CREDENTI

RIFLESSIONI E COMMENTI BIBLICI (vol.2)

  • Messaggi
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 03/05/2011 07:50
    a cura dei Carmelitani


    1) Preghiera

    O Dio, nostro Padre,
    che rallegri la Chiesa
    con la festa degli apostoli Filippo e Giacomo,
    per le loro preghiere concedi al tuo popolo
    di comunicare al mistero della morte e risurrezione
    del tuo unico Figlio,
    per contemplare in eterno la gloria del tuo volto.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...



    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Giovanni 14,6-14
    In quel tempo, Gesù disse a Tommaso: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre; fin da ora lo conoscete e lo avete veduto".
    Gli disse Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Gli rispose Gesù: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?
    Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.
    In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.
    Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò".


    3) Riflessione

    • Il vangelo di oggi, festa degli apostoli Filippo e Giacomo, è lo stesso che abbiamo meditato durante la quarta settimana di Pasqua, e narra la richiesta dell'apostolo Filippo a Gesù: "Mostraci il Padre, e questo ci basta".
    • Giovanni 14,6: Io sono la via, la verità e la vita. Tommaso aveva rivolto una domanda: "Signore, non sappiamo dove vai. Come possiamo conoscere il cammino?" (Gv 14,5). Gesù risponde: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me". Tre parole importanti. Senza la via, non si va. Senza la verità non si fa una buona scelta. Senza vita, c'è solo morte! Gesù spiega il senso. Lui è la via, perché "nessuno viene al Padre se non per mezzo di me". E lui è la porta da dove entrano ed escono le pecore (Gv 10,9). Gesù è la verità, perché guardando lui, stiamo vedendo l'immagine del Padre. "Chi conosce me conosce il Padre!" Gesù è la vita, perché camminando come Gesù staremo uniti al Padre ed avremo vita in noi!
    • Giovanni 14,7: Conoscere Gesù è conoscere il Padre. Tommaso aveva chiesto:"Signore, non sappiamo dove vai. Come possiamo conoscere la via?" Gesù risponde: "Io sono la via, la verità e la vita! Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me".Ed aggiunse: "Se conoscete me, conoscete anche il Padre. Fin da ora lo conoscete e lo avete veduto". Questa è la prima frase del vangelo di oggi. Gesù parla sempre del Padre, perché era la vita del Padre che appariva in tutto ciò che diceva e faceva. Questo riferimento costante al Padre provoca la domanda di Filippo.
    • Giovanni 14,8-11: Filippo chiede: "Mostraci il Padre e ci basta!" Era il desiderio dei discepoli, il desiderio di molte persone delle comunità del Discepolo Amato ed è il desiderio di molta gente oggi. Come fa la gente per vedere il Padre di cui tanto parla Gesù? La risposta di Gesù è molto bella ed è valida fino ad oggi: "Filippo, da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto! Chi ha visto me ha visto il Padre!" La gente non deve pensare che Dio è lontano da noi, distante e sconosciuto. Chi vuole sapere come e chi è Dio Padre, basta che guardi Gesù. Lui lo ha rivelato nelle parole e nei gesti della sua vita! "Il Padre è in me ed io sono nel Padre!" Attraverso la sua obbedienza, Gesù si è identificato totalmente con il Padre. Lui faceva ogni momento ciò che il Padre gli mostrava di fare (Gv 5,30; 8,28-29.38). Per questo, in Gesù tutto è rivelazione del Padre! Ed i segni o le opere sono le opere del Padre! Come dice la gente: "Il figlio è il volto del padre!" Per questo in Gesù e per Gesù, Dio sta in mezzo a noi.
    • Giovanni 14,12-14: Promessa di Gesù. Gesù fa una promessa per dire che la sua intimità con il Padre non è un privilegio solo suo, ma è possibile per tutti coloro che credono in lui. Anche noi, mediante Gesù, possiamo giungere a fare cose belle per gli altri come faceva Gesù per la gente del suo tempo. Lui intercede per noi. Tutto ciò che la gente chiede a lui, lui lo chiede al Padre e lo ottiene, sempre che sia per servire. Gesù è il nostro difensore. Se ne va ma non ci lascia senza difesa. Promette che chiederà al Padre e il Padre manderà un altro difensore o consolatore, lo Spirito Santo. Gesù giunse a dire che era necessario che lui andasse via, perché altrimenti lo Spirito Santo non sarebbe potuto venire (Gv 16,7). E lo Spirito Santo compirà le cose di Gesù in noi, se agiamo nel nome di Gesù ed osserviamo il grande comandamento della pratica dell'amore.


    4) Per un confronto personale

    • Gesù è la via, la verità e la vita. Senza la via, senza la verità e senza la vita non si vive. Cerca di far entrare questo nella tua coscienza.
    • Due domande importanti: Chi è Gesù per me? Chi sono io per Gesù?



    5) Preghiera finale

    I cieli narrano la gloria di Dio.
    e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento.
    Il giorno al giorno ne affida il messaggio
    e la notte alla notte ne trasmette notizia.
    (Sal 18)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 07/05/2011 10:00
    Comunità Missionaria Villaregia (giovani)


    Mare agitato, forte vento, buio... condizioni non certamente favorevoli per chi si trova sul mare. Tutti avranno pensato: "Oh! Se Gesù fosse stato qui, gli avremmo chiesto di fare un miracoletto e di fermare la tempesta e il vento..." Ed ecco che improvvisamente lo vedono camminare sull'acqua. Sarà una visione vera o una illusione? Una cosa è certa i discepoli iniziarono ad avere paura. Gesù si avvicina e dice loro: "Sono io, non temete". Lo prendono sulla barca e, dice il Vangelo, rapidamente la barca toccò la riva opposta. Nella prima parte del Vangelo si intuisce che il vento era loro contrario, ora invece, salito Gesù, rapidamente arrivano alla riva opposta. Questo ci permette di fare una riflessione: "Non è facile discernere una vera visione da una illusione." Quanti visionari nel mondo?! Gli elementi per distinguere dice P. Spidlik ci sono: "Una persona vittima di una illusione perde interesse per la realtà concreta, comincia a svolgere con negligenza i propri doveri ed il proprio lavoro. La vera visione, al contrario, li rende più leggeri." Si racconta che Santa Faustina Kowalska lavorava in cucina tra numerose visioni, ma nonostante ciò, il cibo era sempre buono e pronto in tempo. Gli apostoli devono raggiungere la sponda opposta del lago, ma la visione non provoca ritardi, anzi arrivano prima del previsto. Sant'ignazio di Loyola aveva numerosi visioni, ma non tralasciava per questo nessuno dei suoi doveri! Allora se abbiamo visioni possiamo discernere se sono vere se rimaniamo con il cuore e lo sguardo fissi in Gesù, ma non i piedi ben piantati per terra!

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 09/05/2011 07:42
    padre Lino Pedron


    Questa gente che cerca Gesù sembra piena di fede, ma in realtà essa non crede nel Cristo. La loro non è fede, ma solo curiosità e simpatia superficiale, come risulterà nel seguito del racconto.
    Gesù denuncia il vero motivo del loro interesse per la sua persona e li invita a una ricerca meno egoistica e più spirituale. Egli li rimprovera per la loro superficialità: nella moltiplicazione dei pani non avevano riconosciuto Gesù come Dio.
    Il Cristo biasima la loro ricerca affannosa per il cibo che perisce, ossia per il pane che sfama il corpo, e li esorta a cercare il cibo che dura per la vita eterna. Questo cibo dev'essere qualcosa che assomiglia all'acqua viva che zampilla per la vita eterna (Gv 4,14). Si tratta quindi della rivelazione del Verbo incarnato, assimilata con una vita di fede profondissima che conduce alla vita eterna.
    In questa prima fase del discorso, il cibo che Gesù darà rimane misterioso. In 6,51 l'evangelista specificherà che si tratta della persona del Figlio di Dio, sacrificata per l'umanità con la passione e la morte, e donata in cibo.
    L'azione del Padre che pone il suo sigillo indelebile sul Figlio è la consacrazione solenne dell'uomo Cristo Gesù fin dal primo istante della sua incarnazione e nel suo battesimo al Giordano.
    "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?" (v. 28). In questa domanda appare chiaramente la mentalità giudaica legata al valore delle opere. Gesù si oppone a questa mentalità e presenta necessaria per il possesso del regno di Dio una sola opera: la fede nella sua persona.
    In questo brano sembra riecheggiare la polemica di Paolo contro le opere della legge a favore della fede: con le opere della legge nessun uomo può essere giustificato davanti a Dio (Rm 3,20); infatti si è giustificati non dalle opere, ma dalla fede, indipendentemente dalle opere (Rm 3,27-28; Gal 2,16; 3,5).
    L'oggetto di questa fede è colui che Dio ha inviato, Gesù. L'unica opera che l'uomo deve compiere è credere nell'inviato di Dio. La fede di cui parla il vangelo è dono di Dio. L'uomo ha però la sua responsabilità perché può anche rifiutare questo dono. Quindi la fede è anche opera dell'uomo.

  • OFFLINE
    Credente
    00 11/05/2011 13:49
    Mercoledì della III settimana di Pasqua (21/04/2010)
    Vangelo: Gv 6,35-40   Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Gv 6,35-40)

    L'incomprensione da parte dei giudei porta Gesù ad affrontare più esplicitamente l'argomento della sua identità con parole chiare che mettono tutti davanti a scelte concrete. "Gesù rispose: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete" (v. 35). E' lui il pane venuto dal cielo per nutrire e sostenere il nuovo popolo di Dio. E' lui il dono d'amore fatto dal Padre ad ogni uomo, pellegrino nel deserto del mondo. E' lui la Parola che dà la vita eterna.
    Gesù denuncia la mancanza di fede dei giudei. Essi hanno ascoltato le sue parole e hanno visto i segni operati da lui, ma rifiutano di aderire a lui.
    In questo brano Gesù spiega il motivo ultimo dell'incredulità dei giudei: essi non fanno parte del gruppo di coloro che il Padre ha dato al suo Figlio. Il Padre vuole la salvezza completa e perfetta di tutte le persone affidate al Figlio, e questa salvezza è la risurrezione nell'ultimo giorno.
    Il dono della vita eterna e della risurrezione nell'ultimo giorno è legato a una condizione: contemplare il Figlio e credere in lui. Si tratta dello sguardo contemplativo di una fede profonda che orienta tutta l'esistenza verso la persona di Gesù.

    di Lino Pedron

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 14/05/2011 08:16
    Monaci Benedettini Silvestrini
    E la sorte cadde su Mattia

    Cristo Gesù ha stabilito la sua Chiesa sul fondamento degli Apostoli. Oggi celebriamo la dodicesima colonna, Mattia, colui che ha preso il posto di Giuda, il traditore. Il numero dodici non è stata una scelta casuale da parte del Signore Gesù. Dodici era molto significativo nella vita umana antica per il fatto delle dodici tribù di Israele e non solo. Saranno gli Apostoli infatti nell'ora del Giudizio a giudicare le dodici tribù di Israele. L'eletto dovrà divenire insieme agli undici testimone della risurrezione del Signore. Pregano insieme prima di procedere alla scelta tra i due candidati Giuseppe e Mattia; "E nel pregare dissero: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi due tu hai scelto per ricevere in questo ministero e apostolato il posto da cui traviò Giuda per andare al luogo suo». Gli apostoli sono ben consapevoli delle parole che Gesù aveva rivolto loro circa la chiamata e la sequela: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga". Nella loro invocazione quindi chiedono che sia lo stesso Gesù a mostrare loro quale dei due Egli ha scelto per ricevere in questo ministero. Il vangelo di Giovanni ci riferisce una intensa ed accorata preghiera ed esortazione di Gesù ai suoi: chiede loro fedeltà e amore affinché vivano nella gioia e possano godere della sua amicizia: "Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" e "Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi". Sono ancora questi gli impegni e i privilegi degli apostoli di oggi. Riguardano certo San Mattia, ma anche tutti i successori degli apostoli. Pone la stessa condizione "Amatevi gli uni gli altri!".

  • OFFLINE
    Credente
    00 16/05/2011 16:27
    Monaci Benedettini Silvestrini  
     
    Vangelo: Gv 10,11-18   Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Gv 10,11-18)

    Gesù si propone come il buon Pastore. Subito ci appare una bella icona. Suggerisce aperte campagne con pascoli rigogliosi in un ambiente invitante. Tutto in un clima rilassante. Il contatto con la natura propone una simbiosi che allarga lo spirito. Le pecore sono al sicuro, proprio perché c’è il pastore, il buon pastore che vigila costantemente. Gesù prende molto spesso spunto dalla natura per fornire delle immagini che vanno però ben oltre la realtà che Egli richiama. Il buon pastore di Gesù dona la sua vita per le sue pecore. È un gesto generoso, di vero e puro amore; significa donazione completa. Gesù, però non è mai banale nelle sue affermazioni; pone sempre una questione che va oltre. Richiede da noi molta attenzione. Il Buon Pastore dona la sua vita non semplicemente come gesto supremo di amore. Gesù proclama la sua divinità quando dice che Lui stesso ha il potere di offrire la sua vita, per poi riprenderla. Gesù è l’autore della vita; è la Vita stessa. È una dichiarazione ma anche un annuncio ed una profezia sul suo Mistero Pasquale. La sua Passione e Resurrezione non sono, allora, eventi tragici ed ineluttabili di una missione impossibile. Non è lo scontrarsi nella realtà terrena di un piano divino. Non è un infrangersi di una missione preparata da tempo. Il Mistero Pasquale è nella logica di Dio non nella logica dell’uomo. È donazione completa che essendo divina è condivisa dal Padre, come Donatore e dal Figlio, come Donato nello Spirito. È un mistero profondo che è trinitario e che non trova sbavature tra il comando del Padre e l’obbedienza del Figlio; due realtà che coincidono. Non c’è abbandono, non c’è dimenticanza nella Croce; anzi nel silenzio del Padre è presente tutta l’opera Trinitaria. Gesù si proclama vero Dio con l’immagine del Pastore. Non è un Dio nascosto e lontano; le sue pecore conoscono la sua voce. Gesù china la divinità all’uomo per comunicare questo amore infinito; custodisce, difende le sue pecore. Parla loro con amore, infonde fiducia e coraggio. La sua voce è rassicurante; le pecore quando sentono la voce amica del Buon pastore sanno che ormai possono essere tranquille. Gesù si mostra vicino agli uomini; si proclama vero Dio e vero uomo, proprio perché in Lui albergano veri sentimenti umani. Ascoltiamo la sua voce, accettiamo questo Dono di infinito amore per metterci accanto a Lui nella Morte e resurrezione. Sentiamoci veramente sicuri e protetti dalla sua Guida, che ami prevarica sull’uomo.

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 18/05/2011 08:25
    a cura dei Carmelitani
    Commento Giovanni 12,44-50

    1) Preghiera

    O Dio, vita dei tuoi fedeli,
    gloria degli umili, beatitudine dei giusti,
    ascolta la preghiera del tuo popolo,
    e sazia con l'abbondanza dei tuoi doni
    la sete di coloro che sperano nelle tue promesse.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...



    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Giovanni 12,44-50
    In quel tempo, Gesù gridò a gran voce: "Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.
    Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
    Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell'ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me".


    3) Riflessione

    • Il Vangelo di oggi ci presenta la parte finale del Libro dei Segni, in cui l'evangelista fa un bilancio. Molti credettero in Gesù ed ebbero il coraggio di manifestare la loro fede pubblicamente. Altri discepoli credettero, ma non ebbero il coraggio di manifestare pubblicamente la loro fede. Ebbero paura di essere espulsi dalla sinagoga. E molti non credettero: "Sebbene avesse compiuto tanti segni davanti a loro, non credevano in lui; perché si adempisse la parola detta dal profeta Isaia: Signore, chi ha creduto alla nostra parola? E il braccio del Signore a chi è stato rivelato? (Gv 12,37-38). Dopo questa constatazione, Giovanni riprende alcuni dei temi centrali del suo vangelo:
    • Giovanni 12,44-45: Credere in Gesù è credere in colui che lo ha mandato. Questa frase è un riassunto del vangelo di Giovanni. E' il tema che appare e riappare in molti modi. Gesù è così unito al Padre che non parla a nome proprio, ma sempre a nome del Padre. Chi vede Gesù, vede il Padre. Se vuoi conoscere Dio, guarda Gesù. Dio è Gesù!
    • Giovanni 12,46: Gesù è la luce che venne al mondo. Qui Giovanni riprende ciò che aveva già detto nel prologo: "Il Verbo era la luce vera che illumina ogni uomo (Gv 1,9). "La luce brilla nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta" (Gv 1,5). Qui lui ripete: "Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre". Gesù è una risposta viva ai grandi interrogativi che muovono e ispirano la ricerca dell'essere umano. E' una luce che rischiara l'orizzonte. Fa scoprire il lato luminoso dell'oscurità della fede.
    • Giovanni 12,47-48: Non sono venuto per condannare il mondo. Giungendo alla fine di una tappa, sorge la domanda: "Come sarà il giudizio? In questi due versetti l'evangelista chiarisce il tema del giudizio. Il giudizio non si fa secondo la minaccia con maledizioni. Gesù dice: se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la mia parola, lo condannerà nell'ultimo giorno. Il giudizio consiste nel modo in cui la persona si definisce dinanzi alla propria coscienza.
    • Giovanni 12,49-50: Il Padre mi ha ordinato ciò che devo dire. Le ultime parole del Libro dei Segni sono il riassunto di tutto ciò che Gesù disse e fece fino ad ora. Riafferma ciò che affermava fin dall'inizio: "Non ho parlato di me. Il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato cosa devo dire e annunziare. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me". Gesù è il riflesso fedele del Padre. Per questo, non offre prova né argomento a coloro che lo provocano per legittimare le sue credenziali. E' il Padre che lo legittima mediante le opere che lui compie. E dicendo opere, non si riferisce ai grandi miracoli, ma a tutto ciò che lui disse e fece, fino alle minime cose. Gesù stesso è il Segno del Padre. E' il miracolo ambulante, la trasparenza totale. Lui non si appartiene, ma è interamente proprietà del Padre. Le credenziali di un ambasciatore non vengono da lui, ma da colui che rappresenta. Vengono dal Padre.


    4) Per un confronto personale

    • Giovanni fa un bilancio dell'attività rivelatrice di Dio. Se io facessi un bilancio della mia vita, cosa ci sarebbe di positivo in me?
    • C'è qualcosa in me che mi condanna?



    5) Preghiera finale

    Ti lodino i popoli, Dio,
    ti lodino i popoli tutti.
    Ci benedica Dio, il nostro Dio,
    e lo temano tutti i confini della terra.
    (Sal 66,4-5)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 20/05/2011 08:39
    padre Lino Pedron


    Gesù riprende l'argomento della sua imminente partenza esortando i discepoli alla fiducia, perché egli sta andando a preparare loro un posto nel regno del Padre e poi tornerà a prenderli per portarli con sé.
    I discepoli possono provare angoscia e tristezza per la separazione dal Maestro, ma Gesù li previene informandoli che la sua lontananza sarà temporanea.
    La "casa del Padre" indica lo stato beato di intima unione in cui vive Dio con la sua famiglia. In questa casa dimora per diritto il Figlio (Gv 8,35), il quale può preparare dei posti per i suoi amici: in essa "vi sono molti posti" (v. 2). Lo stato di beatitudine consiste nell'essere con il Cristo glorioso.
    Dal tema del viaggio verso la casa del Padre, Gesù, con naturalezza, passa a parlare della via (v. 4). Per giungere al Padre bisogna passare per il Figlio.
    Tommaso desidera concretezza e chiarezza nei discorsi. Egli aveva capito che Gesù parlava di una via nel senso materiale di strada, mentre Gesù sta parlando della via come mezzo per giungere a Dio, come strumento per mettersi in contatto personale con il Padre. Per questa ragione, nella sua replica all'apostolo, Gesù proclama di essere la via per andare verso Dio.
    Gesù proclama di essere il mediatore per mettersi in contatto personale con il Padre. Nessuno può arrivare a Dio con le proprie forze, né può servirsi di altri mediatori. Come nessuno può andare verso il Cristo, se non gli è concesso dal Padre (Gv 6,65), così nessuno può giungere al Padre senza la mediazione di Gesù (v. 6).
    Gesù proclama anche di essere la verità e la vita. I sostantivi via, verità e vita sono applicati al Cristo per indicare le sue tre funzioni specifiche di mediatore, rivelatore e salvatore.
    Gesù è l'unica persona che mette in rapporto con il Padre, che manifesta in modo perfetto la vita e l'amore di Dio per l'umanità, e comunica al mondo la salvezza che è la vita di Dio. Solo Gesù può condurre l'uomo a Dio, perché egli solo vive nel Padre e il Padre vive in lui.

  • OFFLINE
    Credente
    00 22/05/2011 09:05
    Suor Giuseppina Pisano o.p.


    "Non sia turbato il vostro cuore, abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me..."; con queste parole, che sono un'esortazione a vincere la tristezza e la paura, mediante la forza della fede, inizia il passo del Vangelo di oggi.
    Il turbamento, cui il Signore allude, si riferisce a quel che, in precedenza, aveva detto ai discepoli, non appena Giuda ebbe lasciato il cenacolo:" Figlioletti, dice il Maestro, ancora un poco starò con voi. Mi cercherete...ma dove io vado, voi non potete venire. " (Gv.13,33).; ed anche a Pietro, che insisteva per conoscere il significato di quelle parole, Gesù aveva ribadito:"...non puoi seguirmi, ora, mi seguirai più tardi. "( Gv.13,36).
    Gesù, con un lungo discorso di addio, che è quasi un testamento, si congeda dai suoi, li prepara alla sua imminente morte, ma, allo stesso tempo, annuncia la sua resurrezione e rivela qualcosa della vita futura, che li attende, come attende ogni altro uomo, che abbia creduto e sperato nel Figlio di Dio, il Redentore.
    "Nella casa del Padre mio, dice il Signore, vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato, e vi avrò preparato un posto, ritornerò, e vi prenderò con me, perché siate anche voi, dove sono io."
    E' un discorso sulla vita oltre il tempo, questo che il Maestro fa', un discorso, che esige una fede forte, capace di oltrepassare tutto ciò che fa parte del mondo visibile e concreto, per andare oltre, per affidarsi alla certezza di un " al di là", del quale non ci sono raffigurazioni.
    Pensare senza il conforto di immagini, è pressoché impossibile all'uomo, del resto, la fede esige che ci si affidi, non ciecamente, ma in virtù dell'amore, a chi parla; ed ecco quella supplica:
    " abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me."
    Queste parole Cristo rivolge a quegli undici uomini, che lui stesso aveva scelto, e coi quali aveva condiviso tre anni di vita, di predicazione e di gesti, che avevano risanato tanti; tuttavia, egli sapeva bene che, come uno di loro l'aveva tradito, gli altri, ancora, non erano in grado di comprendere in profondità le sue parole, perché la loro fede era ancora povera e vacillante, e la loro mente, ancora non aveva ricevuto la luce dello Spirito.
    Nel lungo colloquio notturno con Nicodemo, Gesù aveva detto:"...chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla della terra..."; egli si riferiva alla difficoltà che l'uomo ha ad oltrepassare i dati dell'esperienza sensibile, per aprirsi al Mistero, al soffio dello Spirito, e credere alla rivelazione che viene dall' Alto.
    I discepoli, non sono diversi da Nicodemo, e il brano del Vangelo di oggi ce ne dà conferma facendoci incontrare due di loro, due, nei quali tutti noi, in qualche maniera, possiamo specchiarci e riconoscerci: sono Tommaso e Filippo, due uomini generosi nella sequela, ma anche molto legati ai ragionamenti, condotti con buon senso e, soprattutto, fondati sulla concretezza dei fatti.
    Gesù parla di una casa, la casa del Padre, un' abitazione ricca, e molto spaziosa, tanto che può accogliere tutti; anzi, dove Gesù stesso preparerà un posto per ognuno dei suoi, così che, quella comunione, iniziata sulla terra, continui anche oltre la vita temporale.
    L' immaginazione di Tommaso, non poteva che essere legata all'idea di un luogo fisico, riguardo a quella casa, dove tutti avrebbero continuato a vivere insieme al Maestro; perciò, quando questi dice:" E del luogo dove io vado, voi conoscete la via...", egli non ripensa agli insegnamenti del Maestro sulla sequela e sul Regno, ma, ricordando quelle strade percorse con Gesù, gli chiede:
    " Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?"
    Siamo di fronte a quel Tommaso che, dopo aver ascoltato il racconto dei discepoli sull'apparizione del Risorto, il giorno di Pasqua, con molto scetticismo risponde:" Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e non metto il dito nel segno dei chiodi, e non metto la mano nel suo fianco, non crederò."( Gv.20,25); non può dunque sorprendere il fatto, che chieda al Maestro un chiarimento sulla via da percorrere, quasi dovesse spostarsi da un villaggio all'altro.
    "lo sono la via, la verità e la vita - risponde Gesù -nessuno viene al Padre, se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre; fin da ora lo conoscete e lo avete veduto"; una affermazione, questa, che è la sintesi altissima del suo insegnamento e della rivelazione che egli ha fatto, di se stesso e del Padre, ma i suoi non capiscono.
    E, che non sia soltanto Tommaso, ad aver difficoltà a seguire il discorso del Maestro, lo confermano le parole che Filippo dice, poco dopo, quando, rivolto a Gesù gli chiede:" Signore, mostraci il Padre e ci basta. ".
    Filippo, non molto tempo prima, aveva assistito alla prodigiosa moltiplicazione dei pani e dei pesci, e aveva ascoltato le parole del Signore sul vero Pane di vita, (Gv.6,32 ss.), ma, ancora, aveva bisogno di vedere qualcosa di concreto, come il volto di una persona, anche se si parla del Padre, il cui Volto, è inaccessibile all'uomo, senza la mediazione del Figlio.
    La domanda di Filippo dà la misura, non solo di quanto povera fosse la fede, ma, e Gesù lo sottolinea con dolore, di quanto superficiale fosse l'amore per il Maestro: " Da tanto tempo sono con voi, dice Gesù, e tu non mi hai riconosciuto, Filippo?"
    La lunga consuetudine di vita col Cristo, non è valsa ad aprire, non tanto gli occhi, quanto il cuore dei discepoli sul Mistero di quel Gesù, che seguono, e che, alcuni di loro, hanno visto trasfigurato nella gloria sul Tabor; essi si fermano alla superficie dei fatti, e le parole scivolano, non comprese; non riescono a intuire qualcosa della divinità dell'Uomo, che sta loro davanti e che, chiamandoli amici, ha rivelato i segreti della vita del Padre suo.
    Non c'è da meravigliarsi; son passati duemila anni da che il Figlio di Dio si è fatto uomo, morendo e risorgendo per noi, e, quella stessa frase, che egli rivolse a Filippo, può ancora ripeterla ad ognuno di noi:" Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai riconosciuto? "
    E' una domanda che interpella la qualità della nostra fede, una domanda che deve inquietarci, perché la fede esige radicalità; essa è, all'origine, un dono gratuito di Dio, simile ad un piccolo seme, ma che ha in sé una grande potenzialità, perciò è indispensabile coltivarla, e coltivarsi come uomini e donne di fede, e ciò con la preghiera assidua, l'approfondimento della parola, la meditazione, la frequenza ai sacramenti e le opere, che l'amore esige.
    Il Signore sa, che, non sempre, e non per tutti, la fede è facile; ma, il fatto che essa sia difficile, non è sinonimo di impossibile, perché Dio, a tutti manda il suo Spirito, ad illuminare, fortificare, indicare la via, e riportare alla memoria tutto quanto Cristo ci ha detto.
    E' nello Spirito, poi, che nasce e cresce la comunione, quella familiarità che ci consente di intravedere qualcosa del Mistero, che, solo alla fine, conosceremo in pienezza, quando il volto di Dio sarà svelato, e potremo riconoscerci, somiglianti a Lui, nel Figlio.
    Per ora, dobbiamo impegnarci a maturare, e ciò non è un sogno, se Cristo stesso ha detto:" In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre".
    Di persone che, animate da una fede veramente grande, hanno compiuto grandi opere, è disseminata la Storia; e anche noi, alcuni di loro, li abbiamo conosciuti da vicino; basti pensare a una Teresa di Calcutta, e a Giovanni Paolo II, solo per citare i più vicini.
    Forse, a molti di noi, non saranno richieste grandi cose, ma, tutti, come ci dice Pietro, possiamo diventare "pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio... stringendoci a Cristo, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio", e ciò, indipendentemente da ruolo che svolgiamo, sia esso importante o modesto, o anche nascosto agli occhi degli altri; perché, in qualunque situazione ci troviamo ad operare, se veramente, Cristo è la nostra Via e il Centro della nostra vita, possiamo testimoniare la nostra fede, e " proclamare, sono sempre le parole di Pietro, le opere meravigliose di Dio, che ci ha chiamati dalle tenebre, alla sua ammirabile luce."(I Pt.2,9)

    sr Maria Giuseppina Pisano o.p.
    mrita.pisano@virgilio.it

  • OFFLINE
    Credente
    00 23/05/2011 09:35
    padre Lino Pedron
    Commento su Giovanni 14,21-26

    L'amore per la persona di Gesù è dimostrato custodendo i suoi precetti, ossia accogliendo la parola di Cristo, facendola penetrare nel cuore e custodendola gelosamente. Il vero discepolo, che dimostra di amare il Signore concretamente, sarà oggetto di un amore speciale del Padre e del Figlio. Questo amore del Cristo per i suoi amici avrà come effetto una speciale manifestazione (v.21). Questo linguaggio misterioso provoca l'intervento di Giuda, non l'Iscariota, il quale chiede spiegazioni. Egli rivela la mentalità dei giudei in merito alla manifestazione del Messia. Gli ebrei infatti attendevano il Messia che doveva fare la sua comparsa in modo spettacolare per rivelarsi davanti a tutti come re d'Israele e che avrebbe guidato la riscossa nazionale contro i dominatori pagani e instaurato definitivamente il regno di Dio.

    La risposta di Gesù, a prima vista sembra ignorare la domanda di Giuda, ma in realtà è la risposta più profonda alla domanda dell'apostolo. Gesù chiarisce che la sua manifestazione agli amici non avverrà in modo spettacolare ed esterno, ma si realizzerà nell'intimo delle coscienze, con la sua venuta insieme al Padre nel cuore dei discepoli (v.23). Il regno di Cristo infatti non è di carattere politico, non ha origine da questo mondo, ma si instaura con l'assimilazione della verità (Gv 18,36-37), osservando la sua parola (v.23). Con tale interiorizzazione della rivelazione del Cristo, i discepoli sono resi tempio di Dio, ospiteranno le persone del Padre e del Figlio.

    Gesù si manifesterà realmente ai suoi amici che lo amano concretamente, perché tornerà da loro e abiterà per sempre nel loro cuore (v.20), assieme al Padre (v.23) e allo Spirito della verità (v.17).

    Gesù mette in rapporto la sua rivelazione con l'azione dello Spirito santo. Egli, dimorando presso i suoi amici, ha rivelato la parola di Dio (v.25), ma essi non hanno capito né fatto penetrare nel cuore la verità; di qui la necessità dell'intervento dello Spirito santo. Quindi non solo Gesù, ma anche lo Spirito è maestro di fede: egli insegnerà ogni cosa ai credenti. Lo Spirito santo non eserciterà una funzione didattica prescindendo dalla rivelazione di Gesù, ma ricordando ai discepoli le parole di Gesù (v.26) e introducendoli nella verità tutta intera (Gv 16,13).

    Questo è il primo brano del vangelo di Giovanni che parla contemporaneamente del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Queste tre persone divine non sono considerate in modo astratto, ma nel loro rapporto con i discepoli di Gesù. Il Padre, il Figlio e la Spirito santo abitano nei cristiani che custodiscono la parola del Signore (vv.18.23). Questa verità deve ispirare profondamente la spiritualità cristiana.

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 25/05/2011 08:16
    Eremo San Biagio


    Dalla Parola del giorno
    IO SONO la vite, quella vera.

    Come vivere questa Parola?
    Più volte Gesù, nel definire se stesso, è ricorso a delle immagini plastiche: "Io sono il Pane", "Io sono il Pastore", "Io sono la Luce", "Io sono la Via la Verità la Vita"... Sfaccettature di un'unica realtà che rimandano oltre verso una pienezza che sfugge a ogni definizione e che è velatamente espressa da quel "IO SONO". Un Dio che, in Gesù, si è chinato sull'uomo.
    La liturgia odierna introduce una nuova immagine, ben nota sin dall'Antico Testamento: quella della vigna. Esattamente Gesù parla di "vite" e di vite "vera". Infatti, quella vigna che Dio stesso ha piantato e curato con sollecito amore senza ottenerne i frutti attesi, cioè l'antico Israele, trova la sua piena espressione in Gesù. Il passaggio non è indifferente. Vi è sottesa la realtà dell'incarnazione: non più soltanto Dio che si china su di noi, ma Dio che si fa uno di noi, portando a pieno compimento tutte le attese.
    L'immagine (la vigna dell'Antico Testamento) cede il posto alla realtà: la vite "vera" che è Gesù stesso e quanti restano uniti a Lui. Una Chiesa, sostanzialmente santa, ma sempre bisognosa di essere potata e mondata nei suoi tralci. Una Chiesa che conosce nei suoi membri la fragilità, le cadute, gli errori e lo stesso peccato. Ad essi, e quindi a me a te a ogni cristiano, Gesù rivolge l'invito a "rimanere" saldamente ancorati a Lui, radicati nel suo amore, consegnati all'azione del "Vignaiolo" che sapientemente pota perché il frutto sia abbondante e duraturo. Non c'è quindi spazio per lo scoraggiamento, la depressione: da qualunque situazione avvilente si può riemergere purché "il tralcio resti unito alla Vite".

    Oggi, nella mia pausa contemplativa, visualizzerò una rigogliosa vite. In essa sono stato innestato con il Battesimo. La sua linfa mi vivifica nonostante i miei limiti e le mie incorrispondenze. Prenderò quindi la ferma risoluzione di non cedere alla tentazione dello scoraggiamento, bensì di impegnarmi a "rimanere" saldamente unito ad essa.

    Gesù, Vite feconda che mi unisci a te, rendimi sollecito a corrispondere all'amore del Padre perché la mia vita produca frutti abbondanti per la sua gloria.

    La voce di un Dottore della Chiesa
    Nessuno pensi che il tralcio possa da solo produrre almeno qualche frutto. Il Signore ha detto che chi è in lui produce «molto frutto». E non ha detto: Senza di me potete fare poco ma: «Senza di me Voi non potete fare nulla». Sia il poco sia il molto, non si può farlo comunque senza di lui, poiché senza di lui non si può fare nulla.
    S. Agostino

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 27/05/2011 07:30
    don Luciano Sanvito
    "Gli uni gli altri come io..."

    Il reciproco amore nel riferimento costante a Lui: ecco il VERO AMORE.
    Il vero amore non è amare Lui.
    Nemmeno amarci tra di noi.

    Ma insieme, queste due realtà: amarci come Lui.

    * Da un lato, amarci tra noi: opera nostra e nostro impegno.
    Dall'altro, amare come Lui ci ha amati: accoglienza del riferimento, del modello dell'amore.

    * E' come se Lui passasse nel nostro impegno di amare: in questa esperienza di amore, ecco che Gesù Risorto passa e regola, equilibria e dirige sapientemente, secondo la Sapienza dello Spirito, l'amore.

    L'amore di Dio e l'amore del prossimo.
    Si condensano nel Cristo.
    Si sperimentano in Lui.
    Si raccolgono e si riesprimono nell'amarci come Lui ci ama.

    Rispetto ai discepoli di allora, abbiamo da giocare una carta in più: per noi, non si tratta solo di amarci come Lui ci "ha amati", ma come ci ama, adesso, proprio nel nostro impegno: ecco dove si rende presente Gesù: non solo nella memoria, ma nella presa di coscienza attuale.
    AMARCI GLI UNI GLI ALTRI, DUNQUE, COME LUI CI STA AMANDO.

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 28/05/2011 07:46
    Eremo San Biagio


    Dalla Parola del giorno
    Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelto io dal mondo, per questo il mondo vi odia.

    Come vivere questa Parola?
    Nei giorni scorsi, la liturgia ci ha fatto focalizzare l'attenzione sull'amore di Dio, oggi Gesù parla della negazione dell'amore e dell'amicizia; parla dell'odio. Una contraddizione!
    Proclamando il Vangelo di verità, dell'amore universale del Padre, della conversione di vita e di felicità eterna, Gesù si mette in conflitto con tutti quelli che non hanno conosciuto l'Inviato.
    Non hanno voluto riconoscerlo perché hanno preferito la loro volontà malvagia. Hanno cercato motivi di accusa, anche fabbricandoli per poter metterlo a morte. Gesù dice che anche i suoi discepoli, scelti e mandati "nel suo nome"a proclamare lo stesso messaggio di salvezza, devono affrontare l'odio del ‘mondo'. Il ‘mondo' per Giovanni è tutto ciò che si oppone a Dio: quelli che, contemporanei di Gesù hanno visto le sue opere e sentito il suo messaggio ma non hanno voluto credere; e quelli di ogni tempo che si mettono contro i suoi discepoli.
    Questo è il mistero del male che anche oggi ci circonda: una malvagità insidiosa, che si oppone sempre al bene, a ciò che costruisce, fabbricando anche false testimonianze e deviando la verità per confondere e distruggere la via dell'amore offerta a tutti.

    Nella mia pausa contemplativa di oggi, cerco di individuare la presenza del bene e la presenza del male nel mio ambiente; non basta stare buono anche in mezzo al male, bisogna affrontarlo con la preghiera e la trasparenza di vita cristiana. Tanti nostri fratelli e sorelle soffrono persecuzioni per il nome di Cristo e anche io devo essere vigilante e pronto.

    Signore Gesù, credo in Te, credo nel Padre che ti ha mandato. Darmi l'amore e il coraggio di testimoniarti con chiarezza e gioia nel mio ambiente di vita e di lavoro.

    Una voce da un campo di concentramento
    È solo l'amore che vale. Ciò che il buon Dio cerca in noi, non è la quantità delle buone opere materiali, è un canto di amore, composto di strofe, di contemplazione o di azione, poco importa, basta che sia una melodia di amore.
    Luciano Brunei ‘Père Jacques'

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 30/05/2011 15:24
    Messa Meditazione Lo Spirito guida i discepoli

    Lettura
    Il brano, che contiene il terzo detto giovanneo sul Paraclito, si apre con il riferimento all'unica testimonianza resa all'esterno, cioè a destinatari diversi dai discepoli, dallo Spirito Santo e dai discepoli stessi, che sono stati con Gesù «fin dal principio» (15,26-27). Richiamando il tema dell'odio e delle persecuzioni, il testo mostra come le parole di predizione di Gesù hanno lo scopo di far superare lo scandalo – cioè la messa in pericolo della fede – nell'esperienza della sofferenza del giusto (16,1.4). Mediante il ricordo di quelle parole, i primi credenti potranno conservare la fede, nella dura esperienza dell'esclusione dalle sinagoghe e dell'uccisione in nome di Dio, perpetrate da quanti ignorano il Padre e il Figlio (16,2-3).

    Meditazione
    I discepoli di ieri e di ogni tempo, come è stato notato a proposito del brano evangelico (Gv 15,18-21) di sabato scorso, a causa della testimonianza, devono sopportare l'odio e la persecuzione del mondo. La loro testimonianza, tuttavia, non proviene soltanto da loro.
    Il testimone di Gesù, infatti, è il Paraclito. Egli continua quella testimonianza che Gesù aveva reso mediante le sue opere (cfr. Gv 5,36; 10,25). Lo Spirito Santo, però non può parlare direttamente al mondo, ma deve servirsi dei discepoli, precisamente, della testimonianza dei discepoli. La testimonianza dei discepoli, in altri termini, è l'espressione della testimonianza dello Spirito. In particolare, nel contesto, emerge proprio la funzione del Paraclito, che assiste e soccorre nel processo. I discepoli saranno chiamati in giudizio, per «rendere testimonianza» davanti ai giudici e, in quell'ora, «sarà dato» ad essi ciò che devono dire, perché il Paraclito parlerà per bocca loro (cfr. Mc 13,9.11). Mt 10,20 chiarisce come, nell'interrogatorio giudiziario, «non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi».
    I discepoli, inoltre, possono testimoniare in quanto sono stati con Gesù «fin dal principio». Nella 1Gv 1,2; 4,14, la testimonianza rimanda alla predicazione e al "vedere" che l'autorizza. Si tratta dell'esperienza dei testimoni diretti dell'attività terrena di Gesù. Il «principio», tuttavia, non va inteso soltanto nel senso cronologico, come punto di partenza temporale, ma vuole mettere in rilievo l'origine di tutta la predicazione, nella comunione permanente con Gesù, con colui che è fin dal principio (cfr. 1Gv 1,1; 2,13).

    Preghiera:
    Gesù, rendici tuoi testimoni nella permanente unione con te e nel servizio alla potenza dello Spirito Santo. Il Fuoco divino ci doni il coraggio e renda ardente la nostra parola.

    Agire:
    Non mi tirerò indietro, in un'occasione che mi si presenterà per testimoniare la fede.

    Commento a cura di don Nunzio Capizzi
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 01/06/2011 08:17
    a cura dei Carmelitani Commento Giovanni 16,12-15

    1) Preghiera

    O Dio, che ci chiami a celebrare nella fede
    la risurrezione del tuo Figlio,
    fa' che possiamo rallegrarci con lui insieme ai tuoi santi
    nel giorno della sua venuta.
    Egli è Dio, e vive e regna con te...



    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Giovanni 16,12-15
    In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà".


    3) Riflessione

    • In queste settimane del tempo pasquale, i vangeli di ogni giorno sono quasi sempre tratti dai capitoli dal 12 al 17 di Giovanni. Ciò rivela qualcosa riguardo all'origine e al destino di questi capitoli. Rispecchiano non solo ciò che avvenne prima della passione e della morte di Gesù, ma anche e soprattutto il vissuto della fede delle prime comunità dopo la risurrezione. Rispecchiano la fede pasquale che le animava.
    • Giovanni 16,12: Ancora ho molte cose da dire. Il vangelo di oggi comincia con questa frase: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso". In queste parole di Gesù appaiono due cose. Il clima d'addio che marcava l'ultima cena, e la preoccupazione di Gesù, il fratello maggiore, con i suoi fratelli minori che tra breve rimarranno senza la sua presenza. Il tempo che rimaneva era poco. Tra breve Gesù sarà preso. L'opera iniziata era incompleta. I discepoli erano appena all'inizio dell'apprendistato. Tre anni sono molto pochi per cambiare vita e per cominciare a vivere e a pensare ad una nuova immagine di Dio. La formazione non era terminata. Mancava molto, e Gesù aveva ancora molte cose da insegnare e trasmettere. Ma lui conosce i suoi discepoli. Non sono tra i più intelligenti. Non sopporterebbero di conoscere già tutte le conseguenze e le implicazioni del discepolato. Rimarrebbero scoraggiati. Non sarebbero capaci di sopportarlo.
    • Giovanni 16,13-15: Lo Spirito Santo darà il suo aiuto. "Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà." Questa affermazione di Gesù rispecchia l'esperienza delle prime comunità. Nella misura in cui cercavano di imitare Gesù, cercando di interpretare ed applicare la sua Parola alle varie circostanze della loro vita, sperimentavano la presenza e la luce dello Spirito. E questo avviene fino ad oggi nelle comunità che cercano di incarnare la parola di Gesù nelle loro vite. La radice di questa esperienza sono le parole di Gesù: "Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà".
    L'azione dello Spirito Santo nel Vangelo di Giovanni. Giovanni usa molte immagini e simboli per dimostrare l'azione dello Spirito Santo. Come nella creazione (Gen 1,1), così lo Spirito scese su Gesù "sotto forma di colomba, venuta dal cielo" (Gv 1,32). E' l'inizio della nuova creazione! Gesù parla le parole di Dio e ci comunica lo Spirito, senza misura (Gv 3,34). Le sue parole sono Spirito e Vita (Gv 6,63). Quando Gesù dà il suo addio, disse che avrebbe mandato un altro consolatore, un altro difensore, che rimaneva con noi. E' lo Spirito Santo (Gv 14,16-17). Per la sua passione, morte e risurrezione, Gesù conquistò il dono dello Spirito per noi. Per il battesimo tutti noi riceviamo questo stesso Spirito di Gesù (Gv 1,33). Quando apparvero gli apostoli, soffiò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo!" (Gv 20,22). Lo Spirito è come l'acqua che sgorga dal di dentro delle persone che credono in Gesù (Gv 7,37-39; 4,14). Il primo effetto dell'azione dello Spirito in noi è la riconciliazione: "A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Gv 20,23). Lo Spirito che Gesù ci comunica ha un'azione multipla: consola e protegge (Gv 14,16), comunica la verità (Gv 14,17; 16,13), fa ricordare ciò che Gesù insegnò (Gv 14,26); darà testimonianza di Gesù (Gv 15,26); manifesta la gloria di Gesù (Gv 16,14); convincerà il mondo riguardo al peccato, alla giustizia (Gv 16,8). Lo Spirito ci viene dato per poter capire il significato pieno delle parole di Gesù (Gv 14,26; 16,12-13). Animati dallo Spirito di Gesù possiamo adorare Dio in qualsiasi luogo (Gv 4,23-24). Qui si realizza la libertà dello Spirito di cui parla San Paolo: "Dove c'è lo Spirito del Signore, lì c'è libertà" (2Cor 3,17).


    4) Per un confronto personale

    • Come vivo la mia adesione a Gesù: solo o in comunità?
    • La mia partecipazione alla comunità mi ha portato qualche volta a sperimentare la luce e la forza dello Spirito Santo?



    5) Preghiera finale

    Solo il nome del Signore è sublime,
    la sua gloria risplende sulla terra e nei cieli.
    Egli ha sollevato la potenza del suo popolo.
    È canto di lode per tutti i suoi fedeli.
    (Sal 148)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 02/06/2011 08:48
    A volte si parla di secoli bui della storia, di oscurantismo. Si definiscono scristianizzati certi paesi e si afferma che ci troviamo ormai in una civiltà postcristiana. Altre volte, invece, lasciandosi guidare da maggiore ottimismo, si enumerano i segni di una rinascita dei valori spirituali nel nostro tempo e si parla di un ritorno della fede. Quello che si dice della storia delle nazioni, si può dire anche della storia personale di ognuno. Ci sono momenti di entusiasmo e momenti di oscurità. Momenti in cui si sente palese la presenza di Dio e momenti nei quali ci si lamenta del silenzio di Dio.
    Eppure Dio è sempre stato presente in ogni momento della storia, ed è presente in ogni attimo della nostra vita. Gesù ci ha assicurati che sarebbe sempre rimasto con i suoi. Lo Spirito Paraclito è sceso sulla comunità dei credenti e abita in essa. Perciò nei momenti oscuri della giornata, nei momenti di difficoltà e di tristezza, nei momenti di smarrimento e di oscuramento dei valori cristiani, non serve interrogare Dio o indagare, come fecero gli apostoli, se per caso Gesù se n’è andato e ci ha abbandonati.
    È il momento, invece, di esercitare la fede, di ritrovare la gioia nella sicurezza che il Paraclito ci assiste in continuazione, di prestare maggiore attenzione al Consolatore che dimora in noi. Egli ci illuminerà perché sappiamo riconoscere le opere meravigliose che Dio compie e che con le nostre sole forze non siamo capaci di vedere.
    È il momento anche di invocare con insistenza lo Spirito Santo, perché ci faccia conoscere tutta la verità e cambi la nostra afflizione in gioia.
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 06/06/2011 09:37
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Abbiate fiducia: io ho vinto il mondo

    Le parole dei discepoli sono piene ora di buone intenzioni, perché ritengono di aver capito che Gesù sta parlando chiaramente senza ricorrere a immagini. Essi sono giunti a riconoscere che Gesù sa tutto, cioè legge nell'intimo di ciascuno, e su questo fatto basano la loro fede. "Per questo crediamo che sei venuto da Dio". Con garbata ironia Gesù commenta questa loro espressione di fede, ponendola in dubbio. "Adesso credete?". Quando la nostra fede è più umanamente baldanzosa e non è sufficientemente basata su Dio, è più vicina a venir meno, come nel caso dei discepoli. La vicinanza di un uomo straordinario, che sa tutto e che ci sa rispondere su tutto, non è fede, ma illusione. La fede, invece, non è questa: si dovrebbe sapere che, finché siamo pellegrini su questa terra, si vive nell'oscurità. Si crede anche senza sicurezza di vedere qualcosa di certo. "Ecco, viene l'ora, ed è giunta, in cui vi disperderete, ciascuno alle proprie case, e mi lascerete solo". Gli apostoli non erano ancora preparati a questo, e perciò il Cristo predice il loro smarrimento: perché nel loro entusiasmo c'era ancora qualcosa di infantile. Infatti quando il loro Maestro sarà catturato, processato e mandato a morte, tutto crollerà. "Ma io non sono solo, perché il Padre è con me". L'evangelista non accenna a un abbandono da parte del Padre, che è sempre con il Figlio, anche nell'ora più oscura. Proprio in ciò sta la serena sicurezza con la quale Gesù va incontro alla sua prova, anzi si propone ai suoi: "Abbiate fiducia: io ho vinto il mondo". Si tratta dunque di assumere le cose del mondo come sono e di viverle, animandole di speranza. Con queste ultime parole, rivolte ai discepoli, Gesù mostra la sua suprema padronanza nell'ora fosca che si avvicina, inculcando ai suoi fiducia in lui, non come lo avevano pensato prima, un vittorioso, ma non uno sconfitto. E "chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù, il crocifisso, è il figlio di Dio?".

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 08/06/2011 14:39
    Eremo San Biagio


    Dalla Parola del giorno
    Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue.

    Come vivere questa Parola?
    Il versetto è diretto ai responsabili della comunità cristiana. Verrebbe quindi da escluderlo dalla considerazione di quanti non si ritrovano in questa categoria. Ma a una lettura più attenta ci si rende conto che la "chiesa è di Dio", "acquistata con il suo sangue" e affidata, con ruoli diversi, a tutti i suoi membri. Anche la casalinga, l'operaio, il professionista, il malato sono, in qualche modo, depositari del dono di Dio. Ognuno può dire: la chiesa è affidata a me. Si tratta di scoprire con quale compito specifico "lo Spirito Santo ci ha posti in mezzo al gregge". E qui una duplice sottolineatura: il "posto", cioè la vocazione nessuno se lo sceglie. È lo Spirito che alcuni li invia come pastori, altri come catechisti, altri come operatori inseriti nel sociale... Diverse sono le mansioni, ma unico il compito della testimonianza per l'edificazione del Regno. E qui la seconda sottolineatura: il "progetto" non è nostro, ma di Dio. È lui che ne cura la realizzazione, sia pure coinvolgendoci attivamente. La storia è abitata da Lui, dallo Spirito. Anche le ore più tenebrose sono attraversate da questa Presenza e quindi non possono che preludere alla luce. È su questa certezza che il cristiano fonda il proprio operare, bandendo paure legate alla propria inadeguatezza e ansie ingiustificate.

    Oggi, nella mia pausa contemplativa, mi esporrò allo Spirito chiedendogli di farmi comprendere con quale compito "mi ha posto in mezzo al suo gregge". Presterò poi attenzione all'invito di Paolo a "vigilare su me stesso e su quanti mi sono affidati" perché corrispondiamo alla grazia..

    Vieni, Spirito Santo, Spirito di Consiglio. Fammi comprendere momento per momento ciò che Dio vuole da me. Toglimi la bramosia di conoscere tutta la strada e sostituiscila con la serena fiducia che la meta verso cui sto procedendo tu la conosci ed è una meta fissata dall'amore.

    La voce di un Padre della Chiesa
    Il Signore attesta che la carne è debole e lo Spirito è pronto, cioè che può fare tutto ciò che è in suo potere. Se a ciò che è in potere dello Spirito si unisce la debolezza della carne, necessariamente ciò che è forte supera ciò che è debole, e così la debolezza della carne viene assorbita nella forza dello Spirito.
    Ireneo di Lione

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 10/06/2011 09:07
    a cura dei Carmelitani
    Commento Giovanni 21,15-19

    1) Preghiera

    O Dio, nostro Padre,
    che ci hai aperto il passaggio alla vita eterna
    con la glorificazione del tuo Figlio
    e con l'effusione dello Spirito Santo,
    fa' che, partecipi di così grandi doni,
    progrediamo nella fede
    e ci impegniamo sempre più nel tuo servizio.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...



    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Giovanni 21,15-19
    In quel tempo, quando si fu manifestato ai discepoli ed essi ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?" Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti amo". Gli disse: "Pasci i miei agnelli".
    Gli disse di nuovo: "Simone di Giovanni, mi ami?" Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti amo". Gli disse: "Pasci le mie pecorelle".
    Gli disse per la terza volta: "Simone di Giovanni, mi ami?" Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo". Gli rispose Gesù: "Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi".
    Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: "Seguimi".


    3) Riflessione

    • Siamo negli ultimi giorni prima di Pentecoste. Nel corso della Quaresima la selezione dei vangeli del giorno continua l'antica tradizione della Chiesa. Tra Pasqua e Pentecoste, si preferisce il vangelo di Giovanni. E così, in questi ultimi giorni prima di Pentecoste, i vangeli del giorno riportano gli ultimi versi del vangelo di Giovanni. Quando poi riprenderemo il Tempo Ordinario, ritorneremo al vangelo di Marco. Nelle settimane del Tempo Ordinario, la liturgia procede ad una lettura continua del vangelo di Marco (dalla 1ª alla 9ª settimana del tempo ordinario), di Matteo (dalla 10a alla 21ª settimana del tempo ordinario) e di Luca (dalla 22ª alla 34ª settimana del tempo ordinario).
    • I vangeli di oggi e di domani parlano dell'ultimo incontro di Gesù con i suoi discepoli. Fu un incontro celebrativo, marcato dalla tenerezza e dall'affetto. Alla fine Gesù chiama Pietro e gli chiede tre volte: "Tu, mi ami?" Solo dopo aver ricevuto per tre volte la stessa risposta affermativa, Gesù affida a Pietro la missione di prendersi cura delle pecore. Per poter lavorare nella comunità Gesù non ci chiede molte cose. Ciò che ci chiede è di avere molto amore!
    • Giovanni 21,15-17: L'amore al centro della missione. Dopo una notte di pesca nel lago senza prendere un solo pesce, giungendo sulla spiaggia, i discepoli scoprono che Gesù aveva preparato pane e pesci arrostiti sulla brace. Consumato il pasto, Gesù chiama Pietro e gli chiede tre volte: "Mi ami?" Tre volte, perché per tre volte Pietro nega Gesù (Gv 18,17.25-27). Dopo le tre risposte affermative, anche Pietro diventa "Discepolo Amato" e riceve l'ordine di prendersi cura delle pecore. Gesù non chiede a Pietro se ha studiato esegesi, teologia, morale o diritto canonico. Chiede solo: "Mi ami?" L'amore al primo posto. Per le comunità del Discepolo Amato la forza che sostiene e le mantiene unite non è la dottrina, ma l'amore.
    • Giovanni 21,18-19: La previsione della morte. Gesù dice a Pietro: In verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. Lungo la vita, Pietro e tutti noi maturiamo. La pratica dell'amore prenderà radici nella vita e la persona non sarà più padrona della propria vita. Il servizio d'amore ai fratelli e alle sorelle prenderà il sopravvento e ci condurrà. Un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. Questo è il significato della sequela. E l'evangelista commenta: "Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio". E Gesù aggiunge: "Seguimi."
    L'amore in Giovanni – Pietro, mi ami? – Il Discepolo Amato. La parola amore è una delle parole che sono oggi più usate da noi. Proprio per questo è una parola che si è molto sciupata. Ma le comunità del Discepolo Amato manifestavano la loro identità ed il loro progetto proprio con questa parola. Amare è innanzi tutto un'esperienza profonda di relazione tra persone in cui c'è un insieme di sentimenti e valori: gioia, tristezza, sofferenza, crescita, rinuncia, dedizione, realizzazione, dono, impegno, vita, morte, ecc. Tutto questo insieme è riassunto nella Bibbia in un'unica parola in lingua ebraica. Questa parola è hesed. La sua traduzione nella nostra lingua è difficile. Generalmente nelle nostre Bibbie è tradotta con carità, misericordia, fedeltà o amore. Le comunità del Discepolo Amato cercavano di vivere questa pratica d'amore in tutta la sua radicalità. Gesù la rivelò nei suoi incontri con le persone con sentimenti di amicizia e di tenerezza, come per esempio, nella sua relazione con la famiglia di Marta e Maria a Betania: "Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro". Piange davanti alla tomba di Lazzaro (Gv 11,5.33-36). Gesù incarna sempre la sua missione in una manifestazione d'amore: "avendo amato i suoi, li amò fino all'estremo" (Gv 13,1). In questo amore Gesù manifesta la sua profonda identità con il Padre (Gv 15,9). Per le sue comunità, non c'era un altro comandamento, tranne questo "agire come agiva Gesù" (1Gv 2,6). Ciò presuppone "amare i fratelli" (1Gv 2,7-11; 3,11-24; 2Gv 4-6). Essendo un comandamento così centrale nella vita della comunità, gli scritti giovannei definiscono l'amore così: "Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli". Per questo non dobbiamo "amare solo a parole, ma coi fatti e nella verità". (1Gv 3,16-17). Chi vive l'amore e lo manifesta nelle sue parole ed atteggiamenti diventa Discepola Amata, Discepolo Amato.


    4) Per un confronto personale

    • Guarda dentro di te e dì qual è il motivo più profondo che ti spinge a lavorare in comunità. L'amore o la preoccupazione per le idee?
    • A partire dai rapporti che abbiamo tra di noi, con Dio e con la natura, che tipo di comunità stiamo costruendo?



    5) Preghiera finale

    Benedici il Signore, anima mia,
    quanto è in me benedica il suo santo nome.
    Benedici il Signore, anima mia,
    non dimenticare tanti suoi benefici.
    (Sal 102)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 13/06/2011 07:37
    a cura dei Carmelitani


    1) Preghiera

    O Dio, fortezza di chi spera in te,
    ascolta benigno le nostre invocazioni,
    e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo
    senza il tuo aiuto,
    soccorrici con la tua grazia,
    perché fedeli ai tuoi comandamenti
    possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...




    2) Lettura

    Dal Vangelo secondo Matteo 5,38-42
    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Da’ a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle”.



    3) Riflessione

    • Il vangelo di oggi fa parte di una piccola unità letteraria che va da Mt 5,17 fino a Mt 5,48, in cui si descrive come passare dall’antica giustizia dei farisei (Mt 5,20) alla nuova giustizia del Regno di Dio (Mt 5,48). Descrive come salire sulla Montagna delle Beatitudini, da dove Gesù annunciò la nuova Legge dell’Amore. Il grande desiderio dei farisei era vivere nella giustizia, essere giusti dinanzi a Dio. E questo è anche il desiderio di tutti noi. Giusto è colui o colei che riesce a vivere dove Dio vuole che viva. I farisei si sforzavano di raggiungere la giustizia mediante la stretta osservanza della Legge. Pensavano che con il loro sforzo potevano arrivare a stare dove Dio li voleva. Gesù prende posizione nei confronti di questa pratica e annuncia la nuova giustizia che deve superare la giustizia dei farisei (Mt 5,20). Nel vangelo di oggi stiamo giungendo quasi alla cima della montagna. Manca poco. La cima è descritta in una frase: “Siate perfetti come il vostro Padre celestiale è perfetto” (Mt 5,48), che mediteremo nel vangelo di domani. Vediamo da vicino questo ultimo grado che ci manca per giungere alla cima della montagna, di cui San Giovanni della Croce dice: “Qui regnano il silenzio e l’amore”.
    • Matteo 5,38: Occhio per occhio, dente per dente. Gesù cita un testo dell’Antica legge dicendo: "Avete inteso che è stato detto: Occhio per occhio, dente per dente!” Abbreviò il testo, perché il testo intero diceva: ”Vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, colpo per colpo” (Es 21,23-25). Come nei casi precedenti, anche qui Gesù fa una rilettura completamente nuova. Il principio “occhio per occhio, dente per dente” si trovava alla radice dell’interpretazione che gli scribi facevano della legge. Questo principio deve essere sovvertito, perché perverte e distrugge il rapporto tra le persone e con Dio.
    • Matteo 5,39ª: Non restituire il male con il male. Gesù afferma esattamente il contrario: “Ma io vi dico di non opporvi al malvagio”. Dinanzi a una violenza ricevuta, la nostra reazione naturale è pagare l’altro con la stessa moneta. La vendetta chiede “occhio per occhio, dente per dente”. Gesù chiede di restituire il male non con il male, ma con il bene. Perché se non sappiamo superare la violenza ricevuta, la spirale di violenza occuperà tutto e non sapremo più cosa fare. Lamech diceva: “Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette" (Gen 4,24). E fu proprio per questa terribile vendetta che tutto è finito nella confusione della Torre di Babele (Gen 11,1-9). Fedele all’insegnamento di Gesù, Paolo scrive nella lettera ai Romani: “Non rendete a nessuno male per male; la vostra preoccupazione sia fare il bene a tutti gli uomini. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene" (Rom 12,17-21). Per poter avere questo atteggiamento è necessario avere molta fede nella possibilità di recupero che ha l’essere umano. Come fare questo in pratica? Gesù offre quattro esempi concreti.
    • Matteo 5,39b-42: I quattro esempi per superare la spirale di violenza. Gesù dice: “anzi (a) se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; (b) e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. (d) E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. (e) Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle”. (Mt 5,40-42). Come capire queste quattro affermazioni? Gesù stesso ci offre un aiuto per aiutarci a capirle. Quando il soldato gli colpì la guancia, lui non gli porse l’altra. Anzi, reagì con energia: "Se ho parlato male, dimostrami dove è il male, ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 18,23). Gesù non insegna ad essere passivi. San Paolo crede che ripagando il male con il bene “tu ammasserai carboni ardenti sul capo dell’altro” (Rm 12,20). Questa fede nella possibilità di recupero dell’essere umano è possibile solo partendo dalla radice che nasce dalla gratuità totale dell’amore creatore che Dio ci mostra nella vita e negli atteggiamenti di Gesù.



    4) Per un confronto personale

    • Hai sentito dentro di te qualche volta una rabbia così grande da voler applicare la vendetta “occhio per occhio, dente per dente”? Cosa hai fatto per superarla?
    • La convivenza comunitaria oggi nella Chiesa favorisce in noi l’amore creatore che Gesù suggerisce nel vangelo di oggi?




    5) Preghiera finale

    Porgi l’orecchio, Signore, alle mie parole:
    intendi il mio lamento.
    Ascolta la voce del mio grido, o mio re e mio Dio,
    perché ti prego, Signore.
    (Sal 5)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 14/06/2011 07:49
    Monaci Benedettini Silvestrini
    L’amore senza confini

    Amare coloro che ci amano è facile, gratificante ed istintivo. Amare i nemici e addirittura pregare per i nostri persecutori è eroico e impossibile alle sole forze umane. Ci appare evidente un progetto divino, annesso alla redenzione di Cristo: egli vuole non solo colmarci del suo amore e farci sentire dentro la veemenza della divina misericordia, ma desidera ancora che la violenza, le divisioni, le lotte cessino definitivamente tra gli uomini. Gesù ci dice: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore». La pace di Cristo è frutto del perdono da lui meritato per tutti noi sulla croce con tutta la sua passione. Ecco il meraviglioso intreccio: al peccato Dio ha risposto con la sua misericordia, alla violenza assurda degli uomini Cristo ha risposto con il suo perdono, ai suoi crudeli crocifissori Cristo ha risposto pregando per loro, al tentativo insane di dare la morte al Signore, egli ha risposto con la sua gloriosa risurrezione. Sono questi i percorsi della pace, percorsi ardui, ma che ci rendono realmente figli dell’unico Dio e fratelli dell’unico Padre. Soltanto se intimamente uniti a Cristo e certi del suo amore possiamo come lui donarlo ai nostri fratelli, senza distinzione di razza o di religione o di censo o di cultura. L’amore non ha confini, di sua natura a tutti e ovunque si diffonde. È l’arma del cristiano che gli consente di conseguire le più grandi vittorie, è il modo migliore per fermare i volenti, per disarmare i guerrieri, per stabilire la pace. Dentro le nostre chiese, dentro i nostri confessionali dovrebbe in modo privilegiato regnare quell’amore. Prima di pretendere che i cuori degli uomini siano aperte a Cristo, bisogna verificare se le porte delle nostre chiese sono davvero spalancate a tutti. I cuori dei pastori e dei ministri del perdono dovrebbero essere ricolmi dell’amore di Cristo e pronti ad accogliere come lui ha fatto durante tutta la sua vita terrena. Costatiamo con sgomento che talvolta i lontani a fatica e boccheggiando arrivano alle porte delle nostre chiese o al genuflessorio dei nostri confessionali e trovano porte chiuse e confessori che li respingono. Non ci è lecito tradire così il mandato che abbiamo ricevuto. Forse siamo ancora in troppi a prediligere la fredda applicazione della legge e dei canoni, creando nuove e più penose forme di schiavitù, che far sperimentare la gioia del perdono e della piena riconciliazione con Dio. Pare di vedere che intorno alla misericordia, nei confini del perdono, sono stati eretti steccati e muri talvolta invalicabili. Sappiamo che non è questo il comando del Signore.

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 15/06/2011 08:27
    padre Lino Pedron
    Commento su Matteo 6, 1-6.16-18

    Il discorso riprende l'enunciato di 5,20; "Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli". Il termine giustizia (sedaqah) è usato nella Bibbia per sintetizzare i rapporti dell'uomo con Dio, la pietà, la religiosità, la fede.

    I rapporti con Dio, nostro Padre, devono essere improntati alla fiducia, alla confidenza e soprattutto alla sincerità.

    L'autentica giustizia non ha come punto di riferimento gli uomini, ma va esercitata davanti al Padre che è nei cieli. Farsi notare dagli uomini è perdere ogni ricompensa presso il Padre.

    Matteo sottolinea la vanità di un gesto puramente umano: gli ipocriti, che cercano l'approvazione, hanno già ricevuto la loro ricompensa.

    L'ipocrisia consiste nel fatto che un'azione, che ha Dio come destinatario, viene deviata dal suo termine. L'elemosina, la preghiera e il digiuno devono essere fatti per il Padre che vede nel segreto.

    Queste azioni fatte "nel segreto" non significano necessariamente azioni segrete: indicano ogni azione, anche pubblica, fatta per il Padre e non per essere visti dagli uomini. E' l'intenzione profonda che conta perché la ricompensa si situa a questo livello: la ricompensa è l'autenticità del rapporto con il Padre.

    Il cristiano deve fare l'elemosina in modo da salvaguardare la rettitudine dell'aiuto prestato al fratello per amore del Padre.

    La strumentalizzazione della preghiera è la deformazione più inspiegabile della pietà, perché mette a proprio servizio anche ciò che è essenzialmente di Dio.

    Gesù nel suo intervento non si propone di modificare il rituale della preghiera giudaica, solo suggerisce un modo più retto di compierla, evitando l'ostentazione, il formalismo, l'ipocrisia. Gli stessi rabbini insegnavano: "Colui che fa della preghiera un dovere, che ritorna a ora fissa, non prega con il cuore".

    Il richiamo di Gesù è sulla stessa linea della tradizione profetica e sapienziale e trova conferma nei suoi successivi insegnamenti e più ancora nella sua vita.

    Il digiuno è un'altra importante pratica della vecchia e della nuova "giustizia". Esso è un atto penitenziale che completa e aiuta la preghiera.

    Gesù, come i profeti, non condanna il digiuno ma il modo nel quale era fatto. Invece di esprimere la propria umiliazione, esso diventava una manifestazione di orgoglio.

    Il digiuno cristiano, come l'elemosina e la preghiera, deve essere compiuto di nascosto. Il cristiano non deve fare ostentazione della sua penitenza; deve anzi nasconderla con un atteggiamento gioioso.

    Il digiuno, come ogni altra sofferenza, è una fonte di gioia perché ottiene un maggior avvicinamento a Dio. L'invito di Gesù ad assumere un atteggiamento giulivo invece che tetro, sottolinea il significato definitivo della penitenza cristiana: poter soffrire è una grazia (cfr 1Pt 2,19).

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 17/06/2011 07:42
    Eremo San Biagio
    Commento su Mt 6,22

    Dalla Parola del giorno
    "La lucerna del corpo è l'occhio, se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce."

    Come vivere questa Parola?
    Perché Gesù tira in ballo l'occhio dopo aver parlato dell'accumulo dei beni che, realizzato per bramosia del possesso, è un male grande? Viene proprio da chiederci che c'entra con l'occhio? Eccome c'entra! La sanità dell'occhio è molto importante perché la persona non solo possa vedere, ma muoversi a suo agio e agire con autonomia. Gesù trasferisce questa importanza al livello profondo dell'interiorità. È l'occhio interiore, l'occhio del cuore che conta. Perché, se è malato di cupidigia e non smette di desiderare beni di questo mondo e di volerseli accaparrare solo per sé, la persona vive male.
    Bramosia di accumulare e attaccamento possessivo sono purtroppo mali molto diffusi. Anche se i mezzi di comunicazione e la mentalità corrente hanno tutta l'aria di camuffarli da "interessi privati" leciti ed onesti.
    Se l'occhio del cuore, cioè l'intenzione profonda delle nostre scelte, del nostro pensare e agire è limpido, tutta la nostra persona ('corpo' nella Bibbia si riferisce spesso alla totalità dell'uomo) è nella pace, nella gioia profonda.

    Oggi, in quiete contemplativa, chiedo allo Spirito Santo di mettere al vaglio le mie intenzioni profonde. Che cosa voglio dalla vita? Che cosa realmente mi interessa? E quello che voglio è conforme a una ricerca pacifica di quello che Dio vuole da me?

    Signore, liberami dall'ansia che proviene dalla cupidigia e dall'attaccamento. Pacifica il mio pensiero, i miei affetti, tutto.

    La voce di un 'profetà del XX secolo
    Il benessere è necessario, ma oltre un certo limite diventa un ostacolo. Dietro la creazione di bisogni illimitati si nasconde una trappola. La soddisfazione dei bisogni materiali deve avere dei limiti, altrimenti degenera in culto della materia. È il rischio che stanno correndo gli europei, e che avrà effetti devastanti se non compiranno un cambiamento radicale.
    Gandhi

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 19/06/2011 07:29
    padre Raniero Cantalamessa
    il terrorismo religioso, tradimento della fede

    Perché i cristiani credono nella Trinità? Non è già abbastanza difficile credere che c'è Dio, per aggiungerci anche il rebus che egli è "uno e trino"? Ci sono oggigiorno alcuni a cui non dispiacerebbe lasciar da parte la Trinità, anche per poter così dialogare meglio con Ebrei e Musulmani che professano la fede in un Dio rigidamente unico.

    La risposta è che i cristiani credono che Dio è trino, perché credono che Dio è amore! Se Dio è amore deve amare qualcuno. Non c'è un amore a vuoto, non diretto ad alcuno. Ci domandiamo: chi ama Dio per essere definito amore? Una prima risposta potrebbe essere: ama gli uomini! Ma gli uomini esistono da alcuni milioni di anni, non più. Prima di allora chi amava Dio? Non può infatti aver cominciato ad essere amore a un certo punto del tempo, perché Dio non può cambiare. Seconda risposta: prima di allora amava il cosmo, l'universo. Ma l'universo esiste da alcuni miliardi di anni. Prima di allora, chi amava Dio per potersi definire amore? Non possiamo dire: amava se stesso, perché amare se stessi non è amore, ma egoismo o, come dicono gli psicologi, narcisismo.

    Ed ecco la risposta della rivelazione cristiana. Dio è amore in se stesso, prima del tempo, perché da sempre ha in se stesso un Figlio, il Verbo, che ama di un amore infinito, che è lo Spirito Santo. In ogni amore ci sono sempre tre realtà o soggetti: uno che ama, uno che è amato e l'amore che li unisce. Là dove Dio è concepito come potenza assoluta, non c'è bisogno di più persone, perché la potenza può essere esercitata benissimo da uno solo; non così se Dio è concepito come amore assoluto.

    La teologia si è servita del termine natura, o sostanza per indicare in Dio l'unità e del termine persona per indicare la distinzione. Per questo diciamo che il nostro Dio è un Dio unico in tre persone. La dottrina cristiana della Trinità non è un regresso, un compromesso tra monoteismo e politeismo. È al contrario un passo avanti che solo Dio stesso poteva far compiere alla mente umana.

    La contemplazione della Trinità può avere un impatto prezioso sulla nostra vita umana. Essa è un mistero di relazione. Le persone divine sono definite dalla teologia "relazioni sussistenti". Questo significa che le divine persone non hanno delle relazioni, ma sono delle relazioni. Noi esseri umani abbiamo delle relazioni - di figlio a padre, di moglie a marito ecc. -, ma non ci esauriamo in quelle relazioni; esistiamo anche fuori e senza di esse. Non così il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

    La felicità e l'infelicità sulla terra dipendono in larga misura, lo sappiamo, dalla qualità delle nostre relazioni. La Trinità ci svela il segreto per avere delle relazioni belle. Ciò che rende bella, libera e gratificante una relazione è l'amore nelle sue diverse espressioni. Qui si vede come è importante che Dio sia visto primariamente come amore e non come potere: l'amore dona, il potere domina. Quello che avvelena una relazione è il volere dominare l'altro, possederlo, strumentalizzarlo, anziché accoglierlo e donarsi.

    Devo aggiungere una osservazione importante. Il Dio cristiano è uno e trino! Questa è dunque la festa anche dell'unità di Dio, non solo della sua trinità. Anche noi cristiani crediamo "in un solo Dio", solo che l'unità in cui crediamo non è una unità di numero, ma di natura. Somiglia più all'unità della famiglia che a quella dell'individuo, più all'unità della cellula che a quella dell'atomo.

    La prima lettura della festa ci presenta il Dio biblico come "misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia". Questo è il tratto che più accomuna il Dio della Bibbia, il Dio dell'Islam e il Dio (o meglio la religione) buddista e che più si presta, perciò, a un dialogo e a una collaborazione tra le grandi religioni. Ogni sura del Corano inizia con l'invocazione: "Nel nome di Dio, il Misericordioso, il Compassionevole". Nel buddismo, che non conosce l'idea di un Dio personale e creatore, il fondamento è antropologico e cosmico: l'uomo deve essere misericordioso per la solidarietà e la responsabilità che lo legano a tutti i viventi. Le guerre sante del passato e il terrorismo religioso di oggi sono un tradimento, non una apologia, della propria fede. Come si può uccidere in nome di un Dio che si continua a proclamare "il Misericordioso e il Compassionavole"? È il compito più urgente del dialogo interreligioso che insieme, i credenti di tutte le religioni, devono perseguire per la pace e il bene dell'umanità.

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 21/06/2011 07:38
    a cura dei Carmelitani


    1) Preghiera

    Dona al tuo popolo, o Padre,
    di vivere sempre nella venerazione e nell’amore
    per il tuo santo nome,
    poiché tu non privi mai della tua guida
    coloro che hai stabilito sulla roccia del tuo amore.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...




    2) Lettura

    Dal Vangelo secondo Matteo 7,6.12-14
    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
    Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.
    Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!”.



    3) Riflessione

    Discernimento e prudenza nell’offrire le cose di valore. Nelle relazioni con gli altri Gesù mette innanzitutto in guardia da alcuni pericolosi atteggiamenti. Il primo è quello di non giudicare (7,1-5): è una vera e propria proibizione, «non giudicate», un azione che vita ogni valutazione di disprezzo o di condanna degli altri. Il giudizio ultimo è una competenza esclusiva di Dio; le nostre cifre di misura e i nostri criteri sono relativi; sono condizionati dalla nostra soggettività. Qualsiasi condanna degli altri diventa una condanna di se stessi, in quanto ci pone sotto il giudizio di Dio e ci si autoesclude dal perdono. Se il tuo occhio è puro, vale a dire, è libero da ogni giudizio verso i fratelli, puoi con loro relazionarti in maniera vera davanti a Dio.
    E veniamo alle parole di Gesù offerte dal testo liturgico: «Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi» (7,6), A prima vista questo “detto” di Gesù sembra strano alla sensibilità del lettore odierno. Può rappresentare un vero enigma. Ma si tratta di un modo di dire, di un linguaggio semitico che chiede di essere interpretato. Al tempo di Gesù come anche nella cultura antica i cani non erano molto apprezzati perché ritenuti semi-selvatici e randagi (U.Luz). Ma veniamo all’aspetto positivo e didattico-sapienziale delle parole di Gesù: Non profanare le cose sante è, in fondo, un invito a usare prudenza e discernimento. Nell’AT le cose sante sono la carne per il sacrificio (Lv 22,14; Es 29,33ss; Nm 18,8-19). Anche l’accostamento con il divieto di gettare le perle ai porci è incomprensibile. Per gli Ebrei i maiali sono animali impuri, la quintessenza della ripugnanza. Al contrario le perle sono quanto di più prezioso si possa avere. Il monito di Gesù riguarda chi sfama i cani randagi con la carne consacrata destinata al sacrificio. Un tale comportamento è malvagio ma anche di solito imprudente perché di solito ad essi non si dava da mangiare e quindi a causa della loro fame insaziabile potevano tornare indietro e assalire i loro «benefattori».
    Le perle a livello metaforico potevano indicare gli insegnamenti dei sapienti o le interpretazioni sulla «tor'h». Nel vangelo di Matteo la perla è immagine del regno di Dio (Mt 13,45ss). L’interpretazione che l’evangelista ne fa riportando questo monito di Gesù è soprattutto teologico. Sicuramente l’interpretazione che ci pare più consona al testo è la lettura ecclesiale delle parole di Gesù: un monito ai missionari cristiani a non predicare il vangelo a chicchessia (Gnilka. Luz).
    Seguire un cammino. Nella parte finale del discorso (7,13-27), poi Matteo, riporta, tra gli altri, un ammonimento conclusivo di Gesù che invita a fare una scelta decisiva per entrare nel regno dei cieli: la porta stretta (7,13-14). La parola di Gesù non è solo qualcosa da comprendere e interpretare ma deve soprattutto diventare vita. Ora, per entrare nel regno dei cieli è necessario seguire un cammino ed entrare nella pienezza della vita attraverso una «porta». Il tema del «cammino» è molto caro all’AT (Dt 11,26-28; 30,15-20; Ger 21,8; Sal 1,6; Sal 118,29-30; Sal 138,4; Sap 5,6-7 ecc.). Il cammino rappresentato dalle due porte conduce a traguardi diversi. Un significato coerente con gli ammonimenti di Gesù sarebbe che, alla porta larga è collegato il cammino largo che conduce alla perdizione, vale a dire, il percorrere una strada ampia è sempre un fatto piacevole, ma questo non viene detto nel nostro testo. Piuttosto ci sembra che Matteo concordi con la concezione giudaica del «cammino»: sulla scia di Dt 30, 19 e Ger 21,8 ci sono due vie che si contrappongono, quello della morte e quello della vita. Saper scegliere tra i due diversi modi di vita è decisivo per entrare nel regno dei cieli. Chi sceglie la via stretta, quella della vita deve sapere che è piena di afflizioni; stretta vuol dire provata nella sofferenza per la fede.



    4) Per un confronto personale

    • Qual è l’impatto della parola di Gesù nel tuo cuore? L’ascolti per vivere sotto lo sguardo del Padre e per essere trasformato nella tua persona e nei rapporti con i fratelli?
    • La parola di Gesù, ovvero, Gesù stesso è la porta che fa entrare nella vita filiale e fraterna. Ti lasci guidare, attirare dalla via stretta ed esigente del vangelo? Oppure segui la strada larga e facile che consiste nel fare quello che piace o che ti porta a soddisfare ogni tuo desiderio, trascurando i bisogni degli altri?




    5) Preghiera finale

    Ricordiamo, Dio, la tua misericordia
    dentro il tuo tempio.
    Come il tuo nome, o Dio,
    così la tua lode si estende ai confini della terra;
    è piena di giustizia la tua destra.
    (Sal 47)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 22/06/2011 08:48
    commento a Mt 7,15-20

    Gesù ci mette in guardia contro coloro che proclamandosi profeti, non trasmettono la sua parola: "Guardatevi dai falsi profeti". I falsi profeti non sono precursori di Cristo, non preparano la sua venuta, non sono servi del Buon Pastore, ma lupi rapaci, malgrado il loro travestimento. Ce ne sono molti anche ai nostri tempi, che proclamano messaggi presentandoli come messaggi di salvezza mentre sono parole che conducono alla perdizione: quelli che parlano di libertà e di morale permissiva, quelli che parlano di giustizia, ma predicano la violenza. Tutti costoro si travestono da pecore, cioè manifestano intenzioni eccellenti, ma Gesù ci avverte: "Dai loro frutti li riconoscerete". I predicatori di libertà, che proclamano l'emancipazione da ogni autorità, che pretendono di portare la vera vita e di sopprimere l'odiosa schiavitù, in realtà conducono ad un'altra schiavitù, ad esempio quella del sesso, della droga, perché il loro messaggio non è basato sul vero fondamento, che è il mistero di Cristo. I loro frutti sono frutti di morte, di degradazione. Noi dobbiamo ascoltare la voce di Cristo, che ci vuoi davvero liberi:
    "Cristo ci ha liberati scrive san Paolo perché rimanessimo liberi". Non dobbiamo rinnegare l'aspirazione alla libertà che Dio stesso ha posto nel cuore dell'uomo,
    ma dobbiamo essere lucidi a proposito del modo di trovare la vera libertà. Non è abbandonandosi a tutti gli istinti che si raggiunge, ma disciplinandoli per favorire l'aspirazione umana più profonda, che è l'amore vero.
    I tanti profeti di giustizia proclamano di voler portare la giustizia alla nostra società, ed è evidentemente un'aspirazione ottima, ma può anche nascondere aspirazioni di lupi rapaci, che vengono per divorare e uccidere. Lo vediamo quando, in nome della giustizia, si commettono violenze di ogni genere. Dobbiamo lavorare per la giustizia con perseveranza, ma in modo coerente con l'ideale di giustizia, che si persegue non con la violenza e l'oppressione, ma con la costanza, l'impegno, la pazienza. Tutti i frutti dello Spirito conducono alla vera giustizia di Dio.
    E necessario operare un discernimento, cercando sempre la via del Signore, che fa evitare gli eccessi opposti e ci dà il vero equilibrio, l'equilibrio della vita nuova, la vita del Cristo risorto, la vita di fede, in una parola.
    Abramo nella prima lettura ci è presentato proprio come esempio di fede: "Abramo credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia". In questa pagina profondissima, che ha suscitato tante riflessioni di san Paolo e che lascia già intravedere tutto il mistero di Cristo e tutta la vita cristiana, vediamo insieme la speranza di Abramo, la sua fede e anche la sua adesione al mistero della carità di Dio. Abramo ascolta il Signore: "Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande". Così Dio ravviva la sua speranza, che deve superare le circostanze immediate che non lasciano spiragli verso un futuro: "Ecco, a me non hai dato una discendenza e un mio domestico sarà mio erede". Ma il Signore promette: "Non costui sarà il tuo erede, ma uno nato da te". Poi fa uscire Abramo, gli fa contemplare il cielo: "Conta le stelle, se riesci a contarle. Tale sarà la tua discendenza". Abramo crede e la sua fede lo rende giusto.
    Queste parole di Dio, che immediatamente riguardano Isacco, più profondamente si riferiscono a Cristo: l'erede di Abramo è Cristo, la moltitudine dei figli di Abramo sono coloro che credono in Cristo, che saranno una cosa sola in lui, come dice san Paolo nella lettera ai Galati: "Tale sarà la tua discendenza". Le vere parole profetiche riguardano sempre Cristo.
    Abramo ebbe fede nel Signore. Noi dobbiamo la parola di Cristo, che viene dai veri profeti, credere e trovare in essa la pienezza della vita. In questo testo però non è evocata soltanto la parola del Signore, ma anche la sua azione, che conclude l'alleanza. Il sacrificio misterioso, accompagnato da una manifestazione di terrore e di speranza insieme, è il segno profetico del sacrificio di Cristo, che stabilirà la nuova ed eterna alleanza. Così Abramo è già misteriosamente introdotto nel mistero di Cristo e lo sarà più profondamente ancora nel momento del sacrificio di Isacco. Abramo ascolta Dio e per la sua obbediente fede vede il giorno di Cristo e ne gioisce, come dirà Gesù nel Vangelo di Giovanni.
    L'esempio di Abramo ci guida nella giusta direzione, quella della fede nella parola del Signore e del frutto dello Spirito, che trasforma la vita in modo conseguente alla fede.
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 23/06/2011 07:18
    a cura dei Carmelitani
    Commento Matteo 7,21-29

    1) Preghiera

    Dona al tuo popolo, o Padre,
    di vivere sempre nella venerazione e nell’amore
    per il tuo santo nome,
    poiché tu non privi mai della tua guida
    coloro che hai stabilito sulla roccia del tuo amore.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...




    2) Lettura

    Dal Vangelo secondo Matteo 7,21-29
    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
    Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?
    Io però dichiarerò loro: non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
    Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande”.
    Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle restarono stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi.



    3) Riflessione

    Il vangelo di oggi presenta la parte finale del Discorso della Montagna: (a) Non basta parlare e cantare, bisogna vivere e praticare (Mt 7,21-23). (b) La comunità costruita sul fondamento della nuova Legge del Discorso della Montagna rimarrà in piedi nel momento della tormenta (Mt 7,24-27). (c) Il risultato delle parole di Gesù nelle persone è una coscienza più critica, riguardo ai leaders religiosi, gli scribi (Mt 7,28-29).
    • Il finale del Discorso della Montagna presenta alcune opposizioni o contraddizioni che sono attuali fino al giorno d’oggi: (a) Le persone che parlano continuamente di Dio, ma che non fanno la volontà di Dio; usano il nome di Gesù, ma non traducono in vita il loro rapporto con il Signore (Mt 7,21). (b) Ci sono persone che vivono nell’illusione di lavorare per il Signore, ma nel giorno dell’incontro definitivo con Lui, scopriranno, tragicamente, che non l’hanno mai conosciuto (Mt 7,22-23). Le due parole finali del Discorso della Montagna, della casa costruita sulla roccia (Mt 7,24-25) e della casa costruita sulla spiaggia (Mt 7,26-27), illustrano queste contraddizioni. Per mezzo di esse Matteo denuncia e, nello stesso tempo, cerca di correggere la separazione tra fede e vita, tra parlare e fare, tra insegnare e praticare.
    • Matteo 7,21: Non basta parlare, bisogna praticare. L’importante non è parlare in modo bello di Dio o saper spiegare bene la Bibbia agli altri, bensì fare la volontà del Padre e, così, essere una rivelazione del suo volto e della sua presenza nel mondo. La stessa raccomandazione la fece Gesù a quella donna che elogiò Maria, sua madre. Gesù rispose: “Beati coloro che ascoltano la Parola e la mettono in pratica” (Lc 11,28).
    • Matteo 7,22-23: I doni devono stare al servizio del Regno, della comunità. C’erano persone con doni straordinari, come per esempio il dono della profezia, dell’esorcismo, delle guarigioni, ma usavano questi doni per loro, fuori dal contesto della comunità. Nel giudizio, loro udiranno una sentenza dura da parte di Gesù: "Allontanatevi da me voi che praticate l’iniquità!" L’iniquità è l’opposto alla giustizia. E’ fare con Gesù ciò che i dottori facevano con la legge: insegnare e non praticare (Mt 23,3). Paolo dirà la stessa cosa con altre parole ed argomenti: “E se avessi il dono della profezia e conoscessi i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi gioverebbe." (1Cor 13,2-3).
    • Matteo 7,24-27: La parabola della casa sulla roccia. Aprirsi e praticare, ecco la conclusione finale del Discorso della Montagna. Molta gente cercava la sua sicurezza nei doni straordinari o nelle osservanze. Ma la vera sicurezza non viene dal prestigio o dalle osservanze. Viene da Dio! Viene dall’amore di Dio che ci amò per primo (1Gv 4,19). Il suo amore per noi, manifestato in Gesù supera tutto (Rom 8,38-39). Dio diventa fonte di sicurezza, quando cerchiamo di praticare la sua volontà. Lì lui sarà la roccia che ci sostiene nei momenti di difficoltà e di tempesta.
    • Matteo 7,28-29: Insegnare con autorità. L’evangelista chiude il Discorso della Montagna dicendo che la moltitudine rimase ammirata dell’insegnamento di Gesù, “come uno che ha autorità, e non come gli scribi". Il risultato dell’insegnamento di Gesù è una coscienza più critica della gente rispetto alle autorità religiose dell’epoca. Le sue parole semplici e chiare scaturivano dalla sua esperienza di Dio, dalla sua vita donata al Progetto del Padre. La gente rimaneva ammirata ed approvava l’insegnamento di Gesù.
    Comunità: casa sulla roccia. Nel libro dei Salmi, spesso troviamo l’espressione: “Dio è la mia roccia e la mia fortezza... Mio Dio, roccia mia, mio rifugio, mio scudo, la forza che mi salva...” (Sal 18,3). Lui è la difesa e la forza di colui che cerca la giustizia (Sal 18,21.24). Le persone che hanno fiducia in questo Dio, diventano a loro volta, una roccia per gli altri. Così, il profeta Isaia invita la gente in esilio dicendo: "Voi che siete in cerca di giustizia e che cercate il Signore! Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. Guardate ad Abramo, vostro padre, e a Sara vostra madre." (Is 51,1-2). Il profeta chiede alla gente di non dimenticare il passato. La gente deve ricordare che Abramo e Sara, per la loro fede in Dio, diventarono roccia, inizio del popolo di Dio. Guardando verso questa roccia, la gente doveva acquistare coraggio per lottare ed uscire dalla schiavitù. E anche così Matteo esorta le comunità ad avere come base la stessa roccia (Mt 7,24-25) per poter essere, così loro stessi, roccia per rafforzare i loro fratelli e sorelle nella fede. E’ questo il senso del nome che Gesù dà a Pietro: “Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). Questa è la vocazione delle prime comunità, chiamate ad unirsi a Dio, pietra viva, per diventare loro stesse pietre vive, perché ascoltino e metta in pratica la Parola (Pd 2,4-10; 2,5; Ef 2,19-22).



    4) Per un confronto personale

    • La nostra comunità come cerca di equilibrare preghiera e azione, lode e pratica, parlare e fare, insegnare e praticare? Cosa deve migliorare nella nostra comunità, in modo che sia roccia, casa sicura ed accogliente per tutti?
    • Qual è la roccia che sostiene la nostra Comunità? Qual è il punto su cui Gesù insiste di più?




    5) Preghiera finale

    Aiutaci, Dio nostra salvezza,
    per la gloria del tuo nome,
    salvaci e perdona i nostri peccati
    per amore del tuo nome.
    (Sal 78)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 25/06/2011 08:12
    a cura dei Carmelitani


    1) Preghiera

    Dona al tuo popolo, o Padre,
    di vivere sempre nella venerazione e nell'amore
    per il tuo santo nome,
    poiché tu non privi mai della tua guida
    coloro che hai stabilito sulla roccia del tuo amore.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...



    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Matteo 8,5-17
    In quel tempo, entrato Gesù in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: "Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente". Gesù gli rispose: "Io verrò e lo curerò". Ma il centurione riprese: "Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va', ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa' questo, ed egli lo fa".
    All'udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: "In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande. Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti". E Gesù disse al centurione: "Va', e sia fatto secondo la tua fede". In quell'istante il servo guarì.
    Entrato Gesù nella casa di Pietro, vide la suocera di lui che giaceva a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre scomparve; poi essa si alzò e si mise a servirlo.
    Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: "Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie".


    3) Riflessione

    • Il vangelo di oggi continua la descrizione delle attività di Gesù per indicare come metteva in pratica la Legge di Dio, proclamata sulla Montagna delle Beatitudini. Dopo la guarigione del lebbroso del vangelo di ieri (Mt 8,1-4), ora segue la descrizione di altre guarigioni.
    • Matteo 8,5-7: La richiesta del centurione e la risposta di Gesù. Analizzando i testi del vangelo, è sempre bene fare attenzione ai piccoli dettagli. Il centurione è un pagano, uno straniero. Non chiede nulla, informa soltanto Gesù dicendo che il suo impiegato sta male e che soffre terribilmente. Dietro questo atteggiamento della gente nei confronti di Gesù, c'è la convinzione che non era necessario chiedere le cose a Gesù. Bastava comunicargli il problema. E Gesù avrebbe fatto il resto. Atteggiamento di fiducia illimitata! Infatti, la reazione di Gesù è immediata: "Io verrò e lo curerò!"
    • Matteo 8,8: La reazione del centurione. Il centurione non aspettava un gesto così immediato e così generoso. Non si aspetta che Gesù vada fino a casa sua. E partendo dalla sua esperienza di 'capo' trae un esempio per esprimere la fede e la fiducia che aveva in Gesù. Gli dice: "Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va', ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa' questo, ed egli lo fa".
    Questa reazione di uno straniero dinanzi a Gesù rivela qual era l'opinione della gente nei riguardi di Gesù. Gesù era una persona in cui potevano aver fiducia e che non avrebbe allontanato colui o colei che fosse ricorso/a a lui per rivelargli i suoi problemi. E' questa l'immagine di Gesù che il vangelo di Matteo comunica fino ad oggi a noi che lo leggiamo nel XXI secolo.
    • Matteo 8,10-13: Il commento di Gesù. L'ufficiale rimase ammirato dalla reazione di Gesù e Gesù rimase ammirato dalla reazione dell'ufficiale: "In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande." E Gesù prevedeva già ciò che stava accadendo quando Matteo scrisse il vangelo: "Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti" Il messaggio di Gesù, la nuova Legge di Dio proclamata dall'alto della Montagna delle Beatitudini è una risposta ai desideri più profondi del cuore umano. I pagani sinceri ed onesti come il centurione e tanti altri venuti da Oriente o da Occidente, percepiscono in Gesù la risposta alle loro ansie e la accolgono. Il messaggio di Gesù non è, in primo luogo, una dottrina o una morale, né un rito o un insieme di norme, ma un'esperienza profonda di Dio che risponde a ciò che il cuore umano desidera. Se oggi molti si allontanano dalla chiesa o cercano altre religioni, la colpa non è sempre la loro, ma può essere la nostra, perché non sappiamo vivere né irradiare il messaggio di Gesù.
    • Matteo 8,14-15: La guarigione della suocera di Pietro. Gesù entra in casa di Pietro e sana sua suocera. Lei era malata. Nella seconda metà del primo secolo, quando Matteo scrive, l'espressione "Casa di Pietro" evocava la Chiesa, costruita sulla roccia che era Pietro. Gesù entra in questa casa e salva la suocera di Pietro: "Le toccò la mano e la febbre scomparve. Poi ella si alzò e si mise a servirlo". Il verbo usato in greco è diakonew, servire. Una donna diventa diaconessa in Casa di Pietro. Era ciò che stava avvenendo nelle comunità di quel tempo. Nella lettera ai Romani, Paolo menziona la diaconessa Febe della comunità di Cencreia (Rom 16,1). Abbiamo molto da imparare dai primi cristiani.
    • Matteo 8,16-17: La realizzazione della profezia di Isaia. Matteo dice che "giunta la notte", portarono da Gesù molte persone che erano possedute dal demonio. Perché solo di notte? Perché nel vangelo di Marco, da cui Matteo trae la sua informazione, si trattava di un giorno di sabato (Mc 1,21), ed il sabato terminava nel momento in cui spuntava in cielo la prima stella. Allora la gente poteva uscire dalla casa, caricarsi del peso e portare i malati fino a Gesù. E "Gesù, con la sua parola, scacciava gli spiriti e guariva tutti i malati!" Usando un testo di Isaia, Matteo illumina il significato di questo gesto di Gesù: Perché si compisse quello che era stato detto. Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori". In questo modo, Matteo insegna che Gesù era il Messia-Servo, annunciato da Isaia (Is 53,4; cf. Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12). Matteo faceva ciò che fanno oggi le nostre comunità: usa la Bibbia per illuminare ed interpretare gli eventi e scoprire la presenza della parola creatrice di Dio.


    4) Per un confronto personale

    • Paragona l'immagine che hai di Dio con quella del centurione e della gente, che seguiva Gesù.
    • La Buona Novella di Gesù non è, in primo luogo, una dottrina o una morale, né è un rito o un insieme di norme, ma è un' esperienza profonda di Dio che risponde a ciò che il cuore umano anela. La Buona Novella, come si ripercuote in te, nella tua vita e nel tuo cuore?



    5) Preghiera finale

    Magnificate con me il Signore,
    esaltiamo insieme il suo nome.
    Ho cercato il Signore: mi ha risposto
    e da ogni mia paura mi ha liberato.
    (Sal 33)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 26/06/2011 14:53
    don Nazareno Galullo (giovani) Ho voglia di te: Gesù!

    Qui oggi non ho parole per descrivere la grandezza di questo regalo che Gesù ci ha lasciato: non un oggetto qualunque, o una fotografia di Lui...
    Molto di più.
    Più di quel che possiamo immaginare: il suo corpo. La sua vita. La sua persosna. Una persona con la quale entri in comunione. Comunione: unione di tutta la nostra vita alla sua.
    Comunione: una parola tanto in disuso: matrimoni che si sfasciano e che non sono comunione; amicizie che sfruttano e che non sono comunione; indivudualismi di tutti i tipi che non sono comunione...e così via dicendo.
    Comunione con Cristo è essere uniti a Lui, è avere la sua vita in noi, è essere Cristo nel mondo.
    Ecco perché non ci si può accostare all'Eucaristia se non si vuol condividere la vita di Gesù, se si vive nel disordine, nel peccato, se non si vuol essere un Altro Cristo nel mondo.
    Con l'Eucaristia ci si trasforma, non si può essere più gli stessi, "i soliti", ma diventiamo ALTRI, diventiamo davvero BELLI, diventiamo davvero CRISTIANI.
    Chi vive per il Signore non riesce a stare senza Eucaristia. Certo, bisognerà confessarsi, riconciliarsi con il Signore...ma questa cosa è bellissima se non c'è nulla da nascondere, se si ha voglia di cambiare in bene, se si ha desiderio di tagliare i ponti con il male.
    Ragazzi/e, questa è la verità: se non ci nutriamo di Gesù Cristo non abbiamo la vita! E noi vogliamo la vita, quella vera, quella infinita, quella che non tramonta mai, neanche dopo la morte!
    Non sentite una gioia nel cuore a queste parole di Gesù?
    Dai, coraggio, ritrovate il gusto dell'Eucaristia, dell'essere UNITI a Cristo, in COMUNIONE con Lui...non ve ne pentirete.
    Ciao
    Naza
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 27/06/2011 14:52
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Per seguire Cristo

    Quando si rimane affascinati da qualcuno o un ideale forte preme dentro di noi, ci accompagna spesso la convinzione che stiamo per intraprendere un percorso pieno di sicurezze e di garanzie. Non accade così con il Signore: egli, cominciando da Abramo, chiama a se, propone il suo progetto, ma senza dare indirizzi precisi e ancor meno prospettive di successo. Allo scriba, che gli si accosta e, mosso da sicura ammirazione, fa la sua offerta di mettersi alla sua sequela: «Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai», Gesù risponde: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». Egli così sta proclamando non tanto la sua povertà, ma il necessario ed indispensabile distacco dalle cose del mondo. Sta ribadendo al suo interlocutore e a tutti noi che dobbiamo cercare tesori che non periscono. Dobbiamo guardare le cose di lassù e non quelle della terra. Vuole ancora dirci che in Lui dobbiamo riporre ogni nostra fiducia, è lui il tesoro nascosto che ci è dato di scoprire, lui la nostra vera ricchezza. Gesù lo scandirà ancora ai suoi quando affiderà loro la missione di andare ad annunciare il suo regno: «Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?». La caratteristica del cristiano è il distacco dai beni del mondo per mettere al primo posto il Signore. I suoi ministri hanno il dovere di andare "sgombri" di ogni peso e liberi da ogni umana preoccupazione. È difficile oggi convincersi che il distacco dai beni materiali e l'abbandono fiducioso alla provvidenza divina possa essere motivo di interiore libertà e garanzia di vera ricchezza. Gesù mette sullo stesso piano per chi vuole seguirlo nel suo regno il distacco dalle umane sicurezze e quello dagli affetti umani: «Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti». San Benedetto dice ai suoi monaci che nulla debbono anteporre all'amore di Cristo, questo però vale anche per ogni cristiano.

3