16. IL FILOSOFO GIUSTINO SUBÌ IL MARTIRIO PERCHÉ ANNUNCIAVA NELLA CITTÀ DI ROMA LA PAROLA DI CRISTO
1. In questi tempi Giusrino, poco sopra da noi citato 84, dopo aver dedicato un secondo scritto in difesa della nostra fede agli imperatori già menzionati 85, venne onorato del divino martirio in seguito al complotto ordito contro di lui dal filosofo Crescente (costui seguiva la concezione di vita del cinismo, già evidente dal nome che portava), che aveva già spesso biasimato in controversie pubbliche avvenute in presenza di molti ascoltatori. Subì infine il martirio, riportando così i premi della vittoria per la verità annunciata. 2. Egli in verità, filosofo abilissimo, nella citata Apologia profetizzò chiaramente con queste parole quanto stava per accadergli: 3. "Mi sembra che qualcuno dei suddetti congiuri anche contro di me e mi metta alla gogna, forse Crescente, amico non della sapienza, ma della vanagloria; non è degno infatti di essere definito filosofo colui che pubblicamente discute di cose che ignora e accusa pubblicamente i cristiani, che egli non conosce, di essere atei ed empi, facendo questo per dilettare e compiacere i molti che induce nell'errore. 4. Egli, pur non avendo mai conosciuto gli insegnamenti del Cristo, ci rivolge simili accuse, mostrandosi cosi assai perverso e di gran lunga peggiore degli ignoranti, che spesso si guardano bene dal parlare o dal fare false attestazioni su argomenti che non conoscono.
^ II riferimento è all'opera Raccolta di antichi martiri, andata perduta. ^Ci.supra, 11, 8 ss; 12. 85 Antonino Pio, Marco Aurelio e Lucio Vero.
Se invece conosce la nostra fede, non ne ha colto la grandezza o, coltala, agisce in quel modo per non essere accusato di essere cristiano, essendo molto vile e malvagio, succube della paura e di un pensiero insipiente e irragionevole. 5. Desidero che voi sappiate che io, interrogatolo su alcune questioni di tal genere, ho appreso e capito che non ne sa veramente nulla; e per dimostrare la veridicità delle mie affermazioni, se queste discussioni non vi sono state rese note, sono pronto a rivolgergli di nuovo le stesse domande anche alla vostra presenza. Anche ciò sarebbe compito dell'imperatore. 6. Ma se conoscete le mie domande e le sue risposte, vi è chiaro che non conosce nulla della nostra religione; e se ne sa qualcosa, non ha l'ardire di manifestarla a causa della presenza di ascoltatori, mostrandosi, come ho detto prima, non sapiente e filosofo, ma uomo amante di gloria, dato che ha in odio anche il famoso detto di Socrate 86, che invece è degno di ammirazione" 87.
7. Questo dice Giustino. Che sia morto, come egli stesso predisse, per l'accusa di Crescente, lo racconta anche Taziano88 - uomo nella sua giovinezza sapiente nelle dottrine dei Greci, in cui conquistò non piccola fama -, che lasciò moltissimi ricordi su di lui nelle sue opere. In quella intitolata Contro i Greci riferisce: "E l'ammirevole Giustino a ragione ha ritenuto simili ai pirati coloro che sono stati prima menzionati" 8q.
8. Poi, dopo aver aggiunto alcune cose sui filosofi, continua dicendo: "Crescente dunque, che tramava nella grande città, eccelse su tutti in pederastia e fu molto incline all'avidità. 9. Egli stesso aveva paura della morte che esortava a disprezzare, e complottava contro Giustino, che riteneva un grande male, affinchè fosse condannato a morte per il fatto che, annunciando la verità, confutava i filosofi avidi di gloria e ciarlatani" 90. Di tal genere fu l'accusa che condannò Giustino al martirio.
86 È riportato da Fiatone, Repubblica, X, 595 e: "L'uomo non deve essere onorato più della verità".
87 II Apologia. 3, 1-6.
88 Su Taziano e le sue opere d. infra, 29. Sul Discorso ai Greci d. n. 150.
89 Discorso ai Greci, 18.
17. I MARTIRI CHE GIUSTINO RICORDA NEI SUOI SCRITTI
1. Lo stesso autore, prima della prova da lui affrontata, nella I Apologia q1 fa una menzione, utile al nostro scopo, di altri che morirono martiri prima di lui, dicendo: 2. "Una donna aveva per marito un uomo dissoluto, ed era dissoluta anch'essa in principio. Ma conosciuti gli insegnamenti del Cristo, divenne saggia e tentò di far rinsavire il marito, come aveva fatto lei, facendogli conoscere la dottrina cristiana e annunciandogli la punizione nel fuoco eterno riservata a quanti conducono una vita corrotta, lontana dalla parola della rettitudine. 3. Ma egli perseverava nelle sue sregolatezze, finendo con l'estraniarsi la moglie per le sue azioni. Costei, giudicando cosa empia continuare a giacere con un uomo che tentava in ogni modo di avere rapporti di piacere al di là della legge di natura e del giusto, decise di separarsi da lui. 4. Ma, persuasa dalle suppliche dei suoi parenti, che la esortavano a rimanere ancora col marito nella speranza di un suo futuro cambiamento, decise di rimanere con lui, facendo così violenza a se stessa. 5. Ma saputo che egli, recatesi ad Alessandria, faceva cose ancora più turpi, non volle più partecipare alle sue scelleratezze e turpitudini, rimanendo in legame con lui e dividendo la stessa mensa e lo stesso letto; decise quindi di separarsi, concedendogli quello che voi chiamate repudium.
90 Discorso ai Greci, 19.
91 II passo appartiene in realtà a lì Apologia, 2.
6. Quell'uomo nobile avrebbe dovuto gioire del fatto che la moglie avesse smesso di compiere quelle turpitudini un tempo a lei care, quali l'unirsi liberamente con i servi e i mercenari, l'ubriacarsi e il godere di ogni sorta di male, e del fatto che essa desiderava che anche lui desistesse dal com" piere le stesse esecrande azioni; invece, poiché lo aveva lasciato contro il suo volere, la denunciò, accusandola di essere cristiana.
7. Questa donna, o imperatore, ti ha inviato una supplica, chiedendoti dapprima di ritirarsi per sistemare le proprie cose, poi, dopo aver fatto ciò, di difendersi dall'accusa, tutte cose che tu le hai concesso.
8. Il marito, poiché non fu in grado di sostenere contro di lei le sue accuse, si rivolse contro un certo Tolomeo, maestro della donna nella dottrina cristiana, che era stato già punito da Urbico 92.
9. Fece ciò in questo modo. Riuscì a convincere un centurione, che era suo amico, ad arrestare To-lomeo, a metterlo in carcere e a chiedergli solo se era cristiano. Il centurione fece arrestare Tolomeo, amico della verità, e non uomo ingannatore e fraudolento, per avere confessato la sua fede in Cristo, e lo fece torturare a lungo in carcere.
10. Quando infine fu portato al cospetto di Urbico, gli fu domandato questo solo, se era cristiano. Ed egli, che sapeva che ciò che di bello era presente in lui derivava dall'insegnamento di Cristo, confessò nuovamente di credere nella dottrina della divina virtù.
11. Colui che infatti nega o riconosce il fatto, ne diviene ugualmente colpevole o, riconoscendosi indegno e al di fuori di esso, ne evita la confessione; nessuna di queste cose è degna del vero cristiano.
12. Avendo Urbico ordinato di condurlo via, un certo Lucio, cristiano anch'egli, vedendo l'assurdità del verdetto dei giudici, si rivolse ad Urbico dicendo: "Per quale motivo hai punito quest'uomo, che non è accusato di essere ne adultero, ne fornicatore, ne assassino, ne borsaiolo, ne ladro, che non si è macchiato insomma di nessuna colpa, tranne di quella di aver confessato di essere cristiano? Il tuo giudizio, Urbico, non è degno dell'imperatore Pio ne del figlio filosofo di Cesare ne del sacro Senato".
92 Prefetto urbano nel 150 d.C. circa.
13. Egli non rispose nient'altro e disse anche a Lucio: "Mi sembra che anche tu sia cristiano"; e Lucio rispose: "Certamente ". Ordinò che anche lui fosse portato via. Egli confessò allora a Giustino la sua gratitudine, dicendogli di essere contento di rinunciare a simili padroni miseri e di andare verso Dio, padre e rè buono. Fattosi avanti un terzo uomo, fu condannato anch'egli al martirio".
Giustino aggiunge altre parole già da me ricordate, simili e conseguenti a queste, dicendo: "Anche a me sembra dunque che uno di quelli che ho già menzionato complotti contro di me" 93, e altre cose.
18. LE OPERE DI GIUSTINO PERVENUTECI
1. Giustino ci ha lasciato nei suoi scritti moltissime prove della propria ortodossia e della profonda conoscenza delle cose divine, piene di ogni utilità. Rimando, per quanti le vogliono conoscere, alle sue opere. Ritengo ora utile illustrare quelle giunte alla nostra conoscenza. 2. Suo è un discorso in difesa della nostra religione, rivolto ad Antonino Pio, ai suoi figli e al Senato di Roma; sua è una II Apologia, composta anch'essa in difesa della nostra fede, indirizzata ad Antonino Vero, omonimo successore del menzionato imperatore, il cui tempo sto ora esaminando. 3. Compose anche un'altra opera dal titolo Contro i Greci 94, nella quale, dopo aver discusso a lungo su moltissime questioni che sono oggetto di indagine da parte nostra e dei filosofi greci, si sofferma sulla natura dei demoni; ma non è necessario ora citare le sue parole.
93 II Apologia, 3, 1. ^ Opera perduta.
4. Ci è giunta ancora un'altra sua opera contro i Greci, intitolata anche Confutazione 95, e ancora un'altra dal titolo Sulla monarchia di Dio 96, che compose sulla base non solo delle opere cristiane, ma anche di quelle dei Greci. 5. Compose ancora un'opera dal titolo Psaltes, e un'altra, di commento, Sull'anima 97, in cui, dilungandosi su diverse questioni inerenti il tema della sua trattazione, riferisce le opinioni dei filosofi greci in merito, che promette di criticare in un'altra opera sulla base delle proprie concezioni. 6. Scrisse anche un dialogo Contro i Giudei 98, che tenne ad Efeso con Tritone, uomo in quel tempo famosissimo fra gli Ebrei di questa città. In esso riferisce il modo in cui la grazia divina lo condusse alla parola della fede, lo zelo con cui precedentemente si interessò alla filosofia e con quale ardore ricercò la verità 99. 7. In questa stessa opera dice che i Giudei congiuravano contro l'insegnamento di Cristo, e rivolge queste parole a Tritone: "Non soltanto non vi siete pentiti del male che avete compiuto, ma avete anzi selezionato uomini scelti, che avete inviato allora da Gerusalemme in tutta la terra ad annunciare la comparsa dell'eresia atea dei cristiani, e a diffondere quelle accuse che tutti coloro che non conoscono la nostra dottrina rivolgono contro di noi. Così avete commesso ingiustizia non solo contro voi stessi, ma anche in definitiva contro tutti gli uomini" 100.
95 Anche quest'opera è perduta. In essa si dimostrava come i filosofi greci dicono delle verità solo quando le loro dottrine si rifanno a quelle di Mosè e dei Profeti.
96 Opera apocrifa. Su di essa cf. supra, n. 54. 9/ Entrambe queste opere sono per noi perdute. 98 L'opera, meglio nota con il titolo Dialogo con Trifone, riferisce il dialogo che Giustino ebbe ad Efeso col dotto giudeo Tritone. Nei primi capitoli (2-8) l'autore narra la propria conversione spirituale. Dimostra poi il caratare transitorio della Legge giudaica e afferma che l'adorazione di Gesù non ^mpromette il monoteismo. Nell'ultima parte sostiene che Cristo chiama an-^e i pagani all'appartenenza alla Chiesa.
99 Cf. Dialogo con Trifone, 2-8.
100 Dialogo con Tnfone, 17, 1.
8. Riferisce inoltre che fino al suo tempo i doni profetici splendevano nella Chiesa 101. Cita V Apocalisse di Giovanni, e egli attribuisce all'apostolo 102. Riporta anche alcuni passi dei Profeti, attaccando Tritone per il fatto che i Giudei li avevano eliminati dalla Scrittura 103. Molti fratelli ci hanno fatto pervenire molte altre sue opere: 9. esse infatti sono sembrate anche agli antichi così degne di considerazione che persino Ireneo si serve di sue parole in questo passo del quarto libro del Contro le eresie. "Bene dice Giustino nello scritto Contro Marcione che egli non avrebbe creduto nell'esistenza di un altro Dio oltre il Demiurgo neppure se fosse stato il Signore in persona a confermagliela" 105; e in quest'altro del quinto libro della stessa opera: "Bene ha detto Giustino, che mai Satana ebbe l'ardire di imprecare contro Dio prima della parusia del Signore, perché non era ancora a conoscenza della propria rovina" 106.
10. Ho detto queste cose spinto dal bisogno di incitare coloro che sono desiderosi di apprendere ad occuparsi con zelo anche delle opere di questo scrittore. Questo per quanto riguarda Giustino.
101 Dialogo con Trtfone, 82, 1.
102 Dialogo con Trifone, 81, 4.
103 Dialogo con Trifone, 71-73.
104 Opera citata anche supra, 11,8. Su di essa cf. anche supra, n. 51.
105 Contro le eresie, IV, 6, 2.
106 Contro le eresie, V, 26, 2.
19. COLORO cHE FURONO A CAPO DELLA CHIESA DI ROMA E DI ALESSANDRIA DURANTE L'IMPERO DI VERO
Circa all'ottavo anno di regno dell'imperatore già citato 107, ad Aniceto, che mantenne la carica episcopale della Chiesa di Roma per undici anni interi, succedette Sotero, mentre nella diocesi di Alessandria a Celadione, che la resse per quattordici anni, succedette Agrippino.
107 II riferimento è a Marco Aurelio, che regnò dal 161 al 180. L'anno indicato è il 169 d.C.
20. CHI FURONO I VESCOVI DI ANTIOCHIA
Nella Chiesa di Antiochia aveva fama Teofilo 108, sesto vescovo 1()9 della città a partire dagli apostoli; quarto dopo Erone fu designato Cornelio, e quinto dopo di lui ricevette l'episcopato Eros.
21. GLI SRITTORI ECCLESIASTICI FAMOSI IN QUESTO PERIODO
Fiorirono in questo periodo nella Chiesa Egesippo, che conosciamo dalle pagine precedenti, Dionigi, vescovo di Co-rinto 110, Finito, vescovo di Creta, e inoltre Filippo n1, Apollinare 112, Melitene 113, Musano 114, Modesto 115 e, su tutti, Ireneo 116; di tutti questi scrittori sono giunte fino ai nostri giorni le opere, documento dell'ortodossia della santa fede della tradizione apostolica.
108 Sulla sua figura cf. anche infra, 24. Per una completa trattazione cf. M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 70-72.
109 Girolamo, Epistolario, 121, 6 considera Teofilo settimo vescovo, dato che ritiene primo Pietro e non Evodio, come vuole Eusebio (cf. supra. III, 22). Lo stesso però, in Gli uomini illustri, 25 concorda con Eusebio.
^Sudiluicf.^,23. 111 Cf. infra, 25.
12 Su questo autore cf. infra, 26, 1; 27; V, 19, 3. ;ì Su diluicf. infra, 26. 114 Sulla sua figura cf. infra, 28. 1 ^ Su Modesto cf. infra, 25. \^^. supra,lì, 13, 5 e n. 55.
22. EGESIPPO E GLI ARGOMENTI DELLE SUE OPERE
1. Egesippo dunque, nei cinque libri che ci sono pervenuti, ha lasciato un esaustivo ricordo del proprio pensiero. In essi mostra come, mandato a Roma, frequentò moltissimi vescovi, traendo da tutti lo stesso insegnamento. Dopo alcune notizie è possibile leggere queste parole sulla lettera di Clemente Ai Corinti: 2. "La Chiesa di Corinto rimase nell'ortodossia finché, Primo detenne l'episcopato della città. Navigando alla volta di Roma, venni in contatto con i Corinzi, con cui trascorsi un buon numero di giorni, nei quali traemmo conforto dalla retta dottrina. 3. Quando arrivai a Roma, ho scritto la successione dei vescovi fino ad Aniceto; diacono di costui fu Eleutero. Sotero succedette ad Aniceto, e a Sotero, Eleutero. Ogni successione e la vita di ogni città viene regolata così sulla base della Legge, dei profeti e del Signore".
4. Lo stesso autore parla delle origini delle eresie del suo tempo, dicendo: "Dopo che Giacomo il "Giusto" fu martirizzato per aver commesso lo stesso reato del Signore, fu designato vescovo per unanime consenso il figlio di suo zio, Simeone, figlio di Cleopa, che era un secondo cugino del Signore 117. Per questo diedero alla Chiesa l'appellativo di vergine, perché non era stata ancora violata da vane parole. 5. Ma Tebutis, per vendicarsi di non essere stato eletto vescovo, cominciò a inquinarla tra il popolo, partendo dalle sette fazioni, di cui anch'egli faceva parte. Da queste trassero origine Simone, da cui i Simoniani, Cleobio, da cui i Cleobiani, Dositeo, da cui i Dositiani, Gortaio, da cui i Gorateni, e i Mosbotei; da questi ultimi i Menandrianisti, i Marcianiti, i Carpocraziani, i Valentiniani, i Basilidani e i Satorniliani trassero, ciascuno in modo diverso, la propria dottrina 118.
6. Da questi ebbero origine pseudocristi, pseudoprofeti e pseudoapostoli, che lacerarono l'unità della Chiesa con parole rovinose contro Dio e contro lo stesso Cristo".
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118 Sono tutte sette eretiche
7. Lo stesso scrittore parla anche delle fazioni che un tempo sorsero fra i Giudei, dicendo: "Fra i figli degli Israeliti, contro la tribù di Giuda e di Cristo, c'erano differenti opinioni sulla circoncisione: Esseni, Galilei, Emerobattisti, Masbotei, Samaritani, Sadducei, Farisei".
8. Riporta poi molte altre notizie, che in parte ho già ricordato sopra inserendole al momento opportuno nel racconto; di queste alcune le riprende dal Vangelo secondo gli Ebrei 119, da quello Siriaco 120 e particolarmente dalla lingua ebraica, prova evidente, questa, che si convertì dall'Ebraismo, e altre dalla tradizione giudaica non scritta. 9. Egli, come Ireneo 121 e tutti gli scrittori antichi, definì i Proverbi di Salomone "sapienza piena di virtù". Parlando poi degli scritti detti apocrifi, riferisce che alcuni di questi sono stati scritti da eretici del suo tempo. Ma ormai è necessario affrontare un altro argomento.
119 Cf. supra. Ili, n. 96.
120 Non è chiaro a quale traduzione siriaca Eusebio fa riferimento fra le cinque note: la antica siriaca, la Pesitta, la Filosseniana, la Harclense e la Si-ro-palestinese. Su di esse cf. A. Passoni dell'Acqua, II testo del Nuovo Testamento. Torino 1994, pp. 81-86. !21 Contro le eresie, IV, 20, 3.
23. DIONIGI, VESCOVO DI corinto, E LE LETTERE DA LUI SCRITTE
1. Per quanto riguarda Dionigi, per prima cosa si deve dire che sedette sul trono episcopale della diocesi di Corinto. Faceva inoltre abbondantemente partecipi della sua attività divina non solo coloro su cui presiedeva, ma anche quelli che abitavano in regioni straniere, a cui si rese utilissimo con le epistole cattoliche da lui scritte alle Chiese locali 2 Di queste quella Ai Lacedemoni è maestra di ortodossia e ammonimento alla pace e all'unità, quella Agli Ateniesi poi esorta alla fede e a vivere secondo il Vangelo In questa lettera rimprovera ai de-stinatan di avere trascurato la parola divina, quasi si fossero allontanati dalla fede dopo il martino del loro vescovo Publio, avvenuto durante le persecuzioni di allora 3 Cita anche Quadrato 122, eletto da loro vescovo dopo il martino di Publio, descrivendolo come uomo capace di guidarli con il suo zelo e infiammarli nella fede Riferisce poi che in quel tempo anche Diomgi l'Areopagita 123, convcrtito alla fede dall'apostolo Paolo, come attestano gli Atti degli Apostoli b, fu il primo ad essere nominato vescovo della diocesi di Atene 124 4 Di Dionigi ci è pervenuta un'altra lettera Ai Nicomedi, m cui confuta l'eresia di Marcione, ponendola a confronto con il canone della verità. 5 Nella lettera inviata alla Chiesa di Gortina e alle altre diocesi di Creta elogia il loro vescovo Filippo, poiché la Chiesa da lui presieduta aveva testimoniato la fede m Cristo con moltissimi gesti di coraggio A lui inoltre ricorda di tenere i propn fedeli lontano dalla perversione degli eretici 6 Nella lettera indirizzata alla Chiesa di Amastn e a quella del Ponto insieme, menziona Bacchilide ed Elpisto, dicendo che essi lo avevano spinto a scrivere, da spiegazioni delle Sacre Scritture e cita il loro vescovo, che si chiamava Palmas 125, da loro inoltre molti precetti sul matrimonio e la castità, li esorta ad accogliere con favore coloro che si pentono di un qualsiasi errore o di inosservanza o di eresia.
b At 17, 34
122 Cr supra, 3 e n 9 12^ Cr supra, III, n 14
124 Cf supra. III, 4, 10
125 Era vescovo ancora durante l'episcopato di Vittore (188 199 d C circa), sotto il quale scrisse, a nome dei vescovi del Ponto, una lettera sulla questione della Pasqua (cr anche infra, V, 23, 3)
7 A queste è stata aggiunta un'altra lettera indirizzata alla Chiesa di Cnosso, nella quale consiglia a Finito, vescovo della diocesi, di non obbligare i fratelli al grave peso della castità, ma di tenere presente la debolezza dei più 8 Finito gli rispose con una lettera, in cui mostra ammirazione e lode per lui e lo esorta a dare ormai un cibo più solido, alimentando la fede del suo popolo con nuove lettere più complete, affinchè i fedeli, nutrendosi di parole come di latte, non giungano alla vecchiaia senza accorgersi di condurre ancora una vita da bambini Questa lettera è come un'immagine perfetta, chiara testimonianza dell'ortodossia della fede di Finito, del suo zelo verso i fedeli, della sua eloquenza e della sua conoscenza delle cose divine 9 Di Dionigi si conserva anche una lettera Ai Romani, indirizzata al vescovo di allora Sotero. E meglio riportare da questa le parole con le quali loda il modo di vita morigerato osservato dai Romani fino alla persecuzione dei tempi nostri 10 "Avete ereditato dagli avi l'usanza di prendervi cura in vano modo di tutti i fratelli e di inviare aiuti a molte Chiese presenti in ogni città, avete alleviato così le sofferenze dei bisognosi e siete venuti incontro ai fratelli condannati ai lavori forzati nelle miniere con quei sussidi che voi, o Romani, inviate da sempre, osservando un'usanza ereditata dai vostri padri, che il vostro beato vescovo Sotero non solo ha conservato, ma anche alimentato, egli infatti li ha beneficati con gli aiuti inviati ai santi ed ha esortato con parole beate i fratelli che inviava presso di loro, come fa un padre affettuoso con i figli"
11 In questa stessa epistola menziona anche la lettera di Clemente Ai Corinti 126, dimostrando che già da tempo veniva letta in quella Chiesa per antica usanza. Ecco le sue parole "Oggi abbiamo celebrato il santo giorno del Signore, in occasione del quale si è data lettura della lettera, che potremo sempre, leggendola, ricordare, come anche la prima scrittaci da Clemente".
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^Cf supra,m, 16 e n 61
12. Lo stesso autore inoltre dice queste cose sulla falsificazione delle proprie lettere: "Quando alcuni fratelli mi domandarono di inviare loro delle lettere, io lo feci. Ma gli apostoli del demonio le colmarono di zizzania, ora togliendo alcuni passi, ora aggiungendone altri. La maledizione incombe su di loro. Non desta meraviglia dunque il fatto che alcuni abbiano tenta- | to di falsificare gli scritti divini, poiché hanno fatto lo stesso con J questi, di certo inferiori". 13. Ci è pervenuta, oltre queste, an- " che un'altra lettera che Dionigi scrisse a Crisofora, sorella fé-delissima, che egli con precetti adatti rese partecipe del nutrimento spirituale conveniente. Ciò basti riguardo a Dionigi. H