00 07/03/2011 11:23
Funziona la ricetta per guarire con le note? Che scientificità c’è nella musicoterapia? Sembra aiutare in alcuni casi, ma che genere di cure può offrire?
A chi piace e a chi no. Due bebè di pochi giorni in una
clinica slovacca dove i neonati vengono quotidianamente
sottoposti a 5 sessioni di ascolto di musica di 20 minuti
ciascuna. Il tutto per alleviare lo stress della nascita e
favorire la comunicazione da adulti.

di Annalisa Infante

Il genio viaggia alla velocità del suono? È quanto affermano i sostenitori della celebre teoria denominata “Effetto Mozart”, secondo la quale, dopo una calibrata esposizione alla musica del compositore austriaco, potremmo diventare tutti più intelligenti.. Non solo: la musica di Mozart sarebbe in grado di calmare gli attacchi epilettici e di contenere i danni del morbo di Alzheimer. Cosa c’è di vero? La musica di Mozart (e quella classica in generale) cura realmente? È in grado di far star meglio i feti e i neonati a crescere? Cosa dice la scienza a questo proposito? Esistono ricerche scientifiche che confermano queste ipotesi?
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Non solo Amadeus…
In realtà non sarebbe corretto riconoscere il merito dell’azione benefica della musica sulla psiche umana a un solo autore. La Musicoterapia insegna come pressoché tutti gli autori classici abbiano lavorato in modo tale da dar vita a melodie “terapeutiche”: «Per quanto riguarda gli adulti – spiega Renato De Michele, Musicoterapista e presidente dell’Associazione Italiana Registro Musicoterapia – la predisposizione verso una musica piuttosto che un’altra dipende dall’identità culturale di ciascuno, dalle esperienze ambientali e familiari. Le variabili personali sono troppe per poter affermare con sicurezza che una musica standard possa avere universalmente effetti migliori di un’altra». Così, se una persona ha ricordi piacevoli legati a Mozart, reagirà positivamente alla sua musica, ma non più di quanto un’altra, che adora Bach, possa reagire all’ascolto di quest’ultimo.
Su questo principio si basa la musicoterapia “recettiva” o “d’ascolto”, utilizzata su pazienti affetti dalle patologie più diverse (da quelle psichiche a quelle degenerative) allo scopo di garantire loro un miglioramento della qualità di vita. Durante la seduta, il musicoterapista propone diverse musiche, sia quelle legate alla storia del suo paziente sia quelle “suggeritegli” dall’esperienza personale e dalla propria risposta emotiva all’incontro.

Musica e maternità
«Il vero grosso effetto della Musicoterapia d’ascolto – continua De Michele – è però quello sul feto durante la gravidanza. La sua reazione all’ascolto degli autori classici è evidente: se la melodia è piacevole e dolce, il feto “danza” armonicamente all’interno del ventre materno e se è nervoso si calma. Quando la musica invece non gli è gradita, come può accadere, per esempio, con musiche disarmoniche o in cui le percussioni sono troppo forti, il bimbo si agita, scalcia, si muove a scatti».
L’ideale – secondo alcuni musicoterapeuti sarebbe poter disporre di sale-parto dotate di pianoforte. Le apparecchiature, infatti, non sempre sono in grado di garantire frequenza e volume del suono ottimali.
Già da qualche anno un ospedale di Mantova propone alle gestanti sedute di Musicoterapia, durante le quali si ascoltano, ad esempio, i “Concerti Brandemburghesi” di Bach, “Le quattro stagioni” di Vivaldi, o la musica New Age, in grado di rilassarle. Al momento del travaglio, viene insegnato loro a trasformare i gemiti di dolore in canto “salutare” per se stesse e per il loro bimbo. «Il mondo sonoro del piccolo nel periodo prenatale – spiega De Michele – è costituito principalmente dalla voce della mamma, dal ritmo del suo respiro, dal battito del suo cuore e dai suoni che, ovattati, gli provengono dall’esterno. Sappiamo che dopo la nascita il bimbo sarà in grado di riconoscere musiche ascoltate in gravidanza. E in ogni caso, un feto educato all’ascolto della musica sarà un bambino più tranquillo dopo».