione di un secondo la più lontana eclisse di luna. Gli
    elementi si associano secondo leggi rigorose ed il numero
    dei cromosomi nelle cellule di individui della stessa natura
    è sempre lo stesso, e così di seguito: tutto nel mondo è
    retto da leggi rigorose. E l’uomo, abbandonandosi a
    queste ricerche, é stato accecato, e un’idea gli ha
    attraversato la testa come un lampo: “Non si potrebbe
    così spiegare tutta la vita?”.
    La vita intellettuale ha le sue analogie nella fisica
    nella chimica. E veramente il mondo intero è là, dinanzi
    a noi, semplicemente: eclissi di luna, corso degli astri, vita
    umana, libero arbitrio, manifestazioni del pensiero... tutto
    ciò segue una via determinata, secondo leggi rigorose...
    tutto non é che movimento elettrico, ed anche l’anima, ed
    anche il pensiero.
    Ah, qual pessimismo glaciale sorge da questa teoria!
    Se tutto non è che legge naturale, materiale, tutto finirà
    con il raffreddarsi del sole: del pari finirà il mondo
    spirituale, ed allora ogni sforzo, ogni lavoro, ogni
    speranza, ogni amore, tutto non é che vana illusione. Ci
    fu un tempo in cui l’uomo colto credeva che solo a lui
    convenisse questa concezione glaciale del mondo.
    68
    Così le scienze naturali minacciarono la fede, quando
    esse fecero il primo passo sulla strada trionfale del mondo
    moderno.
    2) E sapete chi ha fatto fondere il ghiaccio di questo
    pessimismo? La stessa ragione, la stessa intelligenza
    umana, a seguito di una doppia constatazione.
    a) Prima di tutto si riconobbe che, se noi sappiamo
    assai, la scienza non rende superflua la fede. Se noi
    sappiamo molte cose, molto più sono quelle chi noi non
    sappiamo, e le scienze naturali, malgrado il loro enorme
    sviluppo, sono incapaci di rispondere con precisione alle
    domande più importanti. Le scienze naturali hanno fatto
    veramente grandi progressi. Hanno trasformato
    totalmente le nostre idee sul mondo e la nostra vita
    giornaliera, hanno distrutte molte delle ingenue
    concezioni dei nostri padri. Ma se esse hanno allargato il
    cerchio delle nostre conoscenze, non hanno potuto
    rendere superflue le realtà soprannaturali. Ciò non è di
    loro competenza. Esse hanno per scopo lo studio dei
    fenomeni naturali. In altre parole le scienze naturali sono
    scienze fisiche e non metafisiche, cioè esse non devono
    oltrepassare il limite dei fenomeni visibili, l’esplicazione
    della loro entità e delle loro connessioni intime. Giacché,
    dove cessa la natura, cessano del pari le scienze esatte. Se
    si va più lontano, allora non sono più le scienze esatte,
    così spesso esaltate. E se lo scienziato costituisce un puro
    sistema filosofico, una teoria su Dio, allora egli diventa un
    metafisico. Ma non é già come scienziato ch’egli ha un
    sistema filosofico, è come uomo e come filosofo.
    69
    Inchiniamoci dinanzi all’imponente lavoro che la
    ragione umana ha compiuto, e compie ancora nello
    studio delle forze della natura. L’uomo d’oggi sa una
    grande quantità di cose: ma ciò che ignora è un campo
    ancor più vasto. E non può, no, non può dare risposta a
    questa domanda, risposta che invece l’uomo esige
    assolutamente: Da dove viene l’universo con la sua
    attività perpetua e febbrile? Da dove viene la materia
    primitiva dalla quale il mondo sarebbe uscito? Da dove
    vengono gli innumerevoli miliardi di protoni, neutroni ed
    elettroni che, secondo le più recenti teorie, costituiscono
    tutto il mondo materiale?
    Una delle nostre scoperte è dunque questa, che su
    certe domande decisive la scienza più avanzata è
    incapace, senza fede, di rispondere.
    b) Ma noi abbiamo ancora fatto un’altra
    constatazione interessante. Sulle prime noi siamo rimasti
    interdetti dinanzi all’idea che nell’universo intero non
    c’era altra cosa che forze naturali cieche e rigide, leggi di
    un rigore intangibile. Ma in seguito abbiamo notato come
    avevamo avuto una concezione erronea della questione. E
    siamo arrivati a questa sublime verità: l’uomo è superiore
    alla natura.
    È superiore perché continuamente, grazie alla sua
    tecnica, egli spezza la potenza apparentemente
    incrollabile delle forze della natura.
    Le leggi della natura non hanno giammai prodotto
    un solo orologio, e neanche una rotella dentata. Senza
    dubbio è tenendo conto delle leggi della natura che tutto
    70
    ciò, come qualunque opera tecnica, e stato prodotto, ma
    non sono soltanto le leggi della natura che creano gli
    oggetti, è altresì un’idea, un pensiero che ha utilizzato
    come pietre da costruzioni le leggi della natura: ma senza
    idee e pensieri, queste cose non sarebbero giammai
    esistite, come prodotto della sola natura fisica. L’anima è
    forza elettrica? Il pensiero è un fluido elettrico? Allora,
    perché non pensa la corrente elettrica che passa nella
    lampadina accesa sopra questo libro da dove io vi parlo?
    L’uomo è superiore alla natura. Da quando ci fu
    l’uomo sulla terra, sempre egli ha sognato di volare
    (ricordatevi di Dedalo ed Icaro!), ma egli non vi sarebbe
    mai riuscito se non fosse stato che pura materia e natura,
    e null’altro; giacché volare nell’aria non è nella natura
    dell’uomo.
    Dove risiede dunque la verità? In questo: che Dio ha
    riempito il mondo di misteri e poi ha creato, ed ha
    collocato fra loro l’uomo. Noi siamo tutti dei grandi
    fanciulli che giocano a risolvere degli enigmi e trasaliamo
    di gioia quando riusciamo a risolverne uno.
    C. La mezza scienza rende increduli
    Dopo quanto si è detto noi possiamo rispondere a
    questa domanda: La scienza e la ragione conducono
    all’incredulità?
    La ragione non conduce all’incredulità, ma solo la
    ragione che riflette superficialmente. La nostra fede non
    71
    ha nulla a temere dal la scienza che scruta
    profondamente. Duc in altum!, disse un giorno Nostro
    Signore a San Pietro: “spingiti al largo!”. Se noi
    discendiamo nelle profondità della scienza, non ce ne
    verrà alcun male. E qui, fratelli miei, io non posso
    resistere alla tentazione di condurre le riflessioni dei miei
    uditori nelle profondità di qualche branca della scienza.
    Quantunque, forse, questo rapido colpo d’occhio
    oltrepassi il cerchio d’interesse dei miei uditori, non voglio
    tuttavia lasciar passare l’occasione di dimostrarvi come le
    profondità della scienza cantino veracemente le glorie di
    Dio.
    a) Ecco per esempio la geologia. Specialmente questa
    scienza si crederebbe ostile alla religione. Ora tutte le sue
    ricerche, per le quali essa ha dimostrato che l’uomo e
    venuto ultimo sulla terra, non sono altra cosa che una
    lunga catena di prove in favore del racconto biblico della
    creazione.
    Seguiamo la geologia nelle ricerche più profonde e
    nelle sue scoperte continue di nuovi esseri viventi, fino
    alla scoperta finale di un fossile il cui organismo appena si
    distingue da quello di un essere inorganico, giù, giù fino
    alle regioni ove non c’è che materia bruta, morta, vuota
    di organismi. Qual vasto campo per l’idea religiosa! Una
    folla di animali quando il loro capo, l’uomo, non era
    ancora creato... milioni d’anni prima che la terra fosse
    pronta a ricevere l’uomo... orribili catastrofi nelle epoche
    anteriori all’apparizione dell’uomo sulla terra... le epoche
    preistoriche con i loro silenzi sepolcrali... tutto ciò canta
    la gloria di Dio. La geologia, che ci riempie di meraviglia
    72
    per le sue scoperte, proietta una piccola luce sull’eternità
    che esisteva prima della creazione: su Dio eterno.
    b) Ciò che è la geologia nel tempo, l’astronomia è
    nello spazio. Essa allarga le nostre idee su Dio, come il
    cielo costellato allarga sensibilmente la nostra anima. Se
    noi parliamo della legge di rotazione della terra, se noi
    studiamo le fasi della luna, di questo o di quel pianeta,
    oppure se consideriamo tutto il sistema stellare, se
    osserviamo le stelle fisse, gli asteroidi, o le dimensioni
    vertiginose delle nebulose ellittiche, dalle quali forse fra
    milioni d’anni nascerà un nuovo sistema solare, dovunque
    sentiamo l’impronta della mano divina, che in nessuna
    parte incontreremo una legge, per piccola che essa sia,
    inconciliabile con le conclusioni delle Sacre Scritture o i
    dogmi della nostra fede. Non c’è scienza che infligga una
    smentita a questa affermazione dello Schiller: “L’universo
    è una idea divina”9.
    Mettiamoci in cammino sulla strada dell’infinito. In
    una bella notte d’estate, soffermiamoci al margine di un
    bosco... la terra è immersa nel sonno... siamo soli... non
    c’è intorno a noi che notte, silenzio, cielo... percorriamo
    con gli occhi l’oceano delle stelle: pare un’immensa flotta
    aerea. La nostra terra, la luna, Mercurio, Venere, non
    sono che piccole barche vacillanti... la squadra degli astri
    passa superbamente. Ma dove va? Da dove viene? Il
    sentimento della nostra piccolezza sorge da tutte le parti.
    Qualcosa di misterioso ci invade, il soffio dell’infinito ci
    sfiora. I marinai di Cristoforo Colombo gridarono alla
    prima isola scorta: “Terra! Terra!”. Noi gridiamo: “
    73
    9KLEIN, phil. Schriften, XII, 9.
    Cielo, cielo, Dio!”. Il meccanismo celeste presuppone un
    meccanico.
    c) E quest’altra scienza orgogliosa della nostra epoca,
    la fisica, forse che essa conduce all’ateismo?
    “Se qualcuno afferma l’esistenza di un ordine
    soprannaturale come una realtà, le scienze naturali non
    possono contraddirlo”, Scrive Federico Dessauer, uno dei
    più eminenti fisici del novecento10. E altrove dichiara:
    “Noi abbiamo la percezione del mondo fisico per mezzo
    dei nostri sensi, dei colori, delle forme e del tatto; ma il
    cammino delle forze è assai più complicato. Concludiamo
    che esistono per le loro manifestazioni visibili. La pietra
    cade: dunque c’è una forza di gravità. L’ago magnetico
    della bussola, qualunque sia il movimento che io gli
    imprimo, non ha riposo finché non si volge, non si orienta
    verso il campo magnetico. E il campo magnetico non è
    cosa che si vede come un tavolo o una seggiola, non è una
    cosa che si tocchi: e tuttavia nessuno può mettere in
    dubbio la realtà della forza magnetica terrestre. Non è
    una cosa materiale e tuttavia esiste: essa è anche qualcosa
    di più perfetto della sedia, o della tavola, o della casa, o
    della città, giacché essa esisteva prima che ci fossero delle
    case sulla terra, e verosimilmente esisterà ancora, quando
    le nostre grandi città avranno ceduto il posto alle foreste.
    Che cosa si deve concludere dal fatto che queste
    forze invisibili esistono in modo più perfetto delle cose
    visibili? - Domanda ancora Dessauer - Ebbene, che i
    concetti di spazio e di tempo, non sono così limitati come
    74
    10LEBEN, Natur, Religion, p. 62.
    le cose materiali. Si può dire esattamente delle cose
    materiali quale posto esse occupano nello spazio: ma non
    si possono sempre localizzare le sorgenti di forza.
    Dovunque noi mettiamo sulla superficie del suolo l’ago
    della bussola, la forza del campo magnetico lo metterà
    nella direzione Nord - Sud; ma se noi seguiamo la
    direzione dell’ago, non arriveremo mai ad un punto del
    quale si possa dire: qui è la sorgente di questa forza. Noi
    non sappiamo dove questa forza risiede, noi non la
    vediamo, e tuttavia essa esiste.
    Con l’aiuto di queste riflessioni, non è più facile
    comprendere Dio presente dovunque, dovunque
    penetrante, e tuttavia invisibile? Cos’é che afferra e
    conduce la nostra anima? Come la forza magnetica attira
    l’ago, così Iddio attira l’anima; il buono, il bello, ciò che é
    nobile avvince l’anima. Io mi credo autorizzato - scrive
    Dessauer - a trarre una conclusione analoga a quella che
    il fisico trae dalla bussola riguardo alla realtà d’esistenza,
    la direzione e la grandezza del campo magnetico
    terrestre: in altre parole la conclusione è che c’è una
    realtà, al di fuori di noi, ed indipendente dalla nostra
    esistenza, che dirige la bussola della nostra anima
    attraverso il mondo spirituale”11. Ecco dunque come si
    esprime un eminente fisico.
    Non oso trascinare ancora i miei cari uditori per
    questa via: credo di averli già troppo stancati. Tuttavia
    quante cose si potrebbero dire ancora su questo
    argomento! Si potrebbe mostrare l’evoluzione della
    medicina, che, fino ad ieri, non vedeva nell’uomo altro
    75
    11EIBESTZ, Merveilles de l’Universe, II, 140.
    che materia, organi, carne, muscoli, nervi, finche poi
    scoprì che dietro tutto ciò doveva esserci qualche cosa la
    cui influenza sulla guarigione era apprezzabile: la psiche,
    l’anima. E oggi si parla di psicosi, cioè di malattie causate
    nel corpo dall’anima malata, e di psicoterapia cioè della
    parte che ha l’anima nella guarigione del corpo.
    Potrei ancora appellarmi alla botanica: ogni filo
    d’erba, ogni fiore, ogni cellula canta un Te Deum a Colui
    che ha fatto fiorire il primo giardino, a Dio.
    Tutto ciò che abbiamo detto fin qui basta, forse alla
    dimostrazione della nostra tesi: Non c’è scienza. di cui un
    solo principio dimostrato sia contro la fede.
    Chi guarda il Vaticano vede tre cupole drizzarsi verso
    il cielo: la cupola di San Pietro è la prima, le due altre
    76
    sono le cupole dell’Osservatorio astronomico12. Qual
    senso eloquente delle relazioni fraterne che intercorrono
    fra la scienza e la fede!
    La nostra religione non esige una fede che condanni
    la scienza. Voglia il cielo che non ci sia uno scienziato che
    attacchi la fede. Che l’una e l’altra diano ragione al poeta
    77
    12 L’Osservatorio Astronomico, o Specola Vaticana, può essere
    considerata uno degli Osservatori astronomici più antichi del mondo.
    La sua origine infatti risale alla seconda metà del secolo XVI, quando
    Papa Gregorio XIII fece erigere in Vaticano nel 1578 la Torre dei
    Venti e vi invitò i Gesuiti astronomi e matematici del Collegio
    Romano a preparare la riforma del calendario promulgata poi nel
    1582. Da allora, con sostanziale continuità, la Santa Sede non ha
    cessato di manifestare interesse e di dare il proprio appoggio alla
    ricerca astronomica. Fu sulla base di questa lunga e ricca tradizione
    che Leone XIII, per contrastare le persistenti accuse fatte alla Chiesa
    di essere contraria al progresso scientifico, con il Motu proprio Ut
    mysticam del 14 marzo 1891 fondò l'Osservatorio sul colle Vaticano,
    dietro la Basilica di San Pietro. Nel 1910, San Pio X dette alla
    Specola più ampi spazi, assegnandole il villino che Leone XIII aveva
    fatto costruire nei giardini vaticani. Ma agli inizi degli anni trenta,
    l'aumento delle luci elettriche che aveva accompagnato la crescita
    urbana della Città Eterna aveva reso il cielo di Roma così luminoso
    da rendere impossibile agli astronomi lo studio delle stelle più deboli.
    Pio XI dispose allora che la Specola si trasferisse nella sua residenza
    estiva a Castelgandolfo, sui Colli Albani a circa 35 km a sud di
    Roma. A causa del dilatarsi continuo della città di Roma e dei suoi
    dintorni, il cielo di Castelgandolfo si fece così luminoso da
    costringere ancora una volta gli astronomi ad andare altrove per le
    loro osservazioni. Perciò nel 1981, per la prima volta nella sua storia,
    la Specola fondò un secondo centro di ricerca, il "Vatican
    Observatory Research Group" (VORG), a Tucson in Arizona. Nel
    1993 la Specola, in collaborazione con l'Osservatorio Steward, ha
    portato a termine la costruzione del Telescopio Vaticano a
    Tecnologia Avanzata (VATT), collocandolo sul Monte Graham,
    Arizona. (Cf. www.vaticanstate.va) [Nota dell’editore]
    tedesco: La scienza è la stella della fede, La pietà è il nocciolo di
    ogni scienza.
    La scienza, è un bene per il credente, ma del pari la
    fede, la grazia, sono un bene per lo scienziato.
    Se dunque, esistono degli uomini che hanno perduto
    la fede, non è la scienza che l’ha rapita. Nella prossima
    conferenza vedremo a che cosa realmente loro devono
    questa sventura.
    * * *
    Fratelli miei, quando il primo cavo fra l’Europa e
    l’America fu inaugurato, ci si domandò quale sarebbe il
    tenore del primo telegramma riallacciante i due
    continenti attraverso le profondità del mare. E si venne,
    dopo lungo pensare, alla bellissima decisione d’inviare le
    prime parole del cantico degli Angeli nella notte di Natale
    “Gloria in excelsis Deo”, ciò che significa non solo
    “Gloria a Dio nel più alto dei cieli” ma ancora “Gloria a
    Dio fin nelle profondità degli oceani”.
    Altezze e profondità, montagne e valli, raggi di sole e
    uragani, vita e morte... tutto nel mondo è un cantico
    divino per Colui che sa discendere con volontà senza
    pregiudizi al fondo delle cose. Cerchiamo fra gli intelletti
    più eminenti dell’umana scienza, leggiamo le
    affermazioni degli scienziati più distinti: è molto se
    riscontriamo fra loro qualche incredulo, e quante più
    anime profondamente religiose! Più s’aprono prospettive
    meravigliose dinanzi al telescopio, più il microscopio ci fa
    scorgere le meraviglie dell’infinitamente piccolo, più si
    78
    eleva alta dentro di noi questa esclamazione del grande
    scienziato Baer: “Mi pareva di ascoltare una predicazione
    grandiosa: non sapevo io stesso perché, ma mi scoprii il
    capo, e sentii che dovevo cantare un Alleluia”.
    Alleluia! Lodate il Signore, fratelli miei.
    79
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    Coordin.
    00 09/03/2011 12:59
    V. Le vie dell’incredulità: malintesi, vita, cuore
    Il profeta Daniele descrive nel suo Libro l’orgoglio
    immenso provato dal re di Babilonia un giorno in cui,
    dall’alto del suo palazzo, spaziava il suo sguardo sulla sua
    capitale. I grandiosi edifici, i templi, le torri, i giardini
    pensili, tutta la beltà ed il fasto che la sua volontà aveva
    fatto uscire dalle sabbie del deserto... alla vista di tanti
    splendori, il suo cuore si gonfiò d’orgoglio, ed egli gridò
    verso il cielo, pieno di fiducia in se stesso: Non è questa la
    grande Babilonia che io ho costruito come reggia con la forza della
    mia potenza e per la gloria della mia maestà? (Dn 4,27).
    Ma subitamente una strana malattia colpì il sovrano
    tanto fiero della sua potenza: egli si nascose agli uomini,
    fuggendo in solitudine, e si diede a mangiare l’erba dei
    campi come una bestia... La Santa Scrittura dice che il re,
    altro tempo così orgoglioso, si trasformò talmente che i
    capelli gli crebbero come le penne alle aquile e le unghie come agli
    uccelli (Dn 4, 30). Ecco come si ridusse l’orgoglioso e
    potente re di Babilonia.
    Fratelli miei, forse che certi orgogliosi increduli
    d’oggi non assomigliano a questo re di Babilonia? Questi
    uomini che la scienza ed i magnifici progressi della stessa,
    hanno abbagliato, e che rialzando la testa, proclamano: io
    sono il re di Babilonia. La scienza è mia. Io, l’uomo, sono
    i1 re dell’universo. Io costruisco le navi che solcano le
    acque e gli aeroplani che fendono i cieli, e misuro il
    cammino degli astri... Io sono la forza e non ho bisogno
    né di Dio né di religione: la scienza basta.
    80
    Nel capitolo precedente abbiamo sollevato questa
    grande questione: è vero che la scienza è nemica della
    fede? E abbiamo risposto: No! La mezza-scienza può
    allontanare da Dio, ma la vera scienza a Lui riconduce.
    Ci sono dagli uomini che, appena hanno un poco gustato
    la scienza, restano subito abbagliati: ma colui che
    discende nelle sue profondità, sente risuonare all’orecchio
    le sublimi note di un Te Deum alla gloria del Creatore. La
    nostra fede non ha nulla da temere dalla ragione che si dà
    a ricerche serie. Lo conferma il gran numero di scienziati
    credenti in Dio.
    Vediamo purtroppo però che intorno a noi vivono
    delle anime fredde che hanno naufragato. Che cosa le ha
    condotte nei campi ghiacciati dell’incredulità?
    Risponderò con tre parole: malintesi, vita e cuore.
    A. Malintesi
    a) In molti casi, quando qualcuno si dispiace di non
    poter far accordare questo o quello dei nostri dogmi con
    le affermazioni della scienza, ne viene fuori che il dogma
    contestato era stato del tutto mal compreso.
    Spesso vediamo qualcuno scuotere la testa a
    proposito dell’infallibilità del Papa. “È inammissibile -
    dicono - che il Papa non si possa sbagliare facendo un
    calcolo, o non possa essere ingannato”. Ma quando mai si
    è voluto insegnare una simile cosa?
    Altri mettono in dubbio l’Immacolata Concezione di
    Maria. Come la Chiesa può insegnare che la Vergine
    81
    Maria non ha avuto padre?”. Ma quando mai la Chiesa
    ha insegnato tale cosa? Giacché noi celebriamo una festa
    speciale in onore di San Gioachino e un’altra in onore di
    Sant’Anna, genitori della Beata Vergine.
    Altri ancora non possono tollerare questo dogma:
    Fuori della Chiesa non c’è salvezza. “Come? Tutti i
    buddisti, i mussulmani, i pagani, qualunque sia la loro
    buona volontà, sono dannati? Che dogma crudele!”, si
    esclama con indignazione. E sono d’accordo con loro. Sì,
    sarebbe un dogma crudele, se la Chiesa lo avesse
    insegnato. Ma quando arriverò alla spiegazione di questo
    dogma, vi dirò che esso deve essere inteso ben
    diversamente.
    Fratelli miei, una delle meraviglie delle Cattedrali del
    Medio Evo, sono le vetrate delle loro finestre. Viste da
    fuori esse sembrano un miscuglio di colori a caso, e chi
    solo da fuori le guarda può criticare facilmente. Ma
    bisogna entrare nella Cattedrale, bisogna contemplare da
    dentro ed a fondo queste vetrate e finestre, e davanti alla
    loro bellezza, ci si vergogna delle critiche avventate, così
    come deve aver vergogna delle sue superficiali obiezioni
    chi non conosce la sua fede più a fondo, più da vicino, dal
    di dentro.
    b) Ci sono altri la cui fede è oscurata dalle pagine
    oscure della storia della Chiesa, ed è stata scossa dalle
    imperfezioni umane che appaiono qua e là nella vita della
    Chiesa stessa. Quanti malintesi sarebbero dissipati se non
    si dimenticasse che la Chiesa ha non solo un lato divino,
    ma, altresì un lato umano: che è Dio che ha fondato la
    82
    Chiesa, ma ch’Egli l’ha confidata a uomini e tutti sanno
    che il lavoro degli uomini non é mai un lavoro perfetto.
    Quando un medico si ammala, posso dire che ho
    perso la fiducia nella medicina? E se nel corso di duemila
    anni la nostra Chiesa ha avuto qualche malattia, posso
    dire che ho perduto la fede in Lei?
    È vero che la storia della Chiesa ha delle pagine
    cupe, ma che sono mai esse accanto a volumi interi di
    pagine luminose? A chi parla con gioia maligna del Papa
    Alessandro VI, io chiedo di mettere sull’altro piatto della
    bilancia non importa quale, dei grandi Papi come Leone
    I, Gregorio VII, Innocenzo III,... ed egli vedrà da quale
    parte la bilancia pende. Solo può scandalizzarsi di
    qualche pagina oscura della storia millenaria della
    Chiesa, chi dimentica che in tutti gli altri domini
    dell’esistenza, l’ideale resta ancora ben più lontano dalla
    realtà e che è un compito sovrumano elevare, sia pure
    d’un grado verso il bene morale, la natura umana infetta
    del peccato originale.
    c) E abbiamo finito con i malintesi?
    No. C’è ancora un’altra sorgente, recente e
    abbondante: la critica superficiale. Quando esce un
    precetto, o una legge della nostra santa religione, come si
    rivolta facilmente l’uomo moderno, come egli critica alla
    leggera, indebolendo così la sua fede e la sua vita
    religiosa! Quante volte pregiudizi e malintesi vengono a
    turbare la fede della gente, la calma della loro vita
    cristiana!
    83
    B. La vita
    E arriviamo così alla seconda sorgente di pericoli che
    minacciano la nostra fede. La vita attuale, la vita
    moderna distruttrice dell’ideale, con le sue lotte per il
    pane quotidiano, fa curvare la testa verso la terra ed
    insegna la ribellione. Noi arriviamo ora ad una delle
    cause principali dell’incredulità, o piuttosto della perdita
    della fede: la dura lotta per la vita d’ogni giorno.
    Fratelli miei, vi farò una constatazione che voi
    troverete esatta: una gran parte di quelli che si dicono
    increduli, non lo sono nel senso di aver rinnegato la loro
    religione, ma nel senso di non aver il tempo per la
    religione, cioè d’avere delle aspirazioni spirituali elevate.
    La loro professione, l’officina, l’ufficio, il magazzino, la
    bottega, il laboratorio, le preoccupazioni per il pane
    quotidiano, hanno soffocato in essi ogni slancio, ogni
    sforzo verso una vita spirituale più alta.
    Nostro Signore Gesù Cristo circola oggi ancora fra
    noi, ma, disgraziatamente, molti uomini non hanno il
    tempo di ascoltare la Sua voce. Il Signore parla nelle
    famiglie ma l’uomo si scansa: “Vi prego, lasciatemi stare,
    ho già tanti pensieri”. La donna dichiara da parte sua
    “Non ho tempo: ho tanto da fare”. Il Signore parla alla
    folla che invade piazze e strade ed é respinto: “Non
    abbiamo tempo”. Il Cristo vuol parlare nei Parlamenti,
    ma i deputati gli rifiutano la parola. Ch’Egli si presenti
    nei palazzi o nei tuguri, nelle sale da ballo o nei quartieri
    poveri, in nessuna parte lo si ascolta, gli uni a causa del
    miserabile pane quotidiano, gli altri a causa della sete di
    godimenti.
    84
    E mentre l’anima langue più e più di fame in mezzo
    alla vertigine del lavoro o del piacere, la fede sempre più
    s’indebolisce. Dopo di ciò, non c'è da stupire se,
    nell’uomo moderno, la fede vivente della sua infanzia
    finisce facilmente con l’atrofizzarsi.
    Rendetevi conto soltanto alle devastazioni che la
    società attuale, dall’anima ghiaccia, infligge al giardino
    fiorito di una giovane esistenza, quando essa entra nel
    mondo delle persone adulte.
    Qual passo vertiginoso deve fare un adolescente per
    uscire dalle scuole superiori ed entrare all’Università! Gli
    occhi del piccolo collegiale sono di frequente, volti verso il
    cielo, quelli dell’Universitario sono scivolati verso la terra,
    e più delle volte vi restano presi. Il primo sogna, il
    secondo osserva. Il primo vive nell’ideale, il secondo nella
    critica. Morde con tutti i denti nel frutto dell’albero della
    scienza, ma in una sola direzione. Egli si specializza o
    nella medicina, o nella fisica, o nella filologia, o nella
    giurisprudenza, ma sul terreno religioso resta quello che
    era nelle sue prime classi. E vi restasse almeno! Ma no:
    egli indietreggia e comincia a deperire. Dietro i suoi
    principi religiosi, e dietro le idee morali, dove, un tempo
    dei seri punti esclamativi si drizzavano verso il cielo con
    importante solidità, ora, sempre più spesso, degli
    opportunisti punti d’interrogazione, curvano il dorso.
    E, deluso nei riguardi degli uomini, delle istituzioni e
    del mondo, il già candido adolescente diviene un freddo
    opportunista. E nel suo intimo sorge questa domanda:
    “Chi ha ragione? La fede che ho serbata fino adesso
    integra, degna di rispetto, ma nei riguardi della quale,
    85
    come vedo, gli adulti sono diventati increduli? O è mio
    padre che ha ragione, lui che ancora oggi, dal mattino
    alla sera, adempie il suo dovere con un lavoro ostinato? O
    è mia madre che ha abbandonato le consuetudini
    religiose, adesso che il mondo è mutato intorno a lei? O i
    miei camerati, che non hanno preoccupazioni di
    coscienza, e semplicemente si godono la vita? Ha ragione
    la mia Chiesa, che osa oggi ancora predicare il vecchio
    Vangelo? Hanno ragione gli idealisti che vorrebbero
    annientare l’inferno? O i materialisti per i quali il mondo
    intero non è che calorie, cavalli a vapore, ampere, volt,
    record e istinto? Hanno base i dubbi che mi rodono? I
    demoni che nel fondo del mio essere aprono le gole
    affamate?”.
    Ah, miei cari, fra quali turbini di tempesta é sbattuta
    questa povera anima! Uno dei miei lettori mi scriveva
    poco fa: “Lego i suoi libri con anima avida. Sono uno di
    quelli che non dubitano delle verità della fede della nostra
    santa madre, la Chiesa, uno di quelli che, esausti dalle
    lotte della vita, s’affaticano a risolvere i problemi che
    devono liberare la loro anima affinché l’esistenza non sia
    così penosa, e che in tutte le lotte non cedono di un
    palmo, in grazia alla mia fede. Sono cresciuto figlio fedele
    della Chiesa Cattolica Romana, e conosco e difendo
    ansiosamente nella mia anima i tesori della mia religione,
    ma i combattimenti dell’età adulta non mi hanno
    risparmiato, ed ho visto il sorriso di quelli che dubitano, e
    ho sentito pungermi i colpi di spillo che il mondo infligge,
    e la vista di cose assai superficiali nell’anima dei miei
    coetanei, hanno riempito talvolta la mia anima di
    tristezza e stanchezza. Ma non ho mai voluto,
    scoraggiarmi, né lo voglio adesso”. Che dolore, e che
    86
    nobile combattimento; e quanti altri giovani potrebbero
    scrivere così!
    Questi sono dunque il secondo nemico della fede: le
    preoccupazioni e le esperienze della vita. Ma la burrasca
    diventa uragano ed il pericolo diventa mortale, quando, a
    lato di questi nemici della fede, dei malintesi e dei
    problemi della vita, viene a prendere posto il terzo e il più
    pericoloso nemico: il mondo indomito delle passioni e
    degli istinti.
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    00 09/03/2011 13:00
    C. Il cuore
    Se in una piazzaforte ci sono dei traditori che
    patteggiano con gli assedianti, la sua caduta è vicina. I
    dubbi contro la fede s’impossessano facilmente della
    ragione umana, perché trovano nell’anima, dei potenti
    ausiliari. Essi sono le passioni umane.
    Ricordatevi una scena commovente della vita di
    Nostro Signore: la sua tentazione nel deserto. Il demonio
    conduce Gesù su un’alta montagna e fa sfilare, dinanzi ai
    suoi occhi, tutte le ricchezze e magnificenze del mondo ed
    in cambio gli chiede una sola cosa: Tutte queste cose io ti darò
    se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai (Mt 4,9).
    E dal giorno in cui Satana volle condurre nostro
    Signore al peccato, quante volte è risuonata all’orecchio
    dell’uomo la stessa parola tentatrice!
    87
    Gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria (Mt 4,8).
    Guarda! Quanti piaceri, quante distrazioni! Tutte le gioie
    e le delizie del mondo son tue, ed ad un solo prezzo:
    allontanati da Dio, cadi ai miei piedi, dimentica la tua
    religione, la tua fede. Ahimè! Qual bruciante ferita noi
    tocchiamo ora nell’uomo che ha perduto la fede, non già
    a causa della scienza o della ragione, ma a causa del suo
    cuore e della sua vita immorale, a causa della funesta e
    demoniaca menzogna: Tutti i piaceri del mondo saranno
    tuoi.
    Infame seduttore, perché ti soffermi e non dici oltre?
    Per essere sincero, saresti obbligato ad aggiungere: tutte le
    gioie del mondo saranno tue, ma anche la mortale aridità
    del cuore. Tutte le voluttà della notte saranno tue, ma
    anche un organismo rovinato. Tutti i giardini fioriti di
    rose saranno tuoi, ma anche un sangue corrotto e viziato.
    Il mondo sarà tuo, ma la tua anima piangerà nel silenzio
    della notte. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il
    mondo intero, ma perde o rovina sé stesso? (Lc 9,25).
    Veramente noi siamo ora alla sorgente vera e
    feconda dell’incredulità.
    Se una passione peccaminosa oscura la vostra anima,
    non vi lamentate di non scorgere Dio. Vederlo per voi,
    non è possibile. Non vedete l’immagine del vostro viso in
    uno specchio appannato. Se uno stagno infetto s’è
    installato nel vostro cuore, non lamentatevi che la vostra
    fede sia soffocata; giacché delle esalazioni mefitiche
    salgono incessantemente dal vostro cuore melmoso alla
    vostra ragione.
    88
    Voi non credete: ma ditemi, com’è la vostra vita?
    Giacché nessuno rinnega Dio se non ha interesse a
    rinnegarlo. Nessuno rinnega i principi più difficili della
    fisica, e tuttavia c’è in essa, secondo le ultime scoperte,
    una folla di principi inconcepibili, incomprensibili, che
    sorpassano la nostra immaginazione. Nessuno nega,
    quantunque non comprenda, perché non imbarazzano
    nessuno, perché toccano la ragione ma non il cuore, il
    sentimento, l’esistenza.
    Molti uomini accetterebbero volentieri e facilmente i
    dogmi cristiani se si trattasse soltanto della notte di Natale
    e di Betlemme con la sua poesia ed il suo incanto. Ma
    quando sentono parlare di difficili obblighi di vita morale,
    fanno come il governatore romano Felice fece chiamare
    Paolo e lo ascoltava intorno alla fede in Cristo Gesù. Ma quando
    egli si mise a parlare di giustizia, di continenza e del giudizio futuro,
    Felice si spaventò e disse: “Per il momento puoi andare; ti farò
    chiamare quando ne avrò il tempo” (At 24, 24.25). Ma non lo
    richiamò più.
    Osservate una ragazza di mondo: essa non si è mai
    data ad un lavoro serio, il suo libro di preghiere è la
    rivista mondana, la sua chiesa sono i luoghi ove ci si
    diverte, non sa che flirtare, ricevere e contraccambiare
    delle visite, dare degli appuntamenti frivoli. La fede può
    fiorire in tali condizioni di vita? Osservate un uomo che
    fa uscire il denaro dalle sue dieci dita, ma le cui mani non
    sono più nette, e che ha da lungo tempo oltrepassato i
    limiti della delicatezza di coscienza e dell’onestà. La fede
    può accordarsi con una simile vita?
    89
    Assai spesso fratelli miei, è il nostro cuore che uccide
    in noi la fede, e non la nostra intelligenza. L’incredulo
    non é malato di testa, ma di cuore. A molta gente non
    potrebbe accadere ancora oggi ciò che è accaduto a
    Chateaubriand, nel salone di uno dei più grandi scrittori
    francesi del secolo scorso? Gli invitati erano in gran parte
    scienziati ed artisti increduli: si venne a parlare di
    religione, come spesso accade fra gli increduli, e si
    affermò che un uomo colto non poteva essere credente.
    Allora, Chateaubriand si alzò e disse: “Signori, mettetevi
    una mano al petto: vi pare che non sareste forse credenti
    se poteste condurre una vita casta?”.
    Quanti increduli potrebbero ancora oggi fare a sé
    stessi una tale domanda! E quanti, se volessero essere
    sinceri, potrebbero ripetere ciò che un pagano disse ad un
    missionario: “Tu ci parli continuamente di un Dio che
    vede tutto, ma noi non abbiamo bisogno di un simile
    Dio”. Quanti increduli non hanno la fede, perché non
    hanno bisogno di un Dio che conosca i più segreti
    sentimenti disordinati del loro cuore!
    Così quando io ascolto le obiezioni e le critiche
    d’uomini dalla fede malferma: “Senza dubbio, la
    religione ci vuole, la fede ci vuole, ma il cristianesimo è
    così arretrato, ritardatario, fuori delle abitudini, che le sue
    leggi avrebbero bisogno di essere riformate” non posso
    impedirmi di ricordare il caso di un albergatore di
    villaggio a cui un giorno venne a mancare il vino. Senza
    perder tempo a cambiar di vestito, salì nel suo carretto
    con gli abiti di tutti i giorni, sudici, e andò dal negoziante
    di vini più reputato della città vicina, per far l’acquisto di
    90
    una nuova partita. Assaggiò questo e quel vino che gli fu
    presentato, ma di nessuno si mostrò soddisfatto.
    “Il vino è buono... sì, è buono... ma ha un certo
    gusto. Si, un odore strano”.
    Il negoziante gli offerse l’assaggio del suo vino più
    squisito. Ma invano. “Senza dubbio, il vino e buono... ma
    quel certo odore!”. Allora il negoziante squadrò dall’alto
    in basso quel cliente che gli stava dinanzi con vesti così
    sporche di grasso ed olio e gli disse: “Amico mio, per
    prima cosa andate a casa vostra, cambiate le vostre vesti,
    mettetene di più pulite, e poi tornate qui e mi direte se il
    mio vino ha ancora qualche odore”.
    A quelli che non hanno la fede io vorrei pure dire:
    “Andate a casa vostra, al confessionale, deponete la vostra
    veste di peccato, sudicia e macchiata, incominciate una
    nuova vita pura, ed in seguito mi direte se nella dottrina
    cattolica sentite ancora qualche cosa di strano, se ancora
    avete dei dubbi, delle obiezioni contro la vostra fede”.
    * * *
    Fratelli miei, la storia ci riporta delle cronache
    commoventi sulla Legione Straniera; questa truppa che
    riuniva in sé, da tutte le parti del mondo, dei criminali,
    dei prigionieri evasi, degli scapestrati; e tuttavia
    conducevano una vita penosa e miserabile. La Legione
    Straniera! Nome spaventevole, che evoca la sete delle
    lunghe marce nel Sahara... gli urli delle bestie selvatiche,
    la notte... la nostalgia della patria abbandonata...
    91
    Dio, l’eternità, hanno del pari i loro fuggiaschi, i loro
    traditori, e se si potessero rinvenire in folla da tute le parti
    del mondo, quale enorme armata si avrebbe! La legione
    straniera degli increduli! Raccoglierebbe disgraziati che
    hanno fatto il naufragio nella fede e nei quali si realizzano
    le parole della Sacra Scrittura: Non c'è pace per i malvagi, dice
    il Signore (Is 48,22). I disgraziati che trascinano stanchi
    l’esistenza nel Sahara dell’incredulità, le anime torturate
    dalla sete, che mai sono lasciate in riposo dagli urli dei
    loro peccati e del nostalgico ricordo della patria.
    Ah, fratelli miei, voi che avete la fede, voi che non vi
    arruolate nella terribile legione straniera né per malintesi,
    né per la durezza della vita, né per passioni peccaminose,
    io vi supplico, pregate con me alla fine di questa
    istruzione, per quali la cui anima spossata si trascina nel
    deserto dell’incredulità. Pregate per queste meteore
    staccate dal sole, per questi fiori strappati dall’uragano.
    Pregate perché non siano ancora più torturati da questa
    sete inumana; perché non soffochino più in loro stessi il
    desiderio della patria abbandonata. Perché non lasciano
    diventare il loro cuore un blocco di ghiaccio, ma,
    staccandosi dalla legione dell’incredulità, trovino al più
    presto la via che riconduce alla patria... alla casa... al
    regno della fede della loro infanzia dove ritroveranno la
    felicità.
    Cari lettori, voi che avete la fede, pregate per quelli
    che l’hanno perduta!
    92
    VI. Come fortificare la mia fede: Bisogna avere il
    coraggio di credere
    Per terminare le istruzioni preliminari, che ho
    creduto necessario fare prima di intraprendere la
    spiegazione dei dogmi della nostra fede, vorrei rispondere
    ad una domanda che è potuta sorgere nell’anima di
    qualcuno dei miei lettori: “Chi ha la fede é felice. Ma se
    non ho la fede, che devo fare? La fede, vorrei averla. Ci
    sono dei momenti, degli avvenimenti, dei giorni di festa
    nella mia vita, in cui la mia incredulità mi affligge come
    un dolore inesprimibile: ma che posso fare? Quando i
    miei bambini pregano, con gli occhi brillanti, sotto le
    piccole candele dell’albero di Natale... quando vedo degli
    uomini afflitti pregare con fede commovente dinanzi ad
    un’immagine della Addolorata, sento prepotente il
    bisogno di avere anch’io una fede. Ma Dio non mi
    concede questa fortuna”.
    Dio non mi concede questa fortuna? È motivato
    questo lamento? Ma niente affatto. La fede è, sì, un dono
    di Dio, ma è, altresì, opera della volontà umana; ed in
    quanto la fede dipende da Dio, è Dio che fa il primo
    passo nella mia anima; se dunque il seme della fede
    deposto in me non nasce, posso concludere che la colpa è
    mia.
    Volete avere la fede? Ebbene vi dirò che cosa dovete
    fare per averla. Bisogna che adempiate due condizioni:
    avere il coraggio di credere e prendere cura della vostra
    fede.
    93
    Se voi adempite queste due condizioni, avrete la fede.
    Io devo avere il coraggio di credere dinanzi alla mia
    ragione e dinanzi al mio cuore.
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    Coordin.
    00 09/03/2011 13:01
    A. Il coraggio dinanzi alla mia ragione
    “Ah, perché non ho la fede! Come sarei felice se
    l’avessi! Ma se Dio non mi ha concesso questa felicità, che
    posso farci?”.
    No, fratelli miei, voi vi lamentate senza motivo. Dio
    offre a tutti la grazia della fede: soltanto, non tutti osano
    afferrarla. La fede è un dono di Dio senza dubbio, ma
    necessario cooperare al suo acquisto. Cooperare con la
    mia volontà e con essa muovere la mia ragione ad
    accettare le verità divine.
    a) Le verità della nostra fede non possono essere
    scorte dalla nostra ragione al modo di 2+2=4, quando
    cioè nessun dubbio sia possibile al loro riguardo. È vero
    che delle prove e degli argomenti così forti parlano in
    favore della mia fede, che la sana ragione non mi
    permette di metterne in dubbio la verità, ma non posso
    toccare con le mie mani, non posso percepire con i miei
    sensi il contenuto della fede. Se la ragione vuol resistere,
    essa lo può, e dice: “Non credo”.
    Ma precisamente perché la volontà ha una parte
    nella fede, la mia fede è meritoria. Ditemi: dove sarebbe il
    mio merito, se io vedessi Dio, la vita eterna, l’anima ecc.,
    così chiaramente come 2+2=4 e dicessi in seguito: Io
    credo? Qual merito c’è al credere che 2+2=4? Nessuno:
    94
    giacché non potrebbe essere altrimenti. Ho invece del
    merito a credere in Dio, alla vita eterna, all’anima? Si, ho
    del merito: giacché potrei fare altrimenti. Io potrei
    resistere; potrei dire: Non vedo, dunque non credo.
    Ci vuole dunque del coraggio per credere, giacché la
    fede non è solamente affare di ragione.
    b) La fede non è solamente un prodotto della
    ragione, ma altresì è più, della volontà. “Non
    comprendo” direte forse voi. “Potrebbe la mia volontà
    rigettare quello che la mia ragione accetta e riguarda
    come vero?”.
    Disgraziatamente ciò è possibile. La volontà umana
    ha questo triste e misterioso privilegio di poter agire
    anche contro la sua stessa ragione. Mi spingo ancor più
    lontano: essa può anche indurre la ragione in errore.
    Quante la nostra volontà (a volte incosciente) ha diretto la
    nostra ragione in maniera tale che l’errore sia stato a
    nostro vantaggio?
    Ecco come i sentimenti e la volontà agiscono sulla
    ragione. Ed ecco ancora un altro esempio.
    Uno qualunque, pur conosciuto come scaltro e
    intelligente, commette una sciocchezza. Qual è il nostro
    primo commento appena lo sappiamo? “Non comprendo
    come mai un uomo svelto, che sa quel che fa, ha potuto
    far questo”. Ma che cosa proviamo con ciò? che
    nell’uomo la volontà ha, accanto alla ragione, una parte,
    una funzione di pari importanza. Cioè, la mia ragione si
    sforzerebbe invano se la mia volontà la contraddicesse. È
    95
    necessario aver del coraggio: coraggio per fare l’ultimo
    passo che, dopo lo studio dei migliori libri d’apologetica
    ed i più brillanti ragionamenti intellettuali, resta ancora
    da fare. Invano la mia ragione mi dice che senza Dio il
    mondo non si spiega ed il mistero della vita non ha
    risposta alle domande più angosciose: invano la mia
    ragione mi dice che senza Dio non c’è morale, né vita
    veramente umana, né pace dell’anima, se essa si
    irrigidisce, o non vuol credere, o non osa credere. Essa
    non ha il coraggio di pronunciare le parole salvatrici:
    “Dio eterno, io non Vi vedo, ma credo in Voi!”. Perché la
    mia fede sia solida e senza dubbi, la volontà entra in
    gioco per una parte importante, giacché, lasciata a sé
    stessa, la ragione dice come l’apostolo incredulo San
    Tommaso: Se non vedo... non credo (Gv 20,25).
    È a questo punto che la volontà deve intervenire, e
    drizzarsi risolutamente contro il dubbio.
    c) I dubbi contro la fede! Tocco con il dito una piaga
    bruciante. Ah, se potessi credere! ma ho tanti dubbi!
    Come sono felici quelli che hanno la fede! Così si
    lamentano tante persone, e non vogliono persuadersi
    che del loro stato d’animo, essi stessi sono responsabili.
    Colpa loro se non fanno tacere la critica, questa
    vecchia chiacchierona assisa sui gradini del regno della
    fede. Con la sua cattiva lingua entra in conversazione con
    tutti: “Se le cose non fossero così? se questo e quello non e
    vero?”, ecc. Disgraziato colui che ascolta: colui che non
    passa avanti diritto con sicura risoluzione, ripetendo con
    calma superiore le parole di San Paolo: Io so infatti a chi ho
    creduto (2 Tim 1,12). Naturalmente io devo qui ricordare
    96
    che i dubbi di cui qui si tratta sono quelli sollevati per
    leggerezza e trattenuti per orgoglio, che si alimentano
    ciecamente, e non quelli che sorgono talvolta pur nelle
    anime seriamente religiose, procurando loro dei momenti
    d’angoscia ben grande. Invero, è curioso constatare che
    perfino i santi sono stati tormentati da dubbi contro la
    fede, e che talvolta questi dubbi turbano i nostri momenti
    più raccolti e migliori, le nostre preghiere, le nostre azioni
    di grazia. Oggi io non parlo di questa specie di dubbi.
    Questi ultimi non sono idee coscienti, dipendenti dalla
    nostra volontà: essi trovano la loro spiegazione nella
    debolezza del nostro sistema nervoso, nell’eccitazione o
    nella stanchezza del nostro spirito, e il meglio che si possa
    fare è il non preoccuparcene. Oppure, se ci accasciano
    troppo, bisogna recitare con tutta calma il Simbolo degli
    Apostoli. E come la neve fonde ai raggi del sole,
    ugualmente spariranno i dubbi che ci tormentano.
    Ma ora intendo parlare dei dubbi volontari, ricercati
    e attizzati ciecamente.
    E se non dovessi temere di essere eventualmente mal
    compreso, presentirei uno speciale argomento per questo
    genere di dubbi contro la fede. Vi prego di capirmi bene:
    se devo vigilare a fortificare la mia fede con l’aiuto della
    volontà, devo ben utilizzare tutti gli argomenti che mi si
    presentano. E uno di questi è: Io devo essere più credente
    che incredulo, perché la fede è argomento, più
    ragionevole, più saggio, più utile, più vantaggioso
    dell’incredulità.
    Che sia più ragionevole e saggio credere che non
    credere, si può dimostrare in poche parole: perché la
    97
    grandezza e la bellezza della fede cristiana stanno a prova
    di una logica superiore che sorpassa tutti gli altri sistemi
    filosofici, come la sua forza vitale sorpassa, a
    testimonianza di due millenni, tutte le altre concezioni del
    mondo.
    Sì, io voglio dire ai miei fratelli che sono alle prese
    con i dubbi contro la religione: la fede è più vantaggiosa
    dell’incredulità perché, più di quest’ultima, offre garanzie
    e promesse. E anche se l’incredulità potesse presentare
    altrettanti argomenti in suo favore, il che non è, pure in
    tal caso, noi dovremmo fare questa riflessione: l’una e
    l’altra possono avere ragione o torto. Mi metto dunque
    dal lato dove ho più da guadagnare e meno da perdere.
    È vero che questo calcolo ha un sapore commerciale
    ed interessato, ma forse non mancano le anime
    suscettibili d’essere impressionate da tale considerazione.
    Che cosa perdo e che cosa guadagno se mi schiero
    dal lato della fede? Se veramente c’è Dio ed un’eternità, e
    se regolo la mia vita in conseguenza, se mi conduco
    secondo la moralità e l’onestà, allora io posso
    tranquillamente attendere la seconda vita. Ho tutto da
    guadagnare. Me se la religione ha torto e dopo la morte
    non c’è nulla che cosa ho perduto? Allora, ciò è esatto, ho
    perso sulla terra molte gioie sospette, disoneste, fangose,
    ma almeno ho goduto la dolcezza segreta, nascosta nel
    bene, nella pratica dell’onestà, che trova già in sé stessa la
    sua ricompensa.
    E vediamo ora ciò che perdo e ciò che guadagno se
    io mi schiero dal lato dell’incredulità e se passo la mia
    98
    esistenza terrestre come se non ci fossero né Dio né vita
    eterna, né anima immortale. Se la ragione è dalla parte
    dell’incredulità, allora quaggiù io mi sono concesso
    qualche godimento, qualche istante di piacere, seguito
    però dall’oscurità, dal nulla. Sarebbe il caso migliore.
    Ma che cosa arriverebbe se l’incredulità non avesse
    ragione? Se, realmente, c’è un Dio, contro la volontà del
    quale io ho passato tutta la mia vita? Se c’è realmente
    una vita eterna, della quale io non mi sono mai
    preoccupato e per la quale io non ho mai mosso un dito?
    Da quale parte ci schiereremo noi? Se mi schiero
    dalla parte della fede, ed ha ragione, il mio guadagno è
    infinito: se ho torto, la mia perdita e minima. Se mi
    schiero dalla parte dell’incredulità e che essa abbia
    ragione, il mio guadagno e minimo, ma se ha torto, la
    mia perdita è infinita.
    Dove c’è il maggior rischio? Dalla parte della fede o
    in quella dell’incredulità?
    Voi dite che io mi sbaglio, e che la mia fede è senza
    fondamento. Pure allora devo riconoscere che non ho
    subito alcun danno. Essa non ha arrestato una sola nobile
    ambizione, né paralizzato una sola forza e valore in me.
    E, se voglio essere sincero, dirò ch’essa ha favorito
    grandemente in me lo sviluppo morale, ha sostenuto
    vigorosamente le mie debolezze. La mia fede in Dio è
    stata per me un’amica devota, una vera guida ed il
    migliore dei consiglieri che mi ha accompagnato durante
    tutta la mia esistenza.
    99
    B. Il coraggio di fronte al mio cuore
    Se occorre coraggio per piegare la mia ragione, ne
    occorre ancora più per vincere i1 cuore. La nostra
    ragione s’inchinerebbe dinanzi alla fede, se la fede non
    esigesse del pari la sommissione del cuore e di tutta la
    nostra vita morale.
    a) La fede interviene potentemente nella vita morale,
    ed in essa incontra degli ostacoli certamente più penosi di
    quelli che le attraversano il passo nel dominio della
    ragione. Come l’uomo crede con gioia ciò che ama e
    desidera, e come gli è difficile credere a ciò che contrasta i
    suoi sentimenti! Dio ha unito la luce e le tenebre, nel
    mondo, ad un tal punto che la luce, cioè la verità, sarà
    una via vittoriosa verso una meta felice per chi la vuole:
    ma colui che non la vuole può incessantemente ricorrere
    all’oscurità e scusare con essa le sue passioni
    peccaminose.
    Un esempio classico su questo punto ce lo fornisce
    San Paolo e il governatore romano Felice. L’ho già
    ricordato nel mio ultimo discorso: ma è così istruttivo che
    vale la pena di rileggerlo. San Paolo predica dinanzi a
    Felice, sulla fede in nostro Signore Gesù Cristo, ed il
    governatore lo ascolta con animo attento. Ma, essendo
    Paolo venuto a parlare di giustizia, di purezza e del
    giudizio finale, Felice spaventato gli dice: “Per il momento
    puoi andare; ti farò chiamare quando ne avrò il tempo” (At 24,25).
    Il quale mai in seguito si presentò. Invece, finché bastava
    credere con la ragione, tutto procedeva benissimo: ma
    dall’istante in cui la fede doveva intervenire nella vita,
    100
    nella sua vita, allora le cose si guastavano, egli non poteva
    più credere. Perché aveva dei “dubbi d’intelligenza”, delle
    “difficoltà filosofiche”? Manco per sogno: egli aveva tre
    mogli, l’ultima delle quali, Drusilla, l’aveva sedotta e
    rapita al marito e, secondo Tacito, si credeva permessa
    qualunque scelleratezza. Ecco perché non poteva credere.
    Ed è così che noi possiamo spiegare, per esempio, un fatto
    a prima vista inesplicabile: quello di fratelli e sorelle
    educati alla stessa maniera, vissuti nello stesso ambiente, e
    tuttavia diventati totalmente opposti di credenze; gli uni
    accettando, gli altri respingendo la fede, per capire il fatto
    bisogna entrare nell’intimo della loro diversa vita morale.
    Al momento della morte del Salvatore il sole si
    oscurò, tremò la terra, le tombe si aprirono ed il
    centurione pagano si convertì ai piedi della Croce (Cf. Mt
    27,54), ma i farisei induriti non mutarono anima. Perché?
    Perché non ebbero il coraggio di forzare il loro cuore e la
    loro vita a credere.
    b) Dunque: che cosa dobbiamo noi fare per avere la
    fede? Ciò che Gesù Cristo ha insegnato: Chiunque infatti fa
    il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le
    sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia
    chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio (Gv 3, 20-21).
    Le parole di Nostro Signore sono formali; credere in
    Dio non significa avere incessantemente il nome suo sulle
    labbra, ma portare Dio in sé stesso. Dio offre la fede a
    ciascun uomo: ed uno l’accetta, l’altro no. Avrà la fede
    chi, secondo le parole di Nostro Signore, è pronto a fare
    la volontà di Dio (Cf. Gv 7, I7).
    101
    Voi non avete la fede? Vorreste averla, ma non sapete
    come fare? Guardate in voi, riconoscete che non siete
    l’uomo che dovreste essere: non così buono, non così
    giusto; voi non avete le mani e l’anima pure, non siete
    fedele al dovere, né indulgente, né onesto. Quindi non vi
    resta che piangere sulla vostra vita. Mettetevi a piangere
    ed alle prime vostre lacrime troverete subito Dio; giacché
    si può trovar Dio con la ragione, ma si trova del pari con
    il cuore. E si dice che chi trova Dio e lo porta in sé, quegli
    ha la fede. Se uno mi ama, osserverà la mia parola (Gv
    14,23) ha detto chiaramente Nostro Signore.
    Rousseau stesso ha scritto molto giustamente
    “Serbate la vostra anima nello stato nel quale voi
    desiderereste che essa fosse, se Dio c’è, e non dubiterete
    mai della verità”.
    E le parole della Santa Scrittura non dicono
    diversamente sugli increduli: essi sono dunque inescusabili,
    perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno
    reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e
    si è ottenebrata la loro mente ottusa (Rm 1, 21). Essi sono stati
    increduli nella loro ragione, perché non hanno voluto
    divenire credenti nella loro vita.
    Vale per la vita ciò che un filosofo francese (Claudio
    Piat) ha detto del popolo: “il popolo cessa di credere in
    Dio quando comincia a perdere lilla moralità”. San Paolo
    ugualmente proclama che la fede e la morale sono
    inseparabili. Egli esorta a Timoteo a combattere la buona
    battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l'hanno
    ripudiata hanno fatto naufragio nella fede (1 Tim, 1,19).
    102
    Chi vuol credere deve, prima di tutto, voler essere
    buono. Avete osservato, fratelli miei, l’espressione che io
    ho usato? “deve, prima di tutto, volere esser buono?” Non
    oso dunque dire: solo può credere chi è già buono, già
    senza peccato. Chi potrebbe, invero, dir ciò di sé stesso?
    Ma che per lo meno la nostra volontà sia diretta verso il
    bene, che la legge morale stia dinanzi ai nostri occhi sul
    mare delle tentazioni, perché possiamo guardarla come il
    marinaio guarda la bussola quando la tempesta infuria. E
    se tuttavia soccombiamo, ci resti almeno la seria volontà
    di risollevarci e tornare verso Dio.
    Giacché chi ha abbastanza coraggio per forzare la
    sua ragione a credere, vorrà ancor più tenacemente
    forzare il suo cuore e costringerlo in una via conforme
    alla fede: e non perderà il prezioso tesoro neppure in
    mezzo ai flutti minacciosi della vita.
    * * *
    Fratelli miei, tempo fa un gran transatlantico lasciava
    un giorno altezzosamente il porto, e iniziava il suo viaggio
    sui mari. Tutto era in ordine sul ponte: le macchine
    funzionavano benissimo, la bussola indicava esattamente
    la direzione; tuttavia andava fuori strada. Il capitano,
    accortosi, fece fermare la nave. Si calcolò, si ispezionò, si
    discusse, si esaminò la bussola, inutilmente. Tutto
    appariva in ordine perfetto, e tuttavia il continente cui si
    voleva approdare era in tutta altra direzione. Presto si
    scoprì la causa della deviazione. Nella stiva della nave si
    trovò una gran quantità di ferro, la cui massa aveva
    completamente deviato la bussola. Si gettò il ferro in
    mare e subito l’ago tornò verso il nord: il naviglio riprese
    103
    la sua strada con sicurezza. Per fortuna, non era ancora
    troppo tardi...
    Io vorrei dire, ai miei fratelli che lottano senza
    bussola sul mare tempestoso dei dubbi contro la fede:
    “Per voi ugualmente non é troppo tardi, per gettare via il
    carico che pesa sulla vostra anima e vi allontana da Dio”.
    Qual carico? Quello delle comodità del corpo, la cieca
    potenza degli istinti non domati, le resistenze della
    ragione, i sofismi del cuore, tutto ciò insomma che di falso
    e d’impuro vi trascina all’incredulità.
    Dio fa verso ciascun uomo il primo passo, ma
    dipende da me camminare verso di Lui con il passo
    fermo della fede. Dio dà alla mia anima il primo impulso,
    ma dipende da me il seguirlo e rafforzarlo con la mia
    buona volontà. Dio pronuncia il primo invito, ma
    dipende da me rispondere all’appello.
    Non dite “Ah, se potessi credere!”. Dite: “lo credo,
    Signore, credo”. E se la mia ragione volesse soltanto
    vedere, ma non credere, possano allora risuonare alle mie
    orecchie le vostre sante parole Perché mi hai veduto, hai
    creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno! (Gv 20,
    29).
    Io credo, Signore, io credo! E se il mio cuore non
    volesse credere, possano, o Dio, risuonare alle mie
    orecchie le vostre sante parole: Non chiunque mi dice: Signore,
    Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del
    Padre mio che è nei cieli (Mt 7, 21). Signore, io voglio credere.
    “Credo, aiutami nella mia incredulità” (Mc 9,24).
    104
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    Coordin.
    00 09/03/2011 13:02
    VII. Come fortificare la mia fede: Bisogna avere
    cura di essa
    In questi ultimi giorni ho fatto una curiosa scoperta,
    in sé insignificante: ma credo tuttavia che possa servire
    molto bene come introduzione alla mia predica d’oggi.
    Ho incontrato per la strada uno dei miei antichi
    condiscepoli di scuola, dopo tanti anni che non
    c’eravamo più visti. Naturalmente abbiamo esumato dei
    vecchi ricordi, lontani e quasi obliati. Fra l’altro mi
    ricordai che nei primi giorni di scuola superiore spiegavo
    ai miei compagni i problemi di matematica e di fisica,
    scienze per le quali allora avevo assai simpatia. Rientrai
    quindi a casa e, non so come, mi domandai con curiosità:
    “Che cosa ricordo ancora di queste due scienze?”. E lo
    confesso a mia vergogna, feci una scoperta incredibile. Mi
    provai in un piccolo problema di trigonometria. “Che
    cos’è il coseno?”. Non sapevo più, e tuttavia ricordai che
    all’esame io avevo risposto brillantemente su questo
    argomento. Tanto peggio! Proviamo i logaritmi. Nulla.
    Tentativo infruttuoso. È inaudito! È vero che non apro
    una tavola di logaritmi da ventiquattro anni, ma com’è
    possibile che io non ricordi più nulla?
    E se qualche ingegnere tra i miei uditori si
    scandalizzasse della mia ignoranza di cose così
    elementari, io gli chiederei: “E voi potreste ancora leggere
    il greco, se per ventiquattro anni non aveste più vista una
    lettera dell’alfabeto greco?”.
    105
    Sia quel che volete, non facciamoci rimproveri a
    vicenda, ma deduciamo da questo fatto la lezione che
    servirà di argomento alla mia predica d’oggi. Ciò che non
    si tiene in esercizio si dimentica, sia che si tratti di calcolo
    logaritmico, di lingua greca, o di postulati della nostra
    fede.
    Chi vuole avere la fede deve coltivarla, svilupparla e
    deve vegliare sopra di essa. Non deve obliarla, né lasciarla
    pericolare.
    Il tema d’oggi è dunque il seguito logico di quello
    trattato l’ultima volta. Avevo raccolto il lamento di molti
    fra gli uomini, quando sentono parlare dei benefici che la
    fede apporta: “Felici quelli che hanno la fede! Ma a che
    cosa mi serve il saperlo, se Dio non mi ha accordato tale
    felicità? Se non mi ha dato la grazia della fede?”.
    Questo lamento non è legittimo fratelli miei. Ho
    detto che Dio parla a tutti gli uomini con la sua grazia,
    che li invita a credere, ma dipende da noi avere il
    coraggio di rispondere alla chiamata. Se voi volete avere
    la fede, abbiate il coraggio di credere, costringete la vostra
    ragione ed il vostro cuore a credere.
    Ma ho anche detto che il coraggio non basta per
    avere la fede. Per mantenere vivo questo tesoro bisogna
    averne cura, bisogna non obliarla.
    A) Perché bisogna aver cura della propria fede?, B)
    Come bisogna aver cura della propria fede?
    106
    A. Perché bisogna aver cura della fede?
    1) Quando si leggono le Epistole di San Paolo, non si
    fa a meno di constatare che l’Apostolo avverte
    incessantemente i primi cristiani di coltivare la fede, di
    prenderne cura.
    Per esempio, egli scrive a Timoteo: Combatti la buona
    battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei
    stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede
    davanti a molti testimoni (1 Tim 6, 12). E scrive agli Efesini:
    Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere
    tutte le frecce infuocate del Maligno (Ef 6, 16). E scrive ai
    Corinzi: Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi in modo virile,
    siate forti (1 Cor 16,13). È un continuo battere e ribattere:
    Vigilate sulla vostra fede, conservatela intatta!
    E perché l’Apostolo sentiva il bisogno di insistere su
    questo comando? Perché i primi cristiani vivevano in un
    mondo corrotto fino alle radici, incredulo e immorale, ed
    erano incessantemente esposti alle tentazioni del loro
    ambiente, al contagio di un mondo frivolo. Ma oggi
    anche noi ci troviamo in un mondo simile all’antico. Se
    San Paolo rivivesse fra noi, scriverebbe in termini ancor
    più forti: “Fratelli, che avete ricevuto con il battesimo il
    primo seme della fede di Cristo: fratelli, le cui anime,
    grazie all’educazione familiare e all’insegnamento
    religioso, hanno visto nascere dal primo seme un arbusto
    pieno di speranze, fratelli che avete dovuto affrontare le
    lotte della vita, vegliate sul fragile germoglio che cresce
    nella vostra anima, la fede cristiana!” Vivete per forza, in
    un mondo ostile; le preoccupazioni della vostra
    107
    professione ed il lavoro quotidiano vi trascinano in
    un’atmosfera priva del minimo germe vitale di pensiero
    ultraterreno. Fratelli, non c’è da stupire se le cognizioni
    religiose apprese da voi nei primi anni, si disseccano di
    più in più nelle vostre anime, nel turbine delle
    preoccupazioni per l’esistenza che vi assediano da ogni
    parte. Non c’è da stupire che voi cominciate a obliare la
    vostra fede, che non abbiate il tempo di approfondirla e
    praticarla, e perfino che, avendola interamente perduta,
    siate diventati degli increduli. Si può dimenticare la
    trigonometria, si può dimenticare l’alfabeto greco, si può
    dimenticare del pari la propria fede.
    Si può perfino dimenticar la lingua materna. Ho
    incontrato in Olanda dei fanciulli ungheresi che dopo
    qualche anno appena di lontananza in famiglie olandesi,
    non sapevano più una parola di ungherese. E quando
    tornarono in patria, le loro madri non potevano più
    comunicare con loro. Ora conoscete voi la lingua
    materna della nostra anima? È la fede. Essa, del pari si
    può dimenticare completamente. E tanto più presto,
    quanto più presto si è cessato di praticarla. Qualunque sia
    la virtuosità con la quale si è suonato il pianoforte
    nell’infanzia, se si rimane degli anni senza più toccare i
    tasti, si disimpara di suonare. Per numerosi che siano stati
    i nostri esercizi di ginnastica durante il tempo delle
    scuole, è certo che, se non ci si esercita più, dopo qualche
    anno non si potrà più fare un esercizio alla sbarra fissa,
    anche se un tempo si sapeva fare con tutta facilita.
    2) E continuo. Affermo che non soltanto non si ha il
    diritto di dimenticare le cognizioni religiose, ma al
    108
    contrario si dovrà approfondire sempre più, e svilupparle
    in misura dei bisogni spirituali di un adulto.
    Perché insisto specialmente su questo punto? A causa
    di ciò che molti uomini hanno perduto la fede, perché,
    pur arrivati all’età adulta, hanno ancora, sulle cose della
    fede, le idee ingenue della loro infanzia. Ma ciò che
    bastava al modo di pensare di un fanciullo, non è più
    ammissibile per un adulto. Talvolta l’adulto si domanda
    come idee così infantili siano potute venirgli in mente.
    Può darsi che non sia un gesto di incredulità, ma una
    protesta della ragione più sviluppata contro le concezioni
    troppo infantili e ingenue della fede. Ciò che conveniva al
    fanciullo non conviene più all’uomo. Il fanciullo si forma
    un’immagine di Dio secondo le sue strette idee sul mondo
    e le sue concezioni limitate.
    Ma tale immagine non conviene più per un adulto: e
    se egli cessa di coltivare la fede, e non vigila, leggendo
    opere religiose e ascoltando buone predicazioni, a
    sviluppare di più l’immagine di Dio che vive in lui, certo
    che farà faci lmente nauf ragio f ra gl i scogl i
    dell’incredulità. Ma la colpa é sua, e non della fede.
    Ecco il compito importante che ci incombe: non
    soffermarci alla fede della nostra infanzia, ma progredire:
    coltivarla e vegliare su di essa.
    Ecco ora l’altra questione importante:
    109
    B. Come dobbiamo prendere cura della nostra fede?
    La risposta a questa domanda è semplicissima
    Bisogna coltivare la fede come tutte le altre cose in questo
    mondo: con la pratica. Colui che vuol diventare un buon
    violinista, suona ogni giorno per delle ore di seguito.
    Colui che vuol vincere un concorso, vi si prepara con
    alacrità. E colui che vuol avere una fede viva e robusta,
    deve ugualmente praticarla ogni giorno, con fedeltà e
    costanza.
    Per coltivare la nostra fede occorrono quindi due
    cose: 1) professarla esteriormente; 2) praticare i doveri
    della religione.
    1) Professare esteriormente la fede.
    a) La fede interiore e quella professata esteriormente
    rispondono pienamente alla natura dell’uomo, composto
    di interno e di esterno, di anima e di corpo.
    Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la
    bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza, scriveva
    San Paolo (Rom 10, 10) cioè l’interno e l’esterno riunito
    procurano all’uomo la salvezza.
    La professione esteriore della nostra fede ci è, del
    pari, necessaria, perché essa la fortifica. Colui che
    afferma incessantemente che basta essere religioso
    interiormente, proverà ciò che avviene a chi conosce una
    lingua straniera, ma non la parla mai: dopo qualche anno
    la dimentica.
    110
    b) La fede è certamente una cosa del tutto personale
    e individuale, un gioiello sacro conservato nel fondo della
    mia anima: e la più bella professione di fede è una vita
    terrestre passata conformemente alle prescrizioni della
    religione. Ma ci sono dei momenti, delle situazioni, in cui
    io devo professare esternamente la mia fede.
    Tutta la famiglia parte per un’escursione il mattino di
    una domenica, ma non per questo io lascio la Messa.
    Viaggiando in ferrovia, o trovandomi in un salotto sento
    parlare di religione, e contro i pregiudizi dei più io oso
    prendere la parola in difesa delle mie convinzioni. Sono
    alla Messa... suona il campanello dell’elevazione... i miei
    compagni si contentano di inchinarsi... ma io ho il
    coraggio di inginocchiarmi dinanzi a nostro Signore, che
    scende sull’altare. Sono una povera ragazza... ed ecco che
    mi si presenta un ricco pretendente, un partito brillante.
    Ma c’è un ostacolo: io non potrei sposarmi secondo le
    leggi della mia religione, ed ho il coraggio di dire no, e
    rinunciare, confidando che Dio penserà in altro modo per
    il mio avvenire. All’officina, i miei compagni di lavoro mi
    fanno incessantemente guerra a causa della mia religione;
    ed io ho il coraggio di continuare a frequentare la Chiesa
    e non arrossire della mia fede. C’è qualcuno che si
    vergogna dei suoi genitori: ma è più triste ancora
    vergognarsi della propria fede. Costoro certo non hanno
    mai inteso queste parole di Nostro Signore: Chi mi
    rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al
    Padre mio che è nei cieli (Mt 10, 33).
    c) Non si può dissimulare la nostra edificazione
    quando si vedono dei cattolici, passando dinanzi alla
    chiesa, farsi il segno della croce. Il segno della croce!
    111
    Sapete che il segno della croce è l’indice più distintivo
    della nostra fede? Colui che lo fa su se stesso proclama
    apertamente agli occhi di tutti: Io sono un discepolo di
    Cristo morto sulla croce. Io vorrei vedere tutti fare
    piamente, degnamente, come si deve, il segno della croce,
    che é una professione cosciente della nostra fede.
    Invero, se noi riportiamo i nostri sguardi sul
    cristianesimo primitivo, vediamo che fu, fin dall’ora,
    segno glorioso della fede. I martiri andavano alla morte,
    invocando il nome di Dio, e segnandosi in fronte del
    segno della croce. E non si può immaginare un segno più
    semplice, più chiaro, più significativo della nostra fede.
    Proclama i due dogmi fondamentali: l’unità e trinità di
    Dio e la divinità di nostro Signore Gesù Cristo.
    Sentite ciò che uno scrittore ecclesiastico del secondo
    secolo, Tertulliano, scriveva sul segno della croce presso i
    primitivi cristiani: “Quando noi cominciamo o
    terminiamo il nostro lavoro, quando entriamo in casa e
    quando ne usciamo, quando ci vestiamo o calziamo i
    sandali, quando ci mettiamo a tavola, o accendiamo la
    lampada, quando andiamo a dormire, quando ci
    sediamo, quando facciamo non importa che cosa, noi
    facciamo sulla nostra fronte il segno della croce”13. Ecco
    ciò che si scriveva nel II° secolo; e sentite ora queste
    parole radiose di fierezza di San Giovanni Crisostomo:
    “Noi portiamo come una corona la croce del Cristo
    perché è per mezzo suo che noi abbiamo ricevuto tutto
    ciò che occorre alla nostra salvezza: quando noi
    rinasciamo (battesimo) c’è la croce: quando ci nutriamo
    112
    13 TERTULLIANO, De Corona, 3
    con le sante specie (Eucaristia), quando riceviamo
    l’estrema unzione, dovunque sempre si drizza al nostro
    lato questo segno di vittoria: così noi erigiamo con tanto
    fervore la croce nelle nostre abitazioni, sui muri, alle
    finestre, sulla nostra fronte, e soprattutto nel nostro
    cuore”14. Ecco ciò che si scriveva nel IV° secolo.
    Ed inoltre, fratelli miei, con il segno della croce non
    solo noi confessiamo la nostra fede, ma fortifichiamo,
    altresì la nostra anima nella sofferenza. Tante disgrazie ci
    accasciano, ma non sono mai così pesanti come lo fu la
    croce di Cristo. Gli uomini sono spesso cattivi e nemici,
    ma noi non soffriremo mai a causa loro, quanto ha
    sofferto il Salvatore, che era stato divinamente buono con
    tutti e fu ripagato con tanta crudele incomprensione e
    cattiveria.
    Noi non ci vergogneremo della croce! Al contrario
    dobbiamo farne la nostra gloria. Quanto a me invece non ci
    sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per
    mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il
    mondo (Gal 6, 14). La croce ha guadagnato il mondo alla
    civiltà, ha bandito gli orrori del paganesimo, ha brillato
    sulla corona dei re, e si leverà un giorno sulla mia
    tomba.... Possa questa croce essere il pegno della mia
    eterna felicità.
    Confessiamo coraggiosamente la nostra fede, e così
    l’avremo già fortificata e coltivata.
    2) Pratichiamo la nostra religione.
    113
    14 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelia 54 in Matt, 4.
    Non vi spaventate se vi parlo di regolarità nella vostra
    vita religiosa. So che non si possono rinchiudere in uno
    schema né classificare in rubriche, né sottomettere a
    misura le relazioni ferventi fra l’anima e Dio, che si
    chiamano religione. La religione deve penetrare tutte le
    manifestazioni della nostra vita. Questa è la verità. Ci
    sono tuttavia certe regole delle quali non si può fare a
    meno, altrimenti la nostra anima ne soffrirebbe. Quelli
    che volessero liberarsene, anche animati dalla miglior
    buona volontà, avrebbero una religione senza sistema,
    disordinata, capricciosa: un giorno essa si slancia verso il
    cielo come la fiamma di una candela, un’altra volta
    tentenna senza forza, come un lucignolo vicino a
    spegnersi in una lampada. Occorrono delle regole che
    non dipendano dai nostri capricci, ne buoni ne cattivi: ci
    vuole un certo ordine nella vita religiosa.
    Quale ordine? Esercizi abituali della vita cristiana,
    che tutto il mondo conosce, ma il cui valore non è visto
    da tutti. Tale è per esempio la preghiera del mattino e
    della sera, fatta regolarmente ogni giorno. Non si
    dovrebbe mai ne cominciare ne finire una delle nostre
    giornate senza preghiera. Che poi questa preghiera è
    fatta secondo una formula consacrata e imparata a
    memoria, oppure sia letta in un libro di pietà, o ancora
    sia una fervente elevazione della nostra anima verso Dio,
    o eventualmente un’aspirazione muta verso il cielo, ciò
    spetta a ciascuno di noi regolare secondo la propria
    disposizione e natura.
    I giorni della settimana santificati dalla preghiera
    sono seguiti dalla domenica santificata dalla santa Messa.
    Mi basta evocare l’azione potente esercitata sulla
    114
    conoscenza approfondita della nostra fede, dalla pia e
    devota assistenza alla santa Messa ogni Domenica. E voi
    potrete guardare tranquillamente, sul vostro letto di
    morte nostro Signore Gesù Cristo, se potrete dirgli:
    “Signore, vi ho visitato ogni Domenica nella vostra chiesa
    ed ho preso parte al mistero del vostro Sangue,
    permettetemi di partecipare altresì alle gioie dell’eterna
    festa del cielo”.
    Ecco ancora un altro obbligo: ricevere il Corpo Sacro
    di Cristo, al fine di accrescere la vita della vostra anima;
    bisogna riavere in noi il corpo di Cristo, per avere la forza
    di sostenere le lotte dell’esistenza, per poter riempire di
    valori divini ed imperituri questa vita terrestre polverosa,
    scabrosa ed effimera. Quanto spesso dovete voi ricevere il
    Corpo di Cristo? Qui ancora non c’è nulla di prescritto:
    al minimo, una volta l’anno nel tempo Pasquale. Ma chi
    si contenterebbe di tanto poco?
    Ed ancora un altro punto: l’osservanza dei giorni
    d’astinenza prescritti dalla religione. Non come se la
    carne non fosse il venerdì, buona come gli altri giorni, ma
    per provare di tempo in tempo se posso restare fedele a
    Dio al prezzo di una rinuncia e di un sacrificio.
    Al tempo della campagna di Napoleone in Russia, un
    mujik non volle schierarsi a lato dell’imperatore dei
    Francesi, poiché egli apparteneva allo zar. I soldati lo
    bollarono con una grande N. sul braccio. Ed allora egli si
    tagliò il braccio e rimase dello zar. Fare dei sacrifici per
    rimanere fedele a Dio, ecco il più bel fiore della vera pietà
    ed il più potente mezzo di fortificare e coltivare la propria
    fede.
    115
    Fratelli miei, non filosofate tanto, non “staccatevi”
    dalla fede e vivete la fede.
    C’è della gente che non osa immergersi nell’acqua
    senza molta esitazione: bagnano la punta del piede e poi
    la ritirano, provano, di nuovo e rabbrividiscono di freddo.
    Ma quando finalmente sono tutti immersi, gridano:
    “Quest’acqua non è così fredda come io credevo!”.
    Anche voi, non esitate, non perdete il vostro tempo a
    ragionare sulla fede. Provatevi a saltarvi dentro: praticate
    e vivete la fede, e poi mi direte se l’acqua è ancor fredda.
    Cercate di vivere esattamente secondo le prescrizioni
    della vostra fede e vedrete che nel vostro intimo si
    ripeterà la sublime professione di fede che, un grande
    ungherese, il conte Stefano Széchenyi, pronunciò con
    commovente franchezza così:
    “La mia fede è ferma, sono cattolico leale: vado di
    frequente a Maria-Zell. A Roma ho baciato con fervore la
    mano del Papa, e seguo, con tutta la mia anima, le
    prescrizioni della mia religione: ciò, perché sono cattolico,
    non per caso, ma per una grazia particolare di Dio, e di
    tal grazia voglio mostrarmi degno. Non mi rodo l’anima
    per ciò che non posso comprendere. Accetto con rispetto
    tutto ciò che mi è insegnato, e rispetto quelli che si
    occupano delle nostre anime e lavorano per la nostra
    salvezza. Tutte le domeniche e giorni di festa ascolto la
    santa Messa, osservo i digiuni prescritti, mi confesso
    regolarmente, ricevo la santa Comunione e faccio con
    cuore contrito le mie devozioni. Stimo tutto degno di
    rispetto nella religione, perché essa ha sempre per base
    fondamentale l’amore di tutti gli uomini, e io so che è
    116
    soltanto per mezzo della preghiera, della meditazione,
    della lotta contro la sensualità, della penitenza e una
    pratica perseverante, che si può divenir capaci di amare
    veramente... Cerco il valore della mia religione nella
    rinuncia, nel sacrifico e nell’indulgenza”.
    Sublime traccia per quelli che non vogliono credere!
    * * *
    Fratelli miei, ecco dunque la mia ultima domanda:
    Volete conservare la fede? Vegliate su di essa, coltivatela,
    praticatela. Allargate, nella vostra anima l’orizzonte
    tracciato dalla fede e vivetela nella speranza della vita
    eterna.
    Vivete nella speranza, nella prospettiva della vita
    eterna; ciò vuol dire di osservare incessantemente le
    parole di nostro Signore: Siate pronti, con le vesti strette ai
    fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro
    padrone..., in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
    Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli...
    (Lc 12, 35-37).
    Fate in modo che il Signore, qualunque sia l’ora in
    cui arrivi, vi trovi pronti. È ben possibile che molte cose
    nelle mie incombenze terrestri non siano ultimate, è
    possibile che i miei figli e la mia moglie abbiano ancora
    bisogno di me, ma la mia anima è pura e pronta.
    Io credo. Non ho alcun disgusto per il mondo e non
    lo detesto: amo anzi la vita, la famiglia, la patria e le cose
    117
    belle, ma non getto per tutto ciò e non dimentico le
    bellezze imperiture della eterna Patria, della vita eterna.
    Io credo. Il cielo sopra il mio capo è senza dubbio
    greve di oscure nuvole, ma la fede in Dio mi fa scorgere le
    cime delle montagne dorate dal sole, al di sopra delle valli
    ottenebrate. Gli abitanti delle alte montagne godono
    giornate più lunghe di quelli che abitano le valli, e più a
    lungo ricevono i raggi vivificanti del sole. E perché la mia
    vita in questa triste valle terrena riceva del pari i raggi del
    sole, io mi afferro alla fede: forzo la mia ragione ed il mio
    cuore ad inchinarsi dinanzi a Dio, e coltivo in me le
    energie luminose e vivificatrici della fede, con una pratica
    regolare e fervente della mia religione.
    Curvo la testa e la mia ragione dichiara: Io credo.
    Batto alla porta del mio cuore e la vita mi risponde: lo
    credo, Signore, io credo.
    118
    VIII. Che pensate voi di Dio?
    Esiste nella lingua umana una parola che eleva
    l’uomo ad altezze vertiginose, al di sopra di tutte le
    creature del mondo, una parola brevissima che prova più
    vittoriosamente di qualunque altra cosa l’origine e il
    destino sublime dell’uomo: una parola che risuona più
    spesso di qualunque altra su questa terra, ovunque una
    creatura umana viva. Dal nord al sud, dall’est all’ovest,
    dal levar del sole al tramonto: Dio. Tre lettere sacre. Tre
    lettere che risuonano incessantemente in cielo e in terra.
    Gli angeli salutano con inni d’amore infiammato “Santo,
    Santo, Santo é il Signore, il Dio degli eserciti!” ed esce
    ugualmente dall’anima degli uomini che pregano in
    ginocchio: Io credo in Dio.
    Dio! I bimbi che balbettano ed i vegliardi incurvati
    pronunciano questo nome sacro. Gli uomini che pregano,
    e quelli che bestemmiano, i credenti e gli atei,
    pronunciano questo santo nome: Dio. I filologi pongono
    questa parola fra le prime e le più antiche di ogni lingua...
    questo nome passa fra noi come un vivificante raggio di
    sole.
    Dopo i discorsi d’introduzione al Simbolo, noi
    arriviamo oggi a questa parola, che ci pone dinanzi alla
    maestà divina. Con il cuore inondato di gratitudine,
    umiliamoci un momento. Supplico Iddio che la mia
    povera voce glorifichi degnamente il Suo Santo nome, e
    voi, miei fratelli, domandateGli che la sua viva immagine
    si incida più, e più maestosamente nelle nostre anime.
    119
    A. Perché bisogna parlar molto di Dio?
    Non sarà forse noioso, penseranno alcuni, trattare a
    lungo questo tema? È esso di tanta importanza?
    Ebbene: ascoltate dunque, perché bisogna, e perché
    voglio parlare tanto di Dio.
    1) In primo luogo, perché in tutto il mondo non si
    saprebbe trovare un soggetto di predicazione più
    interessante e più sublime. Non conviene forse parlare e
    istruirsi lungamente sull’argomento del più perfetto, del
    più santo, del più saggio e del migliore dei Padri? Non
    conviene parlarne ed istruirci al riguardo, precisamente in
    questo tempo nel quale noi sappiamo, discutiamo e
    ricerchiamo tante cose concernenti il mondo che Egli ha
    creato? E se non si rimpiangono né le fatiche, né i lunghi
    lavori di ricerche, probabilmente di anni e anni per tutta
    la durata di una vita umana, per venire a conoscere le
    leggi che reggono il mondo creato, la sua costituzione e
    organizzazione; si avrà il diritto di trovare eccessivo il
    tempo che vogliamo impiegare a conoscere il Creatore di
    questo universo, il Dio infinito? Dio è l’ideale più sublime,
    la Grandezza infinita, il Giudice Supremo, il Fine ultimo,
    la perfetta Saggezza. Bisogna dunque parlare lungamente
    di Lui.
    2) Ancora, noi dobbiamo sapere molte cose su Dio,
    per un’altra ragione. Invero è proprio sulle idee che io ho
    di Dio, che si regola tutta la mia esistenza terrestre e si
    determina la sorte della mia vita eterna.
    120
    Colui che ha freddo, vada al sole e avrà caldo. Colui
    che espone costantemente la sua anima ai caldi raggi
    dell’amor divino, colui che attira Dio a se con un amore
    profondo e commovente, colui che realmente si afferra a
    Dio e Gli resta fedele in mezzo alle più tremende
    tempeste della terra, colui che, né le tentazioni né il
    dolore allontaneranno dalle Sue braccia, avrà la vita
    rallegrata di sole e sarà felice: si avanzerà cantando anche
    se la sua strada è seminata di spine e di aguzze pietre.
    Dite: avremmo noi ragione di rimpiangere il tempo
    occupato così?
    3) Ma c’è ancora un’altra cosa. Bisogna parlare di
    Dio, perché molto si parla contro di Lui e poco in Suo
    favore.
    Parlano contro di Lui le tendenze filosofiche più
    conosciute come il materialismo, il monismo, il
    panteismo; le grandi organizzazioni sociali: socialismo e
    massoneria. In Russia i senza Dio hanno le loro
    associazioni speciali e i loro giornali. È contro di Lui che
    sono lanciate le grandi parole mascheranti le idee frivole.
    È quindi necessario farsi queste due domande di
    un’importanza decisiva: C’è un Dio? e come è Dio?
    Prima di tutto noi domanderemo ciò che ne dice il
    mondo. C’è un Dio? Vedremo ciò che dice l’umanità. C’è
    un Dio? Ascolteremo ciò che dice la nostra anima. C’è un
    Dio? Sentiremo ciò che dice la vita umana. C’è un Dio?
    Esamineremo ciò che ci dice la fede.
    121
    Finalmente grideremo, con anima gioiosa; Si può
    ben proclamare da tutte le parti che Dio è morto, ma noi,
    noi grideremo al cospetto del mondo: Dio vive ancora.
    Egli è eterno!
    Chi mai avrebbe il diritto di dolersi del tempo
    impiegato ad imprimere nella nostra anima in modo
    indistruttibile una verità fondamentale, sicura e
    d’importanza capitale?
    Gli uomini hanno su Dio le idee più diverse. Ed io
    vorrei, in questa serie d’istruzioni trovare accesso presso
    ciascuno di loro, ed avvicinarli Lui.
    Io credo in Dio. Ma voi, fratelli miei, ditemi ciò che
    ne pensate. Avete di Lui un’idea esatta? O avete bisogno
    di mutare le vostre idee inesatte?
    B. Che cosa pensate voi di Dio?
    Passiamo dunque in rivista diversi tipi d’uomo,
    classificati secondo le loro idee.
    1) Prima di tutto metto le anime ribelli: quelli che negano
    l’esistenza di Dio.
    Ci fu un tempo in cui era, dirò così, di buon gusto,
    non credere. Parlare con leggerezza delle cose della fede
    era un passare per intelligenti e colti. Esistono al giorno
    d’oggi ancora di questi fossili? Disgraziatamente, si.
    Senza dubbio non sono molto numerosi quelli che
    122
    vogliono difendere il loro ateismo invocando “ragioni
    scientifiche”, ma molti ce ne sono che negano
    semplicemente, con la loro condotta, l’esistenza di Dio,
    senza apportare argomenti. O è il chiasso assordante
    della scienza umana o è l’asprezza della lotta per
    l’esistenza che spingono questi e quelli nel deserto
    agghiacciato dell’ateismo: ma soprattutto sono le loro
    troppo numerose cadute morali.
    Come dobbiamo compiangere i disgraziati che
    reputano la scienza e le macchine sufficienti alla vita
    umana!
    La scienza può veramente bastare all’uomo?
    La scienza non ha ancora asciugato una sola lacrima
    strappata dal dolore agli occhi dell’uomo. La scienza è la
    fiaccola che illumina le profondità dell’essere, ma non è
    capace di rischiarare come il sole! La scienza, le
    macchine, possono veramente bastare all’uomo?
    La macchina è un grande aiuto per l’uomo, ma nello
    stesso tempo un gran pericolo. Uomini molto seri hanno
    sollevato questa questione: Lo sviluppo tecnico moderno
    è un flagello o un beneficio? La macchina, dovrebbe
    essere la schiava dell’uomo, invece, molto spesso, regna su
    di noi. “Non riesco a liberarmi dalle forze che ho
    chiamate”.
    Consideriamo l’abitante della grande città, la cui
    esistenza è all’altezza dello sviluppo tecnico. L’orologio
    alla mano, egli conta nervosamente i minuti per non
    perdere il treno, o l’ultimo tram, per non arrivare in
    123
    ritardo al teatro, alla Borsa, all’ufficio. Egli è impaziente e
    distratto e ciò non favorisce un lavoro serio, né la
    riflessione. Lo sviluppo della macchina ha abituato
    l’uomo alla precipitazione e alla fretta. Ma “la fretta è
    venuta dal demonio”, dice un proverbio orientale.
    Sempre del nuovo, e sempre più presto! Da questo la
    super produzione affrettata in tutti i campi, perfino
    nell’arte. Dove trovarlo, oggi, un pittore come Raffaello?
    uno scultore come Michelangelo? Non si ha più il tempo
    di concepire un solo progetto di larga portata.
    Povera umanità, se lascia che i valori più nobili
    dell’anima siano scacciati via dai valori terrestri! Se
    davanti al progresso materiale, davanti alla scienza ed alla
    macchina, non accetta più la formula socratica “Possiedo
    le cose e le domino e non sono esse che dominano me!”
    Effettivamente, a che cosa serve possedere la terra intera,
    se la nostra anima languente, affamata e atrofizzata,
    crolla in mezzo a questa gran ricchezza? Se si realizzano
    in noi le parole del profeta Isaia: La sua terra è piena
    d'argento e d'oro, senza limite sono i suoi tesori... L'uomo sarà
    piegato, il mortale sarà abbassato (Is 2, 7-9). A che serve tutto
    ciò, se alla fine della vita dobbiamo prendere congedo
    dalla terra e terminare come Colbert, il grande ministro
    delle finanze di Luigi XIV, che disse morendo: “Ah, Sire,
    se io avessi fatto per Dio tutto ciò che ho fatto per voi!”.
    Poveri uomini, che negate l’esistenza di Dio!
    Tuttavia la più gran parte di chi nega Dio, non si
    recluta fra gli uomini di cui sto parlando. Si recluta fra chi
    ha naufragato non per sottigliezze e ragioni, ma a seguito
    di passioni non domate ed una vita peccaminosa. Ha
    ragione la Santa Scrittura: Lo stolto pensa: "Dio non c’è". Sono
    124
    corrotti, fanno cose abominevoli (Sal 14, 1). Dice nel suo cuore
    “Il malato è il cuore”. Non ci sono che due specie
    d’uomini che possono essere increduli: quelli che sono
    troppo pigri per riflettere, e quelli che sono troppo deboli
    per fare il bene. I primi negano l’esistenza di Dio, perché
    non possono toccarlo con le loro mani: i secondi perché
    niente venga ad opporsi alla loro frivola esistenza. La
    maggior parte degli uomini diventa incredula per
    sbarazzarsi di Dio. Poveri disgraziati che avete rinnegato
    Dio!
    Ecco il primo tipo d’increduli. Che cosa pensano gli
    uomini di Dio?
    2) Spesso si sente dire: “Noi viviamo in un mondo
    così corrotto, così lontano da Dio!”. Ma ci sono
    veramente molti atei fra gli uomini d’oggi? Se
    consideriamo le arti e la letteratura, la stampa ed il
    commercio, tutto l’insieme della civiltà moderna, davvero
    si sarebbe inclinati a fare tale triste considerazione. Ma la
    realtà é diversa. La gran parte dell’umanità si schiera al
    lato di Dio. Cerca Dio, ma Lo cerca male.
    Ecco un nuovo tipo d’uomini: Coloro che cercano
    Dio goffamente. Ci sono uomini che vorrebbero credere
    in Dio: “ma”, dicono, “non abbiamo una prova della sua
    esistenza sufficientemente valida”. Sono quelli che non
    vogliono vedere che la fede utilizza prove diverse da
    quelle da laboratorio: sono quelli che vogliono le prove
    matematiche, là dove è assurdo esigerne. Sentono pure
    che deve esistere un Essere supremo e perfetto, ma non
    vogliono ammettere Dio, come li ammette la religione;
    vogliono crearsi un Dio a modo loro. Dicono che Dio è il
    125
    mondo, la natura, l’insieme delle forze dell’universo; ma
    con il loro imbrogliato concetto di Dio, la terminologia
    incomprensibile, il brancolamento nelle tenebre, non
    fanno che esprimere il desiderio naturale che sorge dalle
    profondità dell’anima umana: Io credo in Dio, bisogna
    che ci sia un Dio!
    Non ho ricordato l’esistenza di questo gruppo che
    per essere completo, e non già perché vi si trovino dei
    rappresentanti fra i miei cari lettori.
    3) Ma ecco ancora un altro gruppo, al quale,
    disgraziatamente, appartengono molti cristiani: quelli che
    credono in Dio, ma lo disconoscono, lo ripudiano. Si,
    credono in Dio, ma nulla nella loro vita dimostra questa
    fede. Se non credessero in Dio, la loro condotta sarebbe la
    stessa: altrettanto libera e disordinata. Fratelli miei, ciò
    confina con l’ateismo. Si può negare Dio non solo con la
    parola, ma con la pratica della vita.
    Chi crede in Dio deve rispecchiare la sua fede in tutti
    i suoi atti. Non basta gettare un’occhiata in una Chiesa la
    notte di Natale o la sera del Venerdì Santo. Ripudia Dio
    chi si accontenta di questo.
    Disconoscono Dio anche coloro che, nel loro culto
    della divinità, cercano la propria consolazione, non
    l’omaggio al Creatore: sono quelli che non pregano,
    perché “ciò non dice loro niente”, non vanno a Messa la
    domenica perché “non si la sentono”, e la religione è per
    loro più una sensibilità estetica che un maggio
    riconoscente della loro religione e del loro cuore alla
    Maestà divina.
    126
    Disconoscono ugualmente Dio coloro che hanno per
    Lui idee meschine di timore e d’angoscia, e mai possono
    allietarsi in Lui, le anime timorose senza motivo che
    guardano a Dio come ad un agente di polizia all’angolo
    della strada, che nota compiacendosene, tutti i loro sbagli;
    chi conosce solo il Giudice vendicatore e non l’Amico che
    ci aiuta e vuole il nostro amore. Tutti costoro
    disconoscono Dio. Ed è perché non accada di pensare
    così male anche a noi, che voglio parlare di Lui molto
    lungamente.
    4) Ancora un altro tipo: coloro che si sono ingannati
    sul conto di Dio, sono ramasti delusi e perciò lo hanno
    abbandonato. Chi sono questi tristi naufraghi? L’uno è
    stato terribilmente colpito dalla sorte. Nel volgere di un
    anno ha perduto la sposa e l’unico figlio ed ora dice le
    parole tristissime: “Se Dio ci fosse non avrebbe permesso
    questo...”. Un altro è stato ridotto all’indigenza da rovesci
    finanziari. Un tempo egli godeva di tutto il benessere:
    adesso vive di prestiti, e tuttavia vede dei profittatori
    condurre una vita dispendiosa ed allegra. “Se Dio ci
    fosse, non permetterebbe questo”. Un terzo dice di non
    aver mai fatto del male durante la sua vita: onesto, ha
    servito Dio fedelmente... e tuttavia le disgrazie si
    abbattono sopra di lui, colpo su colpo. Un quarto dice:
    “Ho pregato tanto... e non ho mai ottenuto quel che
    domandavo. Ora... non voglio più saperne di Dio”.
    Lamenti che si sentono risuonare continuamente.
    5) Ci sono infine quelli che hanno di Dio una
    conoscenza esatta e gli rendono culto conveniente; che si
    attaccano a Lui con tutta l’anima, che vogliono
    conoscerlo, amarlo e adempiere la Sua volontà. A questi
    127
    ugualmente, sarà utile sentirmi parlare lungamente di
    Dio, e vedermi dipingere la Sua immagine sempre più
    bella nelle loro anime: in pratica far crescere Dio in loro.
    Dio deve ingrandirsi nelle nostre anime? Come può
    accader ciò? Può, e deve accadere. Da giovani abbiamo
    sentito parlare di Dio che tutto ha creato, che di tutto si
    occupa, che castiga e premia. L’immagine di Dio era in
    noi come quella di un vecchio venerando, dal viso
    benevolo e la barba d’argento. Dolci e miti giorni
    dell’infanzia! Poi quando abbiamo incominciato ad
    andare a scuola ed al catechismo, l’immagine di Dio si è
    ingrandita in noi. Dio non è più per noi solo un vecchio
    ed un Giudice severo, ma anche un Padre che ci dà forza
    e ci aiuta, che sta vicino a noi ed in noi con la grazia ed i
    sacramenti, che, se cadiamo in colpa, ci perdona e ci fa
    rialzare; che se la nostra anima ha sete, la disseta. Come
    Dio, è ingrandito nella nostra anima il giorno della prima
    Confessione e della prima Comunione!
    Ma già nel corso di questi anni, altre immagini
    hanno cominciato ad occupare la nostra mente accanto a
    quella del vero Dio. Immagini d’idoli che sono diventati
    sempre più forti, hanno voluto, come l’erba cattiva,
    soffocare l’immagine santa.
    Poi noi abbiamo lasciato la scuola ed il catechismo, e
    ciò che avevamo appreso di Dio, ci accade di
    dimenticarlo, l’immagine del vero Dio si è sempre più
    oscurata, mentre le immagini degli idoli si facevano più
    vive ed esigenti: idoli degli istinti sensuali, del denaro,
    della potenza, del capriccio, dell’infedeltà al dovere. In
    128
    quanti adulti queste cattive erbe hanno soffocato
    l’immagine del vero Dio!
    Bisogna dunque che Dio cresca in noi. Questa
    immagine di Dio deve essere terminata alla nostra morte:
    noi dobbiamo dunque sempre meglio conoscer Dio,
    attaccarci a Lui più ardentemente, aderire sempre di più
    a Lui. Invero, guardate gli uomini che trascurano di fare
    questo. Vedete ciò che Egli é diventato oggi per molti.
    Tre lettere, una parola fredda. Si crede che Dio c’è, si
    confessa che Egli possiede tutti gli attributi in grado
    infinito, ed è tutto. Ma come siamo incapaci a
    rappresentarci, quando pronunciamo la parola Dio, il
    creatore onnipotente del mondo nel quale viviamo, ci
    muoviamo ed esistiamo, e senza il consenso del quale non
    un solo capello della nostra testa cade; come siamo
    incapaci di rappresentarci Colui che conserva l’universo,
    ma che nello stesso tempo é il Padre che ci ama!
    Che cosa è il Cristo per molti di noi? Non dico per
    gli increduli: dico per noi. Un personaggio storico che è
    vissuto duemila anni fa e ci ha detto di averci riscattati,
    Uno il cui insegnamento è predicato nelle nostre Chiese...
    ed è tutto. Ci fu un tempo, in qualche luogo, un Cristo.
    Tuttavia il Cristo è ancor oggi il Dio vivente, nostro
    Redentore, ogni parola del quale, altra volta pronunciata,
    vibra ancora in centinaia di milioni d’anime: è Colui di
    cui io sento l’impronta quando opero il bene, e il dolce e
    luminoso sguardo quando trionfo sulla tentazione, ma di
    cui sento lo sguardo afflitto quando cado nel peccato.
    129
    Ecco ciò che dovrebbe essere. Ma in realtà è così?
    Noi sentiamo questo, ogni volta che passiamo davanti ad
    una chiesa? Ogni volta che facciamo una genuflessione?
    Quando la tentazione ci assedia? Quando i mali della vita
    ci opprimono?
    Io credo in Dio. Ma dietro queste parole c’è un riso,
    ogni volta che le pronunciamo? un senso serio e
    rispettoso? Ah, quante volte ascoltando il nome di Dio
    sulla bocca di un cristiano, se si domandasse: “a chi
    pensi?”, la risposta dovrebbe essere: “a nulla!”.
    Pronunciare il nome divino e non pensare a nulla, quale
    deplorevole leggerezza! E perché così non sia, consacrerò
    i prossimi capitoli a queste due questioni fondamentali:
    C’è un Dio? E che cos’è Dio?
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    Coordin.
    00 09/03/2011 13:03
    * * *
    Fratelli miei, ho sollevato questa questione: che
    pensate voi di Dio? Avete su di Lui delle idee esatte?
    Ha delle idee esatte su Dio chi avanza fermamente
    sulla strada dei suoi comandamenti. Il decalogo comincia
    così: “Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio
    all’infuori di me”. Non crediate che questo avvertimento
    fosse diretto esclusivamente al popolo ebreo, che solo il
    popolo eletto Egli volesse allontanare dagl’idoli e dagli dei
    stranieri.
    Applichiamo questo comando a noi stessi. Come
    l’uomo moderno è esposto ai pericoli degli dei stranieri!
    130
    Prima di tutto si vuole adorare, accanto al Dio vero, il
    denaro, la sensualità, la gloria, l’orgoglio. A poco a poco
    questi idoli guadagnano terreno, per soppiantare alla fine
    il culto del vero Dio.
    Vi ho già detto chi ha di Lui un’idea esatta. Chi
    crede in Lui, non crede che in Lui, non prega che Lui,
    non adora che Lui. Adora Colui per il quale tutto è stato
    fatto, e tutto sussiste. È Lui che io metto al centro della
    mia anima e di tutta la mia vita. Gli rendo omaggio non
    solo dinanzi all’altare del Santo Sacrificio, ma altresì con
    il sacrificio di tutti i miei desideri disordinati, di tutte le
    mie passioni peccaminose. E più vedo che la vita di molti
    uomini moderni non è che un’immensa idolatria, più
    irresistibilmente arde in me la volontà d’essere, almeno da
    parte mia, un figlio obbediente del solo vero Dio. Credo
    in un solo Dio e voglio essere un figlio fedele del Padre
    mio che è nei cieli.
    131
    IX. C’è un Dio? La risposta del mondo
    Il Simbolo degli Apostoli comincia con queste parole:
    “Io credo in Dio”, e non c’è parola umana, frase umana,
    per esprimere una verità più importante e decisiva.
    Credo in Dio. Credo che al di sopra di questo mondo
    esiste un Essere infinito da cui tutte le cose provengono, e
    al quale tutto ritorna.
    Ma credo e basta? E la ragione non mi dice nulla di
    Lui? Non posso, con la mia ragione accostarmi a Lui? È
    sufficiente credere che c’è un Dio, oppure posso
    dimostrare con la mia ragione che Egli esiste?
    Io sono cattolico di nascita, ma non mi contento di
    questa fede posta come un dono sulla mia culla, dopo la
    mia nascita. È vero che non potevo ricevere dono più
    bello, più nobile e più atto a fare la mia felicità e sono
    riconoscente ai miei genitori. Come un raggio di sole
    questa fede ha illuminato tutta la mia infanzia. Ma ora...
    ora che posso riflettere con la mia ragione, devo guardare
    in faccia la grande domanda: La mia fede è vera? Da
    anni il mio cuore fa questa preghiera: Io credo in Dio...
    ma ora la mia ragione dice altresì la sua parola, e grida
    contemplando il mondo: “Mio Dio, esistete Voi
    veramente?” Interrogo le comete, le stelle brillanti, le
    spighe che ondeggiano sotto il vento, gli uccelli che
    cantano, tutto l’immenso universo.
    C’è un Dio? Grido attraverso il mondo e attendo la
    risposta...
    132
    C’è veramente un Dio? Io pronuncerò questa grave
    questione e attenderò la risposta dell’eco: vale a dire la
    risposta dell’universo, del macrocosmo, del microcosmo, e
    poi la risposta dell’uomo. Prima di disporci a cercare
    nell’universo le tracce di Dio però, bisogna esaminare
    rapidamente una questione preliminare: questa intrapresa
    non è per caso ardita?
    È pur vero che alcuni uomini sono dell’avviso di
    lasciare i dogmi religiosi totalmente alla fede ed eliminare
    la ragione da questo campo. “Credo quello che la mia
    fede afferma, ma non riesco a sapere con la mia ragione
    se le cose sono veramente come la stessa dice”,
    sostengono alcuni. Questo ragionamento non mi piace.
    Credo in Dio, ma non voglio credere ciecamente, perché
    sono un uomo ragionevole, non voglio, nella mia fede,
    rinunciare all’uso della ragione. E perché la fede in Dio è
    la base di tutta la mia vita religiosa, io voglio studiare a
    fondo la questione: Credo in Dio, ma su cosa si basa la
    mia fede? Credo perché i miei genitori me lo hanno
    insegnato? Anche per questo: ma per questo solo, non
    sarebbe degno di me il credere. Credo perché la mia
    ragione afferma, ed il mio cuore esige che Dio sia; Credo
    perché l’umanità intera proclama unanimemente:
    “Bisogna che ci sia un Dio”. Ecco dunque la mia
    massima: non solo la fede ma altresì la ragione.
    È vero, io non vedo Dio, non lo posso toccare. Non
    posso quindi dire: “So che c’è Dio”. Che cos’è che io so?
    So che 2 + 2 =4, lo so e non perché lo credo. So che una
    mela intera e più grossa della sua metà, lo so e non
    perché lo credo. Riguardo a Dio, non c’è dimostrazione
    matematica. Ma c’è certezza morale: c’è la conclusione. È
    133
    avvenuto un assassinio... arriva un poliziotto... nessuno ha
    visto l’assassino... ma ci sono delle tracce: impronte
    digitali. Basandosi su queste si trova il colpevole. Non vi
    scandalizzate di questo bizzarro paragone: Dio non è
    visibile, ma ha lasciato delle impronte digitali. Mettiamoci
    dunque ora alla ricerca dell’autore di tutto: alla scoperta
    del Creatore del mondo.
    Riassumo in due frasi le mie idee d’oggi: l’una è una
    constatazione, l’altra una domanda. Come il mondo è
    immensamente grande! Chi ne è il Creatore?
    A. Com’ è grande il mondo!
    Non c'è uomo, salvo un cuore annoiato e un cervello
    vuoto, la cui anima non è assalita da una profonda
    emozione ed invasa dal senso del mistero, quando, in
    qualche bella notte estiva, contempla il cielo stellato.
    Cos’è questo senso del mistero? Alla vista del cielo
    stellato, oggi ancora più che mai, l’uomo sente ciò che il
    grande filosofo greco Aristotele sentiva. Aristotele scrisse:
    “Come colui che dalla vetta del monte Ida, avendo visto
    l’armata dei Greci avanzare con in testa i cavalieri sui
    loro cavalli, i carri di guerra e poi i fanti è costretto a
    pensare che necessariamente qualcuno doveva esserci per
    dirigere quella massa guerriera e comandare la marcia
    delle truppe; come il marinaio alla vista di una nave dalle
    vele tese al vento favorevole pensa che certamente c’è un
    pilota a bordo che la dirige al porto, così coloro che per
    primi hanno alzato lo sguardo al cielo ed hanno visto il
    sole seguire la sua corsa dall’oriente all’occidente e tutta
    la flotta ben ordinata delle stelle, hanno cercato il
    134
    padrone creatore di quest’ordine ammirabile. Sono stati
    obbligati a pensare che non potesse trattarsi di un caso,
    ma che il tutto provenisse da un Essere potente ed
    Eterno”15.
    Tuttavia Aristotele non aveva telescopio e non
    guardava il cielo che ad occhio nudo. Cosa avrebbe detto
    se avesse avuto uno dei moderni telescopi, ed avesse
    saputo, come noi, quanto è grande il mondo?
    a) Come sono grandi gli astri! Urano è 14 volte più
    grande della Terra, Nettuno 17 volte, Saturno 93 e Giove
    1279 volte. E questo è nulla in confronto al sole che è un
    milione e trecento mila volte più grande della Terra, cioè
    la conterrebbe in sé altrettante volte; senza dubbi, ora si
    gioca con i milioni. Ma sapete quale altezza darebbe, per
    esempio, un milione di carte da gioco messe l’una su
    l’altra? più di un chilometro. Provate dunque e
    rappresentatevi un milione di globi terrestri. Se terra e
    luna si mettessero nel sole, lasciando la luna alla stessa
    distanza dalla terra com’è attualmente, entrambe ci si
    muoverebbero, e ci starebbero a loro agio. Ma Sirio è 12
    volte più grande del sole. E vi son corpi celesti ancor più
    grandi di Sirio... Gira la testa dinanzi a tali cifre.
    b) Misuriamo ora le loro distanze. Una machina
    viaggiando a cento chilometri l’ora, impiegherebbe, senza
    soste, 170 anni per arrivare dalla terra al sole. È così
    difficile misurare in chilometri le distanze che
    intercorrono fra gli astri che, per non essere costretti a
    contare con cifre gigantesche, si conta per anni luce. Ora
    135
    15 ARISTOTELE, Sext. Empir. Dogm. III, 2
    la luce percorre 300.000 km il secondo. Un anno luce è
    dunque il cammino che essa percorre in un anno. Con
    una macchina a 60 km l’ora, ci vorrebbe un mese a fare il
    giro dell’equatore. E la luce fa lo stesso tragitto otto volte
    in un secondo. In un anno la luce proveniente dal sole fa
    63.000 volte il tragitto: un anno luce è dunque 63 volte la
    distanza dal sole alla terra. Avete mai visto come la luce
    di certe stelle tremola come se avessero freddo? sono le
    così dette fisse. A quale distanza inimmaginabile deve
    trovarsi da noi la più vicina di queste stelle fisse! La stella
    Alfa del Centauro la cui luce ci arriva alla fine di 4 anni e 4
    mesi, vale a dire la stella fissa più vicina a noi si trova
    260.000 volte più lontana da noi che il sole. Sirio è
    lontana da noi otto anni e mezzo di luce... distanza
    fantastica. E tuttavia come splende ai nostri occhi! Che
    gigantesca stella deve essere! Vega è a 36 anni luce, la
    stella polare a 4o anni e 6 mesi. Sapete tutto ciò cosa
    significa? Vuol dire che se la luce della stella polare
    dovesse di colpo estinguersi, noi vedremmo ancora
    brillare questa stella per 40 anni al suo stesso posto.
    Perseo è a 170 anni luce da noi, e cosa c’è dietro ancora?
    È l’estremo confine del mondo? Niente affatto. Con un
    potente telescopio si scoprono sempre nuove stelle, ma
    esse non brillano che nello strumento. E più in là... ecco
    la via lattea... Milioni di stelle che turbinano in una
    striscia bianca... E dove si trova? A 22.000 anni luce da
    noi.
    E non siamo mai a capo del mondo. Aldilà della via
    lattea con strumenti ultrasensibili, si scoprono ancora
    nuove costellazioni, delle nuvole di stelle... a distanze
    inimmaginabili nuovi mondi sono in formazione. E
    possiamo andare sempre più lontano... fin dove? Chi può
    136
    dirlo? Seliger, con un potente telescopio, aveva misurato
    la distanza di stelle ancora percepibili a 86.000 anni luce.
    E dietro queste stelle ci sono ancora nuove nebulose. La
    luce, che percorre 300.000 km in un secondo e fa in un
    secondo quasi otto volte il giro della terra, impiega
    milioni d’anni per arrivare da là fino a noi... Gli
    astronomi parlano di corpi celesti che si trovano nelle
    costellazioni di Andromeda e del Cane, che sono alla
    distanza di sei milioni e mezzo di anni luce da noi. Se ciò
    è vero, allora ci sono stelle la cui luce non è ancora
    arrivata fino a noi dalla creazione del mondo.
    E così di seguito... Che c’è, più in là, più in là,
    sempre più in là? Nessuno lo sa, salvo uno Solo. L’uomo
    sente che la sua anima è abbagliata dall’idea dell’infinita e
    divina Maestà. Fratelli miei, che cosa può essere questo
    Dio, di cui un solo pensiero ha creato questo mondo
    fulgido di stelle, stabilendo le sue leggi e un’armonia
    inaccessibile all’immaginazione umana? Chi può essere
    Colui che ha posto le rotaie invisibili sulle quali corrono le
    stelle, ed ha consolidato l’asse dell’Universo? Colui al
    quale dà gloria il cielo tutto intero?
    Ora sentiamo la verità di queste parole di Pasteur che
    diceva alla sua ammissione all’Accademia francese: “Che
    c’è dietro il cielo stellato? Un nuovo cielo. Bene. E dietro
    ad esso? Una forza irresistibile impone allo spirito umano
    questa questione, e chiede incessantemente: Che c’è
    dietro? E non serve a nulla rispondere: Dietro c’è lo
    spazio ed il tempo infinito, perché queste parole non
    spiegano niente... Quando tale idea afferra l’uomo, non
    gli resta che cadere in ginocchio”.
    137
    B. Chi ha creato il mondo?
    Ma ecco la domanda: Abbiamo noi diritto di
    concludere che questo mondo gigantesco esige
    necessariamente un Creatore?
    1) Quando si conosce l’ordine ammirabile che regna
    nell’ingranaggio dell’universo, non si può arrivare ad
    altra conclusione.
    a) C’è dell’ordine nel mondo. Gli antichi già
    chiamavano il mondo “Cosmo”, armonia, ordine,
    bellezza, e tuttavia sapevano così poco sulle leggi
    stupefacenti che lo governano; cosa deve pensare l’uomo
    moderno, quando con il telescopio s’immerge e sprofonda
    nell’esame dei milioni d’astri, che obbediscono a leggi
    minuziose? Come non ripetere le parole che la Sacra
    Scrittura applica alla saggezza divina: La sapienza si estende
    vigorosa da un'estremità all'altra e governa a meraviglia l'universo.
    (Sap 8, 1).
    Il mondo è un “cosmo”. Che significa questa parola?
    Beltà e ordine. E qual’è il suo contrario? “Caos”,
    confusone, disordine. L’universo non è un caos, ma un
    kosmos, un reame organizzato sulle strade del quale c’è
    una circolazione straordinaria. Ogni viaggiatore è un
    mondo a parte; immensi corpi celesti circolano con una
    rapidità severamente regolata, descrivendo un’orbita
    determinata in una direzione anch’essa, pure
    determinata. Dov’è l’attore invisibile, che mantiene
    quest’ordine da migliaia d’anni, in modo così preciso che,
    138
    decine d’anni prima, ti può dire di tutti gli astri a quale
    minuto e in quale punto dello spazio si troveranno?
    È appurato che in questo turbine di corpi celesti
    regni un ordine stupefacente; è ciò che un avvenimento
    straordinario ha dimostrato nel 1864. Da molto tempo gli
    astronomi notavano una qualche irregolarità nel
    cammino del pianeta Urano, e non potevano spiegarla, in
    questo gran regno meraviglioso d’ordine senza eccezioni.
    Finalmente uno di loro ebbe il dubbio “se per caso non ci
    fosse stato dietro Urano un altro pianeta, causa di queste
    agitazioni incomprensibili”. L’astronomo francese
    Leverrier si abbandonò a questo compito difficile di
    calcolare minuziosamente il punto dove avrebbe dovuto
    trovarsi questo astro invisibile, basandosi sullo studio delle
    forze che turbavano la corsa d’Urano. Il 23 settembre
    1864, egli indicava all’Osservatorio di Berlino, dove
    bisognava, secondo i suoi calcoli, cercare il perturbatore
    circolante nelle tenebre. La sera dello stesso giorno,
    l’astronomo berlinese Galle, scopriva esattamente al posto
    indicatogli, il nuovo pianeta che ricevette il nome di
    Nettuno. Il mondo scientifico celebrò il trionfo
    dell’intelligenza umana, ed a noi viene spontanea
    l’ammirazione per l’Ordinatore invisibile dei giganteschi
    corpi celesti che circolano, con una rapidità vertiginosa,
    nello spazio.
    b) E noi dobbiamo aggiungere che l’universo non è
    inattivo, ma che in lui regnano un’agitazione e un
    movimento straordinari. Il mondo intero che ci circonda
    non è altro che movimento: gli astri sono in moto nel
    cielo, la vita e in moto sulla terra, dovunque é un fiorire
    incessante d’energie. Il suono, la luce, il calore, il
    139
    magnetismo, l’elettricità, la radioattività... tutto é
    movimento, laboratorio di forze gigantesche: l’energia
    prodotta dal calore produce, a sua volta, movimento, il
    movimento produce l’elettricità, l’elettricità produce luce
    e calore. Tutto si muove e precipita in una corsa continua.
    2) Ed ora domando: Chi ha dato lo stimolo, l’impulso
    a questo movimento? Qual’è il motore primo? Chi ha
    chiamato il mondo all’esistenza?
    Questa domanda, ognuno se la pone inevitabilmente.
    C’è senza dubbio chi si accontenta di guardare il cielo,
    troppo pigri per prendersi la briga di riflettere. Ci sono
    altri che, alla scottante domanda rispondono
    sbrigativamente: “Il mondo viene da sé stesso. Tutto
    accade secondo leggi determinate”. Benissimo. Ma chi ha
    stabilito queste leggi?
    a) Il mondo s'è creato da solo. In altri termini: è
    l’opera del caso.
    Credere che il mondo si è fatto da solo mette la
    ragione umana ad una prova più grande di quella che
    ammette un Dio creatore. Osservate un orologio e
    provate a pensare che s'è fatto da sé. Qualcuno chiedeva
    un giorno al gran filosofo spagnolo Balmes, se si poteva
    dimostrare l’esistenza di Dio. Il filosofo rispose in due
    parole: “Io porto in tasca la prova dell’esistenza di Dio”, e
    vi estrasse il suo orologio.
    Il mondo è opera del caso? Mescolate dunque a caso
    del rosso, del bianco, del verde, del giallo, dell’azzurro,
    del nero, ne uscirà mai una tela del Murillo?
    140
    Il mondo è opera del caso? Mescolate in una
    tipografia le lettere dell’alfabeto e gettatele a terra, ne
    uscirà una sola frase ragionevole?
    La scienza umana penetra sempre più
    profondamente nello studio dell’essenza della materia,
    della costituzione del mondo. Materia primitiva... gas...
    nebulosa... elettroni, ed altre spiegazioni. Ma chi è
    l’Essere onnipotente e superiore che li ha chiamati
    all’esistenza?
    Per ammettere che Dio abbia creato il mondo, c’è
    bisogno, incontestabilmente, della fede: ma per
    ammettere che questo mondo così mirabilmente ordinato
    si è fatto da solo, ci occorre una fede mille volte più
    grande. Mostratemi un’auto, un aeroplano, una lampada
    elettrica, una macchina fotografica che si siano fatti da
    soli. Ora non c’è automobile che valga una cascata
    d’acqua, non c’è aeroplano che valga un piccione
    viaggiatore, non c’è lampada elettrica che valga una
    lucciola, non c’è macchina fotografica che valga l’occhio
    umano.
    A conferma prendete in mano un grano di frumento
    e ammiratelo. È un po’ d’albumina, nient’altro. Ma
    seminatelo: ecco che comincia a germogliare. Tesse un
    tale tessuto che non si può immaginare di produrne uno
    uguale. Cresce. Lo stelo verso l’alto, la radice verso il
    basso. Come fa questa piccola presa di farina a sapere che
    lo stelo deve impregnarsi di luce, e la radice degli umori
    della terra? E che per fare in modo che lo stelo sia forte,
    esso dovrà formare dei nodi a tratti uguali? E le radici
    come sanno la loro funzione? Questo piccolo grano di
    141
    frumento non ha cervello che pensa, né volontà, né
    mano: ma come lavora superbamente!
    Il mondo intero è d’altro canto una vita misteriosa;
    miliardi di piante, animali e uomini. E da dove viene
    questa vita sulla terra, quando sicuramente ci fu un
    tempo in cui la vita non c’era e non avrebbe potuto
    esserci? Fratelli miei, ditelo pure che la logica più rigorosa
    parla a favore della seguente affermazione: Come il ferro
    non si riunisce e si combina da se per fare una magnifica
    Rolls Royce, o il più semplice orologio da tasca, ma ha
    bisogno della cooperazione dell’intelligenza umana, così
    la materia senza vita non potrebbe diventare un essere
    vivente, se un’Intelligenza superiore non le avesse infuso
    la vita.
    b) Si, questa è la sola risposta plausibile alla
    questione: Bisogna che ci sia qualcuno che abbia
    chiamato il mondo alla vita.
    E colui che lo nega, e nega l’esistenza di Dio, è in
    contraddizione con le leggi della logica, radicate nel
    profondo dello spirito umana. “Tutto ha una causa”.
    Questa è una legge di valore generale. E dunque, quando
    cerco la causa del mondo, ho il diritto di rispondere che
    s'è fatto da se stesso? che è un effetto senza causa? Da
    dove vengono questi milioni di mondi? da dove viene la
    vita? da dove viene la meravigliosa cultura dello spirito
    umano? dal caso? “È il risultato di un’evoluzione
    naturale” si afferma. Ma questo è uno schivare la
    questione, non risolverla. La domanda resta: chi è Colui
    che dà l’impulso a questa evoluzione capace di simili
    meraviglie?
    142
    Un aeroplano passa superbamente sopra di me. Con
    qual minuzia è disposto ogni bullone, ogni vite, ogni
    ingranaggio! Solo per tali condizioni di precisione si può
    manovrare con sicurezza. Guardandolo noi pensiamo al
    suo costruttore, che ha fissato con la massima esattezza
    l’ubicazione di ciascuna vite e ciascun pezzo; al suo
    inventore, che ha trascorso giorni e notti a concretizzare
    le sue idee geniali e realizzare il suo ardito progetto.
    Pensate al genio umano che ha concepito e costruito
    l’apparecchio, e lo guida; ma pensate più (e con maggior
    rispetto) Dio infinito che ha concepito e creato l’immensa
    macchina dell’universo e la governa. Con lampante
    chiarezza San Paolo ha detto su Dio: “Le sue perfezioni
    invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate
    e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui
    compiute” (Romani 1, 20). Così come il salmista aveva
    ragione di cantare:
    I cieli narrano la gloria di Dio, l'opera delle sue mani annuncia il
    firmamento. Il giorno al giorno ne affida il racconto e la notte alla
    notte ne trasmette notizia.(Salmo 18, 2-3)
    * * *
    Fratelli miei, ci siamo chiesti: “C’è Dio?”. La
    creazione: “C’è. Bisogna che ci sia”. E quando alla vista
    di questo mondo grandioso, io esclamo: “Credo in Dio”,
    cioè “bisogna che ci sia un Dio”, allora io non sono un
    poeta, ma un filosofo. È vero, io non vedo Dio: ma non
    vedo ugualmente una sola delle leggi della natura, e
    tuttavia ammetto semplicemente la loro esistenza.
    143
    Chi ha mai visto la legge di gravitazione? Eppure noi
    supponiamo e crediamo che esiste: non potremo spiegare
    altrimenti perché la pietra cade verso il suolo.
    Analogamente io domando: Avete mai visto Dio? No. Ma
    credo che Egli esiste, altrimenti non potrei spiegare
    l’esistenza di questo magnifico universo.
    I Magi dicevano del bambino Gesù: “Abbiamo visto
    spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo” (Mt 2, 2) Noi
    diciamo altrettanto di Dio: “Abbiamo visto le stelle, le
    opere della Sua potenza infinita, che ci hanno condotto a
    adorarlo”.
    Fratelli miei, meglio non impiegare parole umane,
    accontentiamoci di curvare la testa e di ripetere con cuore
    fervido le magnifiche parole di San Paolo: Al Re dei secoli,
    incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei
    secoli (1 Tim. 1, 17).
    144
    X. C’è un Dio? La risposta dell’uomo
    Nella precedente capitolo abbiamo gridato al
    mondo, al macrocosmo: “Stelle, corpi celesti, meteore e
    nebulose, mondi che correte a vertiginosa rapidità,
    ditemi, vi siete fatti da voi stessi?” Ed esso ha risposto:
    “Non ci siamo fatti da noi stessi”. Bisogna che ci sia
    Qualcuno al di sopra del mondo, un Creatore; bisogna
    che ci sia un Dio.
    Oggi rivolgiamo la stessa domanda, non più
    all’Universo, ma all’uomo: Uomo, che dici tu? Che dice
    la tua storia? Che dicono i tuoi migliori rappresentanti?
    Che dice la vita di questa terra? C’è un Dio?
    Noi ci mettiamo dunque dinanzi all’uomo, dinanzi
    alla porta di quei miliardi d’anime umane chiamate alla
    vita, ed ascoltiamo ciò che dicono con intensa attenzione.
    E la risposta sarà sempre la stessa: c’è un Dio.
    La fede religiosa dei popoli e un fatto storico attestato
    dall’etnologia: e come il murmure delle acque profonde
    cerca il mare, così sorge dalla storia dell’umanità una
    perpetua e santa inquietudine che cerca Dio.
    Darò tre risposte alla domanda: C’è un Dio? I) La
    riposta dei popoli; II) La risposta dei grandi uomini; III)
    La risposta della vita in sé stessa.
    145
    A. La risposta dei popoli
    1) Per lontano che si rimonti nella storia
    dell’umanità, testimoni le scienze storiche ed
    etnografiche, mai ed in nessun luogo s’incontra una sola
    razza atea, che non abbia avuto idea di Dio e della
    divinità, e che alla divinità non abbia reso un culto
    qualunque. Senza dubbio, l’idea di Dio presso i popoli
    selvaggi e pagani é talvolta spaventosamente deformata, il
    culto della divinità rivela, qui e là, tristi eccessi e
    aberrazioni; ma il fatto fondamentale resta incontestabile
    non c’è mai stato, e non c’è neppure oggi, popolo ateo
    sulla terra. Mi viene in mente un’idea curiosa: Che
    avverrebbe se un ateo si mettesse un giorno in testa di
    non voler più vivere fra i credenti, ma fra un popolo
    avente le sue stesse idee e convinzioni?
    Offriamoci noi come suoi compagni di strada: dove
    lo condurremo? Prima di tutto egli sa che deve andare
    lontano. Mettiamo in Africa. Egli arriva presso i
    Boscimani, gli Ottentotti, i Cafri, gli Zulù... spera di
    essere in buona compagnia. Constata però con spavento
    che quelle popolazioni credono ad un Essere Supremo.
    Lo Zulù afferma che Dio ha tratto l’uomo dalla polvere.
    L’ateo cerca allora le tribù dello Zambesi. Inutilmente,
    poiché gli indigeni, con rispetto levano gli occhi verso il
    cielo, quando pronunciano il nome dell’Essere Supremo.
    Nel Madagascar, i popoli primitivi riconoscono un Dio
    che ricompensa e punisce. Nostro uomo s’imbarca per
    l’Australia ove si trovano i popoli meno civili del mondo.
    Presso i Politesi, trova ad ogni passo un tempio tenuto con
    il massimo rispetto che guai a chi osa violarlo: è
    146
    considerato alla stregua di un criminale. Gli abitanti della
    Malesia costruiscono ai loro dei templi imponenti: e
    anche loro parlano di un Dio supremo. Il nostro ateo si
    rivolge all’Asia. E qui cade bene! Nella regione del Tigri e
    dell’Eufrate, dov’è uscita tutta l’umanità, dove abitavano
    gli antichi Babilonesi ed il popolo è più antico dei Sumeri,
    la terra è piena di rovine di santuari con mattoni coperti
    da una scrittura misteriosa, ove si possono leggere delle
    preghiere come questa: “Tu solo sei grande. Il cielo e la
    terra pubblicano i tuoi comandamenti e gli angeli
    baciano la terra dinanzi a te...”.
    Non ci manca che questa al nostro uomo, che fugge
    più lontano... Ma dove? In America! Ma qui pure non
    trova un popolo che non riconosca un Dio. In Europa?
    Prima dell’era cristiana? I Romani non cominciavano la
    guerra e non concludevano la pace, non promulgavano
    una legge, prima di aver offerto un sacrificio agli dei. In
    Grecia i più grandi filosofi, Platone, Aristotele, Socrate,
    non solo conoscevano gli dei del paganesimo, ma erano
    vicini, per la forza e la luce della loro ragione, a conoscere
    il vero Dio. Ad Atene alzarono un altare in onore del
    “Dio ignoto”. E Plutarco scrive tanto bene: “Voi potrete
    trovare delle città senza mura, senza re, senza case; delle
    città senza teatri né ginnasi. Ma un popolo senza templi,
    senza divinità, senza preghiere e sacrifici, nessuno lo ha
    mai visto, né mai lo vedrà. Credo che si possa piuttosto
    edificare una città senza fondamenta che vederne
    sussistere una senza credenza negli dei”. Quali
    meravigliose parole dalla penna di un pagano!
    Così é, fratelli miei. Nel mondo intero, dovunque
    respiri un essere umano, sotto la tenda del beduino, nel
    147
    rifugio dell’indiano o sotto la capanna dell'eschimese, un
    viso si volge verso il cielo, delle mani si giungono in atto
    di preghiera, delle ginocchia si flettono al suolo. Oggi,
    come ieri e come domani, da quando l’uomo è sulla
    terra. In Egitto 2600 anni prima di Gesù Cristo, fu
    costruita la celebre piramide di Cheophe. E quando si
    scavarono le fondamenta si trovarono le rovine di un
    antico tempio caduto in oblio e del quale non si sapeva
    nulla. Le rovine di un antico tempio dimenticato 2600
    anni prima di Cristo! Quando dunque gli uomini hanno
    cominciato ad avere una religione? Quando e dove?
    quando viveva il primo uomo e là dove egli viveva.
    2) Ed ora, davanti a questo fatto generale, pongo la
    domanda alla quale risponderete voi stessi: Se l’umanità
    intera ha sempre e dovunque pensato così, se ha sempre
    creduto unanimemente ad una potenza invisibile e
    soprannaturale, ciò può essere un’illusione? Può esserci
    illusione là dove l’umanità è unanimemente d’accordo?
    Voi rispondete: “È possibile”. È possibile?... ma
    come? Ebbene, dite voi, così come l’umanità ha creduto,
    per secoli e secoli, che il sole girasse intorno alla terra.
    Ciò è stato sempre e dovunque creduto fino a quando si è
    scoperto l’errore. Del resto, tale obiezione ha il suo valore.
    Ma solo in apparenza poiché se si guarda più da vicino, la
    sua forza sparisce. Se l’umanità ha creduto che il sole
    girasse intorno alla terra immobile, ciò è accaduto perché
    tale era la constatazione dei sensi. Sono dunque i sensi
    che hanno portato l’inganno. Ma l’umanità crede in Dio
    contrariamente ai suoi sensi: noi non vediamo Dio, e
    tuttavia crediamo in Lui. Come questa fede deve essere
    profondamente radicata nell’anima umana, perché
    148
    l’uomo abbia sempre creduto in Dio nonostante i suoi
    sensi!
    La folla delle divinità pagane, le migliaia e migliaia di
    deformazioni sull’idea di Dio che la sviata ragione umana
    si è fabbricato, tutto ciò, per tristi che siano queste
    aberrazioni, è una prova chiarissima del desiderio che
    sgorga dalle profondità dell’anima umana, desiderio che
    San Paolo conferma nelle parole: perché cerchino Dio, se mai,
    tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia
    lontano da ciascuno di noi (At 17, 27). Noi gridiamo verso
    Dio. Testimone l’etnografia, ogni popolo crede ad uno
    Spirito che domina il mondo, e l’ateismo non è che il
    frutto ed il segno di una civiltà in decadenza.
    B. La riposta degli uomini grandi
    Se ora noi passeremo alla testimonianza delle
    personalità più spiccate dell’umanità, il risultato sarà lo
    stesso. I rappresentanti più scelti del genio umano, i più
    grandi filosofi, poeti, uomini di Stato, scienziati, artisti...
    hanno creduto in Dio. Se cominciassi ad enumerarli, non
    finirei più questo sermone. Sulla fede cristiana di
    scienziati naturalisti, sono stati pubblicati dei volumi. Mi
    basterà oggi ricordare che i greci più illustri, i filosofi,
    come Plutarco, Solone, Talete, Pitagora, Platone,
    Aristotele, i più grandi sapienti, pittori, scultori, poeti,
    oratori, hanno reso umilmente omaggio alla Maestà
    divina.
    149
    Copernico, il fondatore della nostra cosmografia
    moderna, fece incidere sulla sua tomba: “Signore, io non
    vi domando la grazia che donaste a San Paolo, né il
    perdono che concedeste a San Pietro, ma la misericordia
    con cui trattaste il ladrone sulla croce”. Kepler, che ha
    sapientemente misurato il corso degli astri, si scopriva il
    capo ogni volta che pronunciava il nome di Dio. Devo
    ricordarvi la fede di Pasteur? Uno scienziato ha
    affermato, a proposito della sua opera, che essa
    sorpassava in valore l’indennità di guerra di cinque
    miliardi, imposta alla Francia, dopo la guerra del 1870.
    Ebbene, dopo aver ricevuto gli ultimi Sacramenti,
    tenendo in mano il crocifisso, egli disse: “È per mezzo dei
    miei studi che sono giunto a credere così fermamente ciò
    che la Chiesa insegna”. Ampère, il grande fisico, sapeva a
    memoria l’Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis,
    ed esclamava spesso: “Come Dio è grande, e come la
    nostra scienza è un nulla!”. Linneo, il grande botanico,
    esclamava osservando l’ordine della natura: “Ho visto
    Dio passar dinanzi a me, e i miei occhi ne sono rimasti
    abbagliati”. Liebig qualificava dilettanti, non scienziati,
    coloro che fanno derivare l’ateismo dalle scienze naturali.
    Ma, a che serve continuare? Guardate la storia
    dell’architettura: i più grandi architetti credevano in Dio.
    Che cosa sarebbe divenuto questo ramo delle belle arti se
    non ci fosse stata in loro la fede in Dio che ha edificato i
    templi! Vedete la storia della pittura: i più grandi pittori
    hanno creduto in Dio; come sarebbero vuoti tutti i musei
    del mondo se la fede non avesse animato gli artisti che
    dipinsero tante immagini sacre!
    Non continuo la mia enumerazione, perché devo
    ancora esporre una terza risposta alla domanda.
    150
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    Coordin.
    00 11/03/2011 23:42
    C. La risposta degli esseri viventi
    Oltre alla testimonianza dei popoli ed alla
    professione di fede dei grandi uomini, c’è ancora sulla
    terra qualche cosa che esige ad alta voce l’esistenza di
    Dio: ed è la vita sulla terra. Il semplice fatto che sulla
    terra ci sono degli esseri viventi: una moltitudine di
    piante, animali ed esseri umani su un pianeta, che fu un
    tempo senza vita.
    La vita! Al centro di un così arduo argomento, a tutti
    i nostri perché, si drizza un misterioso volto velato, un
    santuario nascosto: la questione dell’essenza della vita.
    Che cosa è la vita? Per secoli e secoli ci si è sforzati di
    sollevare questo velo; per secoli e secoli si è indagato e
    discusso: le intelligenze più perspicaci si sono affilate e
    tormentate. Il mistero della vita è ancora oggi circondato
    da un muro incantato. La ragione umana risolverà
    giammai questo enigma? o forse è un mistero toccante
    Dio così da vicino, che l’occhio umano non potrà mai
    penetrare nelle sue sublimi profondità?
    Ecco dunque la questione: che cosa è la vita? e
    nessuno può rispondere, perché la vita è il più grande
    mistero del regno della natura. Una pietruccia giace
    inerte nel mio giardino, la pianto nel terreno (si ride di
    me), ed essa resta ciò che era: una pietruccia senza vita.
    Pianto un piccolo fagiolo, così piccolo, così grigiastro, così
    immobile come un sassolino, ed ecco che in qualche
    giorno esce dal suolo una pianticella e cresce e fiorisce e
    dà frutto.
    151
    Chi può comprendere questo? E se la grandezza ed il
    numero meraviglioso dei corpi celesti ci colpisce
    d’ammirazione, noi siamo egualmente commossi dalle
    migliaia e migliaia di esseri che vivono in una goccia
    d’acqua, e guardandoli al microscopio, non ci si può
    impedire di esclamare come un illustre scienziato: “Deus
    in minimis maximum” “Dio si mostra più grande nelle
    minime cose.”
    Noi non sappiamo cosa sia la vita, e tuttavia la terra
    intera intorno a noi formicola di vite e d’istinti
    meravigliosi che tendono tutti ad uno scopo.
    1) Quale meraviglia l’istinto degli animali! Gli uomini
    non possono spiegarlo: ma è una prova meravigliosa di un
    Creatore che ha dato la vita al mondo intero e lo governa
    con saggezza.
    Se volessi portare degli esempi, non arriverei a
    concludere oggi il mio sermone. Basterà che io citi un
    solo caso. Com’è risaputo, si biasima il cuculo per il fatto
    che deposita le sue uova nel nido di un altro uccello e le fa
    covare da esso. È un tratto antipatico del carattere del
    cuculo, ma solo per chi ignora la causa della sua curiosa
    maniera di agire. Il cuculo stesso la ignora e l’uomo per
    lungo tempo l’ha ignorata. Finalmente la scienza se n’è
    accorta e ha riabilitato il povero uccello. Infatti, il cuculo,
    nel grande regno della natura, è stato incaricato
    dell’ufficio di guardaboschi: perseguita senza pietà i
    bruchi degli alberi che devasterebbero tutta la foresta se il
    loro nemico implacabile, il cuculo, durante le settimane di
    cova, dovesse avere la cura del suo nido; se covasse,
    sarebbe un danno, e così da questo compito è stato
    152
    dispensato. Ma da chi? Gli uccelli hanno aggiustato la
    cosa fra loro? Impossibile. Chi dirige dunque il destino, lo
    scopo, la strada di questo formicolio di vite?
    2) Ora giungo all’enigma più misterioso d’ogni altro:
    la vita umana.
    Talvolta si sente dire: Sì, se la Chiesa Cattolica
    potesse fare che i morti uscissero dalle loro tombe e
    tornassero alla vita, dietro sua preghiera, io crederei. Oh,
    fratelli miei, una cosa più grande della resurrezione dei
    morti è che noi esistiamo e viviamo. Avete mai pensato
    alla sublimità dell’istante in cui il primo uomo è apparso
    sulla terra?
    La terra era prima un informe oceano di fuoco; ogni
    astro non era altro che una fiamma liquida, tutto il
    mondo, una nebulosa. E una goccia di questo oceano di
    fuoco si staccò, e cominciò a raffreddarsi... ed i vulcani
    eruttarono fiamme... e delle montagne si alzarono ad
    altezze di ottomila metri... ed il globo continuò a
    raffreddarsi... e si formarono delle terre e dei mari… la
    terra si coprì di verde, le montagne si abbellirono di
    foreste. Ma alla superficie di questa terra è silenzio di
    morte, non c’è ancora l’uomo ad elevare la sua voce. Ed é
    allora che arriva l’istante, conosciuto da Dio da tutta
    l’eternità, quando appare un nuovo essere, totalmente
    distinto da tutti gli altri, provvisto di una volontà libera,
    capace di entusiasmarsi, amare e parlare, che può levare
    gli occhi verso il cielo e dire al Creatore invisibile: Padre
    mio! È l’apparizione del primo uomo sulla terra.
    153
    Istante di una grandezza commovente! Prodigio più
    grande della resurrezione dei morti. Se un morto
    risuscita, è il ritorno alla vita di uno che già prima
    esisteva. Ma con il primo uomo, è apparso sulla terra
    qualcuno che prima non esisteva.
    Il più degli uomini non ha riflettuto sulla
    complicazione e, nello stesso tempo, sull’estrema unità dei
    loro corpi: il corpo vivente dell’uomo. “L’ufficio” della
    direzione è il cervello, con la sua folla di suddivisioni che
    lavorano per una grande comunità. Un cavo esce
    dall’ufficio “il midollo spinale” che si divide in tutta una
    rete di fili telefonici, il sistema nervoso, che trasmette gli
    ordini della direzione. Le notizie del mondo esteriore
    sono ricevute da due ascoltatori, le due orecchie; le
    immagini dello stesso mondo da due apparecchi
    fotografici, gli occhi, che, senza che noi lo sappiamo,
    risolvono dei problemi straordinari di fotografia: sopra
    una sola lastra essi prendono milioni d’immagini e pure
    immagini a colori.
    In questa grande officina si trovano anche due
    laboratori di chimica, l’odorato ed il gusto; una
    meravigliosa pompa aspirante e premente, il cuore: un
    filtro, i reni; un colorificio centrale funzionante
    perfettamente, gli organi della digestione che
    mantengono costantemente una temperatura di 37
    centigradi; la caldaia, o la stufa di questo riscaldamento
    centrale è alimentata da un mulino, i denti. Dove trovare
    un organo analogo ad una gola umana? Dove trovare il
    ponte sospeso equiparabile, nel suo meccanismo, allo
    scheletro ed al sistema muscolare dell’uomo?
    154
    Il mio cuore batte notte e giorno, sia che ci pensi o
    no. Se io mi faccio una piccola ferita al dito una
    sensazione di dolore l’annuncia a tutto il corpo, ed un
    istante dopo ogni sua parte si mette all’opera per guarire
    la ferita. Ed era così anche migliaia d’anni fa quando non
    eravamo così informati come adesso sulle funzioni
    dell’organismo, e lo stesso accadrà fra migliaia d’anni,
    quando si saranno scoperti nuovi particolari su questo
    misterioso lavoro. Ed ora, io vi domando: Chi ha
    costruito questa macchina, di una perfezione e di
    un’utilità ineguagliabili, che è il corpo umano? Qualcuno
    mi risponde: Si è fatta da sé. Allora ascoltate. C’è, nella
    Cattedrale di Strasburgo un antico orologio
    complicatissimo la cui costruzione risale al Medio Evo.
    Esso racchiude una quantità di ruote, catene, leve, ed
    indica l’anno, le stagioni, i mesi, i giorni, le ore, i minuti,
    e segna i quarti: personaggi d’ogni genere si mostrano ai
    movimenti. Gli stranieri rimangono stupefatti davanti a
    questo orologio e lodano il suo costruttore. Tali riflessioni
    sono ascoltate da una piccola formica che s'è insinuata in
    questa foresta di ruote e dice fra sé: Com’é ingenua la
    gente! Che cosa c’è da meravigliarsi? Dov’è il costruttore?
    Io non l’ho mai visto. Del resto che bisogno c’è di un
    costruttore? Una ruota ne mette in movimento un’altra,
    questa a sua volta ne fa muovere una terza e così di
    seguito, tutto cammina da sé, non c’è costruttore.
    Così ragiona la formica sperduta nel grandioso
    meccanismo dell’orologio di Strasburgo, ma io, vedendo
    la meravigliosa macchina della vita umana, non voglio
    coprirmi di ridicolo con una filosofia così ingenua come
    quella della piccola formica.
    155
    * * *
    Fratelli miei, un celebre moralista e pedagogo tedesco
    ha scritto: “La religione appartiene alle funzioni normali
    della natura umana: la sua assenza significa sempre un
    turbamento nella vita individuale, come nella sociale”16.
    L’incredulità è dunque uno stato d’eccezione, uno stato
    malaticcio della società. Si perde la fede, ma è uno stato
    spirituale così anormale come la perdita della ragione. E
    come i disgraziati ospiti dei manicomi non sono un
    argomento contro la ragione, così, se ci sono degli uomini
    che hanno perso la fede, questa non è una prova che gli
    argomenti pro-fede abbiano torto. Ciò che ogni popolo
    ed ogni uomo normale crede, può essere errore? E ciò
    che affermano i cervelli squilibrati, la negazione
    dell’esistenza di Dio, può essere verità?
    Tutto il passato dell’umanità protesta contro
    l’ateismo. Protestano le innumerevoli fiamme delle aree
    dove bruciano i sacrifici dei popoli pagani, protestano
    gl’inni religiosi delle tavolette babilonesi e ninivite,
    protestano i papiri egiziani ed i templi dell’India,
    protestano i più eletti rappresentanti della scienza e
    dell’arte; infine, protesta la vita.
    Noi abbiamo passato in rivista l’umanità, abbiamo
    capito le affermazioni dei popoli e dei personaggi più
    eminenti: dovunque è l’unanimità della fede in un Essere
    supremo al disopra del mondo.
    156
    16PAULSEN in SCHANZ, Apologia I, 153
    Ma io non voglio uscire dall’umanità. Non voglio
    escludermi dalla società dei migliori. Dalle mie labbra
    sfugge la preghiera che sorge dalle profondità dell’anima
    umana:
    Padre, io grido verso di voi.
    Padre, io credo in voi.
    Padre, io vi adoro.
    157
    XI. Gli atei non hanno alcun motivo di scusa
    Nella sua lettera ai Romani l’apostolo San Paolo,
    condannava severamente coloro che non si danno
    pensiero di Dio.
    Non hanno alcun motivo di scusa (Rom 1, 20) esclama
    l’apostolo, per quelli che, a vergogna della testimonianza
    del mondo intero, non conoscono Dio, dato che, ovunque
    noi riguardiamo, il mondo ci grida nei riguardi di Dio.
    Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose (Rom 11,
    36).
    Invero, dietro tutto ciò che si muove o vive nel
    mondo, si trova un creatore e un motore... e solo il
    meraviglioso meccanismo dell’universo non avrebbe un
    costruttore? Senza fondamento, può esserci una casa?
    Senza orologiaio può esserci un orologio? Senza
    ingegnere, può esserci una macchina? Senza scultore, una
    statua? Nessuno potrebbe osare di sostenere questa
    possibilità. Ma c’è chi osa affermare questa assurdità
    mille volte più grande: Non c’e Dio, ma c’è l’universo,
    questo orologio, questa macchina che funziona così
    meravigliosamente.
    Quando uno scienziato scopre una nuova stella,
    quando si trova in presenza di una legge della natura fino
    allora sconosciuta, la sua scoperta è celebrata con grande
    pompa. Ma non è lui che ha creato la stella, che ha
    stabilito la legge: egli é soltanto colui che ha scoperto la
    loro esistenza. Quindi un Te Deum di meraviglia, di
    158
    riconoscenza e di adorazione dovrebbe uscire dai nostri
    cuori quando pensiamo al Creatore di tutte le cose.
    In verità quelli che disconoscono Dio non sono
    scusabili: senza l’esistenza di un Dio creatore del mondo,
    non si può spiegare questo universo immenso dai colori
    magnifici, questo mondo vivente e agente.
    A. L’esistenza del mondo suppone un creatore?
    1) Un Europeo incredulo faceva un viaggio in Africa,
    ed un mattino vide l’Arabo conduttore della carovana,
    mentre stava facendo la consueta preghiera. Si rivolse a
    lui chiedendogli ironicamente: “Come sai tu che c’è un
    Dio ?”. E l’Arabo gli dette questa magnifica risposta:
    “Quando osservo le sabbie del Sahara, indovino dalle
    tracce se é passato un uomo o un animale, ugualmente,
    quando guardo il mondo, affermo per la vista d’altre
    tracce che un Dio è passato”. Sublime risposta, degna di
    un uomo! Poiché in verità, il telescopio che svela la
    grandezza immensa dei mondi lontani, ed il microscopio
    che ci fa entrare nel regno dello infinitamente piccolo,
    sollevano la grande questione: Chi é il Creatore? Chi é il
    Legislatore? Chi è il Capo, il Padrone? Perchè tutto
    questo?
    La parola “perché” è forse la più umana di tutte le
    parole. Istintivamente viene sulle labbra del più piccolo
    bambino; e questo perpetuo “perché” sulle labbra
    dell’uomo, è il segno più grande della sua intelligenza, il
    segno della sua sete di sapere e del suo desiderio di
    159
    conoscere le cause delle cose. Magnifico tesoro che non
    appartiene che all’uomo: la ricerca delle cause. Noi
    analizziamo, scrutiamo, cerchiamo lontano, sempre più
    lontano di causa in causa, finché non arriviamo alla causa
    ultima, che si chiama Dio. Questa inquietudine che ci
    impedisce di arrestarci alle stazioni intermedie, è radicata
    nella nostra anima. Le ricerche particolareggiate che ora
    si fanno nelle scienze specializzate scoprono cose
    meravigliose nelle magnifiche leggi della natura: ed in
    grazia di esse la saggezza infinita di Dio creatore appare
    sempre più sublime ai nostri occhi.
    “Più profondamente si penetra negli ingranaggi della
    natura, più la maestà divina ingrandisce vittoriosamente
    dinanzi al nostro sguardo”17, scrisse uno scienziato
    naturalista moderno.
    L’astronomo mette un prisma davanti ad un raggio
    di sole e ne decompone i colori: e con questo semplice
    procedimento costruisce grandiose teorie sull’essenza
    della luce, sul suo cammino e perfino sul suo punto
    d’origine; e noi non abbiamo alcuna ragione di mettere in
    dubbio le sue affermazioni.
    Durante una lunga passeggiata in montagna, un
    geologo spiega i differenti strati della immensa catena
    d’alture. “Ma avete potuto penetrarvi?”, osserva
    qualcuno. “Non ho bisogno di far questo”, risponde.
    “Vedete il ruscello che scaturisce dalle profondità del
    suolo: esamino le acque, ed in base alla loro
    composizione, so quali strati attraversa”. Ma la natura
    160
    17 REINCHE, Naturwissenschaft, 1923, pag. 112
    non ci mostra tracce cento volte più numerose, che
    c’indicano infallibilmente la presenza di Dio?
    2) Chi non crede in Dio, fa dunque violenza alla
    propria ragione.
    Si, non è esagerazione, giacché a lato della fede si
    trova la ragione umana, che riflette; ma che cosa c’è dal
    lato dell’incredulità?
    Ditelo voi stessi che cosa e più ragionevole: credere in
    Dio autore della vita, oppure credere che la vita s'è
    formata da sé? Credere in Dio Creatore del mondo, o
    credere che l’universo s’è fatto da solo? Credere in Dio,
    saggio Ordinatore del mondo, oppure credere che
    l’ordine, le leggi e la finalità che esistono nel mondo, sono
    degli effetti senza causa? Preferisco dire con il geologo
    belga d’Amalins: “Ammetto che è difficile, per la nostra
    ragione concepire l’esistenza di un Dio Onnipotente e
    puro spirito, come e difficile ammettere l’atto della
    creazione, ma è molto più difficile concepire l’esistenza
    dell’universo ed il suo ordine ammirabile, se un Essere
    Onnipotente non preesisteva a tutto ciò”.
    Preferisco adottare il ragionamento del Prudhon che
    diceva: è così assurdo attribuire l’ordine dell’universo a
    delle leggi puramente fisiche e perdere di vista Dio suo
    ordinatore, è come attribuire la vittoria di Marengo a
    combinazioni strategiche e perdere di vista Napoleone.
    Ma se la ragione conclude con prove convincenti in
    favore dell’esistenza di Dio, come è possibile che ci siano
    161
    degli uomini che non vogliono curvare la testa innanzi a
    Dio?
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    Coordin.
    00 11/03/2011 23:43
    B. Come accade che ci siano dei negatori
    dell’esistenza di Dio?
    Può negare l’esistenza di Dio solo chi, nel suo
    orgoglio e nella sua temerità, vuol vedere svelatamene
    Dio, chi con la sua debole ragione umana vuol
    comprendere Dio, e non conosce queste bellissime parole
    del poeta Berzsenyi:
    Dio rischiara la nostra esistenza come il sole
    ma i nostri occhi non possono penetrarlo nell’intimo.
    1) Rispondete, fratelli miei: Avete voi il diritto di
    negare ciò che non vedete, ciò che non potete toccare con
    le vostre mani? Fate attenzione: Avete letto mai questo
    passo di Gardonyi: “Colui che crede tutto, io mi
    domando se non è uno sciocco; ma colui che non crede a
    niente, se non a quello che vede con i suoi occhi, io son
    sicuro che è un imbecille”.
    Voi non volete credere che a ciò che vedete.
    Benissimo, voi vedete con i vostri occhi che la terra sta
    ferma ed il sole gli gira intorno, eppure dovete credere il
    contrario. I vostri sensi vi dicono che la terra è immobile
    sotto i vostri piedi, e voi dovete credere ch’essa non é
    immobile, anzi, cammina a velocità vertiginosa. Voi non
    percepite niente di tutto questo, ma lo credete.
    162
    Come si viveva, che cosa si faceva nell’antico Egitto,
    in Babilonia, in Assiria, nel Giappone, in Cina... avete
    visto con i vostri occhi gli avvenimenti che lì sono
    accaduti? Voi non avete neppure visto questi paesi:
    eppure credete a quelli che ve ne parlano. Credete senza
    aver visto. Voi non avete mai visto, voi non conoscete i
    popoli che vivono negli altipiani dell’Asia ma credete a
    Sven, Iledin, o ad altri viaggiatori che ve ne hanno
    parlato. A quante cose crediamo, senza averle viste!
    2) Rispondete a quest’altra domanda: Avete voi il
    diritto di negare ciò che non comprendete, ciò che non
    afferrate con la vostra intelligenza umana?
    In verità, alcuni si dolgono: Io non posso credere. Ci
    sono tanti misteri incomprensibili nella nostra religione.
    Dio per primo. Poi la Santissima Trinità. La Santa
    Eucaristia. Il libero arbitrio e la predestinazione.
    L’Incarnazione. Tutto passa come la foglia che cade
    dall’albero, e pure c’è una vita eterna. È tutto questo che
    non comprendo, è tutto questo che è inammissibile alla
    ragione.
    Sapete che cosa rispondo loro?
    Fratelli miei, perché vi stupite di non comprendere
    bene le cose di Dio, i suoi disegni e di trovare tanti misteri
    nella nostra religione, quando, intorno a noi il mondo
    intero formicola di misteri e non si comprendono
    analogamente migliaia di fenomeni nel mondo della
    materia?
    163
    Ed ancora, lo ripeto, il fatto che Dio non può entrare
    completamente nel mio piccolo cervello limitato, è per
    me una prova della verità della mia fede.
    a) Il mondo intero intorno a noi è pieno di misteri:
    misteri che noi vediamo, che noi sentiamo, che noi
    conosciamo per esperienza, ma che non possiamo
    comprendere, che non siamo capaci di decifrare.
    Devo citarvene qualcuno? Chi sa, per esempio, che
    cosa è il tempo? Tutti credono saperlo, ma chi potrebbe
    dirmelo? Il tempo passa come un fiume e noi vaghiamo
    sulle sue onde, ma nonostante questo, non sappiamo che
    cosa sia. Chi sa quanto dura un secondo? Questione ben
    semplice, pare: “Un secondo è lo spazio di tempo durante
    il quale un treno percorre tre metri”, forse mi rispondete.
    Avete detto qualche cosa. Ma non è la definizione del
    secondo. Si parla del presente, del passato e del futuro:
    ma che cos’è il presente? È un istante inafferrabile,
    giacche l’istante che voi siete riusciti ad afferrare, è già
    passato e quello che non è nelle vostre mani è ancora il
    futuro. Cosa è dunque il presente? Non si capisce. Fra due
    mari di nuvole, fra il passato e l’avvenire, come sul filo di
    un rasoio, si tiene il presente; è qualcosa d’indefinibile ed
    impalpabile che scivola immediatamente dalle mani
    appena volete coglierlo e si getta ininterrottamente da
    una riva all’altra, è ciò che noi chiamiamo il tempo.
    Comprendete? No, voi non comprendete, e peggio
    ancora, vi rompete la testa su questo argomento, e capite
    sempre meno. Ed intanto, nello stesso modo, corre la vita
    quotidiana piena di fenomeni stupefacenti e
    incomprensibili.
    164
    Questo fatto è accaduto un anno fa, nel periodo di
    Natale. Una coppia inglese, marito e moglie, aveva
    venduto la propria casa, giardino, mobili e poi aveva
    lasciato l’antica dimora, ed erano andati ad installarsi in
    una città lontana, Portsmouth. Erano partiti in auto,
    senza portarsi dietro niente, e avevano lasciato perfino il
    loro bulldog al nuovo proprietario. Il bravo cane seguì
    l’auto per un certo tempo, finché cadde sfinito sull’orlo
    della strada. I passanti compiansero il povero animale,
    credendolo moribondo. Un mese più tardi il vecchio
    Black, non avendo più che pelle ed ossa, coperto di fango
    e di polvere, cadeva dinanzi alla porta dei suoi antichi
    padroni. La buona bestia aveva fatto centinaia di
    chilometri, seguendo chissà quale inafferrabile traccia.
    Comprendete questo?
    Un pipistrello era stato privato della vista e lasciato in
    libertà in una stanza ove da un muro all’altro, erano tesi
    dei fili con appesi dei campanelli. Il pipistrello, cieco, volò
    per ore ed ore senza toccare alcun filo, e far risuonare
    alcun campanello. Come mai? Certo per un senso
    specialissimo a noi ignoto, del quale non abbiamo alcuna
    idea. Un altro esempio. Nel Belgio si fa un grande
    allevamento di piccioni viaggiatori. Un giorno si
    spedirono dei piccioni da Brusselle in Spagna, e là si
    tennero chiusi in gabbia per cinque anni. Rimessi in
    libertà, la maggior parte, in qualche ora, era già di
    ritorno presso l’antico proprietario. Come avevano potuto
    ritrovare la strada, dopo cinque anni, trasvolando su
    montagne e vallate?
    Ancora un altro esempio. Una testuggine fu presa
    presso l’Oceano Pacifico, e dopo essere stata
    165
    contrassegnata sul guscio fu collocata nella Manica.
    Pensate alla distanza fra la Manica e l’Oceano Pacifico,
    ebbene, tre anni dopo, si ripescava la stessa testuggine
    nello stesso luogo dove era stata presa. Come v’era
    ritornata? Qual senso l’aveva diretta? Aveva percorso
    4000 leghe nelle profondità oscure dei mari. Noi non
    comprendiamo, eppure il fatto è accertato.
    Dovrò continuare ad enumerare la moltitudine di
    cose che avvengono intorno a noi e che non
    comprendiamo, non afferriamo, non vediamo, e tuttavia
    sussistono ed alle quali crediamo?
    Vi citerò un esempio di tutti i giorni. Nella chimica
    moderna si conta in milionesimi di grammi, ma avete voi
    mai visto la milionesima parte del grammo? Occhio
    umano non può percepire questa quantità estrema. È
    questa una ragione perché non ci sia il “gramma”, vale a
    dire la milionesima parte del grammo? Su una bilancia
    analitica, dopo un duro lavoro di tre quarti d’ora, con
    parecchie misure e calcoli, si perviene a misurarlo
    esattamente. Devo continuare? Per realizzare il color
    violetto l’etere ha bisogno di 758 trilioni di vibrazioni il
    secondo. Voi comprendete questo? Non comprendete, ma
    credete. Ora, per credere questo, vi occorre una fede
    gigantesca! Raffiguratevi che cos’è un trilione: se noi
    mettiamo uno vicino all’altro un trilione di capelli,
    seguendo la loro larghezza (0,1 mm), si otterrebbe una
    linea di 100 mila chilometri, in altre parole un trilione di
    capelli farebbe due volte e mezzo il giro della terra. E le
    vibrazioni dell’etere seno di 758 trilioni al secondo! Per
    crederlo, non occorre avere una fede gigantesca?
    166
    Ecco delle cifre ancora più vertiginose. Il diametro di
    un atomo d’idrogeno è di un decimilionesimo di
    millimetro. La massa dell’atomo d’idrogeno pesa,
    pressappoco, la metà di un quadrilionesimo di grammo.
    La nostra terra pesa circa due quadrilioni di
    chilogrammi: dunque la massa di un atomo d’idrogeno é,
    per rapporto ad un grammo, nella stessa proporzione di
    un chilogrammo alla massa di tutta la terra. Afferrate voi
    questo? E tuttavia è così.
    Più l’uomo impara, più riflette; più fa esperienze sul
    mondo, più è obbligato a dire in molti casi: “non
    comprendo”. Chi comprende tutto, e per il quale non
    esistono problemi, è uno spirito superficiale, e fornisce la
    prova che non ha l’abitudine a riflettere profondamente.
    La conclusione delle nostre riflessioni sarà dunque
    questa: constatiamo che non tutto entra nei nostri piccoli
    cervelli umani, e ci tocca credere a molte cose che non
    comprendiamo.
    b) Ma chi è giunto a fare questa modesta
    constatazione non può essere un ateo. Se le cose sono
    così, se intorno a noi il mondo creato è pieno d’enigmi, se
    nel mondo ci sono tante cose che non comprendo ed alle
    quali credo, non è naturale che non comprenda bene
    delle cose riguardanti il Creatore del mondo: Dio? È
    vero, ci saranno sempre nella nostra fede cose oscure,
    nebulose, incomprensibili; ed è naturale che in Dio
    infinitamente grandioso ci siano delle qualità che non
    posso concepire con la mia ragione stretta e limitata.
    167
    E dirò ancora di più. Dovrei essere inquieto ed aver
    paura, se con la mia ragione limitata comprendessi e
    vedessi senza veli Dio infinito. Non sarebbe più Dio,
    sarebbe una creatura finita: e la mia religione sarebbe
    un’opera umana.
    Voi non comprendete? I Serafini si prostrano
    umilmente dinanzi a Dio tre volte Santo, e voi vorreste
    contemplare Dio perfettamente? Un Dio che potesse aver
    posto nel vostro cervello, sarebbe un essere debole e
    simile a voi.
    Si, sforziamoci di conoscere Dio sempre di più, ma
    che la nostra fede non si spaventi, visto che non potremo
    mai conoscere Dio perfettamente. Chi rifiuta
    gl’insegnamenti della fede, unicamente perché la sua
    intelligenza umana limitata è incapace di comprenderli
    per intero, assomiglia a qualcuno che getta i più bei
    brillanti, perché per esaminarli non dispone che della
    vacillante luce di una candela; o ancora, assomiglia a
    qualcuno che non può calmare la sua sete, solo perché
    incapace di bere l’acqua di interi laghi.
    * * *
    Ed ora fratelli miei, possiamo rispondere alla
    questione se San Paolo ha ragione di dire che non c’e
    scusa per gli atei, usando le parole del grande pensatore
    moderno Emerson: “Ciò che di Dio vedo, mi basta per
    credere a ciò che non vedo”.
    Io sono un uomo moderno, e quindi credo,
    quantunque non comprenda che l’etere è 500 trilioni di
    168
    volte più leggero dell’aria; ma sono allo stesso tempo un
    cristiano e per questo credo che il mondo non si è fatto da
    solo, anche se questo non lo so per vie tangibili. Sono un
    uomo moderno, e per questo credo che l’etere fornisce
    758 trilioni di vibrazioni al secondo per formare il colore
    violetto, per quanto non possa rendermene conto con i
    miei sensi. Ma sono altresì cristiano e credo al Creatore
    del cielo e della terra, quantunque non possa percepirlo
    con i miei sensi.
    Sono un uomo moderno ed è per questo che credo
    che la terra sta ferma e il sole gira, quantunque i miei
    occhi vedano il contrario; ma sono altresì un cristiano, e
    quantunque i miei occhi non me lo dimostrino,
    quantunque la mia ragione non comprenda, mi
    inginocchio dinanzi a Dio, e Lo adoro.
    169
    XII. C’è un Dio?
    La risposta della mia anima: La legge morale
    Nel secolo XVIII viveva un pittore francese, Grenze,
    che seppe rendere nelle sue tele, profonde verità morali.
    Una di queste s’intitola: “La filosofia dormiente”. Una
    donna, vestita riccamente, dorme abbandonata su un
    seggiolone: il suo volto ha un’espressione d’esaurimento
    grande, un’impassibilità assoluta. Cosa l’ha immersa in
    un sonno così pesante? Intorno a lei si vedono libri in
    fogli, globi terrestri ed il necessario per scrivere. Sembra
    che, dopo un lavoro stenuante di ricerche e riflessioni, sia
    stata costretta a chiudere gli occhi affaticati, per riposare
    nell’oscurità senza più niente vedere. “La filosofia
    dormiente”.
    Quale eloquente simbolo, questo lavoro di ricerche
    scientifiche, che s’addormenta in mezzo ad un esame
    particolareggiato e penoso dell’ordine dell’universo,
    cercando nell’oscurità, e non può scorgere la Potenza
    Superiore che dirige il cammino del mondo.
    Tuttavia il desiderio più profondo dell’uomo è
    precisamente quello di scoprire questa Potenza Superiore,
    questo Fine ultimo di tutte le cose. Dentro di noi vive un
    desiderio misterioso di Dio, un’attrazione invincibile, che
    Pascal ha espresso con queste celebri parole: “Noi non
    potremmo cercare Dio, se non l’avessimo già trovato”. Il
    gran pensatore voleva certamente dire con questo che gli
    uomini si possono chiamare “la razza dei cercatori di
    Dio” poiché in ogni intelligenza ed in ogni cuore umano
    si eleva il trono di Dio alzato dalla natura.
    170
    Nelle ultime istruzioni abbiamo seguito due strade
    per la ricerca di Dio. Inizialmente abbiamo chiesto
    all’universo ciò che di Dio diceva. E la risposta è stata la
    giustificazione delle parole della Santa Scrittura: Davvero
    vani per natura tutti gli uomini che vivevano nell'ignoranza di Dio, e
    dai beni visibili non furono capaci di riconoscere colui che è, né,
    esaminandone le opere, riconobbero l'artefice.... Difatti dalla
    grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro
    autore (Sap 13, 1.5).
    In seguito abbiamo domandato all’umanità ciò che la
    storia e la convinzione generale dei popoli dicono di Dio.
    E la risposta è stata la giustificazione alla celebre
    affermazione del Tolstoy: “Come un uccellino caduto dal
    nido, l’anima grida verso Dio”. Abbiamo visto i sacrifici
    dei primi uomini salire verso il Cielo... abbiamo letto sulle
    tavolette di Babilonia e di Ninive le lodi della divinità...
    abbiamo compreso gl’inni dei popoli dell’Oriente...
    abbiamo decifrato i papiri delle piramidi funerarie
    d’Egitto... ed abbiamo constatato che le preghiere di tutti
    i popoli e di tutte le razze proclamavano la fede unanime
    dell’umanità. C’è qualcuno al di sopra di noi: c’è Dio.
    Ma cosa dice l’anima umana sull’esistenza di Dio?
    Questa domanda attende ora una risposta. Più tardi
    esamineremo altresì la vita sociale dell’umanità per
    dedurre la sua testimonianza su Dio.
    171
    A. L’origine dell’ordine morale nel mondo
    1) Sappiamo tutti che l’uomo, in presenza degli
    avvenimenti del mondo, ha l’abitudine di darne un
    giudizio. Gli uomini, si dice, parlano di ciò che accade, ed
    esercitano la loro critica al riguardo. Qualcuno, mentre fa
    il bagno in un fiume, é colto da malore, dalla riva un
    uomo coraggioso si getta immediatamente nell’acqua e lo
    salva. “È una bella azione”, diciamo. Un figlio ha ucciso
    i propri genitori. Noi diciamo indignati: “È un delitto
    spaventevole”.
    Noi troviamo dunque del tutto naturale che ci sia
    una distinzione fra le azioni umane. C’è ciò che noi
    troviamo ben fatto, e quello che troviamo mal fatto.
    Mantenere la parola data è bene; mancare alla parola
    data è male. Essere fedele ad un amico è bene; tradirlo è
    male. Dire la verità è bene; mentire è male.
    Da dove vengono dunque queste leggi morali? Forse
    da me, dall’uomo? Provate a capovolgere i giudizi: ad
    inculcare a qualcuno che la riconoscenza è un male e
    l’ingratitudine un bene. Non vi riuscirete. Queste idee
    non dipendono da me, da noi, ma neppure dal mondo,
    né dal tempo, dal momento che l’ingratitudine sarebbe
    sempre una cosa cattiva, anche se il mondo sparisse.
    Dov’è dunque la misura, la regola fondamentale,
    immutabile, secondo la quale dicono di un atto che è
    buono, e di un altro che è cattivo? Dov’è la norma morale
    obbiettiva, indipendente dalla nostra volontà e dalle
    nostre vite individuali, sulla quale si misurano le azioni
    172
    umane, proprio come si è obbligati a misurare ogni metro
    del mondo intero, sul campione immutabile che si
    conserva con cura a Parigi?
    2) Ora, fratelli miei, quest’ordine morale del mondo,
    depone in favore di Dio, e prova con forza assoluta che
    l’ordine morale ha un autore, che è Dio.
    Fra il bene e il male c’è una distinzione obbiettiva,
    immutabile, perpetua che non dipende né dall’uomo, né
    dal mondo e neanche dal tempo. Bisogna dunque che ci
    sia un Essere eterno, immutabile, al di sopra del mondo
    dal quale sono uscite, e sul quale riposano le leggi
    fondamentali della morale.
    In India, un missionario entrò in conversazione con
    un paria che non sapeva né leggere, né scrivere. Il
    religioso gli domandò: “Se qualcuno ruba il tuo denaro,
    commette peccato?”. “Naturalmente”, rispose il paria. “E
    se qualcuno uccide un altro?”: “Certo, commette
    peccato”. “Allora voi conoscete i comandamenti di Dio.
    Chi ve li ha insegnati?” “Dio”. “Tuttavia Dio non vi ha
    parlato”. Allora il pagano mostrò il suo petto e disse: “Ciò
    è qui dentro”.
    Si, ciò è dentro di noi. Ma chi ha radicato la
    distinzione fra bene e male nel nostro cuore? Chi ha
    radicato in fondo all’anima di ciascuno la coscienza ed il
    rispetto dell’ordine morale?
    3) Ma ecco ancora un’altra curiosa osservazione: Il
    desiderio della riconciliazione nell’anima che ha peccato.
    Peccare é umano, ma devo rimanere nel peccato fino alla
    173
    fine? Non c’è salvezza? Devo rimanere preda
    irrimediabile del rimorso divorante? L’uomo cerca
    qualcuno che lo possa aiutare. Ne sente più il bisogno
    nella miseria morale che non in quella materiale. Questo
    è ciò che prova il pagano quando si prostra dinanzi al suo
    feticcio e rende omaggio ai suoi dei con sacrifici espiatori;
    è ciò che sentiva il salmista, caduto nel peccato, quando
    scriveva: Dal profondo a te grido, o Signore (Sal 130, 1).
    Le strade dell’uomo conducono a Dio; l’anima
    umana ha sete di Dio. L’uomo è creatura religiosa: ciò è
    un fatto storico.
    L’anima umana è, un mare misterioso e profondo e
    se noi tendiamo l’orecchio alle voci di migliaia d’uomini
    che vissero un tempo ed a quelle di migliaia d’uomini che
    vivono ora, percepiamo un mormorio profondo e pieno
    di presentimento, un desiderio, un’inquietudine, un
    bisogno d’infinito, di Dio. L’anima umana che cerca il
    perdono desidera Dio, e tale sentimento è stato messo in
    noi dalla natura che non inganna.
    Si può credere che la natura abbia messo in noi una
    sete, senza il mezzo di soddisfarla? Che abbia svegliato in
    noi la fame, senza il modo di saziarla? Che abbia messo
    in noi il desiderio di Dio, ma un desiderio vuoto, senza
    scopo, insensato, perché Dio non c’è? Ecco ciò che
    l’ordine del mondo dice a favore di Dio.
    4) Rovesciando i valori, si potrebbe anche affermare
    che è Dio che parla a favore della morale. L’esistenza
    della legge morale prova con forza assoluta che Dio c’é,
    ma la tesi inversa vale della stessa condizione: è Dio che
    174
    assicura la forza della legge morale. Lui solo e nessun
    altro. Io sono Dio l'Onnipotente, dice Dio ad Abramo,
    cammina davanti a me e sii integro (Gen 17, 1). Se l’autorità
    divina non vegliasse sulle leggi morali, dove ci sarebbe
    un’autorità di tale forza da imporne all’uomo
    l’osservanza? Lo Stato? La Società? Il bene delle
    generazioni future? E tutte le ragioni analoghe con le
    quali hanno cercato di spiegare le leggi morali, coloro che
    non riconoscono Dio? Tutto ciò s'è dimostrato
    insufficiente.
    Se Dio non c’è, su cosa potrei misurare la bontà delle
    mie azioni?
    Non ci sarebbero buone azioni. Il filosofo Seneca già
    lo riconosceva: “senza filo a piombo non si può
    raddrizzare una curva”18.
    Se non c’è Dio, allora le leggi morali non obbligano,
    e non ci sono sanzioni.
    “Sanzione!” Che parola anomala! Sanzionare una
    legge non vuol dire renderla santa?
    Come rendere santa una cosa, se si nega la sorgente
    d’ogni santità, Dio infinitamente Santo? Se non c’è Dio
    quindi, ogni legge dipende unicamente dall’uomo, ed
    allora avevano ragione i maestri di retorica a dire che
    “l’uomo è la misura di tutto”; dunque per ogni uomo è
    morale ciò che gli fa comodo, che gli piace ed assicura il
    175
    18 SENECA, Epistole I, II.
    suo avanzamento, il suo tornaconto terrestre: se Dio non
    c’è, tutto l’ordine morale è sospeso in aria.
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 11/03/2011 23:45
    B. La forza obbligatoria dell’ordine morale
    Fin qui ci siamo occupati soltanto dell’esistenza di un
    ordine morale indipendente da noi, esistenza che è
    impossibile spiegare senza ammettere un Legislatore
    supremo, Dio. Ora, procederemo più avanti. Tale ordine
    morale ha in più una misteriosa forza obbligatoria.
    L’ordine morale non dispone però di una forza così
    obbligatoria come l’ordine fisico. L’uomo possiede la
    triste facoltà di poter violare le leggi morali, ma le
    conseguenze di questa violazione sono ancora una
    testimonianza eloquente dell’esistenza di un Dio che
    veglia sopra le sue leggi.
    Arago, illustre astronomo, teneva un corso al collegio
    di Francia sulle leggi dell’astronomia. Un giorno disse:
    “La settimana prossima avremo un’eclissi ben visibile da
    Parigi. In quel giorno nell’ora, nel minuto, nel secondo
    che vi dico, tre grandi corpi celesti obbediranno, non ai
    nostri pronostici, ma all’ordine di Dio. Solo gli uomini
    hanno la consuetudine di resistere a Lui!”.
    Sì, l’uomo può resistere alle leggi divine ma non
    senza tristi conseguenze, poiché nell’intimo del nostro
    cuore, noi sentiamo che esiste un ordine morale
    obbiettivo e indipendente da noi, ed ancora che il suo
    comandamento è per noi obbligatorio.
    176
    Questo gran comandamento, il vero imperativo
    categorico è: bisogna fare il bene e se tu non lo fai si alza
    dentro di te la voce della coscienza, il rimorso.
    La voce della coscienza é: una potenza che non
    dipende da noi, che esiste in ciascuno di noi, che non si
    lascia imporre silenzio.
    1) La voce della coscienza e una potenza che non
    dipende da noi. Dopo ogni nostra azione qualcosa parla
    dentro di noi e, sia che lo vogliamo o no, pronunzia un
    giudizio: “hai agito bene”, oppure “hai agito male”; se
    abbiamo agito bene un dolce calore s’impadronisce della
    nostra anima, è la buona coscienza, se abbiamo agito
    male, la cattiva coscienza parla con il rimorso.
    Lo abbiamo sentito in noi e sappiamo che gli altri lo
    provano questo, che ogni violazione della legge divina
    presto o tardi porta con se un castigo; contrariamente,
    ogni volta che ascoltiamo le indicazioni della coscienza
    ammonitrice e saggia, ecco che ci sentiamo più felici e più
    forti. Chi ha fatto esperienza di questo per se o negli altri,
    comprende chiaramente che è necessario un Legislatore
    per vegliare sull’ordine morale.
    2) Ed il sentimento morale è innato in ogni uomo: se
    si attenua in una misura più o meno grande, la colpa é
    ancora dell’uomo; il quale stima tutto ciò, cosa
    naturalissima. Il nostro modo di pensare riposa su
    quest’idea. Il talento artistico non si trova in tutti e,
    nessuno si aspetta di trovarcelo. La scienza ugualmente
    non è di tutti, e nessuno pretende che ogni uomo sia uno
    scienziato, ma ci si aspetta da ogni uomo che non sia uno
    177
    scellerato. E perché? Perché, ripeto, il senso morale è
    innato in ogni uomo, se egli stesso non l’ha ucciso. Io
    sento la responsabilità dei miei atti, e se faccio il bene,
    qualche cosa in me mi rallegra: se faccio il male, qualche
    cosa mi rode, mi tortura, m’inquieta. Questo accade a
    tutti gli uomini: fanciulli, adulti, sapienti ed ignoranti. Il
    fanciullo non ha ancora sentito parlare della coscienza, ed
    essa parla già in lui, si nasconde ai suoi genitori quando
    ha commesso un torto.
    3) E ciò che è ancora più incomprensibile è che non
    si può soffocare totalmente e per sempre la voce della
    coscienza. Tuttavia, quanti ci hanno provato! Quando
    essa parla più forte, cercano di farla tacere con il bere,
    con il divertimento, con il piacere... Ma sempre invano.
    Viene il momento in cui l’ebbrezza si dissipa, il piacere
    cessa, e nel gran silenzio la coscienza inquieta eleva la
    voce.
    Ed allora si vedono realizzarsi le parole della Sacra
    Scrittura: Il malvagio fugge anche se nessuno lo insegue (Prov 28,
    1), ed ancora le parole di San Paolo: I pagani dimostrano
    che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla
    testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che
    ora li accusano ora li difendono (Rom 2, 15). La vita è colma
    di questi casi misteriosi. Lo scrittore greco Plutarco ce ne
    riferisce uno.
    Un certo Bessus aveva ucciso suo padre. Nessuno ne
    seppe nulla ed il delitto non venne in luce, ma, cosa
    curiosa, da quel giorno in poi il parricida non poté più
    udire il canto delle rondini. Gli pareva che ognuno dei
    loro stridi ripetesse: Assassino, assassino. Distrusse tutti i
    178
    nidi di rondine nelle vicinanze della sua abitazione, ma
    non valse a nulla: egli non ritrovò mai più la pace.
    Finalmente si lasciò sfuggire con qualcuno, che quelle
    maledette rondini non finivano di gridare che aveva
    ucciso suo padre. Si ebbero dei sospetti... si fecero delle
    indagini ed il delitto fu scoperto. Ciò accadeva circa
    duemila anni fa.
    In un piccolo paese della Moravia, nel 1859, accadde
    una cosa analoga. Un giorno a Leibnitz scoppiò un
    terribile incendio. Sulle prime nessuno sospettò che si
    trattava di una vendetta. Fu notato solo che uno degli
    abitanti, da quel giorno, evitava tutti e si tratteneva in
    casa, con la porta chiusa a catenaccio. Era l’incendiario
    che vedeva incessantemente gli spettri dei bruciati per
    colpa sua, danzargli dinanzi agli occhi e dirgli, additando
    un albero del suo cortile: “Impiccati là”. Il disgraziato
    abbatté l’albero, ma invano. Fu visto da tutti levar sempre
    le mani al cielo e pregare in ginocchio. Finalmente, si
    presentò alle autorità confessando il suo delitto.
    Adesso fratelli miei vi domando: Quale potenza
    misteriosa dunque, impera nella nostra anima, e da dove
    viene la sua forza terribile? Uno commette un peccato...
    nessuno al mondo lo sa... e tuttavia non può più avere
    pace, qualcosa gli parla, lo minaccia, lo rode, lo tortura.
    Chi dà alla coscienza tanta forza, che, dopo essere
    soffocata dal peso della voluta distrazione e dei piaceri,
    ancora riesce a far salire dalle profondità dell’anima la
    sua voce? Chi giudica i miei atti? Chi ci ha dato
    quest’assoluta legge morale, di cui due cose io so con
    certezza: la prima, che esiste, la seconda, che non dipende
    179
    né da me, né dagli uomini? È necessario che ci sia un
    Legislatore infinitamente santo, la cui volontà costituisce
    questa legge morale, che obbliga le sue creature
    ragionevoli ad osservarla, e se loro non la osservano (e ciò
    è possibile) le punisce.
    Si, la coscienza impone e loda, grida o minaccia: c’è
    un Dio. La buona coscienza canta l’esistenza di Dio; la
    cattiva coscienza usa la Sua esistenza come una minaccia.
    La voce della buona coscienza è un inno di lode: “Tieni
    fermo! Dio ti conosce. Egli vede la tua lotta per il bene.
    Vede come le tue cattive inclinazioni ereditarie ti
    trascinano al peccato, ma tu resterai vincitore nel duro
    combattimento. Non temere: Dio saprà valutare e
    premiare il tuo nobile coraggio”. Sii fedele fino alla morte e ti
    darò la corona della vita (Ap 2, 10). Ecco ciò che canta la
    buona coscienza.
    Ma come la cattiva coscienza è inquieta e teme!
    Ovunque tu sia, non potrai rimanere nascosto dinanzi a
    Dio. Nessuno ha visto i tuoi misfatti, nessuno ha visto i
    tuoi progetti e pensieri abominevoli, ma Dio tutto sa, e
    non lascerà impunita la tua cattiveria. Tu puoi
    commettere del male in segreto: la sua ombra ti si alzerà
    davanti, e ti perseguiterà. Tu puoi fare il bene in segreto:
    il suo fiore fiorirà, e ricadrà sul tuo capo sia pure dopo
    molti anni.
    Se il mondo delle stelle e l’immensa natura restassero
    muti, e non parlassero di Dio, dentro di me, la mia
    coscienza e l’ordine morale griderebbero: Bisogna che ci
    sia un Dio. C’è un Dio.
    180
    * * *
    Che le cose sono come io vi dico, fratelli miei, che
    l’esistenza dell’ordine morale e la voce della coscienza
    rendono altamente testimonianza a favore di Dio, è
    quanto esprime in modo commovente un racconto della
    scrittrice tedesca Ida Schanz. Racconta le vicende di un
    soldato caduto mortalmente ferito sul campo di battaglia.
    Dopo una vita di crudeltà, di disordine e d’empietà, era
    arrivato alle soglie della seconda vita. Ora che la vita gli
    sfugge con il sangue che cola, il suo sguardo atterrito
    guarda lontano... lontano... fino alla porta del cielo. Ma
    ahimè! Tre figure gli sbarrano il passo. Un cane… i1 suo
    vecchio cane che lui ha lasciato morire di fame, soltanto
    per divertirsi delle sofferenze dell’animale morente. Un
    bambino di due anni, che aveva trovato in una capanna
    abbandonata sul campo di battaglia, ed aveva trafitto con
    la sua spada. Una vecchia donna, che lo supplicava di
    non far del male a suo figlio, pronta, se lui voleva, a
    bruciarsi in cambio la mano... ed egli aveva potuto
    guardare crudelmente l’infelice mettere la mano nel
    fuoco... ora, le tre figure sbarravano la porta del cielo
    davanti al morente crudele ed empio.
    Fratelli miei, i miei atti saranno un giorno
    ricompensati o puniti, ma non voglio dimenarmi sul mio
    letto di morte nelle strette della disperazione; non voglio
    che le azioni della mia vita ostruiscano dinanzi a me la
    porta della vita eterna.
    C’è un ordine morale nel mondo, che ha il suo
    Legislatore: Dio. Osservando la legge morale, professo la
    mia fede in Dio che è il Padrone sovrano.
    181
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    Coordin.
    00 14/03/2011 09:05

    XIII. C’è un Dio?
    La risposta della mia anima: L’aspirazione alla
    verità e alla felicità
    Ci sono delle verità che si vedono e si conoscono per
    esperienza e ci sono delle verità alle quali crediamo, senza
    vederle; ci sono delle verità che noi conosciamo soltanto
    per via di conclusione, direi quasi che noi sentiamo con la
    nostra intelligenza ed il nostro cuore. Vediamo e
    sappiamo per esperienza che il vapore può mettere una
    caldaia in movimento. È una “verità d’esperienza”. Noi
    non abbiamo visto Cesare vincere Pompeo a Farsaglia,
    ma noi crediamo alle sorgenti storiche che lo narrano: “è
    una verità storica”. Noi deduciamo con la nostra
    intelligenza che c’è una forza di gravitazione, giacché non
    potremmo altrimenti spiegare perché una pietra cade al
    suolo.
    Ma a quale genere di verità appartiene
    l’affermazione: c’è un Dio? È una verità che noi non
    vediamo, che non sentiamo, ma affermiamo con una
    certezza assoluta, perché la nostra intelligenza ed il nostro
    cuore la garantisce.
    La nostra ragione rende testimonianza a Dio.
    “Dovunque il mio sguardo giro, immenso Iddio ti vedo”:
    ed ogni angolo del mondo canta la lode di Dio creatore. Il
    cielo e la terra, milioni di stelle e miliardi d’insetti, le
    montagne ed i ruscelli... tutto dice alla nostra ragione che
    sopra di noi c’è un Essere onnipotente, che è nostro
    Padrone, nostro Dio. Ed il nostro cuore, la nostra anima
    testimoniano del pari l’esistenza di Dio; testimoniano
    182
    prima di tutto l’esistenza di un ordine morale
    indipendente da noi e di un valore eterno, la cui forza
    obbligatoria non si può spiegare se non s’ammette un
    supremo Legislatore: Dio.
    Ma la testimonianza dell’anima umana non si limita
    a questo. Due santi e misteriosi sentimenti vivono nel
    nostro cuore, e se li considereremo più a fondo, ne
    risulterà una nuova testimonianza a favore della nostra
    tesi.
    A) L’uomo aspira alla verità, ma in Dio solo trova
    verità completa.
    B) L’uomo desidera la felicità, ma non la trova
    perfetta che in Dio.
    A. La verità completa
    1) Facciamo precedere qualche considerazione
    filosofica.
    Sappiamo tutti che ci sono delle verità fondamentali
    la cui realtà risulta evidente, e delle quali si può dire che
    sono più chiare della luce del sole e servono di base a
    tutto il pensiero umano.
    Tali verità sono indipendenti da noi, e non possiamo
    cambiarvi nulla. Non solo non può farlo l’individuo, ma
    neppure l’umanità. Così, per esempio: Il tutto è più
    grande della parte, il nulla non produce nulla. Non c’è
    effetto senza causa. Invano un autorevolissimo
    183
    Parlamento potrebbe promulgare una legge per decretare
    che da quel momento in poi la parte è più grande del
    tutto. Ciò non potrebbe cambiare la realtà. E quando
    l’uomo non esisteva ancora sulla terra, tali verità erano
    già in vigore, e là dove attualmente non c’è ancora uomo,
    esse sono in vigore. Si tratta di verità eterne, che non
    dipendono dall’uomo.
    Ma da chi dipendono? Dall’universo? Certamente
    no, poiché queste verità resteranno tali anche quando il
    sole, la luna ed il mondo intero saranno scomparsi. Molti
    scienziati lavorano allo studio delle leggi della natura, e
    classificano sistematicamente le leggi che reggono
    l’universo: ma non sono loro che hanno creato le leggi.
    Queste non vengono dallo studio e dalla ragione umana.
    La ragione umana constata soltanto lo stato delle cose.
    Non c’è che una risposta possibile; bisogna che ci sia
    qualcuno al di sopra degli uomini, del mondo, dello
    spazio e del tempo, dal quale provengono e dipendono
    tali verità, bisogna che in qualche parte ci sia una
    sorgente di verità, una verità eterna: Dio.
    2) Noi non dobbiamo far altro che entrare nella
    strada che conduce alla verità, e camminarvi
    instancabilmente, anche se questo deve durare anni e
    anni: e quando saremo arrivati alla sorgente della verità,
    incontreremo Dio. Anche se il cammino dovesse durare
    venticinque anni! Dico venticinque perché un gran
    convertito, Chesterton, per venticinque anni ha cercato
    questa verità. E finalmente l’ha trovata.
    184
    E devo dirvi in quale curioso modo l’ha trovata? Da
    venticinque anni il geniale scrittore G. K. Chesterton
    capeggiava la lotta contro la religione cattolica. Come
    scrisse egli stesso, era un affiliato alle teorie atee che
    l’ultimo secolo ci aveva tramandato, e si era messo in
    cammino per trovare la verità. Egli esaminò a fondi tutti
    gl’idoli dell’età moderna. Cominciò dalla ragione. Studiò
    i razionalisti più vicini a lui che non credevano ad altro
    che a sé stessi. E scoprì che l’uomo non può vivere
    unicamente della ragione; che sono colpiti di malattia
    mentale non solo quelli che hanno perduto la ragione, ma
    quelli che hanno perduto tutto, salvo la ragione. Notò che
    quelli il cui cuore è duro come una pietra, finiscono con
    un rammollimento cerebrale. La prima scoperta dello
    scrittore fu dunque questa: a lato di ciascun peso bisogna
    mettere un contrappeso, il cuore a lato della ragione.
    Dopo la ragione egli esaminò il cuore dell’uomo
    moderno e la sua morale; dopo la morale, le grandi
    parole d’evoluzione e di progresso e, quando finalmente
    egli esaurì gli argomenti propostisi, gli venne per la prima
    volta l’idea: “Forse la religione cattolica è stata
    condannata a torto, perché se questa fede si combatte con
    argomenti così contraddittori, bisogna che sia cosa ben
    straordinaria. È pur vero che esiste da diciannove secoli, e
    secondo i suoi nemici, sarebbe falsa in ogni suo punto. È
    dunque un gran miracolo che possa sussistere. E piano
    piano, il nostro scrittore con la ricerca della verità,
    continuando a riflettere, giunse alle porte della verità
    cristiana. Cominciò ad esaminare gli argomenti presentati
    contro il cristianesimo e gli uomini che li utilizzavano, e
    con sua gran sorpresa scoprì che in ogni accusa ed in ogni
    accusatore c’erano tracce di malattia, decadenza o
    185
    anormalità. Continuò le sue riflessioni: “Immagino di
    conoscere un uomo sul quale mi si riferiscono le cose più
    contraddittorie. I giganti dicono che è un nano, ed i
    piccoli dicono che è un gigante. I grossi lo trovano magro,
    ed i magri troppo grosso. Per i biondi svedesi è un negro,
    e per i negri è un biondo. E la causa di ciò? È certo che
    quest’uomo singolare è normalissimo, e che sono
    anormali coloro che trovano in lui qualche cosa da
    ridire”.
    E così, fratelli miei, quel grande scrittore giunse con
    questo metodo forse un po’ curioso, alla Chiesa Cattolica,
    e vi entrò con la sua sposa; e dall’allora, ripetete in
    ginocchio: Mio Signore e mio Dio!
    Ecco come l’anima che cerca la verità, arriva alla
    sorgente della verità. Verità... verità... quali reclute tu fai
    per la fede in Dio!
    B. La perfetta felicità
    L’anima umana non solo cerca la verità ma nella
    stessa misura: 1) la felicità; 2) quella felicità che trova solo
    in Dio.
    1) L’uomo cerca la felicità
    a) L’uccello deve volare, il pesce nuotare e così
    l’uomo corre dietro la felicità!
    186
    In questa vita però nessuno può essere pienamente
    felice. Io non esagero, fratelli miei: nessuno.
    C’è chi pensa che il denaro possa fare la felicità, e si
    butta anima e corpo a dargli la caccia; chi crede invece
    che sia la gloria, la reputazione a darla e non pensa altro
    che a conseguirle. C’è chi cerca la felicità nella scienza,
    chi nella potenza, chi nel piacere, e tutti, a modo loro, si
    sforzano di procurarsela. Qualcuno forse dirà: “Ma il
    denaro rende veramente felici”. Risponderò con un
    nome: Ford. Chi non conosce il nome di quest’uomo, uno
    fra i più ricchi del mondo? E avete anche letto ciò che ha
    scritto della sua ricchezza? “La ricchezza eccessiva rende
    inquieti e malcontenti”19. Ecco ciò che dice un uomo
    d’affari, e certamente merita credito.
    “Ma i piaceri, le distrazioni, i divertimenti rendono
    certamente felici”, pensa qualcun altro. Esaminiamo
    allora il gaudente. È forse felice? Ogni giorno dopo
    pranzo va al cinema, poi cena ed esce per il teatro... A
    notte inoltrata lo troviamo nei bar, nelle sale da ballo... in
    luoghi biasimevoli. Così le sue giornate si chiudono nel
    disgusto, nella nausea, nella noia, nella fredda solitudine
    dell’anima.
    Jörgensen ieri era uno scrittore che “viveva la vita,
    incredulo, darvinista e decadente”. Provò tutte le gioie
    della vita, e le trovò insufficienti e ingannatrici. “Tutto è
    retorica e doratura”, scrisse “una vernice poetica sul volto
    avvizzito del peccato”. E dopo tante malsane esperienze,
    arrivò a questa riflessione: “L’uomo vuole essere felice. Lo
    187
    19 HENRY FORD, America, 1929, N. di Agosto 1929
    vuole. Bisogna che lo sia. La natura ha scritto in noi
    questa volontà. Anch’io ho voluto essere felice. Mi sono
    liberato da tutte le leggi morali, ma la felicità non l’ho
    trovata. Allora pensai ciò che lbsen aveva detto: non può
    farci felici che la menzogna”.
    “La misura era colma”, continua Jörgensen:
    “nessuno al mondo ha visto che una qualunque creatura
    abbia bisogno della menzogna per poter vivere. Ogni
    pianta, ogni animale, tutto ciò che vive, vive di verità, ed
    è felice solo per la forza della verità. Se nel più piccolo
    degli animali ci fosse un solo istinto che gli facesse cercare
    una cosa che non esiste, quell’animale sarebbe votato alla
    morte. Solo l’uomo avrebbe necessità della menzogna per
    poter vivere? No, non lo credo” esclamò Jörgensen. E
    cercò la felicità fino a quando non la trovò. La trovò
    presso Dio, per molto tempo negato, misconosciuto,
    abbandonato. In seguito divenne un cattolico, ed un
    cattolico innamorato di San Francesco. Ecco come il
    desiderio della felicità recluta amici a Dio.
    b) Ma continuiamo la nostra idea. Tutti sono nati per
    la felicità e vogliono essere felici. Mi guardo attorno e
    guardo lontano, e ahimè! Che spettacolo terribile mi si
    presenta davanti! Lo spettacolo terrificante della
    rettitudine perseguitata e del peccato trionfante. Ah! la
    vita è crudele e piena di dissonanze. Colma di dolori, di
    sofferenze, di privazioni, che spesso colpiscono proprio i
    migliori. I migliori, perché la loro onestà e le loro
    convinzioni morali li distolgono dalle disonestà che non
    permettono d’avanzare che alle coscienze elastiche.
    188
    Davanti a queste ingiustizie dalla voce acuta, non ci
    sono che due uscite. Una è il pessimismo desolante, lo
    sconforto che conduce al suicidio. “Le cose sono così, e
    così resteranno perché tutto il mondo è cattivo”. L’altra
    uscita, l’unica, è la soluzione appurata “C’e un Dio che
    ha promulgato la legge, e non osserva inattivo alla sua
    trasgressione. C’è un Dio che, dopo le numerose
    sofferenze ingiustificate dei combattimenti terrestri,
    attende l’eroe vittorioso con queste parole: Io sono il tuo
    scudo; la tua ricompensa sarà molto grande (Gen 15, 1).
    Ma questo, solo se c'è un Dio.
    Quali enigmi angosciosi, quali domande strazianti
    assalgono le anime, anche le migliori, anche le più
    religiose! Ci sono delle ore in cui l’ombra del dubbio
    sorge pauroso davanti ai nostri occhi: Perché il mondo
    esiste? Da dove viene e dove va? Di certo allora non c’è
    altra risposta: bisogna che uno scopo ci sia, ed è Dio, che
    è il principio e la fine di tutto.
    Ci sono anche altri dubbi. Quante ingiustizie, quante
    rinunce, sofferenze e violenze!
    E la risposta è: ognuno avrà il suo avere al cospetto di
    Dio. E la mia solitudine spirituale, l’assenza di pace, la
    coscienza dei miei peccati! La risposta è: Tutto si
    aggiusterà davanti a Dio. È vero che la sofferenza, la
    miseria, la sfortuna, l’intera vita umana sono dei grandi
    misteri... e la sola soluzione di questo grande mistero è
    Dio.
    189
    c) Ed ora tiriamo la conclusione. L’uomo vuole essere
    felice, ma sulla terra non può trovare felicità.
    Non è solo la Sacra Scrittura che proclama: vanità
    delle vanità: tutto è vanità (Qo 1, 2), ma ancora fra i Greci,
    Sofocle, noto per la sua esaltazione della gioia di vivere,
    nell’Edipo fa cantare il coro così: “Il meglio, non è
    nascere: ma morire dopo essere nato”.
    Questo accento di rassegnazione malinconica, è una
    prova clamorosa che il mondo è incapace di dare
    all’uomo una felicità perfetta e pacifica, ma è altresì una
    prova dell’esattezza dell’affermazione di Dante: “In Dio
    solo si può trovare il dolce frutto che si cerca invano su
    tanti alberi e rami”.
    Infatti il mondo promette molto, ma poi non
    mantiene la parola. Dipinge davanti a noi le immagini
    della gioia ma poi restiamo sempre delusi dalle sue
    promesse ingannevoli e fallaci. E la delusione è il solo
    vero tesoro che il mondo può dare, visto che almeno
    questa dirige la nostra anima assetata di gioia verso
    l’unica sorgente della gioia duratura, Dio. È in Dio che si
    trova la felicità; poiché Dio non ha bisogno di nessuno,
    mentre tutti noi abbiamo bisogno di Lui, ed é in Lui, che
    un giorno, la nostra anima che aspira alla felicità, troverà
    la realizzazione di tutti i suoi desideri.
    Dove altrimenti l’uomo troverebbe la felicità
    perfetta?
    Dove trovare la felicità? In nessun luogo. Ecco la
    tragicità del nostro destino. In fondo alla nostra anima
    190
    arde il desiderio inesauribile di una vita più felice, ma è
    un’immagine fittizia, un miraggio, un’aspirazione che non
    sarà mai appagata. C’è chi pensa così, e noi non abbiamo
    il diritto di passare oltre senza rispondere a simili penosi
    lamenti.
    Si, fratelli miei, sarebbe terribile, se realmente le cose
    fossero così, se non avesse fondamento la mia convinzione
    che mi fa uscire dalla materia; la mia aspirazione ad una
    felicità perfetta.
    Io navigo sul mare. Venite a me, fratelli miei. Voi che
    disperate, mettetevi accanto a me sul ponte della nave.
    Come le onde si sollevano maestosamente intorno a noi!
    E che spettacolo grandioso! Non dimentichiamolo. Tutto
    il mare, tutte le onde sono costituite da miliardi di gocce
    d’acqua che si mescolano le une alle altre, e di cui
    l’oceano ignora la grandezza e la bellezza. L’oceano non
    lo sa, ma io lo so. Io sono dunque più dell’oceano.
    Sopra il nostro capo si spiega il cielo stellato, con i
    suoi astri numerosissimi. Quale dolce e poetica
    commozione si desta in me!... ma soltanto in me. Perché il
    cielo non è che un complesso di corpi luminosi, roteanti
    l’uno accanto all’altro, senza conoscersi fra di essi, che
    non sanno nulla della loro bellezza, della loro perfezione;
    ma io lo so. Io sono dunque più del cielo stellato.
    Il mondo che mi circonda è magnifico, ma è soltanto
    materia. È magnifico fin nei minimi particolari, ma non
    sono altro che materia. Si compone di milioni di
    molecole, atomi, elettroni, ma questi elementi non sanno
    nulla gli uni degli altri. Tu solo, uomo, puoi riflettere su te
    191
    stesso e conoscerti. Tu sai che, nonostante la tua
    piccolezza, puoi sprigionare dal tuo intimo qualcosa che
    abbraccia gli astri e misura l’oceano. E perché tu
    soltanto? Perché non sei soltanto materia come il cielo, gli
    astri, il mare, ma qualcosa di immateriale riunisce gli
    atomi del tuo corpo e li anima. E la cosa per la quale ti
    conosci e nello stesso tempo può percorrere il mondo con
    un colpo d’ala, la cosa a cui tu domandi consiglio e parli e
    nel segreto della quale nessuno può entrare se tu non lo
    permetti, non è materia. È incomparabilmente più e più
    alta della materia: tu solo puoi dominarla.
    Non è strano fratelli miei, che i miei occhi,
    qualunque sia l’attrazione esercitata su di essi dalla terra,
    si volgano sempre al cielo, non è strano che i nostri
    sguardi frughino sempre le altezze, perché sentiamo di
    essere qualcosa di più del mondo intero, sentiamo che,
    dopo questa vita terrestre, diventeremo cittadini di un
    regno migliore. Potrei quasi dire che l’uomo cerca
    istintivamente il Dio capace di dare la felicità, che noi
    abbiamo un’inclinazione naturale che ci porta verso il
    Dio datore d’ogni gioia.
    Ora, direte voi, che il desiderio della felicità deposto
    in noi dalla natura è senza scopo, senza oggetto, che in
    nessuna parte trova la sua realizzazione?
    È ciò che io non credo. Non lo credo, perché la
    natura non si trastulla con noi, e, quando ci mette in
    cuore un desiderio, ce ne assicura la realizzazione.
    Almeno noi vediamo compiersi questo, dovunque;
    saremo delusi solamente in questo caso? La natura ci ha
    192
    dato gli occhi, ma altresì ci ha dato la luce; ci ha dato le
    orecchie, ed altresì delle melodie; ingannerebbe soltanto
    quando ci dà altra sete, la sete della felicità e non la
    felicita?
    La natura ha creato il leone, ma ha anche creato per
    lui la carne della gazzella, ha creato l’aquila, ma ha
    creato anche la roccia per il suo nido; nell’eventualità in
    cui nel mondo non vi fossero che erbe o topaie, la natura
    non avrebbe creato né il leone, né l’aquila. Ora, la natura
    avrebbe fatto un’eccezione unicamente per l’uomo?
    Avrebbe messo solamente in noi il desiderio della felicità
    perfetta, per non darci che delle sue misere contraffazioni
    e le vanità della terra? No. Se una creatura vivente
    arrivasse da Marte volando, noi arriveremmo alla
    conclusione che in Marte c'è la possibilità di volare.
    Analogamente, quando nella nostra anima sentiamo
    spiegarsi le ali che la rapiscono alle altezze, dobbiamo
    ammettere che certamente c’è un Dio infinito verso il
    quale le ali vogliono sollevare l’uomo.
    Accostando all’orecchio una conchiglia marina, si
    ode un mormorio confuso. Si dice che è il rumore delle
    onde, dalle quali la conchiglia nasce. Parimenti quando si
    ascoltano le voci del profondo, della nostra anima; pare
    ne esali un misterioso sospiro, un desiderio segreto. È la
    voce di Dio infinito, dal Quale la nostra anima è uscita,
    ed al Quale desidera tornare.
    * * *
    Fratelli miei, la prima risposta del catechismo, pone
    l’uomo davanti al problema più angoscioso: Perché siamo
    193
    in questo mondo? L’incredulità ha una risposta
    soddisfacente e confortante, dalla quale irraggiano la
    forza di vivere e l’energia dell’azione?
    Intorno a noi tutto passa e precipita alla rovina: la
    foglia appassisce, l’animale muore, l’uomo muore, il sole
    si raffredda. E questo ultimo istante inesorabile e
    distruttore insinua nelle nostre anime la domanda: Perché
    tutto ciò?
    Perché vivo? Perché l’umanità è vissuta? Perché tante
    sofferenze, lacrime, dolori, preoccupazioni? Ecco la
    terribile domanda alla quale l’incredulità non può
    rispondere. Vedete la risposta degli antichi savi, e vedete
    quella dei filosofi moderni: bancarotta totale, fallimento
    totale dell’incredulità.
    Io vi domando dunque di scegliere: o credo che c’è
    un Dio, o credo che non ci sia; o credo che c’è un altro
    mondo, o credo che tutto finisce con la morte. O credo
    che c’è una felicità eterna, o credo che il desiderio della
    felicità è in noi un istinto cieco e senza scopo. Bisogna
    scegliere: e che scegliete voi? Il mattino lieto di sole, o la
    notte senza stelle? Il calore che dà vita, o il freddo che dà
    morte?
    Io, per mio conto, ho già scelto.
    Io credo perché... perché non voglio impazzire.
    Credo, perché non posso ammettere che ci sia un
    principio senza una fine, un viaggio senza meta.
    194
    Credo perché non posso pensare che ci sia una
    gemma senza fiore e frutto, un desiderio senza
    realizzazione.
    In me vive il desiderio della felicità, e credo che sarà
    appagato nel regno di Dio infinitamente buono che mi
    accorderà ciò a cui aspiro.
    195
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    00 14/03/2011 09:07

    XIV. C’è un Dio?
    La risposta dell’umanità
    Un periodico settimanale straniero, tempo fa,
    riportava una notizia caratteristica dell’Unione Sovietica.
    In sé la cosa sembra senza importanza, ma se la ricordo
    qui, è perché comprende il concetto fondamentale che
    intendo ora esporre.
    E assai conosciuta l’opera diabolica che i sovietici
    compirono, specie nella persecuzione religiosa in Russia.
    Dopo che il disgraziato popolo russo perse tranquillità,
    pane e beni, si tentò di rubare il suo ultimo tesoro: la fede.
    La guerra contro Dio incalzò con furore infernale. Si
    arrivò, addirittura, a editare un “Indice” speciale,
    catalogo di libri proibiti. E sapete quali furono i tre libri
    in testa a tutti gli altri, e considerati quindi come i più
    pericolosi per l’umanità?: Il Vangelo, il Corano e il
    Talmud.
    Gruppi di propagandisti percorrevano il paese e
    predicano l’ateismo più grossolano. Chi voleva vivere,
    mangiare, chi aspirava ad un posto, doveva rinnegare
    Dio. È uno di questi casi che il settimanale in questione
    evocava. Un giovane comunista subisce un esame sulla
    maturità politica:
    - Cos’é Dio? Gli domanda il presidente.
    - Dio non è altro che una storia, risponde il ragazzo.
    - Bene. Cos’è la religione?
    196
    - La religione e l’oppio dei popoli.
    - Bene. A cosa serve la Chiesa?
    - A sfruttare i poveri.
    - Benissimo. Tu hai risposto bene.
    - Grazie, mio Dio! Esclama con gioia il giovane,
    facendo tre volte il segno della croce.
    Tale è il racconto del giornale che racchiude, fratelli
    miei, il tema che ora voglio trattare. Come deve essere
    vera la fede in Dio, perché la tirannia più brutale non
    possa strapparla dall’uomo! Per avere del pane, per poter
    respirare, per avere il diritto di vivere, quel ragazzo è
    obbligato a mentire: “Dio non c’è”; ma appena è lasciato
    a sé stesso, rivolge istintivamente il pensiero al Signore ed
    esclama: “Grazie, o mio Dio”.
    Bisogna che ci sia un Dio, perché noi non potremmo
    altrimenti spiegare come l’umanità senta la Sua assenza,
    al punto da non poterla assolutamente sopportare.
    Cerchiamo quindi di spiegare oggi queste due idee:
    A. L’umanità sente l’assenza di Dio
    Io credo che sulla terra non esiste un solo uomo che
    sia soddisfatto dello stato attuale del mondo. Tutti
    proclamano che bisogna aspettare tempi migliori visto
    197
    che oggi, l’umanità è in preda ad un male fondamentale
    ed essenziale.
    Di cosa dunque noi soffriamo? Le opinioni divergono
    fortemente già su questa prima constatazione. Qualcuno
    attribuisce il malessere attuale al fatto che la ricchezza
    non è più ripartita equamente fra gli uomini, altri al
    disprezzo vicendevole che le classi sociali hanno fra loro,
    chi alla negligenza degli Stati nei riguardi dei loro soggetti
    a l t r i a n c o r a a l l a n e g l i g e n z a d e i c i t t a d i n i
    nell’adempimento dei loro doveri. Gli operai si
    lamentano dei capitalisti, i capitalisti degli operai. I vecchi
    deplorano i giovani, i giovani, il loro educatore.
    A tutte queste recriminazioni non si può rispondere
    che una cosa sola: il male più grande non sta qui. Le
    lamentele su esposte non sono altro che il segno, il
    sintomo della vera malattia, non la malattia in sé stessa.
    Questa, infatti, si trova nel fatto che il pensiero dell’uomo
    e la sua vita si sono distolti da Dio; l’umanità strappata
    dal suo suolo vitale, non trova più pace né riposo.
    Mi pare che questa mia affermazione abbia un’aria,
    come dire, troppo teologica. Cerchiamo quindi di
    analizzarla più a fondo, per vedere se la cosa sta
    veramente così come dico.
    1) Affermo dunque che la nostra prima
    insoddisfazione è data dal fatto che il nostro pensiero si è
    allontanato da Dio.
    a) Da quando l’uomo vive sulla terra, mai come
    adesso, ha prodotto tanto lavoro intellettuale. Quanti libri
    198
    si pubblicano, quante riviste, quante scuole si aprono e
    fioriscono, quanti laboratori, musei, biblioteche! Le
    scoperte si susseguono le une alle altre, un’ipotesi ne
    scaccia un’altra, ed una teoria prende il primato sulle
    precedenti; tuttavia, cosa vediamo continuamente? che
    questo lavoro febbrile non produce alcun beneficio per
    l’umanità. Oggi noi sappiamo cento volte più cose dei
    nostri predecessori di cinquant’anni fa, ma siamo più
    felici di loro? Più nervosi sì, questo è indubbio: più
    inquieti, è altrettanto certo. Ma noi siamo più lieti, più
    felici di vivere, più energici? Chi oserebbe rispondere
    affermativamente?
    b) Ma se la nostra scienza immensamente accresciuta
    non ci rende più felici, dobbiamo arrivare alla
    conclusione che la scienza in sé stessa non è alimento
    sufficiente all’anima umana. Se l’uomo non avesse altro
    che lo stomaco, lo soddisferebbe anche solo con un piatto
    di cucina scelta, se fosse composto di solo cervello, gli
    basterebbero studio e scienza. L’uomo però è più di uno
    stomaco e più di un cervello, quindi anche se s’imbottisce
    di scienza, a questo nutrimento manca una vitamina, la
    cui mancanza produce disordini nel suo organismo. Con
    la nostra scienza siamo arrivati a conoscere gli astri del
    cielo, le forze segrete della natura, gli elettroni costitutivi
    della materia, ma ci siamo disinteressati di due domande
    essenziali: da dove viene tutto ciò? E dove va?
    Un simile modo di concepire le cose inaridisce tutti
    gli elementi di ogni manifestazione dell’anima umana, li
    misura con esperienze da laboratorio, li classifica, li
    analizza; soltanto dopo tante ricerche, analisi e
    classificazioni, non osa confessare che rimane sempre
    199
    qualcosa che non si può né afferrare, né misurare e che
    noi cristiani definiamo “anima”.
    Attenendosi alle prime fonti, un tale modo di
    pensare, mostra la storia dei secoli passati, indicando lo
    svolgersi degli avvenimenti considerando soltanto gli
    elementi culturali ed economici che hanno formato la
    storia stessa. E dopo tante spiegazioni non osa
    riconoscere che resta ancora un fattore sconosciuto, il
    quale ha diretto chiaramente e visibilmente lo sviluppo
    dell’umanità, e che noi cristiani chiamiamo a giusto titolo
    la “Divina Provvidenza”.
    Pensare in questo modo, ispira volumi interi sullo
    Stato, la società, il diritto, la morale, ma non arrischia a
    riconoscere che il suo faticoso lavoro non dà l’avvio ad
    alcun beneficio, perché non osa proiettare sui problemi
    angosciosi di questa vita transitoria i raggi luminosi di
    Dio eterno.
    Per comprendere la vita Dio solo che dà la luce, è per
    Lui che la storia del mondo diventa intelligibile, è solo su
    Lui che la morale riposa come su una roccia, è Lui solo
    che protegge il diritto contro la forza, e l’opera gigantesca
    del pensiero umano contro l’insuccesso.
    Bisogna dunque che ci sia un Dio, poiché l’umanità
    sente tanto la sua assenza, e la sua assenza priva del
    premio l’attività più vigorosa.
    2) Non è solo il pensiero che si allontana da Dio, ma
    piuttosto ne seguono un fallimento morale ed una
    bancarotta totale.
    200
    a) Osservate cosa l’uomo moderno che si è scostato
    da Dio, pensa della vita. Qual’é il suo desiderio? Viverla
    bene. Ma che cosa s’intende con questo? C’è chi crede
    che vivere bene la vita vuol dire avere molto denaro, chi
    divertirsi molto, chi avere un posto di comando, chi
    mangiare bene: ed il risultato?
    Il risultato però è avvilente. Gli uomini non possono
    vivere in pace gli uni con gli altri. Spariscono le giuste
    definizioni di carattere, fedeltà, onestà, moralità, purezza.
    Dall’oggi al domani la parola data non ha più valore, non
    è più cosa sacra, e non è più sacro il giuramento, ed il
    focolare domestico non è più un santuario. Chi non tocca
    il denaro di altri, pur avendo la possibilità di farlo, è
    considerato un ingenuo, e chi conduce una vita morale e
    casta, è visto come un masochista, che si tortura
    volontariamente.
    Lo Stato in ogni caso fa quel che può: quando mai ci
    sono state tante scuole come adesso? Quando mai si sono
    scritte tante opere pedagogiche come oggi? quando sono
    state aperte tante tipografie, biblioteche, musei, università
    “templi della scienza”? L’umanità però è sempre più
    affaticata, scontenta e desolata. Che cosa abbiamo
    dimenticato, cosa ci manca?
    b) L’uomo moderno ha tutto... solamente non ha
    Dio, e poiché non ha Dio, non ha nulla. Noi abbiamo
    Dio, crediamo in Dio, vogliamo vivere onestamente
    secondo le sue leggi... e tuttavia anche per noi la vita è
    penosa ed esige una continua lotta.
    201
    Possiamo attenderci allora, da una generazione che
    non conosce Dio, che sia onesta e morale?
    Oggi non si sente parlare che della decadenza della
    civiltà europea, dell’annientamento prossimo delle
    nazioni europee, tanto che non si può passare con una
    scrollata di spalle davanti al pericolo che ci minaccia. I
    popoli europei hanno avuto per mille e cinquecento anni
    una funzione di comando nel mondo: ora, si sente dire
    continuamente che camminano verso la rovina.
    Quale può essere la causa di tutto questo? La causa
    di questa crisi dell’Europa? Come mai i popoli hanno
    perso il gusto della vita? Come mai in Europa, ogni
    undici minuti, una persona muore suicida? Come mai la
    vita famigliare è sul punto di essere definitivamente
    distrutta? Non si può attribuire tutto questo a ragioni
    economiche ed alla miseria materiale.
    Non c’è altra spiegazione al di fuori di questa: il
    nichilismo morale che in questo periodo impera ed
    attacca le basi vitali dei popoli, è causato dal fatto che la
    fede in Dio è scossa. Il bolscevismo morale si propaga
    presso i popoli la cui fede sparisce. Si è verificata
    pienamente l’affermazione di Platone “è più facile
    costruire una città nelle nuvole, che governare un popolo
    senza religione”. Così come quella di Chateaubriand
    “Distruggete il culto del Vangelo, ed in ogni villaggio ci
    vorranno prigioni e carnefici”. E quella di Napoleone
    “Un popolo che non ha religione non può essere
    governato che con i fucili”. Nonché l’affermazione di
    Schiller: “se in uno Stato la religione tentenna, essa non
    tentenna sola. Con essa pericolano tutte le colonne della
    202
    società: autorità, rispetto delle leggi, disciplina, onestà e
    moralità”. Bisogna che ci sia un Dio, perché se non vi
    fosse, non si potrebbe veramente comprendere come
    l’ateismo produca tali profonde devastazioni nella vita
    dell’umanità.
    B. L’umanità non può sopportare
    la mancanza di Dio
    1) L’anima umana si trova in presenza di un
    problema che l’ha sempre preoccupata, e non la lascerà
    mai in riposo finché vivrà una creatura sulla terra, e tale
    problema è il mistero di Dio. Nessun uomo vide mai Dio,
    e tuttavia non c’è uomo che non si sia un giorno
    incontrato con il mistero di Dio, e non si è trovato
    obbligato a prendere posizione su tale argomento.
    Al mondo non c’è uomo che non cerchi Dio. C’è chi
    Lo cerca dietro le stelle, chi nelle forze della natura, chi fa
    di Lui l’anima incosciente dell’universo. C’è chi adora
    Dio e chi Lo bestemmia. C’è chi s’inchina dinanzi a Lui e
    chi Gli si gira... ma nessuno riesce a scartarlo con una
    semplice negazione. L’ateo stesso, che odia Dio, non lo
    può scartare, perché l’inutilità della propria vita ed il
    vuoto glaciale della propria anima sono testimonianza
    involontaria della Sua esistenza.
    2) Spesso noi sentiamo questa recriminazione
    “viviamo in un mondo d’increduli”, ma non è che una
    faccia della medaglia. Sul rovescio si trova la ricerca
    febbrile delle verità religiose da parte dell’anima umana.
    203
    Viviamo davvero in un mondo d’increduli?
    La molteplicità delle religioni non lo dimostra.
    Questa ricerca inquieta ed incessante di Dio
    dimostra che l’umanità non sopporta un universo senza
    di Lui. Le numerose sedute spiritiche, la teosofia,
    l’antroposofia, lo studio febbrile dei fenomeni mistici e
    occulti dimostrano il contrario. Viviamo in un mondo
    d’increduli. Le ridicole, aberrazioni della vita moderna
    dicono di no.
    Nel 1929, a Parigi, la città capostipite
    dell’illuminismo incredulo fu pubblicata una curiosa
    statistica: il numero di indovini, cartomanti, astrologhi,
    chiromanti e specialisti di scienze occulte arrivavano a
    34.000...
    Viviamo in un mondo incredulo? L’annuario dei
    telefoni di New York non lo dimostra.
    Scorretelo, e guardate la lista delle professioni:
    accanto ai macellai, ai tappezzieri, agli elettricisti,
    troverete la rubrica “Indovini ed Indovine”.
    Viviamo in un mondo incredulo? I vetri delle
    automobili dicono il contrario. C’è un autista che arrischi
    a mettersi in strada senza aver attaccato al vetro
    posteriore dell’auto un talismano, feticcio o bambola
    imbottita? Un’industria speciale vive confezionando
    portafortuna. Era frequente fra i piloti, nei primi anni di
    voli transatlantici, il portare una scimmia, un canarino,
    un piccolo cane...
    204
    Domando dunque ancora una volta: Viviamo noi in
    un mondo incredulo? La vita moderna prova il contrario.
    Prova piuttosto che non sopporta a lungo l’incredulità
    dell’anima umana ed ha bisogno di una fede qualunque,
    e chi non accetta il Simbolo degli Apostoli deve credere a
    delle sciocchezze ridicole. Prova che chi perde la fede non
    diventa incredulo, ma credulone. Prova che, quando
    l’uomo non ha religione, la sola che può fornirgli un
    ideale degno di lui, si crea, degli idoli indegni dell’uomo
    stesso.
    La vita umana prova quindi questa verità: Bisogna
    che ci sia un Dio, altrimenti, non si potrebbe
    comprendere come mai l’uomo non ne possa sopportare
    l’assenza.
    * * *
    Fratelli miei, nel corso dei secoli molti hanno cercato
    di cancellare il nome di Dio dal dizionario dell’umanità,
    ma non ci sono mai riusciti.
    Voltaire nel 1753 gridò al mondo: Dio é morto. Voi
    ed io l’abbiamo ucciso.
    Le crudeli follie della rivoluzione francese
    soppressero il calendario cristiano, cambiarono il nome
    dei mesi, e sotto l’ombra della ghigliottina nel 1793 si fece
    votare su questa domanda “C’è un Dio?” e tra la folla
    spaurita, stordita e cieca, si trovò soltanto una povera
    vecchia che levò il suo braccio tremante in favore di Dio:
    “Per Dio, per Dio!”. Una sola voce per Dio; tutte le altre,
    contro. E la vita si svolse senza Dio. Si rubò, si assassinò,
    si saccheggiò, si sgozzò, finché una mattina nelle strade di
    205
    Parigi apparvero dei manifesti, i manifesti di Robespierre:
    “Il popolo francese crede in Dio!”.
    Lo stesso, dopo queste esperienze, arrivano i sovietici
    a ricominciare da capo. Proibito esporre alle vetrine,
    articoli statuette, oggetti richiamanti il Natale. In tutto il
    paese, dileggiarono opuscoli, films, produzioni teatrali che
    attaccarono le idee evocate dalla festa del Natale.
    In un giorno di Natale una banda di giovani è
    entrata nelle Chiese gettandosi contro i fedeli, e nelle
    case, per strappare dai muri le Sacre immagini per poi
    bruciarle solennemente nelle vie. Nei giorni di Natale,
    nel 1931 in Russia, 579 chiese furono chiuse. Gli operai di
    Mosca dovettero rispondere ad un questionario: “Siete
    per Dio o contro Dio?”. Nella parte superiore del
    questionario però era stampato “Chi è dalla parte di Dio
    è traditore dei Soviet”. E per coronare la loro opera, si
    sono dati come parola d’ordine che “nel 1932 non ci
    saranno più chiese in Russia”. Ciò è avvenuto nella nostra
    Europa.
    I malvagi e gli impostori andranno sempre di male in peggio,
    ingannando gli altri e ingannati essi stessi (2Tm 3, 13). Invano
    avete fatto tanto spiegamento di forze. Avete lavorato
    male.
    C’è un solo modo per cancellare il nome di Dio:
    creare un’altra umanità, fabbricare altri uomini. Altri
    uomini senz’occhi per vedere, senz’anima e senza cuore;
    perché, finché la stirpe degli uomini vivrà sulla terra (i cui
    occhi brillano contemplando le bellezze dell’immenso
    universo, la cui coscienza comprende senza imposizione
    206
    la voce dell’ordine morale, il cui cuore soffre nell’oscurità
    delle amarezze della vita, e sospira dietro la sorgente della
    verità e della felicità perfetta), resterà vera la parola dei
    Libri Santi nei riguardi di Dio: “Migliaia e migliaia lo
    servono, decine di migliaia e decine di migliaia stanno
    dinanzi a Lui “ (Dn 7, 10).
    Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza
    al nostro Dio nei secoli dei secoli (Ap 7, 12).
    207
    XV. È necessario che io creda in Dio
    Subito dopo la morte di uno dei più noti uomini
    politici francesi, il vecchio Presidente del Consiglio,
    Clemenceau che, a giusto titolo era stato soprannominato
    “la tigre”, apparve una fiumana d’articoli e memorie sulla
    sua vita e la sua opera; in questa valanga di ricordi, un
    piccolo episodio m’impressionò particolarmente. Lessi
    che un pittore aveva voluto ritrarre il Presidente, ma dopo
    la terza seduta di posa rinunciò al compito.
    “Ciò non poteva andare”, raccontò più tardi ad un
    amico. “C’era un muro fra noi. Tutti i suoi lineamenti, in
    casa, si contraevano.... Non saprei, sembrava di bronzo.
    Un bel mattino piantai tutto in asso. Quell’uomo non
    credeva in Dio... provatevi di conseguenza a fare il
    ritratto di un uomo simile!”. Ed il tono della sua voce era
    lamentoso.
    Fratelli miei, l’artista lasciò la tela incompiuta: lui
    non poteva ritrarre quell’uomo che rinnegava Dio;
    perché ciò che ci fa veramente uomini, è la fede in Dio.
    Chi non crede in Dio, non può essere un uomo creato ad
    immagine Sua, manca l’armonia fra la sua fronte ed il
    resto del viso, il suo profilo sarebbe quello di un uomo,
    ma dietro la fronte, il cervello nega ciò che ci eleva al di
    sopra del bruto: la rassomiglianza con Dio.
    Da quando ho letto l’aneddoto, un pensiero non mi
    dà pace. È dunque per questo che la nobiltà dei
    lineamenti umani sparisce sempre di più dal viso degli
    uomini d’oggi? L’impronta divina va svanendo. È
    208
    necessario credere in Dio perché, non solo non si può
    dipingere l’immagine dell’uomo che non crede in Dio,
    ma chi non crede in Dio non può condurre vita
    “pienamente” umana. Ed è questa la sintesi degli
    argomenti esposti fin qui, e che obbligano l’uomo a
    credere in Dio.
    A. La ragione mi obbliga a credere in Dio
    Chi nega l’esistenza di Dio, agisce: ingiustamente ed
    irragionevolmente.
    1) Agisce ingiustamente senza dubbio, ma chi vuole a
    qualunque costo chiudere gli occhi, può farlo.
    Intorno a lui ruotano nello spazio a velocità
    vertiginosa milioni d’astri e, scrollando le spalle dinanzi a
    quest’universale armonia lui può dire: “Si, è così, ma che
    cosa me ne importa?”.
    Intorno a lui il regno delle ammirabili leggi del
    mondo organico ed inorganico può proclamare ad alta
    voce la saggezza del Creatore e lui può dire con una
    scrollata di spalle: “è così, così, ma che me ne importa?”.
    Egli può guardare le meraviglie incomparabili del
    corpo umano, ove ogni battito del cuore pubblica il
    mistero di una saggezza sovrumana; e può dire scrollando
    le spalle: “ Si, è così, ma che me ne importa?”.
    209
    Tale indifferenza è il più grande dei pericoli per la
    fede di molti.
    Nei giorni dell’ebbrezza del successo, Napoleone
    dimenticò Dio: ma quando nella solitudine nel carcere
    dell’isola di Sant’Elena ebbe il tempo di riflettere, la sua
    anima si aprì alla fede, ed amò intrattenersi su argomenti
    religiosi.
    Uno de suoi, il generale Bertrand, pensava altrimenti
    e gli diceva: “Cos’è Dio? Ed infine, l’avete voi mai visto?”.
    L’imperatore rispondeva: “Neanche il mio genio voi avete
    veduto, e tuttavia, a seguito delle mie vittorie, voi credeste
    in me e mi esaltaste; cosa sono le mie vittorie al confronto
    delle opere dell’Onnipotente? Cosa sono i miei più
    brillanti fatti d’arme al confronto del moto delle stelle? Se
    voi, mirando le azioni di un uomo, concludete in favore
    del suo genio che pur non vedete, perché non volete, dalle
    opere grandiose del creato, concludere in favore di Dio
    Creatore?”.
    È così, fratelli miei. Io posso veder Dio benissimo
    attraverso la mia ragione ed il mio cuore: attraverso la
    mia ragione che dai molteplici fenomeni dell’universo,
    giunge all’esistenza di Dio, ed attraverso il mio cuore che
    dallo stretto quadro delle temporanee gioie terrene, sale
    alla sorgente della felicità inestinguibile, Dio.
    E se qualcuno allontana da Dio il suo cuore e la sua
    ragione, le tenebre dell’ateismo lo avvolgono, perché lui
    non ha più il mezzo di sentir Dio; può essere per le
    scienze e le arti un uomo coltissimo ed abile, ma ha perso
    il senso di Dio.
    210
    Vorrei spiegare con un paragone ciò che ho detto. Il
    sole, brillante e caldo irraggia luce e calore. Come so che
    c’é un sole? Ma il mio occhio ben vede la luce, ed il mio
    senso termico percepisce il calore. Supponiamo che questi
    miei due sensi spariscano: nel medesimo istante
    sparirebbe per me il sole, ed io negherei che esso esiste?
    Ho le mie orecchie, ma esse nulla mi dicono del sole:
    né nulla mi dicono i sensi del gusto, del tatto. Uno degli
    scienziati americani più noti nelle scienze fisiche, nel suo
    tempo, Roberto Andrea Millikan, insignito del premio
    Nobel, aveva scritto nei riguardi della fede e della scienza:
    “Non c’è alcuna ragione scientifica per rigettare la fede.
    Colui che non sa far accordare la fede e la scienza, non
    può prendersela che con sé stesso. Io posso affermare
    categoricamente che la negazione della fede è sprovvista
    di ogni base scientifica. A mio avviso, non c’è ragione di
    divorzio fra le due”.
    Queste parole significano dunque questo, che chi si
    dice incredulo ed invoca in appoggio della sua incredulità
    le ricerche scientifiche, è nel torto.
    2) Ma noi abbiamo detto ancora che chi che nega
    l’esistenza di Dio, non solo ha torto nel farlo, ma agisce
    contro ragione.
    Agisce irragionevolmente, perché l’uomo non può
    vivere senza la fede. L’uomo d’oggi sviscera tutte le
    questioni in nome della scienza, ma non va molto
    lontano. Non sa, ignora, ciò che si cela aldilà dei limiti
    conosciuti dell’universo, e ciò che si nasconde dentro di sé
    stesso, nel fondo del suo “io”, il sentimento della
    211
    responsabilità, ignora ciò che fa di uno un eroe e di un
    altro un disgraziato, e ciò che avverrà dopo la nostra
    morte. A tutte queste questioni egli può rispondere: e
    tuttavia esse sono tutte di un’importanza capitale per la
    nostra vita.
    La fede sola ha la risposta: non già su tutto quello che
    noi vorremmo sapere; ma ciò che essa dice, è chiaro ed
    incoraggiante. I dogmi della fede si drizzano come una
    roccia nella tempesta. Tenerci su una roccia in piena
    tempesta è certamente un compito penoso, ma, chi é
    sballottato sulle onde schiumanti, amerebbe certamente
    di più trovarsi su una roccia solida.
    “Io non ho bisogno di dogma. Mi bastano le mie idee
    particolari sul mondo”. Ah, voi non sapete ciò che è un
    dogma. Voi non conoscete lo sviamento penoso di quelli
    che vivono senza dogma, senza fede. Voi non avete
    bisogno di dogma! Preferite dunque la nebbia al sole.
    Preferite vagare alla ventura che camminare con la
    bussola.
    Volete solo “sapere”, e non “credere”. Non avete
    bisogno della fede. Tuttavia sappiate che anche
    l’incredulo ha un simbolo: solamente che non comincia
    con un “Credo in Dio... Credum in unum Deum...”, ma con
    un “Credo omnia incredibilia... Credo a tutte le cose
    incredibili”.
    Sappiate che l’incredulo è obbligato a credere a cose
    ben più difficili di quelle confermate nel Simbolo
    Cristiano. Anche nell’incredulo c’è la fede: soltanto essa si
    muta in aceto, mentre la fede del credente è vino puro.
    212
    Ma, aceto e vino proclamano ugualmente che dev’esserci
    in qualche parte una vite: e l’incredulo ed il credente
    proclamano che bisogna che ci sia un Dio.
    Si, per stupefacente che questo sembri, anche gli
    increduli hanno il loro credo. E che dice il loro simbolo?
    “Io credo che Dio non c’è, e che tutto questo
    meraviglioso universo con le sue leggi sublimi, il suo
    ordine, la sua bellezza è l’opera di un caso cieco. Una
    rotella d’orologio, la punta di una matita non provengono
    dal caso, ma io credo che questo magnifico universo si è
    fatto da solo”.
    “Io credo che Gesù Cristo non sia mai vissuto, e se è
    vissuto, non era Dio ma uomo soltanto, e non mi stupisco
    che tuttavia milioni e miliardi d’uomini si siano
    inginocchiati e ancora s’inginocchiano dinanzi a Lui, e
    non lo dimenticano”.
    “Io credo che tutto finisca dopo questa vita terrena, e
    che dopo la tomba non ci sia nulla, quantunque la mia
    ragione, il mio cuore e la convinzione in tutti i tempi
    dell’umanità intera insorgano contro questa idea”.
    Ecco qualcuno degli articoli del credo degli increduli.
    Per credere a tutte queste impossibilità non ci vuole più
    fede che a credere nel Simbolo cristiano?
    E proseguo più avanti ancora: La vita umana
    migliora e diventa più facile praticando l’incredulità? È
    alleviato il peso della sofferenza, le lacrime sono
    rasciugate? Si diventa moralmente più forti?
    213
    Ed ecco un’altra idea che ho svolta in una predica
    speciale: non è solo la mia ragione, è anche la mia
    coscienza morale che mi obbliga a credere in Dio.
    B. Il senso morale mi obbliga a credere in Dio
    1) L’Odissea è una dell’epopea dell’antico popolo
    greco, e nello stesso tempo uno dei capolavori della
    letteratura universale. Il suo eroe, Ulisse, è sballottato sui
    flutti per anni e anni, ed ogni volta che egli invia i suoi
    compagni in ricognizione all’approdo di una riva
    sconosciuta, dà loro una curiosa indicazione: “Esaminate
    bene se gli abitanti onorano o disprezzano gli dei. Se li
    onorano sono uomini nobili e buoni, se li disprezzano
    sono crudeli” (Odissea IX, 174).
    Ciò che Ulisse sperimentò migliaia d’anni fa, è verità
    ancora oggi. L’uomo ha sempre creduto e, d’altra parte,
    la sua moralità, la sua gioia di vivere si sono sempre
    nutrite della fede in Dio. Non solo non c’è mai stata
    un’umanità senza Dio, ma, se essa di Dio volesse liberarsi,
    la sua bancarotta morale sarebbe inevitabile.
    Forza di resistenza nella tentazione e coscienza di
    dignità umana, nel lavoro infaticabile, solo la fede in Dio
    può darcele. Può avanzare a testa alta dinanzi agli uomini
    solo chi la inchina dinanzi a Dio.
    “Chi non ha Dio per Padrone, ha molti padroni”
    dice un vecchio proverbio, e la vita intellettuale moderna
    conferma quest’affermazione: quale incertezza segue
    214
    sulle vie della vita la rovina della fede, quale debolezza sul
    terreno morale! Io non sosterrò, fratelli miei, che un
    individuo o un popolo che ha perduto la fede perderà
    immediatamente del pari la moralità: ma affermo che,
    con la perdita della fede, comincia la disgregazione che
    conduce alla rovina. Quando il sole tramonta, la notte
    non cade immediatamente, ma comincia il crepuscolo.
    2) Ma sul terreno morale s'incontra un fenomeno
    curioso che mostra come l’anima umana è penetrata
    dalla fede in Dio.
    In coloro stessi che si proclamano increduli, la vita e
    le idee morali sono piene di cose che non trovano la loro
    spiegazione altro che nella fede; cosa prova tale fatto?
    Prova che la natura umana protesta con tutte le sue forze
    contro l’incredulità, per un istinto profondo e sano.
    Non citerò che un esempio. Il cannibalismo è
    condannato con orrore da tutto il mondo. Tuttavia solo
    l’uomo che ha la fede, ha il diritto d'indignarsene. Per
    qual diritto se ne indignerebbe l’ateo? Poiché per lui
    l’uomo non è che animale. E se qualcuno preferisce la
    carne umana al pollo arrosto... ebbene, che c’è di male in
    questo?
    Si, se Dio non c’è, l’uomo é soltanto un animale: e se
    è animale, non c’è nulla di rivoltante nel suo eventuale
    cannibalismo. Quali impossibili idee deve ammettere chi
    vuole essere un vero adepto dell’ateismo! La ragione
    umana e la morale umana obbligano, ugualmente a
    credere in Dio.
    215
    Ma una terza forza ci obbliga del pari a questa
    credenza: il dolore.
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    Coordin.
    00 14/03/2011 09:08
    C. La sofferenza obbliga a credere
    1) L’ora della sofferenza! L’ora in cui si darebbe
    volentieri tutta la propria scienza per una piccola
    consolazione: l’ora in cui le lacrime tracciano solchi
    amari sul nostro viso ed il nostro cuore minaccia di
    spezzarsi; l’ora in cui si vede chiara la verità, che l’uomo
    non può sopportare l’assenza di Dio.
    Le gravi realtà della vita aprono gli occhi anche a
    quelli che rimangono dinanzi a Dio in una comoda
    pigrizia. Sotto questo punto di vista è ben interessante la
    constatazione del celebre esploratore Stanley: “Nelle
    solitudini dell’Africa la religione ha messo nella mia
    anima così profonde radici, che essa è diventata per me
    una guida ed un indicatore spirituale. Non si possono fare
    veri e sostanziali progressi che aiutati da convinzioni
    religiose, senza le quali ciò che chiamiamo progresso è
    cosa vuota ed effimera. Senza la fede in Dio si è
    trasportati sul mate delle incertezze”.
    2) Le sofferenze, le disgrazie, le malattie, i dolori
    percuotono ugualmente il credente e l’incredulo, ma con
    quale differenza nell’attitudine dell’uno e dell’altro!
    L’incredulo chiude i pugni in un gesto impotente contro
    la crudeltà della sorte, oppure si chiude in una
    rassegnazione muta, in mezzo a pene che gli sembrano
    immeritate.
    216
    In modo diverso soffre il credente. Chi soffrì più di
    San Paolo? E chi l’ha inteso lamentarsene? Piangere? Noi
    leggiamo che il suo cuore sofferente era inondato di
    gratitudine verso Dio consolatore: Sia benedetto Dio, Padre
    del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni
    consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione (II Cor 1,
    3-4). È vero le sue sofferenze furono immense, ma le
    consolazioni furono ancora più grandi. Sono pieno di
    consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione (II Cor 7,
    4).
    La vita certe volte, riunisce insieme uomini dalle idee
    diametralmente opposte: credenti e increduli, e talvolta è
    accaduto che in certi momenti di pacifica conversazione,
    dalle labbra dell’incredulo sia uscita la confessione:
    “Invidio la tua fede... chi crede dev’essere ben felice!”.
    Ed ora aggiungo a questa confessione quella di un
    illustre scrittore, ritenuto felice da tutto il mondo e
    favorito dalla fortuna, Goethe, che, in una conversazione
    con Eckerman, il 27 gennaio 1824, diceva che nei suoi
    settantacinque anni di vita, non era stato felice quattro
    settimane, ed in una delle sue opere descrive in termini
    commoventi il suo stato d’anima “Mi sento come un
    sorcio che ha mangiato del veleno: corre a ficcarsi in tutti
    i buchi, beve tutti i liquidi, divora tutto ciò che trova sulla
    sua strada, ma non può spegnere il fuoco che lo divora
    dentro”20.
    Come è vero il proverbio russo: “Si può vivere senza
    padre e senza madre, non si può vivere senza Dio!”
    217
    20 GOETHE, Opere, edizione di Weimar, tomo II, p. 293
    Fratelli miei, la religione ha molti nemici, ma essa ha
    dalla sua parte due sostegni possenti che loro non
    potranno mai abbattere. Essi sono: La grandezza
    dell’uomo di cui la religione sola può soddisfare le alte
    aspirazioni; la piccolezza, l’impotenza, i dolori dell’uomo,
    a cui la religione sola può portare una consolazione.
    Finché vi saranno sulla terra dei cuori umani presi da alte
    idealità che sentono la piccolezza delle limitazioni della
    materia, finché ci saranno cuori umani spezzati e feriti ed
    annientati dalla sofferenza, i nemici della religione non
    riporteranno giammai vittoria.
    Voglio ancora esporre un altro argomento che
    obbliga a credere in Dio.
    D. La sana ragione mi obbliga a credere in Dio
    1) E qui non parlo solo nel senso figurato della
    parola, ma nel senso proprio.
    La fede in Dio non può essere strappata all’uomo,
    perché, per farlo, bisognerebbe strappare in lui qualcosa
    del suo più intimo essere, la religione appartiene all’uomo
    tutto intero. La religione è, per gli uomini dal cervello
    sano, la superstizione è per gli uomini dal cervello malato,
    l’incredulità è per gli uomini che non hanno cervello.
    E perciò vediamo che, quando qualcuno vuol farsi
    apostolo della fede in Dio, non ha null’altro da fare che
    lasciare l’uomo alle conclusioni della sua sana ragione: al
    contrario, se qualcuno vuole estirpare la fede in Dio, può,
    218
    se crede, caricare i fucili e inventare i mezzi di tortura più
    raffinati, la fede in Dio fiorirà sempre più rigogliosa sulle
    tombe arrossate di sangue innocente.
    2) Naturalmente la credenza in Dio appartiene
    ancora più alla salute dell’anima umana, all’integrità
    dell’anima.
    Indubbiamente, sarebbe il fenomeno più
    incomprensibile e più incredibile della storia
    dell’umanità, che l’uomo, dacché vive sulla terra, abbia
    sempre creduto in Dio, abbia sempre reso un culto a Dio,
    se Dio non ci fosse. Tutti i sacrifici pagani, tutti i templi,
    tutti gli altari parlano di Lui. Tutte le mani giunte in
    preghiera, tutte le campane squillanti, tutte le cerimonie
    liturgiche parlano di Dio; tutti i cuori vittoriosi sulla
    tentazione, tutti i nobili slanci della nostra anima parlano
    di Dio: e Dio non ci sarebbe?
    È sufficiente pensare a ciò che la civiltà umana
    diventerebbe senza Dio. Quale miseria si abbatterebbe
    sull’uomo! Dove avrebbero trovato il concetto basilare dei
    loro capolavori Omero e Virgilio, senza le leggende
    pagane sugli dei? La poesia di David, senza il culto
    divino? Dante, Lopez de Vega, il Tasso, senza il
    cristianesimo? L’arte gotica, senza i motivi suggeriti dalla
    fede?
    Togliete all’umanità la fede in Dio, e tutti i suoi
    pensieri: la sua storia e la faccia stessa della terra
    sarebbero cambiate. Chi può comprendere questo?
    Comprendere come al mondo non ci sono né tiranni, né
    carnefici, né forche, né patiboli che possano strappare la
    219
    fede in Dio dall’anima dell’umanità? Spiegateci questo,
    dateci una risposta... E non c’è altra risposta che questa:
    Io credo in Dio, ed e necessario che veramente ci sia un
    Dio.
    * * *
    Mentre esaminiamo le strade che conducono a Dio,
    dovremmo nello stesso tempo guardare quelle che ci
    allontanano da Lui.
    Le strade che allontanano da Dio! Ai primi passi
    sono strade piacevoli e facili: vie soleggiate, abbellite di
    fiori inebrianti, ornate di tutte le bellezze ingannatrici del
    peccato. Ma, man mano che si prosegue, la strada diventa
    sempre più difficile: il sole si abbassa, il crepuscolo
    comincia, i fiori appassiscono, le pietre del cammino
    feriscono il piede, le forze fisiche e morali sperperate
    svaniscono, e finalmente non si può più avanzare se non
    strisciando attraverso paludi pestilenziali.
    E le strade che conducono a Dio! Sul principio il
    sentiero è dirupato e duro, faticosa è l’ascesa e vecchi
    ricordi attirano indietro verso l’abisso. Ma poi, man mano
    che si avanza, il cammino si fa più facile, la regione più
    bella, e la veduta intorno magnifica... e finalmente
    l’anima sembra volare sempre più alto come se avesse le
    ali.
    Fate attenzione, fratelli miei, e sappiate scegliere la
    vostra strada. Quale prenderete voi? Quella che a Dio
    conduce, o quella che da Dio si allontana? Abbiate il
    coraggio di seguire con fermezza eroica la prima, e issare
    220
    vittoriosamente sulla barca della vostra vita la bandiera di
    una fede invitta.
    Ho ricevuto la fede cristiana dai miei antenati, come
    una sacra eredità: ed é per ciò che la stimo e vi rimango
    fedele con pio e forte amore. Ma il suo primo dogma “Io
    credo in Dio”, l’ho approfondito al lume della mia
    ragione, ed ora, con incrollabile convinzione, affermo al
    cospetto del mondo: La mia ragione, il mio cuore, la mia
    anima, la mia logica, le mie aspirazioni spirituali, la verità
    e la felicità che sospiro, esigono che io creda, giacché non
    vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è
    stabilito che noi siamo salvati (At 4, 12) che il nome benedetto
    del nostro Dio.
    A.M.D.G