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MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol.2)

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    00 01/01/2011 10:39
    Papa Benedetto XVI - Card. Joseph Ratzinger
    Commento Luca 2,16-21

    Omelia di Papa Benedetto XVI - Basilica Vaticana

    Cari fratelli e sorelle!

    Nell'odierna liturgia il nostro sguardo continua ad essere rivolto al grande mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio, mentre, con particolare risalto, contempliamo la maternità della Vergine Maria. Nel brano paolino che abbiamo ascoltato (cfr Gal 4, 4), l'apostolo accenna in maniera molto discreta a colei per mezzo della quale il Figlio di Dio entra nel mondo: Maria di Nazareth, la Madre di Dio, la Theotòkos. All'inizio di un nuovo anno, siamo come invitati a metterci alla sua scuola, a scuola della fedele discepola del Signore, per imparare da Lei ad accogliere nella fede e nella preghiera la salvezza che Dio vuole effondere su quanti confidano nel suo amore misericordioso.

    La salvezza è dono di Dio; nella prima lettura essa ci è stata presentata come benedizione: "Ti benedica il Signore e ti protegga... rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace" (Nm 6, 24.26). Si tratta qui della benedizione che i sacerdoti usavano invocare sul popolo al termine delle grandi feste liturgiche, particolarmente nella festa dell'anno nuovo. Siamo in presenza di un testo assai pregnante, scandito dal nome del Signore che viene ripetuto all'inizio di ogni versetto. Un testo che non si limita ad una semplice enunciazione di principio, ma tende a realizzare ciò che afferma. Come è noto, infatti, nel pensiero semitico, la benedizione del Signore produce, per forza propria, benessere e salvezza, così come la maledizione procura disgrazia e rovina. L'efficacia della benedizione si concretizza poi, più specificamente, da parte di Dio nel proteggerci (v. 24), nell'esserci propizio (v. 25) e nel donarci la pace, cioè, in altri termini, nell'offrirci l'abbondanza della felicità.

    Facendoci riascoltare questa antica benedizione, all'inizio di un nuovo anno solare, la liturgia è come se volesse incoraggiarci ad invocare a nostra volta la benedizione del Signore sul nuovo anno che muove i primi passi, perché sia per tutti noi un anno di prosperità e di pace. Ed è proprio questo augurio che vorrei rivolgere agli illustri Ambasciatori del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, i quali prendono parte all'odierna celebrazione liturgica. Saluto il Cardinale Angelo Sodano, mio Segretario di Stato. Insieme con lui, saluto il Cardinale Renato Raffaele Martino e tutti i componenti del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Ad essi sono particolarmente riconoscente per l'impegno profuso nel diffondere l'annuale Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, diretto ai cristiani e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Un saluto cordiale anche ai numerosi pueri cantores, che con il loro canto rendono ancor più solenne questa Santa Messa con la quale invochiamo da Dio il dono della pace per il mondo intero.

    Scegliendo per il Messaggio dell'odierna Giornata Mondiale della Pace il tema: "Nella verità, la pace", ho voluto esprimere la convinzione che "dove e quando l'uomo si lascia illuminare dallo splendore della verità, intraprende quasi naturalmente il cammino della pace" (n. 3). Come non vedere di ciò un'efficace ed appropriata realizzazione nel brano evangelico appena proclamato, dove abbiamo contemplato la scena dei pastori in cammino verso Betlemme per adorare il Bambino? (cfr Lc 2, 16). Non sono forse quei pastori che l'evangelista Luca ci descrive nella loro povertà e nella loro semplicità obbedienti al comando dell'angelo e docili alla volontà di Dio, l'immagine più facilmente accessibile a ciascuno di noi, dell'uomo che si lascia illuminare dalla verità, divenendo così capace di costruire un mondo di pace?

    La pace! Questa grande aspirazione del cuore d'ogni uomo e d'ogni donna si edifica giorno dopo giorno con l'apporto di tutti, facendo anche tesoro della mirabile eredità consegnataci dal Concilio Vaticano II con la Costituzione pastorale Gaudium et spes, dove si afferma, tra l'altro, che l'umanità non riuscirà a "costruire un mondo veramente più umano per tutti gli uomini e su tutta la terra, se gli uomini non si volgeranno tutti con animo rinnovato alla verità della pace" (n. 77). Il momento storico nel quale veniva promulgata la Costituzione Gaudium et spes, il 7 dicembre del 1965, non era molto diverso dal nostro; allora, come, purtroppo, anche ai nostri giorni, tensioni di vario genere si profilavano sull'orizzonte mondiale. Di fronte al permanere di situazioni di ingiustizia e di violenza che continuano ad opprimere diverse zone della terra, davanti a quelle che si presentano come le nuove e più insidiose minacce alla pace - il terrorismo, il nichilismo ed il fondamentalismo fanatico - diventa più che mai necessario operare insieme per la pace!

    È necessario un "sussulto" di coraggio e di fiducia in Dio e nell'uomo per scegliere di percorrere il cammino della pace. E questo da parte di tutti: singoli individui e popoli, Organizzazioni internazionali e potenze mondiali. In particolare, nel Messaggio per l'odierna ricorrenza, ho voluto richiamare l'Organizzazione delle Nazioni Unite a prendere rinnovata coscienza delle sue responsabilità nella promozione dei valori della giustizia, della solidarietà e della pace, in un mondo sempre più segnato dal vasto fenomeno della globalizzazione. Se la pace è aspirazione di ogni persona di buona volontà, per i discepoli di Cristo essa è mandato permanente che impegna tutti; è missione esigente che li spinge ad annunciare e testimoniare "il Vangelo della Pace", proclamando che il riconoscimento della piena verità di Dio è condizione previa e indispensabile per il consolidamento della verità della pace. Possa questa consapevolezza crescere sempre più, sì che ogni comunità cristiana diventi "fermento" di un'umanità rinnovata nell'amore.

    "Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore" (Lc 2, 19). Il primo giorno dell'anno è posto sotto il segno di una donna, Maria. L'evangelista Luca la descrive come la Vergine silenziosa, in costante ascolto della parola eterna, che vive nella Parola di Dio. Maria serba nel suo cuore le parole che vengono da Dio e, congiungendole come in un mosaico, impara a comprenderle. Alla sua scuola vogliamo apprendere anche noi a diventare attenti e docili discepoli del Signore. Con il suo aiuto materno, desideriamo impegnarci a lavorare alacremente nel "cantiere" della pace, alla sequela di Cristo, Principe della Pace. Seguendo l'esempio della Vergine Santa, vogliamo lasciarci guidare sempre e solo da Gesù Cristo, che è lo stesso ieri, oggi e sempre! (cfr Eb 13, 8).

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    00 02/01/2011 10:11
    don Bruno Maggioni
    Quella Luce, il nostro presente

    Nella seconda domenica dopo Natale Paolo introduce il motivo della speranza: «Possa Dio illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamato» (Efesini 1,18). La speranza, a cui Paolo qui accenna, non si identifica con la speranza mondana, bensì la converte profondamente, rinnovandola. La prima novità è di fondarla non sulle previsioni degli uomini (quasi sempre molto insicure) ma sulla promessa di Dio di cui ti fidi totalmente. La seconda novità è di sperare ciò che Dio ci ha promesso, cioè il trionfo dell'amore e della sua verità, non il trionfo di chi sa quali altre cose. Dio non sostiene le nostre speranze inutili o illusorie. Ma veniamo al prologo di Giovanni. Piena di speranza è un'affermazione che a prima vista sembrerebbe il contrario: «La luce splende nella tenebra, ma la tenebra non l'ha accolta» (1,15). Si osservino anzitutto i tempi verbali. Per la luce si ricorre al presente («splende»), per il rifiuto della tenebra al passato («non l'ha accolta»). La luce brilla sempre, appartiene alla sua natura illuminare. Questo è il significato del presente. Per la tenebra invece un verbo al passato, per dire che si tratta di un fatto storico, non di una necessità. Un fatto che potrebbe esserci e non esserci, perché dipende dall'uomo e dalla sua libertà. Questo significa che nessuno può far cessare la luce che proviene da Cristo. Essa brilla sempre, ovunque. La tenebra può rifiutarla, ma non spegnerla. Il verbo greco che Giovanni adopera ha due significati: non accogliere, ma anche non trattenere. Il dramma è profondo, ma lo spazio della speranza è sempre aperto. Nel prologo c'è un'altra affermazione che, ancora più profondamente, costituisce il fondamento della speranza cristiana: «Il Verbo si è fatto carne» (1,14). Carne è l'uomo nella sua caducità e nella sua debolezza. Per comprendere la forza di questa affermazione di Giovanni basta confrontarla con un'affermazione del profeta Isaia (40,6-8): «Ogni carne è come l'erba...l'erba secca, il fiore appassisce, ma la Parola di Dio rimane per sempre». Per il profeta tra la Parola di Dio e la caducità dell'uomo c'è un ma, che indica tutta la distanza fra l'inconsistenza dell'uomo e la solidità di Dio. Nel prologo di Giovanni, invece, il ma è scomparso. La solidità della Parola di Dio si è fatta carne, ciò che permane ha assunto ciò che è caduco. Nel cammino di ogni uomo e dell'intera umanità si è inserita una presenza che salva dalla vanità e dall'impermanenza.

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    00 05/01/2011 12:15
    a cura dei Carmelitani Commento Giovanni 1,43-51

    1) Preghiera

    O Dio, che nella nascita del tuo unico Figlio
    hai dato mirabile principio alla nostra redenzione,
    rafforza la fede del tuo popolo,
    perché sotto la guida del Cristo
    giunga alla meta della gloria eterna.
    Egli è Dio, e vive e regna con te...

    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Giovanni 1,43-51
    In quel tempo, Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: "Seguimi". Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e di Pietro.
    Filippo incontrò Natanaele e gli disse: "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret". Natanaele esclamò; "Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?". Filippo gli rispose: "Vieni e vedi".
    Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: "Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità". Natanaele gli domandò: "Come mi conosci?". Gli rispose Gesù: "Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico". Gli replicò Natanaele: "Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!". Gli rispose Gesù: "Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!".
    Poi gli disse: "In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo".

    3) Riflessione

    • Gesù ritornò a Galilea. Incontrò Filippo e lo chiamò dicendogli: "Seguimi!" Lo scopo della chiamata è sempre lo stesso: "seguire Gesù". I primi cristiani cercarono di conservare i nomi dei primi discepoli, e di alcuni conservarono perfino il cognome ed il nome del luogo di origini. Filippo, Andrea e Pietro erano di Betsaida (Gv 1,44). Natanaele era di Cana. Oggi molti dimenticano i nomi delle persone che erano all'origine della loro comunità. Ricordare i nomi è un modo di conservare l'identità.
    • Filippo incontra Natanaele e parla con lui di Gesù: "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret." Gesù è colui a cui si riferisce tutta la storia dell'Antico Testamento.
    • Natanaele chiede: "Da Nazaret può mai uscire qualcosa di buono?" Probabilmente, nella sua domanda spunta anche la rivalità che esisteva tra i piccoli villaggi della stessa regione: Cane e Nazaret. Inoltre, secondo l'insegnamento ufficiale degli scribi, il Messia sarebbe venuto da Betlemme, in Giudea. Non poteva venire da Nazaret in Galilea (Gv 7,41-42). Andrea da la stessa risposta che Gesù aveva dato agli altri due discepoli: "Venite e vedete voi stessi!" Non è imponendo, bensì vedendo che le persone si convincono. Di nuovo lo stesso cammino: incontrare, sperimentare, condividere, testimoniare, condurre verso Gesù!
    • Gesù vede Natanaele e dice: "Ecco un Israelita autentico, in cui non c'è inganno". Ed afferma che già lo conosceva quando era sotto il fico. Come poteva essere Natanaele un "israelita autentico" se non accettava Gesù in qualità di Messia? Natanaele "era sotto il fico". Il fico era il simbolo di Israele (cf. Mi 4,4; Zc 3,10; 1Re 5,5). Israelita autentico è colui che sa disfarsi delle sue proprie idee quando percepisce che non concordano con il progetto di Dio. L'israelita che non è disposto ad operare questa conversione non è né autentico, né onesto. Natanaele è autentico. Lui aspettava il messia secondo l'insegnamento ufficiale dell'epoca. (Gv 7,41-42.52). Per questo, all'inizio, non accettava un messia venuto da Nazaret. Ma l'incontro con Gesù lo aiutò a capire che il progetto di Dio non sempre è come la gente immagina o desidera che sia. Lui riconosce il suo inganno, cambia idea, accetta Gesù come messia e confessa: "Maestro, tu sei il Figlio di Dio: tu sei il re di Israele!" La confessione di Natanaele è appena l'inizio: Chi sarà fedele, vedrà il cielo aperto e gli angeli salire e scendere sopra il Figlio dell'uomo. Sperimenterà che Gesù è il nuovo legame tra Dio e noi, esseri umani. E' il sogno di Giacobbe divenuto realtà (Gen 28,10-22).

    4) Per un confronto personale

    • Qual è il titolo di Gesù che più ti piace? Perché?
    • Hai avuto un intermediario tra te e Gesù?

    5) Preghiera finale

    Buono è il Signore,
    eterna la sua misericordia,
    la sua fedeltà per ogni generazione. (Sal 99)
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    00 08/01/2011 08:53
    Eremo San Biagio
    Commento su 1Gv 4,7

    Dalla Parola del giorno
    "Amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio"

    Come vivere questa parola?
    I fisici oggi, coi loro perfezionatissimi strumenti, sono in grado di sentire il movimento e il brusio delle particelle più piccole della materia. A noi sembra che la crosta terrestre sia ferma. In realtà si muove. Ecco, anche questo movimento, questo brusio cosmico, esprime la legge fondamentale dell'universo che è amore unificante. "Dio è Amore", ci dice S. Giovanni. Ne viene che il nostro rapportarci gli uni verso gli altri non può essere che nell'amore! Proprio perché, come dice il meraviglioso testo odierno, "l'amore è da Dio". E continua, "chiunque ama è generato da Dio". In ciò consiste il mistero di questo nostro continuo "nascere" da Dio-Amore. E' il mistero di una novità interiore che non permette l'invecchiamento del tuo cuore, impedisce la sclerosi della tua intima essenza, che è amore. Dall'eterno e per i secoli eterni, il Padre misteriosamente genera il Verbo. Ma proprio facendosi uomo nell'ineffabile dono dell'Incarnazione, ci ha resi partecipi della sua natura divina. Ed ecco: ciò che è impossibile alla nostra anchilosata volontà umana, diventa possibile a Lui dentro di noi. Sì, possiamo amarci gli uni gli altri. Ed è la vera vita delle nostre giornate. Se non mettiamo barriere. Se non ci ripieghiamo sulle pseudo ragioni dell'ego. Se non scegliamo la dissipazione a causa di "idoli". Ancora il testo odierno dice che, chi ama a questo modo, "conosce Dio". Non si tratta di una "conoscenza" cerebrale. Come la soluzione di un problema filosofico o matematico. E' qualcosa di molto più esistenziale. Conosci Dio perché avverti che pian piano tu ti arrendi al suo amarti per primo. Conosci Dio perché, nella resa totale e fiduciosa di te, lasci che Egli sostenga, penetri e trasfiguri il tuo amare gli altri. E nell'amore gratuito, tu ti trovi e vivi.

    Oggi, su questo mi soffermerò nella mia pausa contemplativa. La domanda sincera e coraggiosa da farsi è questa: ma io, dentro il mio quotidiano, mi lascio davvero afferrare dal suo Amore? Lo contatto intimamente il più spesso possibile? Oppure voglio vivere e amare da sola?

    Signore Gesù, che io ti conosca come Amore e con Te mi lasci generare dal Padre, realizzando l'unica cosa che conta: amare i fratelli.

    La voce degli Antichi Padri
    Dio è Amore e sorgente dell'Amore: il Creatore delle cose ci ha pure dotati di questo carattere dell'amore...Se l'amore è assente, tutti gli elementi dell'immagine sono deformati.
    S. Gregorio di Nissa

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    00 09/01/2011 18:13
    Wilma Chasseur
    I cieli aperti

    Concludiamo le festività natalizie, ricordando il battesimo di Gesù che volle dimostrarsi totalmente solidale con gli uomini, sottoponendosi, Lui, il Figlio dell'Altissimo, l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, al battesimo di penitenza amministrato da Giovanni Battista. L'umiltà di Dio è sconcertante! Il battesimo di Gesù segna l'esordio della sua vita pubblica, ma prima trascorse trent'anni di vita nascosta, a Nazaret.
    Lui che era la Parola, il Verbo Incarnato, passò quasi tutta la sua vita, nel silenzio e nel nascondimento.
    Dobbiamo riscoprire la dimensione del silenzio perché solo da lì, scaturisce la parola che raggiunge il cuore. Se non scaturisce dal silenzio, la nostra parola, qualsiasi parola, raggiunge al massimo la testa di chi ci ascolta, e poi rimbalza via, senza penetrare e senza lasciare traccia alcuna! Ma se scaturisce dal cuore del silenzio, entra nel cuore. In silenzio!
    Quante parole risuonano nel frastuono dei mezzi di comunicazione. Siamo inondati di parole, come dice quel detto - "ai tempi di Noè ci fu il diluvio (d'acqua) e si salvò Noè con il suo parentado. Ai nostri giorni c'è un altro diluvio, quello di parole; e da quello non si salva nessuno". E sono parole che non dicono niente, ci riempiono solo di vuoto e inaridiscono l'anima rendendola arida brulla come un deserto. Le parole che diceva Gesù, scaturivano dal la preghiera, dal silenzio, dall'adorazione Padre, ed erano parole di vita. Parole che guarivano i malati, risuscitavano i morti, salvavano i perduti e condannati dalla società. Erano parole di vita e di salvezza.
    Ma nel Vangelo di oggi, abbiamo soprattutto la visione dei cieli aperti e la manifestazione della Santissima Trinità: "Vide aprirsi i cieli e lo Spirito di scendere come una colomba e venire su di lui. E si sentì una voce dal cielo 'Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto". Soprattutto abbiamo la manifestazione dello Spirito Santo. Anzi, e addirittura una delle prime rivelazioni esplicite dello Spirito Santo.
    Sappiamo che lo Spirito Santo è la terza persona della santissima Trinità, lo splendore del Figlio, come lo definisce la teologia dei nostri fratelli d'Oriente.
    Infatti ce l'ha lasciato Gesù, prima di salire al Padre, quando disse: "Non vi lascerò soli, ma vi manderò il Consolatore".
    Il vero consolatore ce l'abbiamo dunque dentro di noi. Anche se a volte la consolazione umana viene a mancare, o il Signore permette che non la troviamo, abbiamo però dentro di noi, la consolazione dello Spirito. E chi ha sperimentato, anche per una sola volta nella vita, la consolazione dello Spirito, sa che nessuno può consolare come consola Lui. E ci rende capaci di consolare gli altri, con la stessa consolazione che abbiamo ricevuto da Lui.
    E' lo Spirito Santo che adesso conduce la Chiesa. E' a Lui che dobbiamo affidare questo anno appena iniziato, affinché ci permetta di riconoscere i passi di Dio nella nostra vita e riconoscerne il volto, in ogni fratello che incontriamo.
    Chiediamo a questo Spirito che tutti abbiamo ricevuto nel battesimo, di effondere su di noi la Sua luce, e di aprire il nostro cuore affinché diventiamo capaci, anche noi, di sentire la voce del Padre che, nel Figlio, vuole riconoscerci come figli prediletti.

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    Credente
    00 10/01/2011 10:00
    a cura dei Carmelitani
    Commento Marco 1,14-20

    1) Preghiera

    Ispira nella tua paterna bontà, o Signore,
    i pensieri e i propositi del tuo popolo in preghiera,
    perché veda ciò che deve fare
    e abbia la forza di compiere ciò che ha veduto.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...




    2) Lettura

    Dal Vangelo secondo Marco 1,14-20
    Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”.
    Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: “Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”. E subito, lasciate le reti, lo seguirono.
    Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti. Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedeo sulla barca con i garzoni, lo seguirono.



    3) Riflessione

    • Dopo l’arresto di Giovanni, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio. Giovanni fu arrestato dal re Erode per aver denunciato il comportamento immorale del re (Lc 3,18-20). La prigione di Giovanni Battista non impaurì Gesù! Anzi! Vide in essa un simbolo della venuta del Regno. Ed oggi, sarà che sappiamo leggere i fatti della politica e della violenza urbana per annunciare la Buona Novella di Dio?
    Gesù proclamava la Buona Novella di Dio. La Buona Novella è di Dio non solo perché viene da Dio, ma anche e sopratutto perché Dio è il suo contenuto. Dio, lui stesso, è la maggiore Buona Novella per la vita umana. Lui risponde all’aspirazione più profonda del nostro cuore. In Gesù appare ciò che avviene quando un essere umano lascia entrare e regnare Dio. Questa Buona Novella del Regno di Dio annunciata da Gesù ha quattro aspetti:
    a) Il tempo è compiuto! Per gli altri giudei il tempo non si era ancora compiuto. Mancava molto per la venuta del Regno. Per i farisei, per esempio, il Regno poteva giungere solo quando l’osservanza della Legge fosse perfetta. Gesù aveva un altro modo di leggere i fatti. Lui dice che il tempo è compiuto.
    b) Il Regno di Dio è vicino! Per i farisei la venuta del Regno dipendeva dal loro sforzo. Sarebbe giunto solo dopo che loro avessero osservato la legge. Gesù dice il contrario: “Il Regno è vicino”. E’ già qui! Indipendentemente dallo sforzo compiuto! Quando Gesù dice: “Il Regno è vicino”, non vuol dire che il regno sta giungendo solo in quel momento, ma che già era lì. Ciò che tutti aspettavano, era già presente nella loro vita, e loro non lo sapevano, non lo percepivano (cf. Lc 17,21). Gesù lo percepì! Poiché lui leggeva la realtà con uno sguardo differente. Ed è in questa presenza nascosta del Regno in mezzo alla gente che Gesù si rivela ai poveri della sua terra. Ed è questo il seme del Regno che riceverà la pioggia della sua parola ed il calore del suo amore.
    c) Convertitevi! Il significato esatto è cambiare il modo di pensare e di vivere. Per poter percepire la presenza del Regno nella vita, la persona dovrà cominciare a pensare ed a vivere in modo diverso. Dovrà cambiare vita e trovare un’altra forma di convivenza! Dovrà lasciare da parte il legalismo dell’insegnamento del fariseo e permettere che la nuova esperienza di Dio invada la sua vita e gli dia uno sguardo nuovo per leggere e capire i fatti.d) Credete nella Buona Notizia! Non era facile accettare questo messaggio. Non è facile per noi cominciare a pensare in modo diverso da tutto ciò che abbiamo imparato, fin da piccoli. Questo è possibile solo mediante un atto di fede. Quando qualcuno porta una notizia diversa, è difficile accettarla, e si accetta solo se la persona che reca la notizia gode della nostra fiducia. E così tu dirai agli altri: “Puoi accettare! Io conosco la persona! Non inganna! Ti puoi fidare! Di Gesù ci si può fidare!
    Il primo obiettivo dell’annuncio della Buona Novella è quello di formare comunità. Gesù passa, guarda e chiama. I primi quattro chiamati, Simone, Andrea, Giovanni e Giacomo, ascoltano, lasciano tutto e seguono Gesù per formare comunità con lui. Sembra amore a prima vista! Secondo la narrazione di Marco, tutto avvenne poi nel primo incontro con Gesù. Paragonando con gli altri vangeli, la gente percepisce che i quattro già conoscevano Gesù (Gv 1,39; Lc 5,1-11). Ebbero già l’opportunità di convivere con lui, di vederlo aiutare la gente e di ascoltarlo nella sinagoga. Sapevano come lui viveva e ciò che pensava. La chiamata non è stata una cosa di un solo momento, ma è questione di ripetute chiamate ed inviti, di progressi e regressi. La chiamata inizia e ricomincia sempre di nuovo! In pratica, coincide con la convivenza di due tre anni con Gesù, fin dal battesimo fino al momento in cui Gesù fu innalzato al cielo (At 1,21-22). E allora perché Marco lo presenta come un fatto repentino d’amore a prima vista? Marco pensa all’ideale: l’incontro con Gesù deve provocare una mutazione radicale nella nostra vita!



    4) Per un confronto personale

    • Un fatto politico, la prigione di Giovanni, portò Gesù ad iniziare l’annuncio della Buona Novella di Dio. Oggi, i fatti della politica e della polizia influiscono sull’annuncio che facciamo della Buona Novella alla gente?
    • “Convertitevi! Credete alla Buona Novella!” Come sta avvenendo questo nella mia vita?




    5) Preghiera finale

    Tu sei, Signore,
    l’Altissimo su tutta la terra,
    tu sei eccelso sopra tutti gli dei.
    (Sal 96)

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    Coordin.
    00 12/01/2011 08:37
    Eremo San Biagio


    Dalla Parola del giorno
    “Doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.”

    Come vivere questa Parola?
    Oggi, la liturgia ci porta a posare lo sguardo contemplativo su Gesù Sommo ed Eterno Sacerdote. Un titolo onorifico che lo situa infinitamente al di sopra di noi? Tutt’altro! È il chinarsi del cielo su di noi. Di più: è il farsi ‘terra’ del ‘cielo’ perché la redenzione non resti come un rivestimento esterno che viene a coprire la vergognosa nudità dell’Adamo fuggitivo, ma sia un restituire la ‘verginità perduta’ alla sposa infedele (cf Osea), un promuovere la ‘rinascita dall’Alto’ (cf Gv).
    Sì, Gesù non si pone dinanzi alla storia con l’atteggiamento distaccato del giudice pronto a sentenziare e condannare. E neppure con quello del magnate che lascia cadere dall’alto il suo condono. Gesù si fa uno di noi, si immerge nel nostro fango segnato dal limite e dalla povertà, non si sottrae alla prova e alla sofferenza. Assapora fino in fondo l’amarezza della condizione umana, schiavizzata dal peccato. L’esercizio del suo Sommo Sacerdozio si colora così di misericordia e di fedeltà.
    Allo sguardo sgomento dell’uomo, che ancora cerca scampo nella fuga, tentando di sottrarsi a un Dio che crede irrimediabilmente irritato e geloso custode della propria indiscussa autorità, si svela il volto del Misericordioso, il volto di una fedeltà mai smentita.
    E la storia si illumina: da tetro scenario a orizzonte sconfinato che si spalanca su un Amore mai pago di donarsi e di riabbracciare il figlio che si credeva perduto.
    Ma chi è quell’uomo fuggitivo, quel figlio perduto che si trova così inaspettatamente spalancate le porte di casa? Che non sia io?

    Oggi, nella mia pausa contemplativa, mi lascerò sollecitare da questa domanda un po’ scomoda, perché forse m costringe a liberarmi dalla maschera di una presunta giustizia per riconoscermi negli stracci del figlio che ancora vaga, sia pure nei pressi della casa paterna, senza decidersi a varcarne definitivamente la soglia.

    Signore Gesù, Sommo Sacerdote misericordioso e fedele, dammi di non sottrarmi al tuo sguardo che mi sollecita a prendere sul serio l’amore del Padre e ad afferrarmi alla tua mano per vivere, fuori da ogni compromesso, la mia esaltante situazione filiale.

    La voce di uno scrittore
    La misericordia di Dio è una fune lunga e forte. Non è mai troppo tardi per aggrapparvisi
    Bruce Marshal

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    Credente
    00 13/01/2011 08:54
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Lo voglio, sii purificato!

    "Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori come il giorno della ribellione, il giorno della tentazione nel deserto". Fratelli, abbiamo ascoltato la sua Voce dentro l'anima nostra… apriamo dunque le porte a Cristo! Più volte Giovanni Paolo II rivolgeva alla Chiesa e al mondo intero questo invito solenne. Ecco Gesù Cristo viene, viene senza mai stancarsi, e bussa al nostro cuore. E' lo Sposo dell'anima nostra che vuol cenare con noi; apriamogli e vivremo nell'amore vero, nella gioia e nella pace. Non induriamo il nostro cuore con la durezza della superbia e dell'orgoglio, ma che il nostro cuore divenga tenero, dolce, come terra morbida e accogliente e pieno di umiltà, come il Cuore umile della Serva del Signore, come Maria. Dove c'è umiltà là arriva subito lo Spirito Santo. L'umile di cuore sente viva la presenza di Gesù e specialmente quando si accosta alla Santa Comunione con Gesù. E Gesù lascia sempre il segno, il segno del suo Santo Spirito: pace, consolazione, guarigione, liberazione. Proprio come è avvenuto oggi al povero lebbroso del Vangelo. Egli apre il cuore a Gesù e Lo supplica umilmente in ginocchio e con fede sincera: "Se vuoi puoi guarirmi!". Gesù ne ha compassione perché il Cuore di Gesù è sempre compassionevole e misericordioso: gli tende la mano, lo tocca e gli dice: "Lo voglio, sii purificato!". E subito la lebbra se ne va, scompare! Noi non abbiamo la lebbra fisica come quel poveretto, ma l'anima nostra come sta?… Il peccato è la peggiore lebbra che esiste, e solo Gesù Cristo può purificarci, guarirci. E allora andiamo subito a Lui, andiamo a confessarci; e i nostri peccati verranno cancellati nel suo Sangue prezioso. E Gesù dirà anche a te e a me: "Lo voglio, sii purificato!… Io ti assolvo dai tuoi peccati nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". Amen.

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    Coordin.
    00 14/01/2011 09:03
    Eremo San Biagio


    Dalla Parola del giorno
    Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te, alzati, prendi la tua barella e va' a casa tua.

    Come vivere questa Parola?
    Chi è Gesù e donde viene la sua autorità?
    Mentre Gesù sta proclamando la Parola, circondato da una folla fitta, quattro uomini riescono a far scendere dal tetto, dinanzi a lui, un paralitico. Vedendo la loro fede, Gesù disse al paralitico: "Figlio, ti sono perdonati i tuoi peccati".
    Evidentemente per gli scribi, presenti tra la folla, Gesù bestemmia perché prende su di sé un'azione possibile solo a Dio. Conoscendo la loro perplessità, Gesù chiede: "Che cosa è più facile: dire al paralitico,Ti sono perdonati i peccati, oppure Alzati!"
    E' una sfida a tutti i presenti per la loro fede personale; è una sfida anche per noi. Il miracolo altro non è che la conferma della verità delle sue parole: Egli è Figlio dell'uomo, titolo messianico, e il suo potere viene da Colui che solo ha l'autorità di rimettere i peccati: Dio.
    Il significato della sua azione è colto dagli spettatori e tutti rimangono meravigliati e lodano Dio, aggiungendo: "Non abbiamo mai visto nulla di simile!"

    Nella mia pausa contemplativa, entro nel mio cuore per ringraziare il Signore per il dono del perdono. Alle volte mi trovo come il paralitico, impotente e avvinto dai lacci del peccato; l'orgoglio e l'egoismo mi convincono che veramente non ho fatto poi tanto male, mentre vorrei fare tanto del bene!
    Signore, darmi la gioia di sentire le tue parole nel profondo del mio cuore: "Ti sono rimessi i tuoi peccati!" Grazie, Signore!

    La voce di un testimone di oggi
    La storia è il tempo della misericordia, della pazienza, del perdono e della riconciliazione.
    Benoit Standaert

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    Coordin.
    00 15/01/2011 08:49
    Messa Meditazione Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori

    Lettura
    Nel vangelo, Gesù, chiamando alla sequela Levi, un pubblicano, e mangiando insieme ai peccatori e ai pubblicani, rivela lo scopo della sua missione: chiamare i peccatori. Nella prima lettura, il Signore sceglie Saul come re di Israele, suo popolo.

    Meditazione
    Marco presenta Gesù che, raggiunto dalla folla lungo il mare, si sofferma con essa e l'ammaestra. In questo contesto di insegnamento è collocata la chiamata di Levi, il figlio di Alfeo. Ancora una volta, Marco non rivela il contenuto dell'insegnamento, ma, il fatto che la chiamata di Levi si collochi in un tale contesto, sembra quasi suggerire che la vocazione di questo esattore delle tasse fa parte integrante dell'insegnamento che il Signore sta offrendo. Come era accaduto per i primi discepoli, la chiamata alla sequela raggiunge Levi nel pieno delle sue attività, nel suo quotidiano. Anche la risposta del chiamato è simile a quella di Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni: egli si alza e segue Gesù. La prima tappa di questa sequela porta Levi a mangiare insieme con Gesù, condividendo, però, questo momento con i pubblicani e i peccatori. Prima di diventare discepolo del Signore, Levi era uno di loro, un pubblicano, considerato dalla gente un peccatore a causa del suo lavoro. Ora, da discepolo del Signore, è invitato a condividere con loro la mensa. Ed è questa situazione di condivisione che provoca la reazione degli scribi, perché, nell'antichità, il mangiare insieme impegnava tra loro i commensali, li faceva entrare in una comunione di vita. Come può dunque, un uomo come Gesù mangiare con peccatori e pubblicani? Per rispondere alla critica mossagli, Gesù rivela lo scopo della sua missione: «non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori». Con questo parole, il Signore esplicita l'insegnamento contenuto nella chiamata di Levi e nel mangiare insieme ai peccatori e pubblicani: egli desidera chiamare a sé coloro che più hanno bisogno della sua misericordia perché entrino nella comunione con Dio. Non solo, anche ai discepoli di Gesù viene chiesto di condividere la sua "passione" per chi è "lontano da Dio": anche noi siamo chiamati, nel nostro quotidiano, a "mangiare insieme a peccatori e pubblicani", a testimoniare concretamente il volto misericordioso e compassionevole del Padre.

    Preghiera
    «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34): alla luce del comandamento di Gesù, chiedo al Padre la grazia di essere, nel mio quotidiano, strumento del suo amore.

    Agire
    Proverò a "mangiare insieme" ad una persona a cui mi è difficile offrire il perdono.

    Commento a cura di Marzia Blarasin
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    Credente
    00 16/01/2011 08:52
    COMMENTO ALLE LETTURE
    a cura di Paolo Matarrese

    Oggi è la II domenica del tempo ordinario, una parola, "ordinario", che spesso non rievoca nel nostro immaginario ricordi significativi: ordinaria è una giornata che scorre come da programma senza grandi sussulti comune a tante altre. Ecco allora che la Parola di questa domenica ci aiuta ad evitare il grande rischio che la nostra fede, e la nostra vita, sia vissuta ad intermittenza proprio come quelle lucette che da poco abbiamo deposto dal nostro presepe o dal nostro albero di Natale: si accendono e si spengono! A Natale abbiamo acceso la nostra fede e la nostra vita davanti al mistero dell'incarnazione, ora entriamo nella fase "spenta" dove tutto ritorna ad una normalità segnata dall'abitudine e dalla routine che la vita ci mette di fronte: è ripreso il lavoro, la scuola, l'università insomma si ritorna alla vita "ordinaria" in attesa della prossima accensione magari alla festa di Pasqua!
    Il vangelo oggi ci consegna l'esperienza che Giovanni Battista ha fatto dell'incontro con Gesù Cristo! Ecco la parolina che ci aiuta ad accendere il nostro tempo ordinario: fare esperienza di Gesù!
    E' significativo che il brano si apre con Gesù che viene verso Giovanni! La festa del Natale è stato proprio questo: Dio è venuto, attraverso Gesù Cristo, verso di noi, si è fatto disponibile all'incontro con la nostra storia, con la storia dell'umanità che non è più storia ordinaria ma proprio perché abitata da Dio è ormai storia straordinaria, storia di salvezza! Il tempo ordinario allora diventa il tempo in cui, come Giovanni, siamo chiamati a fare esperienza di questo incontro, dove tocchiamo la presenza del Signore nel nostro cammino quotidiano! Noi cristiani dobbiamo costantemente passare da una fede espressa a parole a una fede espressa con l'esperienza.
    Isaia nella prima lettura dice che c'è ancora un "troppo poco" che deve diventare "luce delle nazioni, perché porti la salvezza fino all'estremità della terra". Mi fermo per un attimo e mi accorgo che davvero c'è ancora un "troppo poco" nel mio quotidiano di prete, nella mia vita ordinaria che deve "diventare luce". Raccogliamo allora con coraggio questo invito ad un "di più" che ci aiuti ad uscire dal rischio della mediocrità e dell'abitudine. Giovanni Battista, esperto in preparatore di strade, questa volta non ci indica una strada da fare ma uno sguardo da incontrare: "ecco l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!". Giovanni Battista, dopo l'esperienza dell'incontro con Gesù nel battesimo, intuisce una profonda verità: non siamo più noi con i nostri sforzi e la nostra buona volontà a raggiungere Dio ma lui stesso con Cristo ci ha raggiunto dove siamo e lì si rende presente!
    Giovanni Battista ci racconta di Colui che prima ha visto e poi testimoniato:
    Giovanni vede in Gesù l' "agnello di Dio"
    : l'immagine dell'agnello è usata tantissimo nell'Antico Testamento sia in riferimento all'agnello pasquale mangiato dagli ebrei nella notte della liberazione dalla schiavitù sia in riferimento all'immagine del Servo Sofferente presente in Isaia (la prima lettura è tratta proprio da uno dei quattro canti del servo sofferente) dove il Servo Sofferente è "colui che si è caricato delle nostre sofferenze e si è addossato i nostri dolori […] il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti" (Is 53, 4a. 5b). Al di là delle diverse interpretazioni possiamo sicuramente cogliere l'esperienza decisiva della nostra fede: Cristo è l'agnello di Dio cioè Colui che ci svela un Dio Padre che non vuole la nostra condanna ma la nostra salvezza, che non è venuto per giudicare ma per salvare, togliendoci dalla schiavitù per restituirci la liberta di figli di Dio!
    E' questo quello che siamo chiamati innanzitutto a vedere nel nostro rapporto con Dio: la grazia di gustare un Dio che nello stile umile e mite dell'agnello ha chinato il suo capo sulla parte più buia della nostra vita prendendo su di se i nostri peccati, il male che abbiamo compiuto, il dolore che viviamo, per salvarci, per restituirci alla vita e alla libertà facendo uscire quel buono che c'è in ognuno di noi che Lui ci ha donato!". Nella vita di San Gerolamo c'è un momento in cui egli dice a Dio: "Cosa vuoi ancora da me Signore? Mi sembra di averti dato tutto. Cosa resta?" il Signore rispose "dammi il tuo peccato"… Cristo, "l'agnello di Dio", nella sua vita pubblica ha "rincorso" in maniera appassionata i peccatori chiedendogli di dargli il loro peccato per restituirgli la pienezza della vita e la dignità di Figli di Dio".
    In questo senso possiamo allora definire "il peccato del mondo", non i singoli peccati ma "il" peccato, quello che sta alla radice del nostro cuore. Qual' è questo peccato singolare? E' il libero rifiuto alla pienezza di vita che Dio, in Gesù, è venuto ad offrirci! Il peccato del mondo è credere ad un Dio che contraddice la nostra vita, i nostri desideri di uomo e allora è meglio farne a meno oppure vogliamo un Dio che si trasforma in agnello con artigli perché i tempi sono cambiati ed è arrivato il tempo di lottare, di difendersi, di imporsi con strumenti decisamente più aggressivi di quelli inermi di un agnello!Questo è il peccato che Cristo è venuto a togliere: credere in fondo in fondo che Dio non è dalla mia parte, non è per me, non credere che le mie gioie e le mie sofferenze sono le gioie e le sofferenze di Cristo, allora davvero non ci sarà possibilità di perdono, di risalita, di nuovo inizio nella mia storia! Oppure pensare che i mezzi e lo stile con cui Dio ci salva che sono quelli della mitezza, dell'umiltà e della croce sono impossibili da vivere nel mondo di oggi!
    Entriamo allora in questo tempo ordinario con questa nuova luce per farlo uscire dal suo "troppo poco"
    . E curioso che Giovanni Battista riconoscerà l'agnello di Dio nel momento del battesimo dove lo Spirito discenderà su di Gesù, anche noi allora immergiamoci in questo tempo ordinario come un battesimo che segni un nuovo inizio nella nostra vita sapendo cogliere la presenza di Cristo e del suo Spirito in quelle cose così apparentemente ordinarie e umili ma se vissute insieme e nello stile dell'agnello di Dio così profondamente straordinarie!
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    Coordin.
    00 18/01/2011 09:43
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Il Signore è fedele al suo patto

    Nella Lettera agli Ebrei si alternano le esortazioni pratiche con le riflessioni spirituali. Nella prima parte del brano proposto per la lettura liturgica emerge l’invito alla perseveranza attiva, che si sostanzia di lavoro, carità e servizio resi ai fratelli. La seconda sezione indica le ragioni profonde della speranza cristiana: la fedeltà di Dio. Questa appare in modo palese nella storia di Abramo, al quale Dio ha promesso un futuro di benedizione e lo ha confermato con un giuramento. Ora quest’impegno irreversibile di Dio è diventato definitivo nella vicenda di Gesù. Egli infatti come sommo sacerdote costituito da Dio è penetrato nel cielo, il mondo di Dio, come precursore della nostra salvezza. Il racconto delle meraviglie compiute da Dio per Israele ci assicura che Dio è fedele agli uomini che credono nella giustizia. Dio è pietà e tenerezza. Egli ci dona il cibo in abbondanza: non abbandona chi ha fame e sete di giustizia, come non ha abbandonato Gesù sulla croce. Questa certezza intima ci sostiene in ogni momento. Gesù si appella alla tradizione biblica dove si prevede la sospensione di una norma disciplinare o religiosa in caso di necessità. Dunque, conclude Gesù, l’intenzione ultima della legge divina è il bene degli esseri umani. Egli quindi nella sua missione storica, come Figlio dell’uomo, propone in modo autorevole l’interpretazione autentica del riposo.

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    Credente
    00 19/01/2011 08:35
    Monaci Benedettini Silvestrini
    ?

    Oggi l'Evangelista San Marco ci riporta dentro alla sinagoga ad ascoltare e a contemplare Gesù che guarisce un povero uomo che aveva una mano paralizzata: "àlzati, vieni qui in mezzo!". E' autorevole Gesù… e non gli importa dei farisei e degli erodiàni. Essi erano venuti là non per pregare, non per ascoltare il divino insegnamento del Figlio di Dio: erano venuti solo per criticare, per giudicare, per condannare il Santo di Dio. Erano persone false, anche se esternamente sembravano assai devoti ed osservanti e con il collo storto; dentro erano superbi, orgogliosi e non si daranno pace finché non vedranno Gesù inchiodato sulla Croce. Chi è come loro non capirà mai nulla di Gesù e del suo Vangelo perché l'orgoglio e la superbia rende cieco l'uomo e anche sordo all'ascolto della Parola di Dio; essi ascoltano solo se stessi e restano perciò insipienti e guide cieche: il loro cuore è duro come pietra… e non c'è terreno buono per la semina della Parola di Dio in loro. E Gesù li interroga: "E' lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?". Ma essi tacevano. E disse all'uomo: "Tendi la mano!" Egli la stese, e la sua mano fu guarita. Questo poveretto viene guarito perché chi è povero in spirito è salvo… I farisei invece uscirono sùbito con gli erodiàni e tènnero consiglio contro di Lui per farlo morire: …essi erano capaci di dare solo quello che avevano dentro l'anima: la morte! E per causa loro, e per colpa anche dei nostri peccati, Gesù morirà sulla Croce; infatti Egli è Sacerdote e Vittima: è Sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchìsedek, come leggiamo nella prima lettura. Egli è Re di Giustizia e di Pace!

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    Credente
    00 20/01/2011 08:10
    Eremo San Biagio
    Commento su 1Sam 18,6-7

    Dalla Parola del giorno
    Uscirono le donne da tutte le città d'Israele a cantare e a danzare incontro al re Saul, accompagnandosi con i tamburelli, con grida di gioia e con sistri.

    Come vivere questa Parola?
    Davide è il personaggio che sempre più si afferma presso il popolo pere la sua bravura e generosità. Qui lo cogliamo in un quadretto di vita lieta e pittoresca. Le donne di Israele danzano e cantano alle strabilianti vittorie che Davide, inviato a combattere da Saul suo sovrano, è riuscito a conseguire. Dagli stessi canti emerge un confronto che Saul subisce come un terribile schiaffo. La superiorità della vittoria di Davide non solo risulta schiacciante, ma fa nascere, nel cuore del sovrano, la serpe di un sentimento cattivo: quello dell'invidia. "Hanno dato a Davide diecimila e a me hanno dato solo mille. Non gli manca altro che il regno".
    Questa pagina biblica potente da un punto di vista narrativo, è anche di grande penetrazione psicologica. Proprio così avviene nel cuore umano di tutti i tempi. La sete di potere, l'attaccamento ai propri beni lo rende fragile e sospettoso. Appena qualcuno è più ammirato, più stimato, più amato di noi, sembra che quel "qualcuno" diventi un'ombra gigantesca che oscura, danneggia o addirittura distrugge quello che noi siamo e possediamo. I sospetti ingigantiscono (Saul teme addirittura che Davide gli tolga il regno) e noi viviamo male, ipotizzando il peggio e - questo è tanto brutto - desiderando che tutto vada male per il nostro rivale. Ecco la dinamica di questi sentimenti perniciosi come la serpe che, se non la vedi, ti lasci morsicare, ti fa morire.
    Ma c'è un rimedio per metterla in fuga. Anzitutto scoprirla come serpe. Mi guardo in cuore e, senza avvilirmi, senza rabbia contro me stesso, chiamo per nome l'invidia e la gelosia. Poi, sotto lo sguardo di un Dio che mi è Padre, guardo e apprezzo quello che di buono egli ha dato a me. E me ne rallegro, contento. Poi ringrazio il Signore.

    Sì, Signore, lode a te per quanto di bello e di buono mi hai dato, a cominciare dalla vita. E ti ringrazio per quanto hai dato ad altri. Fa' che ognuno di noi si serva dei tuoi doni per il bene di tutti.

    La voce di una santa
    Stimate o parlate d'altri in quella maniera che voi vorreste essere stimato e che si parlasse di voi.
    S. Maria Maddalena De' Pazzi

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    00 21/01/2011 10:54
    Monaci Benedettini Silvestrini
    La scelta dei Dodici

    Gesù sale sul monte! Si sottrae alla folla, s'immerge nella preghiera, deve operare scelte importanti. Deve chiamare, convocare, costituire il primo nucleo della chiesa nascente. Deve scandire dodici nomi che stessero sempre con lui e diventassero i messaggeri, gli apostoli del suo regno. Deve affermare una autorità umano-divina per garantire una continuità al suo messaggio. In modo sostanzialmente identico ripeterà quella chiamata e quell'invito speciale un numero infinito di volte affinché dopo i dodici, tanti e tanti altri assumessero la stessa missione. L'evangelista Marco nel suo stile stringato, essenziale sintetizza così quell'evento: «Salì sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni». È l'inizio della storia di tutte le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Tutto sembra estremamente semplice, immediato, spontaneo, secondo Marco. Effettivamente è sempre difficile resistere alla Voce che chiama. Il Signore esercita un fascino irresistibile. Se Egli chiama e perché ama di un amore di predilezione gratuito coloro che dovranno appartenergli in modo speciale. Diventare collaboratori di Cristo è un dono e un privilegio unico. Se oggi sono pochi coloro che l'ascoltano dipende forse da una mancanza di fiducia in Colui che chiama, dipende ancora dall'incapacità di valutare l'importanza della chiamata divina o forse ancora da una specie di sordità spirituale che non consente ai giovani del nostro tempo di udire quella Voce. Serpeggia nelle famiglie, anche in quelle cristiane, un diffuso senso di sfiducia che ostacola ulteriormente l'assecondare una vocazione. Non bisogna infine nascondere che talvolta concorre negativamente anche la mancanza di esempi e di modelli nella schiera dei sacerdoti e dei religiosi.

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    Credente
    00 23/01/2011 10:04
    Monastero Domenicano Matris Domini

    Contesto
    Il testo proposto in questa III domenica dell'anno A si divide chiaramente in due parti: i vv. 12-17 ci presentano l'inizio della predicazione di Gesù (cfr. Mc 1,14-15; Lc 4,14-15), mentre nei vv. 18-22 abbiamo la chiamata dei primi quattro discepoli(cfr. Mc 1,16-20), il v. 23 funge da conclusione. La liturgia non ci propone i vv. 24-25 che con quest'ultimo formano un breve testo di introduzione e insieme di transizione tra questa pericope e il discorso della montagna (cap. 5-7)
    Il brano segue immediatamente la trilogia iniziale (predicazione di Giovanni Battista, battesimo di Gesù e tentazioni nel deserto) ed introduce solennemente il ministero pubblico di Gesù. Matteo ancora una volta si premura di mostrare, con una citazione di adempimento (v.14-15), come il Maestro di Nazaret si inserisca nella tradizione del popolo di Israele e ne realizzi le speranze.
    Come prima lettura (Is 8,23-9,3) la liturgia della Parola di questa domenica ci propone il testo profetico citato dall'evangelista, mentre la seconda lettura (1Cor 1,10-13.17) fa riferimento alla predicazione del vangelo da parte di Paolo, in continuità con quella di Gesù presentata nel testo odierno di Matteo.
    Matteo narra l'inaugurazione del ministero di Gesù e in che modo egli abbia scelto i suoi primi discepoli; nel brano emergono alcuni elementi propri dell'evangelista che ritroveremo lungo tutto il suo vangelo come il riferimento alla Galilea, un uso proprio del materiale fornito dal vangelo di Marco, le formule riassuntive (cfr. v.23-25) e l'attenzione nel mostrare Gesù come colui che agisce secondo la volontà e le promesse di Dio.


    Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali,
    L'attività di Gesù inizia quando Giovanni non è più sulla scena (per il suo arresto cfr. Mt 14,3-4); il termine usato dall'evangelista per indicare l'arresto è consegnare, lo stesso che troveremo nel racconto della passione di Gesù (cfr. Mt 26,15.16.21, ecc.); in questo modo si evidenzia di nuovo il legame tra i due personaggi (cfr. anche v. 17): Giovanni prepara e anticipa (precorre) l'attività e il destino di Gesù.
    La dizione si ritirò è anch'essa tipica di Matteo quando vuole indicare come sfuggire ad una situazione di pericolo (vedi anche 2,14.44; 12,15; 14,13; 15,21).
    Il luogo della prima attività di Gesù è la Galilea, in particolare la città di Cafarnao, che si trova sulla riva nord del lago, oggi chiamata Tell Hum; Gesù pose in questa borgata la sua residenza, al punto che Matteo la chiama la "sua" città (cfr. Mt 9,1).
    Buona parte del ministero di Gesù si svolgerà attorno al lago - secondo il modo di dire ebraico, mare - di Galilea, detto anche di Tiberiade o di Gennésaret (cfr. Mt 4,18), nel territorio che era stato delle tribù di Zàbulon e di Nèftali (due dei figli di Giacobbe cfr. Gs 19,10-16; 32-39).
    La Galilea delle genti che Matteo ricorda spesso nel suo vangelo (cfr. 2,22; 3,13; 4,23.25; 28,16), aveva una cattiva fama, sia sul piano politico, qui nascerà il movimento degli zeloti, sia su quello religioso per una certa contaminazione pagana dovuta alla permanenza degli Assiri, ma anche alla presenza di una importante via di comunicazione per il commercio. Essa però aveva dei forti legami con la Giudea, dove i galilei si recavano per il culto al tempio di Gerusalemme (a differenza dei samaritani), dai loro fratelli giudei però erano generalmente considerati delle persone poco istruite.
    L'attenzione prestata alla Galilea è forse legata anche al fatto che la comunità cristiana di Matteo vi risiedeva; questo preciso riferimento geografico infine ci permette di cogliere la realtà dell'incarnazione e impedisce di vedere la fede cristiana come un insieme di idee religiose astratte e senza legame con la storia.

    perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta.
    Al v. 15 introdotto dalla formula tipica di Matteo al v. 14, cita Isaia (cfr. Is 8,23-9,1); la Galilea è detta delle genti perché abitata, in parte, da pagani (le genti secondo il modo di esprimersi degli ebrei).
    Con questa citazione di adempimento Matteo giustifica lo spostamento di Gesù dalla Giudea alla Galilea (presumibilmente per sfuggire ad Erode Antipa che, dopo aver incarcerato e ucciso Giovanni, avrebbe potuto nuocere a Gesù) mostrandone la conformità al volere di Dio, essendo indicato nella Scrittura.
    Il testo di Isaia era un oracolo di speranza che seguiva la devastazione operata dagli Assiri nel 732 a.C.; essi trasformarono la regione nella propria provincia di Meghiddo. Matteo modifica in parte il testo di Isaia, rispetto alla versione greca dei LXX, perché indichi con un'immagine l'inizio dell'attività pubblica di Gesù.
    Emerge con forza in questi versetti la simbologia della luce applicata a Gesù e alla sua predicazione (cfr. Mt 2,2.9; Lc 2,32; Gv 1,5; 8,12): con l'arrivo di Gesù tutti i popoli, non solo Israele, sono chiamati ad uscire dalle tenebre del peccato, dell'assenza di fede e del non senso, per entrare nel progetto salvifico di Dio.

    Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino".
    Da allora
    non è un'indicazione generica, ma proclama con solennità che Gesù sta per iniziare la sua attività in parole ed opere (vedi i capitoli 5-7, primo discorso, e 8-9 con i miracoli).
    Il contenuto della predicazione di Gesù è sintetizzato dall'evangelista con la stessa formula che abbiamo visto qualificare l'opera di Giovanni (cfr. Mt 3,2). La necessità di convertirsi è dovuta al fatto che si è fatto vicino il regno dei cieli; si tratta, come dicevamo nella II domenica di Avvento, del disvelarsi del potere e del giudizio di Dio in modo pieno davanti a tutto il creato. E'Gesù che inaugura tale regno.
    Davanti al dono della luce che ci viene incontro in Gesù Cristo, l'atteggiamento indicato è quello dell'accoglienza, dell'apertura della fede, cioè della conversione che è appunto dirigere la vita, il pensiero, l'agire verso di lui. "Convertimi, e io sarò convertito" (cfr. Ger 31,18). La grande opera di Dio è convertirci a Lui. Da sempre Lui è rivolto a noi: attende solo che noi ci volgiamo a Lui. E' l'atto massimo della nostra libertà (S. Fausti).
    Con i vv. 12-17 Matteo ci offre quindi una solenne introduzione all'attività pubblica di Gesù quale inviato di Dio (cfr. Lc 4,16s).

    Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori.
    Matteo, da buon ebreo, chiama mare il lago di Genezaret, sulle cui rive era fiorente all'epoca l'industria della pesca; Gesù incontra e chiama i suoi primi discepoli sul luogo di lavoro.
    Sebbene pescatori i due potevano benissimo avere una buona preparazione culturale (nonostante il giudizio negativo che leggiamo in Atti 4,13). Dal testo possiamo dedurre che essi fossero proprietari delle reti e delle barche e quindi in una situazione economica piuttosto buona. Rispetto al testo di Marco, la fonte prima di Matteo, quest'ultimo presenta in modo più ordinato ed esplicito le indicazioni sui due fratelli, anche se la modalità del racconto resta sobria, come nello stile del primo evangelista.

    E disse loro: "Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini". Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.
    Il gioco di parole vi farò pescatori di uomini per indicare la futura missione dei chiamati, oltre che al loro lavoro, può forse riferirsi ad un testo di Geremia (Ger 16,16: "Ecco, io invierò numerosi pescatori, dice il Signore, che li pescheranno").
    Stando al racconto evangelico Pietro e suo fratello non conoscevano Gesù, sorprende quindi la prontezza della loro risposta che però può essere indice del fascino e del potere persuasivo delle parole e della persona di Gesù.
    La risposta alla chiamata di Gesù è espressa con il verbo tecnico seguire, che indicava all'epoca l'atteggiamento dei discepoli nei confronti dei maestri ebrei (i rabbini); i due rispondono immediatamente, abbandonando non solo il lavoro, ma anche gli attrezzi di cui erano verosimilmente proprietari e una situazione sicura e stabile di vita.
    Il seguire Gesù ha delle caratteristiche proprie, che si mostrano un po' per volta nel racconto di Matteo. Un primo elemento caratteristico della chiamate è la sua modalità; al tempo di Gesù erano i discepoli a scegliersi il maestro e non viceversa (cfr. Gv 1,35-42): qui come per tutti gli altri discepoli, è invece Gesù che sceglie liberamente i suoi.
    I discepoli di Gesù poi non sono solo suoi ascoltatori, ma ne diventano i collaboratori (cfr. 10,1-27) ed aderiscono sia al suo insegnamento, come accadeva ai rabbini, sia alla sua persona. Matteo nel seguito del vangelo, sottolinea spesso che le folle seguivano Gesù indicando in questo modo che esse cercavano oscuramente in lui un maestro che non trovavano presso i rabbini, i maestri autorizzati dalla legge (cfr. 4,25; 8,1; 12, 15; 14,13; ecc.).
    Seguire Gesù infine comporta anche caricarsi della sua croce (cfr. 16,24); risulta così evidente che essere discepoli del Cristo è una condizione molto diversa dal modo corrente di essere discepolo di un rabbino.

    Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
    La chiamata dei figli di Zebedeo è un duplicato della prima, anche se Matteo aggiunge qualche particolare (la barca, il padre); anch'essi seguono immediatamente Gesù. E' interessante notare come in questo primo gruppo siano presenti i tre discepoli che saranno protagonisti dei momenti salienti della vita pubblica di Gesù: Pietro Giovanni e Giacomo. Saranno loro i testimoni della trasfigurazione, come della resurrezione della figlia di Gairo e della preghiera nel Getzemani.
    In queste due scene gemelle, con un stile solenne e stilizzato, ci è mostrato il modello di ogni chiamata. Gesù che cammina, vede, chiama e gli uomini che lasciano tutto e lo seguono. Anche la Chiesa trova la propria identità nel seguire il Signore Gesù (S. Fausti).

    Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.
    Gesù si muove nella regione insegnando, annunciando il vangelo del regno e facendo guarigioni: questo riassunto amplia il testo di Marco 1,39, ed anticipa quanto poi Matteo riferirà nel seguito del suo vangelo. In esso Gesù è presentato come modello dell'apostolo; per i primi discepoli si tratta di un apprendistato per la loro missione di pescatori di uomini.
    Le sinagoghe erano luoghi di istruzione e di preghiera (cfr. Lc 4,15-21); dicendo le loro sinagoghe Matteo vuole distinguere, come farà in tutto il suo vangelo, i seguaci di Gesù dagli altri giudei.
    Il vangelo del Regno è un termine tecnico usato da Matteo: in greco vangelo significa "buona notizia", il cui annuncio comporta parole e gesti, che si illuminano a vicenda. In questo senso vangelo allora indica non solo la venuta del regno di Dio ma tutta la predicazione e l'azione di Gesù, tutto quanto l'evangelista racconta nella sua opera.
    Molto più che l'annuncio del vangelo sono le guarigioni ad attestare che il regno di Dio è operante; Matteo con l'indicazione ogni sorta indica il valore universale dell'attività di Gesù e forse allude ad Is 53,4 (citato in 8,17).
    I vv. 24-25 completano questo quadro e nello stesso tempo preparano l'uditorio a cui Gesù rivolgerà il suo primo grande discorso (capitoli 5-7), come vedremo domenica prossima.


    MEDITIAMO
    1) Leggiamo il vangelo di Matteo annotando i testi in cui si parla di qualcuno che segue Gesù. Ci sono caratteristiche comuni? Cosa comporta seguire Gesù?
    2) Come vivo la mia fede in Gesù: come un insieme di idee religiose o come una luce che da senso (significato e direzione) alla mia vita?
    3) Alla luce della chiamata dei primi discepoli ciascuno di noi può rileggere la propria vocazione; qual è l'invito che Gesù mi rivolge oggi, come persona, come comunità?
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    Credente
    00 25/01/2011 08:20
    a cura dei Carmelitani


    1) Preghiera

    O Dio, che hai illuminato tutte le genti
    con la parola dell'apostolo Paolo,
    concedi anche a noi,
    che oggi ricordiamo la sua conversione,
    di essere testimoni della tua verità
    e di camminare sempre nella via del Vangelo.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...

    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Marco 16,15-18
    In quel tempo, apparendo agli Undici, Gesù disse loro: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti, e se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno".

    3) Riflessione

    • I segnali che accompagnano l'annuncio della Buona Novella. Infine Gesù appare agli undici discepoli e li riprende perché non hanno creduto alle persone che avevano detto di averlo visto risorto. Di nuovo, Marco si riferisce alla resistenza dei discepoli che credono alla testimonianza di coloro, uomini e donne, che hanno fatto l'esperienza della risurrezione di Gesù. Perché sarà? Probabilmente, per insegnare due cose. In primo luogo, che la fede in Gesù passa per la fede nelle persone che ne danno testimonianza. Secondo, che nessuno deve scoraggiarsi, quando l'incredulità nasce nel cuore. Perfino gli undici discepoli ebbero dubbi!
    • Poi Gesù dà loro la missione di annunciare la Buona Novella a tutte le creature. L'esigenza che indica è la seguente: credere ed essere battezzati. A coloro che ebbero il coraggio di credere alla Buona Novella e che sono battezzati, lui promette i segni seguenti: scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti ed il veleno non farà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno. Questo avviene fino ad oggi:
    - scacciare i demoni: è combattere la forza del male che distrugge la vita. La vita di molte persone è migliorata perché sono entrate in una comunità e hanno incominciato a vivere la Buona Novella della presenza di Dio nella loro vita.
    - parlare lingue nuove: è cominciare a comunicare con gli altri in una forma nuova. A volte, troviamo una persona che non abbiamo mai visto prima, ma sembra che l'abbiamo conosciuta da molto tempo. Ciò avviene perché parliamo la stessa lingua, la lingua dell'amore.
    - vincere il veleno: ci sono molte cose che avvelenano la convivenza. Molte pettegolezzi che distruggono la relazione tra le persone. Chi vive in presenza di Dio ci passa sopra e riesce a non essere molestato da questo terribile veleno.
    - guarisce i malati: ovunque spunta una coscienza più chiara e più viva della presenza di Dio, appare anche un'attenzione speciale verso le persone oppresse ed emarginate, soprattutto le persone malate. Ciò che più aiuta alla guarigione, è che la persona si senta accolta ed amata.
    - Mediante la comunità Gesù continua la sua missione. Lo stesso Gesù che visse in Palestina, dove accoglieva i poveri del suo tempo, rivelando così l'amore del Padre, questo stesso Gesù continua vivo in mezzo a noi, nelle nostre comunità. Ed attraverso di noi continua la sua missione di rivelare la Buona Novella dell'Amore di Dio ai poveri. Fino ad oggi, avviene la risurrezione, che ci spinge a cantare: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo?" (cf. Rom 8,38-39). Nessun potere di questo mondo è capace di neutralizzare la forza che viene dalla fede nella risurrezione (Rm 8,35-39). Una comunità che volesse essere testimone della Risurrezione deve essere segno di vita, deve lottare contro le forze della morte, in modo che il mondo sia un luogo favorevole alla vita, e deve credere che un altro mondo è possibile.

    4) Per un confronto personale

    • Scacciare i demoni, parlare lingue nuove, non farsi recare danno dal veleno dei serpenti, imporre le mani ai malati: tu hai compiuto alcuni di questi segni?
    • Attraverso di noi e attraverso la nostra comunità Gesù continua la sua missione? Nella nostra comunità, riesce a compiere questa missione? Come, in che modo?

    5) Preghiera finale

    Lodate il Signore, popoli tutti,
    voi tutte, nazioni, dategli gloria.
    Forte è il suo amore per noi
    e la fedeltà del Signore dura in eterno. (Sal 116)

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    AmarDio
    00 28/01/2011 11:09
    Movimento Apostolico - rito romano


    Sul mistero della nascita del regno di Dio, il Vangelo secondo Marco possiede una parabola che è solo sua e di nessun altro. È una particolarità che merita tutta la nostra attenzione. Essa dona un vigore sempre nuovo alla nostra missione evangelizzatrice.
    Il regno nasce dalla Parola di Dio che viene seminata. La Parola va seminata nel cuore di ogni uomo. Fin qui vi è perfetta sintonia con quanto affermano Matteo e Luca. Ecco la differenza, la particolarità, l'unicità: "l'uomo che l'ha seminato, dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga e quando il frutto è maturo, subito egli mandala falce, perché arrivata la mietitura".
    Questa unicità di Marco ci insegna una verità portentosa: ad ogni seminatore - e tutti i discepoli di Gesù sono stati costituiti seminatori della Parola di Dio - deve importare una cosa sola: seminare il buon seme della Parola. Fatto questo, è la Parola che porta in sé il germe della vita nuova. Quando essa è nel cuore, attraverso un altro grande mistero che è quello della grazia e dello Spirito Santo, il seme inizia pian piano a germogliare, crescere, fruttificare. Questa verità libera dall'affanno del raccolto immediato. Rivolge però tutta la nostra attenzione a che solo il buon seme della Parola di Dio venga sparso nei cuori. Questa attenzione deve essere somma.
    Se uno anziché seminare la buona Parola di Dio, semina l'erba cattiva della zizzania, o l'erba vana della parola umana, mai potrà far germogliare nei cuori il regno di Dio, mai questo si svilupperà e mai crescerà. Non si sviluppa e non cresce perché non è stato semplicemente seminato. I problema cruciale dell'evangelizzazione è proprio questo: cosa si semina: parola di Dio o parola d'uomo, verità divine o falsità umane, principi celesti o dicerie della terra? Se viene seminato il buon seme, i frutti verranno.
    Altra verità contenuta nel Vangelo di questo giorno: il seme della Parola quando viene sparso nel cuore è piccolissimo, invisibile, dopo che cade per terra si confonde addirittura con la stessa terra. Il colore è quasi uguale. Ma poi una volta che comincia a germogliare e a crescere diviene un grande arbusto. Tra la semina e la maturazione il tempo è necessario. Abolire il tempo, è compiere opere vane, inutili, a volte anche dannose. Niente è più necessario del tempo nell'opera della fruttificazione della Parola. La fretta mai deve essere dell'uomo di Dio. Il seme ha i suoi tempi e noi dobbiamo rispettarli. Questo però non significa che noi non dobbiamo continuare a seminare. Mentre un seme germoglia, altri infiniti semi vengono gettati nei cuori e così all'infinito. Perché c'è sempre chi semina e sempre chi raccoglie.
    Vergine Maria, Madre della Redenzione, aiutaci a seminare nei cuori la buona Parola di Dio, il suo buon Vangelo. Angeli e Santi, sosteneteci in questo lavoro di salvezza.

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    Credente
    00 03/02/2011 11:46
    Movimento Apostolico - rito romano
    Prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri

    Gesù dona il potere ai suoi Apostoli di scacciare gli spiriti impuri e li manda a due a due alle pecore sperdute della casa di Israele. Chiediamoci: perché Gesù dona ai Dodici potere sopra gli spiriti immondi? Non basta la sola predicazione per la salvezza dell'umanità? La verità non fa scomparire le tenebre, perché brilla nei cuori come il sole quand'è nello splendore del suo corso?
    Gli spiriti impuri non abbandonano l'uomo sol perché l'Apostolo annunzia la Parola di Gesù Signore. Per lasciare l'uomo essi hanno bisogno di un'azione di forza. Bisogna che venga loro comandato di abbandonare la preda. Questo comando mai potrà venire da un uomo. Solo Dio è il loro Signore, perché il loro Creatore e solo a Lui essi obbediranno. Essi sanno come raggirare l'uomo ed ogni sua parola. Sanno come continuare a mietere vittime tra gli uomini.
    A Dio essi dovranno sempre obbedire. È il loro Signore. Basta che Lui dica una parola e loro non hanno più campo di azione. Si devono ritirare, fuggire, svanire per sempre, secondo l'ordine ricevuto. Gesù è Dio, perché il Figlio Unigenito del Padre. A Lui deve obbedienza ogni creatura. Lui comanda e gli spiriti impuri devono ascoltarlo. Dona questa sua parola di autorità e di obbedienza ai dodici, e i demòni si devono sottomettere, perché la voce è dell'uomo, il comando invece viene da Cristo Gesù, loro Dio, Signore, mediatore anche per la loro creazione.
    Gesù vuole che i suoi Apostoli siano semplici, non complicati, non esigente, non viziati, prudenti, accorti, sapienti in ogni cosa, leggeri sempre. Essi devono portare nel mondo solo il loro corpo, quasi vestito alla maniera, potremmo dire oggi, sportiva. Un buon podista porta su di sé lo stretto necessario. Quanto potrebbe affaticarlo, appesantirlo, ostacolarlo nella corsa viene da lui abbandonato, lasciato ai margini.
    Gli Apostoli sono i podisti del Vangelo. Loro devono correre e attraversare il mondo intero per ricordare e annunziare la Parola di Gesù. Se andassero vestiti in allestimento pesante, si potrebbero facilmente stancare. La prima tentazione di satana è sempre quella di impedirci di perseverare sino alla fine. Portando solo quanto è necessario oggi, non domani, la corsa si fa più facile, il viaggio potrà essere realizzato sempre per intero. Agli uomini potrà venire offerto sempre la Parola della salvezza.
    I Dodici non devono imporre a nessuno la Parola, il Vangelo. Devono però sempre attestare ad ogni uomo la sua verità. Il Vangelo è vero. La Parola è santa. Essa è Parola di vita eterna. Se loro donano la Parola e la gente non dovesse accoglierla, rifiutando anche la loro presenza nel territorio, essi se ne dovranno andare, ma prima devono scuotere dai loro sandali anche la polvere, in segno di non comunione. Tu non hai voluto il Vangelo, io mi separo da te e dalla polvere della tua città. Sappi però che il regno dei cieli è vicino. Tu lo hai rifiutato. Te ne assumi tutte le responsabilità.
    Vergine Maria, Madre della Redenzione, vieni in nostro soccorso. Vogliamo essere veri testimoni della Parola. Angeli e Santi di Dio, fateci missionari della Parola.

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    Credente
    00 05/02/2011 09:38
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date

    Il brano di oggi è importante nell'economia della salvezza per capire come essa possa essere una realtà attuale ancor oggi. La missione dei discepoli annuncia e prepara la missione della chiesa. Nel brano di oggi si vede come Gesù vuole che i suoi discepoli abbiano le facoltà che Egli stesso ha dimostrato. Da un lato il discepolato di Gesù è esigente e chiede l'impegno della vita che appella alla donazione ed alla disponiblità; dall'altro lato l'esigenza deriva dal guardare il mondo come lo ha guardato Gesù stesso.
    Proprio Egli vede le folle come pecore senza pastore e da qui nasce il sentimento della compassione del Signore; è questo il sentimento che dà origine all'azione di Gesù e che Egli vuole che si prolunghi nella Chiesa.
    La compassione di Gesù Cristo non commiserazione e non ha in sé atteggiamenti di superiorità; anzi indica sensibilità, premura e volontà di Gesù di essere nostro compagno di viaggio. La compassione è il sentimento di Gesù che indica il suo desiderio di essere a noi vicino per sollevarci dalle nostre infermità materiali e spirituali. Compassione indica anche avere gli stesi sentimenti, gli stessi desideri. Gesù, con la sua compassione, vuol condividere i nostri desideri perché diventino i suoi desideri. La missione dei discepoli è quindi il far sentire ancora vivo questo sentimento così elevato di Gesù; perciò può dire che la messe è abbondante. Allora le facoltà che Gesù dona ai discepoli sono a servizio di questa missione d'amore; non hanno prezzo e sono dati gratuitamente. Non sono poteri da esercitare con alterigia e superiorità ma sono grazie da distribuire con gli stessi sentimenti di Cristo. È un dono gratuito che richiede una risposta gratuita.

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    Coordin.
    00 07/02/2011 08:32
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Un tocco di speranza

    «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». Questa sentenza del Signore ci indica verso chi egli indirizza di preferenza la sua missione e, paragonandosi ad un medico, dice di voler anzitutto soccorrere i malati e non i sani e, volendo mostrare visibilmente al mondo la misericordia del Padre, afferma ancora che i primi destinatari, non sono i giusti, che già hanno accolto quel dono di Dio, ma i peccatori che ne sono privi. Questo ci spiega la natura della missione di Cristo e i motivi che l'inducono a cercare, ovunque si trovino, i malati del corpo e dello spirito. Il vangelo di oggi ci fa incontrare Gesù in Galilea, nella regione dei Geraseni, disprezzata dagli abitanti di Gerusalemme; qui il Signore viene riconosciuto come colui che porta la vita e la salvezza. Con questa convinzione accorrono da lui, lo cercano dovunque, per poi condurgli gli ammalati nel corpo e nello spirito. Ecco un ruolo ed una missione che dovrebbe essere costantemente nel cuore di ogni credente: cercare Gesù e condurre a lui gli affaticati e gli oppressi di questo nostro mondo. Non basta procurare loro un buon ospedale e affidarli alle buone cure dei medici; quasi sempre alla malattia del corpo si accompagna uno stato di spossatezza dell'anima, un'infermità dello spirito, che merita la migliore attenzione. Quando riponiamo tutte le nostre speranze solo ed esclusivamente nell'apporto della medicina e delle cure esterne degli uomini, rischiamo di trascurare la parte più importante e preziosa dell'uomo, la sua anima. Capita troppo spesso di trovarci impreparati dinanzi al malato, soprattutto dinanzi al malato terminale, quando la medicina e i medici hanno smesso, perché impotenti, il loro compito, quando in tono di passiva rassegnazione sentiamo dire o diciamo a noi stessi: «Non c'è più nulla da fare». È un inganno. Quando non c'è più nulla da fare da parte dei medici e della medicina, dovrebbe iniziare un amorevole premura, che aiuti il paziente ad affrontare nel modo migliore possibile il dramma della morte. Questa è la proposta cristiana per una vera eutanasia, per una morte non dolce, ma da credenti in Cristo. Dio solo sa quanti nostri fratelli e forse anche persone a noi care, vengono lasciate nella più penosa solitudine e abbandono proprio quando avrebbero più urgente bisogno di presenze e di cristiana collaborazione. Quando si spengono in noi le umane attese abbiamo bisogno più che mai di ravvivare la speranza cristiana nei beni futuri ed eterni.

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    Coordin.
    00 09/02/2011 08:40
    Monaci Benedettini Silvestrini
    La vera purezza

    Niente di ciò che è al di fuori di noi può garantirci la purezza interiore. Possiamo abbellirci con gli abiti migliori, nutrirci dei cibi più succulenti o fingere nei nostri comportamenti, ma il nostro animo, quello che veramente ci qualifica ed è chiaro agli occhi di Dio, rimane nella sua realtà. Gesù proclama queste verità affermando ancora una volta, rivolgendosi alle folle, ma parlando degli scribi e dei farisei, che: «Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo». Anche i latini affermavano, a mo' di proverbio, che «la bocca parla dall'abbondanza del cuore». Il Signore spiega ulteriormente agli Apostoli il significato della sua affermazione: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». La conclusione immediata e più evidente è che Gesù dichiarava mondi tutti gli alimenti, ma c'è qualcosa di più importante da dedurre da suo discorso: è la pratica applicazione del comandamento che ci sollecita a non dire o testimoniare il falso, a vivere in noi la verità di Dio per essere suoi testimoni veri e credibili nella carità. C'è una condanna a tutto ciò che inquina il nostro animo, che ci induce alla falsità e all'errore, che tende a trarre in inganno noi stessi, il nostro prossimo e a stravolgere ciò che Dio stesso ci ha fatto conoscere nella rivelazione e noi sperimentiamo nel vivere di ogni giorno. «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno». Gli inquinamenti da parole sono più pericolosi e più nocivi di quelli atmosferici; sarebbe urgente per noi indire una campagna ecologica di purificazione del linguaggio. Noi cristiani che ci ispiriamo a Cristo, la Verità incarnata, dovremmo essere di fulgido esempio, pur sapendo che l'affermazione della verità e il vivere nella purezza del cuore comporta sempre un alto prezzo da pagare: Cristo e i suoi martiri hanno pagato con la vita, noi…?

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    Coordin.
    00 11/02/2011 08:25
    Eremo San Biagio Commento su Gen3,5-6

    Dalla Parola del giorno
    “Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare la saggezza.”

    Come vivere questa Parola?
    Le pagine della Genesi si aprono su uno scenario di armonia: sulla natura che emerge dal caos scende il compiacimento divino, l’uomo e la donna si colgono e si accolgono in un contesto estatico vero dono l’uno per l’altro, e il rapporto con Dio è all’insegna della fiducia e della vicinanza..
    Ma ecco uno stacco violento a intorpidire le acque.
    Insidioso, strisciante, si fa strada il sospetto sollecitato dall’ambizione del protagonismo assoluto: essere come Dio, dipendere unicamente da se stessi, dalle proprie scelte, determinare ciò che è bene e ciò che è male…
    Una tentazione che non ci è estranea: basta pensare alle ultime vicende di questa nostra epoca. Non sono in questa linea certe arbitrarie prese di posizione che si spingono fino a decidere della vita e della morte di una persona, o che pretendono di piegare le leggi della natura violentandola impunemente?
    Certamente non è il male in sé che si cerca: “L’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare la saggezza”, scrive l’autore sacro. Sono gli innegabili aspetti positivi che abbagliano, oscurando l’orizzonte così che il luccichio delle pietruzze fa perdere di vista la luce del diamante. E si finisce con l’ammantare di pietà anche un omicidio!
    Il risultato è che, una volta consumato il peccato, ci si scopre ‘nudi’, cioè esposti a tutti i soprusi: se è l’uomo a decidere ciò che è bene e ciò che è male, negando una loro oggettiva e trascendente consistenza, tutto è possibile.

    Oggi, nel mio rientro al cuore, passerò dalla facile denuncia di ciò che non va intorno a me all’autodenuncia, cioè a individuare le circostanze in cui, all’atto pratico, ho deciso io quello che era bene e quello che era male, in base a ciò che mi tornava più comodo o vantaggioso.

    Liberami, Signore, dalla sottile pretesa di essere Dio al tuo posto.

    La voce di un dottore della Chiesa
    Anche la brama degli onori suscitano in noi queste potenze mondane, per ottenere che tu ti insuperbisca come Adamo e, tentando di renderti simile a Dio nella pienezza del suo potere, disprezzi i divini precetti, cominciando a perdere ciò che hai. Infatti: A chi non ha, sarà tolto anche quello che ha (Mc 4,25).
    Ambrogio
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    Credente
    00 13/02/2011 10:45
    Eremo San Biagio


    Dalla Parola del giorno
    Sia il vostro parlare: "Sì, sì", "No, no"; il di più viene dal Maligno.

    Come vivere questa Parola?
    Lungo la settimana il libro della Genesi ci ha presentato il volto più vero dell'uomo, quello in cui sono rintracciabili i lineamenti divini: immagine di quel Dio con cui è chiamato a vivere in un rapporto di amicizia senza veli, senza reticenze. Un atteggiamento di libertà interiore che lo fa porre anche accanto ai suoi simili senza riserve: è nudo - dice il testo - cioè è quello che è, senza giri viziosi, senza inutili contorsioni.
    Limpidezza di un rapporto che il peccato ha inquinato, sostituendo il sospetto e la paura là dove avrebbe dovuto esserci soltanto la tensione verso il disvelamento e la consegna del proprio io più intimo e l'accoglienza di quello dell'altro nel segno della comunione.
    Gesù richiama alla necessità di restaurare questa armonia iniziale lasciando cadere inutili e dannose difese dinanzi a colui di cui è venuto a rivelarci il volto fraterno. Perché mettere su maschere, perché tentare di velare la verità usando proprio quella parola che ci accomuna al "Logos" (Parola) divino e che ci è data per rivelare il nostro mondo interiore e così entrare in comunione con l'altro, con il mio fratello?
    Con l'ingresso nel mondo del peccato non tutto è così lineare, l'altro può approfittare della mia schiettezza… ci vuole prudenza - ci viene da dire. E secondiamo l'azione del Maligno che è venuto a corrodere proprio questa fiducia di fondo, offuscando il nostro sguardo così che non riusciamo più a vedere il fratello, ma solo un potenziale nemico.
    L'inerme consegnarsi di Gesù nelle nostre mani non ci dice nulla a proposito? Non è un eloquente richiamo a riattizzare il fuoco della fiducia reciproca, dell'amore incondizionato?

    Oggi, nella mia pausa contemplativa, richiamerò i miei atteggiamenti difensivi e vedrò come correggerli coniugando insieme un'equilibrata prudenza e un'incondizionata fiducia.

    Gesù, tu sei il "sì" del Padre consegnato all'umana debolezza. Possa io trovare in te la forza di improntare anche la mia vita a questo "sì" incondizionato, che diviene dono per il fratello e sollecitazione a lasciar cadere le difese per un autentico incontro nell'amore reciproco.

    La voce di un medico santo
    Ama la verità; mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi.
    Giuseppe Moscati

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    Coordin.
    00 15/02/2011 10:00
    Movimento Apostolico - rito romano
    Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!

    È difficile camminare con Gesù e assumere i suoi pensieri come luce per i nostri passi. Perché questa difficoltà? Perché nonostante Gesù mostri loro un mondo nuovo che Lui è venuto a creare in mezzo agli uomini, essi procedono sempre con i loro vecchi pensieri, la loro vecchia mente, il loro vecchio cuore?
    Il pensiero non è il frutto della mente, ma del cuore. Un cuore vecchio, di pietra, altro non può produrre che pensieri vecchi, di pietra. La vecchia umanità non può generare il nuovo. Non le appartiene. Non è conforme alla sua natura. Ogni albero produce frutti secondo la sua verità. Se è cattivo produce frutti cattivi, se buono frutti buoni, se è vecchio frutti vecchi, se è malato frutti malati.
    Gesù è l'uomo nuovo. Lo Spirito Santo lo anima. I suoi pensieri sono il frutto, il dono, la verità dello Spirito di Dio che lo muove e lo conduce. Lui ha pensieri di pace, pietà, compassione, misericordia, obbedienza, carità, amore sino alla fine, ogni bontà. La virtù guida ogni sua azione. Il bene più grande muove ogni suo passo. Non conosce il vizio. Ignora la conoscenza del peccato. Non sa cosa sia la trasgressione. Vince ogni tentazione. Rimane sempre nelle più pura verità e carità del Padre.
    I discepoli sono ancora uomini vecchi. Vivono nella loro vecchia umanità. Bisogna però formarli, indicare loro che vi è una vita nuova da acquisire. Questa formazione inizia dal metterli in guardia verso coloro che fanno tendenza. È questo oggi il male cristiano: tutti si lasciano acriticamente trascinare da quanti sono ai vertici della mondanità. Manca ai discepoli di Gesù il sano discernimento. Mancano anche i maestri che sappiamo loro insegnarlo. C'è un esercito di ciechi che guida altri ciechi.
    Quelli che fanno tendenza - allora erano scribi, farisei, re, persone altolocate - oggi sono tutti gli uomini dello spettacolo, le persone pubbliche. Quasi tutte queste hanno un lievito mortale, micidiale. Il loro lievito è come il gas. Entra nel cuore e nessuno se ne accorge. Cambia i pensieri e nessuno lo avverte. Muta i costumi e nessuno lo vede. Nessuno avverte. Nessuno mette in guardia. Nessuno educa. Nessuno insegna. Nessuno si oppone a questi maestri di vizio e di falsità.
    È questa l'inerzia cristiana: ci affanniamo a fare lezioni di catechismo, catechesi, formazione, ma non correggiamo, non mettiamo in guardia, non avvisiamo contro i pericoli di questo male oscuro, sommerso, invisibile che penetra nei cuori. Lasciamo che questo lievito di malizia e di perversità fermenti tutta la pasta. Noi stessi ci siamo lasciati inquinare mente, anima, corpo. Gesù sempre reagiva contro i maestri di tendenza peccaminosa. Sempre svelava la falsità del loro insegnamento. Sempre metteva in piena luce le incongruenze della loro vita. Se non purifichiamo la storia con la verità di Gesù, le nostre Chiese saranno sempre un cimitero. La vita è fuori e va illuminata con la luce eterna della verità di Cristo Gesù.
    Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, fateci persone di contrasto.

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    Coordin.
    00 17/02/2011 08:08
    a cura dei Carmelitani
    Commento Marco 8,27-33

    1) Preghiera

    O Dio, che hai promesso di essere presente
    in coloro che ti amano
    e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola,
    rendici degni di diventare tua stabile dimora.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...




    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Marco 8,27-33
    In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: “Chi dice la gente che io sia?” Ed essi gli risposero: “Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti”. Ma egli replicò: “E voi chi dite che io sia?” Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”. E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno.
    E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare.
    Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: “Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.



    3) Riflessione

    • Il vangelo di oggi parla della cecità di Pietro che non capisce la proposta di Gesù quando costui parla della sofferenza e della croce. Pietro accetta Gesù messia, ma non messia sofferente. E’ influenzato dal “lievito di Erode e dei farisei”, cioè, dalla propaganda del governo dell’epoca per cui il messia era un re glorioso. Pietro sembrava cieco. Non si rendeva conto di nulla, ma voleva che Gesù fosse come lui voleva. Per capire bene tutta la portata di questa cecità di Pietro è bene inquadrarla nel suo contesto letterario.
    Contesto letterario: Il vangelo di Marco ci trasmette tre annunci della passione e morte di Gesù: il primo in Marco 8,27-38; il secondo in Mc 9,30-37 ed il terzo in Mc 10,32-45. Questo insieme, che va fino a Mc 10,45, è una lunga istruzione di Gesù ai discepoli per aiutarli a superare la crisi prodotta dalla Croce. L’istruzione è introdotta con la guarigione di un cieco (Mc 8,22-26) e alla fine si conclude con la guarigione di un altro cieco (Mc 10,46-52). I due ciechi rappresentano la cecità dei discepoli. La guarigione del primo cieco fu difficile. Gesù dovette farla in due tappe. Anche difficile fu la guarigione della cecità dei discepoli. Gesù dovette procedere ad una lunga spiegazione riguardo al significato della Croce per aiutarli a capire, poiché la croce stava producendo in loro la cecità. Vediamo da vicino la guarigione del cieco.
    • Marco 8,22-26: La prima guarigione del cieco. Portano davanti a Gesù un cieco, chiedendo a Gesù di guarirlo. Gesù lo guarisce, ma in modo diverso. Prima, lo porta fuori dal villaggio. Poi mette un poco della sua saliva sugli occhi del cieco, gli impone le mani e chiede: Vedi qualcosa? L’uomo risponde: Vedo persone; sembrano alberi che camminano! Notava solo una parte. Scambiava alberi per persone, o persone per alberi! Gesù lo guarisce solo nel secondo tentativo. Questa descrizione della guarigione del cieco introduce l’istruzione dei discepoli, in realtà il cieco era Pietro. Lui accettava Gesù messia, ma messia glorioso. Vedeva solo una parte! Non voleva l’impegno della Croce! Anche la cecità dei discepoli è guarita da Gesù, in più volte, non in una sola.
    • Marco 8,27-30. La scoperta della realtà: Chi dice la gente che io sia? Gesù chiede: “Chi dice la gente che io sia?” Loro rispondono esponendo le diverse opinioni: “Giovanni Battista”, “Elia o uno dei profeti”. Dopo aver ascoltato le opinioni degli altri, Gesù chiede: “E voi, chi dite che io sia?” Pietro risponde: “Il Signore, il Cristo, il Messia!” Cioè il Signore è colui che la gente sta aspettando! Gesù è d’accordo con Pietro, ma gli proibisce di parlare di ciò con la gente. Perché? Perché in quel tempo tutti aspettavano la venuta del messia, ma ognuno a modo suo: alcuni aspettavano il re, altri il sacerdote, dottore, guerriero, giudice, profeta! Nessuno sembrava che stesse aspettando il messia servo e sofferente, annunciato da Isaia (Is 42,1-9).
    • Marco 8,31-33. Primo annuncio della passione. Poi Gesù comincia ad insegnare dicendo che lui è il Messia Servo ed afferma che, come tale Messia Servo annunciato da Isaia, presto sarà condannato a morte nello svolgimento della sua missione di giustizia (Is 49,4-9; 53,1-12). Pietro si spaventa, chiama a parte Gesù per sconsigliarlo. E Gesù gli risponde: “Lungi da me satana. Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” Pietro pensava aver dato la risposta giusta. Infatti, lui dice la parola giusta: “Tu sei il Cristo!” Ma non le dà il senso giusto. Pietro non capisce Gesù. Era come il cieco. Scambiava la gente per alberi! La risposta di Gesù fu durissima: “Lungi da me, satana!” Satana è una parola ebraica che significa accusatore, colui che allontana gli altri dal cammino di Dio. Gesù non permette che qualcuno lo allontani dalla sua missione. Letteralmente il testo dice: “Allontanati da me, satana!” Pietro deve seguire Gesù. Non deve cambiare le carte e pretendere che Gesù segua Pietro.



    4) Per un confronto personale

    • Tutti crediamo in Gesù. Ma alcuni credono che Gesù sia di un modo, altri di un altro. Qual è oggi l’immagine più comune che la gente ha di Gesù? Qual è la risposta che la gente darebbe oggi alla domanda di Gesù? Ed io che risposta do?
    • Cosa ci impedisce oggi di riconoscere in Gesù il messia?




    5) Preghiera finale

    Benedirò il Signore in ogni tempo,
    sulla mia bocca sempre la sua lode.
    Io mi glorio nel Signore,
    ascoltino gli umili e si rallegrino.
    (Sal 33)

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    Credente
    00 19/02/2011 09:49
    a cura dei Carmelitani
    Commento Marco 9,2-13

    1) Preghiera

    O Dio, che hai promesso di essere presente
    in coloro che ti amano
    e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola,
    rendici degni di diventare tua stabile dimora.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...




    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Marco 9,1-13
    In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè, che discorrevano con Gesù.
    Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!” Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.
    Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!” E subito, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.
    Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti. E lo interrogarono: “Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?”
    Egli rispose loro: “Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma come sta scritto del Figlio dell’uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato. Orbene, io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di lui”.



    3) Riflessione

    Il vangelo di oggi parla di due fatti legati tra di loro: la Trasfigurazione di Gesù e la questione del ritorno del profeta Elia. In quel tempo, la gente aspettava il ritorno del profeta Elia. Oggi, molta gente sta aspettando il ritorno di Gesù e scrive sui muri della città: Gesù ritornerà! Loro non si rendono conto che Gesù è già venuto ed è presente nella nostra vita. Ogni tanto, come un fulmine repentino, questa presenza di Gesù irrompe e si illumina, trasfigurando la nostra vita.
    • La Trasfigurazione di Gesù avviene dopo il primo annuncio della Morte di Gesù (Mc 8,27-30). Questo annuncio aveva frastornato la testa dei discepoli, soprattutto di Pietro (Mc 8,31-33). Loro avevano i piedi in mezzo ai poveri, ma la testa si perdeva nell’ideologia del governo e della religione dell’epoca (Mc 8,15). La croce era un impedimento per credere in Gesù. La trasfigurazione di Gesù aiuterà i discepoli a superare il trauma della Croce.
    • Negli anni 70, quando Marco scrive, la Croce continuava ad essere un grande impedimento per i giudei, per accettare Gesù Messia. “La croce è uno scandalo!”, dicevano (1Cor 1,23). Uno degli sforzi maggiori dei primi cristiani consisteva nell’aiutare le persone a percepire che la croce non era né scandalo, né follia, bensì l’espressione del potere e della sapienza di Dio (1Cor 1,22-31). Marco contribuisce a questo tentativo. Si serve dei testi e delle figure dell’Antico Testamento per descrivere la Trasfigurazione. Indica così che Gesù vede la realizzazione delle profezie e che la Croce era un cammino verso la Gloria.
    • Marco 9,2-4: Gesù cambia aspetto. Gesù sale verso un’alta montagna. Luca dice che vi sale per pregare (Lc 9,28). Lassù, Gesù appare nella gloria dinanzi a Pietro, Giacomo e Giovanni. Insieme a lui appaiono Mosè ed Elia. La montagna alta è evocazione del Monte Sinai, dove, nel passato, Dio aveva manifestato la sua volontà alla gente, consegnando la legge. Le vesti bianche ricordano Mosè sfolgorante quando parla con Dio sulla Montagna e ne riceve la legge (cf. Es 34,29-35). Elia e Mosè, le due maggiori autorità dell’Antico Testamento, parlano con Gesù. Mosè rappresenta la Legge, Elia, la profezia. Luca informa della conversazione sull’ “esodo di Gesù”, cioè, la Morte di Gesù a Gerusalemme (Lc 9,31). E’ chiaro quindi che l’Antico Testamento, sia la Legge che la profezia, insegnavano già che per il Messia Servo il cammino della gloria doveva passare per la croce.
    • Marco 9,5-6: A Pietro piace, ma non capisce. A Pietro piace e vuole assicurarsi il momento gradevole sulla Montagna. Lui si offre a costruire tre tende. Marco dice che Pietro aveva paura, senza sapere ciò che stava dicendo, e Luca aggiunge che i discepoli avevano sonno (Lc 9,32). Sono come noi: avevano difficoltà a capire la Croce!
    • Marco 9,7-9: La voce dal cielo chiarisce i fatti. Quando Gesù è avvolto dalla gloria, una voce dice: “Questo è il Figlio mio prediletto! Ascoltatelo!” L’espressione “Figlio prediletto” ricorda la figura del Messia Servo, annunciato dal profeta Isaia (cf. Is 42,1). L’espressione “Ascoltatelo!” ricorda la profezia che prometteva la venuta di un nuovo Mosè (cf. Dt 18,15). In Gesù, le profezie dell’Antico Testamento si stanno compiendo. I discepoli non possono più dubitare. Gesù è veramente il Messia glorioso che loro desiderano, ma il cammino verso la gloria passa per la croce, secondo quanto annunciato nella profezia del Servo (Is 53,3-9). La gloria della Trasfigurazione lo prova. Mosè ed Elia lo confermano. Il Padre lo garantisce. Gesù l’accetta. Alla fine, Marco dice che, dopo la visione, i discepoli videro solo Gesù e nessun altro. D’ora in poi, Gesù è l’unica rivelazione di Dio per noi! Gesù, e Lui solo, è la chiave per capire tutto l’Antico Testamento.
    • Marco 9, 9-10: Saper mantenere il silenzio. Gesù chiede ai discepoli di non dire nulla a nessuno fino a che Lui non risusciti dai morti, ma i discepoli non lo capiscono. Infatti non capiscono il significato della Croce che lega la sofferenza alla risurrezione. La Croce di Gesù è la prova che la vita è più forte della morte.
    • Marco 9,11-13: Il ritorno del profeta Elia. Il profeta Malachia aveva annunciato che Elia doveva ritornare per preparare il cammino del Messia (Ml 3,23-24). Lo stesso annuncio si trova nel libro dell’Ecclesiastico (Eccli 48,10). E allora, Gesù come poteva essere il Messia, se Elia non era ancora ritornato? Per questo, i discepoli chiesero: “Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?” (9,11). La risposta di Gesù è chiara: “Orbene, io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di lui” (9, 13). Gesù stava parlando di Giovanni Battista che fu ucciso da Erode (Mt 17,13).



    4) Per un confronto personale

    • La tua fede in Gesù ti ha regalato qualche momento di trasfigurazione e di intensa gioia? Questi momenti di gioia come ti danno forza nelle ore di difficoltà?
    • Come trasfigurare, oggi, sia la vita personale e familiare, che la vita comunitaria?




    5) Preghiera finale

    Felice l’uomo pietoso che dà in prestito,
    amministra i suoi beni con giustizia.
    Egli non vacillerà in eterno:
    il giusto sarà sempre ricordato.
    (Sal 111)

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    Coordin.
    00 22/02/2011 08:35
    Eremo San Biagio
    Commento su 1Pt 5,2-3

    Dalla Parola del giorno
    "Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge"

    Come vivere questa Parola?
    L'esortazione di Pietro è rivolta primariamente a quanti, nell'ambito ecclesiale, esercitano un ministero specifico, come i presbiteri. Non per questo gli altri possono accantonarla superficialmente, quasi non avessero alcun compito da assolvere nei riguardi dei fratelli.
    Nella grande famiglia di Dio nessuno può dire come Caino: "Sono forse il custode di mio fratello?". Siano responsabili gli uni degli altri, sia pure con modalità diverse. C'è allora da chiedersi: quale porzione del gregge mi è stata affidata? Saranno i figli, gli allievi, i dipendenti, ma anche il partner, i compagni, i confratelli o chi, bisogno di luce di conforto di aiuto, si incontra, sia pure occasionalmente, nel proprio cammino.
    Una missione da assumere nel segno della gioia, da assolvere "volentieri", senza altri scopi che non siano la gloria di Dio e il bene dei fratelli. Alla pesantezza del controllo verrà allora spontaneo sostituire una sorveglianza premurosa, tesa a prevenire quanto può nuocere al gregge; al giudizio tagliante la comprensione che infonde coraggio e rilancia nella via del bene; all'imposizione autoritaria l'indicazione di una meta da perseguire insieme; alla risposta saccente la parola venata di umiltà di chi si conosce servo di una verità mai pienamente posseduta.
    È l'atteggiamento gioioso e riconoscente di chi nutre la consapevolezza di essere insieme membro e pastore di un gregge che appartiene a Dio.

    La voce di un Padre della Chiesa
    Un servo non può essere maggiore del suo Signore, e nessuno può arrogarsi ciò che il Padre ha dato solo al Figlio, tanto da credere di poter dare mano alla pala nell'aia per gettare al vento e mondare il grano, oppure di poter separare, con giudizio umano, tutta la zizzania dal frumento. È questa una presunzione superba, è una ostinazione sacrilega, che si arroga una frenesia abbietta.
    Cipriano di Cartagine

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    Credente
    00 24/02/2011 14:34
    a cura dei Carmelitani
    Commento Marco 9,41-50

    1) Preghiera

    Il tuo aiuto, Padre misericordioso,
    ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito,
    perché possiamo conoscere
    ciò che è conforme alla tua volontà
    e attuarlo nelle parole e nelle opere.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...



    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Marco 9,41-50
    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa.
    Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, sarebbe meglio per lui che gli passassero al collo una mola da asino e lo buttassero in mare.
    Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile.
    Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna.
    Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. Perché ciascuno sarà salato con il fuoco.
    Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri".


    3) Riflessione

    • Il vangelo di oggi ci narra alcuni consigli di Gesù sul rapporto degli adulti con i piccoli e gli esclusi. In quel tempo, molte persone erano escluse ed emarginate. Non potevano partecipare. Molti di loro perdevano la fede. Il testo che ora meditiamo ha strane affermazioni che, se prese letteralmente, causano perplessità nella gente.
    • Marco 9,41: Un bicchiere di acqua sarà ricompensato. Una frase di Gesù viene inserita qui: Vi garantisco che: Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa. Due pensieri: (a) "Chi vi darà un bicchiere d'acqua": Gesù si sta recando a Gerusalemme per dare la sua vita. Gesto di grande donazione! Ma lui non dimentica i piccoli gesti di dono della vita di ogni giorno: un bicchiere d'acqua, un'accoglienza, un'elemosina, tanti gesti. Chi disprezza il mattone, non può mai costruire la casa! (b) "Perché voi siete di Cristo": Gesù si identifica con noi che vogliamo appartenere a Lui. Ciò significa che per Lui abbiamo molto valore.
    • Marco 9,42: Scandalo per i piccoli. Scandalo, letteralmente, è una pietra lungo il cammino, una pietra nella scarpa; è ciò che allontana una persona dal buon cammino. Scandalizzare i piccoli è essere motivo per cui i piccoli si allontanano dal cammino e perdono la fede in Dio. Chi fa questo riceva la seguente sentenza: "Sarebbe meglio per lui che gli passassero al collo una mola da asino e lo buttassero in mare!" Perché Gesù si identifica con i piccoli? (Mt 25,40.45). Oggi, nel mondo intero, molti piccoli, molti poveri, stanno uscendo dalle Chiese tradizionali. Ogni anno, in America Latina, circa tre milioni di persone vanno verso altre Chiese. Non riescono a credere in ciò che professiamo nella nostra chiesa! Perché avviene questo? Fino a che punto la colpa è nostra? Meritiamo anche noi una mola al collo?
    • Marco 9,43-48: Tagliare mano e piede, togliere l'occhio. Gesù ordina alla persona di tagliare la mano, il piede, di cavarsi l'occhio, nel caso in cui fosse motivo di scandalo. E dice: "E' meglio entrare nella vita o nel Regno con un piede (mano, occhio), che entrare nell'inferno o nella geenna con due piedi (mani, occhi)". Queste frasi non possono essere prese letteralmente. Significano che la persona deve essere radicale nella sua scelta di Dio e del vangelo. L'espressione "geenna" (inferno) dove il loro verme non muore ed il fuoco non si spegne", è un'immagine per indicare la situazione della persona che rimane senza Dio. La geenna era il nome di una valle vicino a Gerusalemme, dove si gettava l'immondizia della città e dove c'era sempre un fuoco acceso per bruciare l'immondizia. Questo luogo pieno di cattivo odore era usato dalla gente per simboleggiare la situazione della persona che non partecipava del Regno di Dio.
    • Marco 9,49-50: Sale e Pace. Questi due versi aiutano a capire le parole severe sullo scandalo. Gesù dice: "Abbiate sale in voi stessi e state in pace gli uni con gli altri!" La comunità, in cui si vive in pace, gli uni con gli altri, è come un poco di sale che dà sapore a tutto il cibo. Vivere in pace e fraternamente nella comunità è il sale che dà sapore alla vita della gente nel quartiere. E' un segno del Regno, una rivelazione della Buona Novella di Dio. Siamo sale? Il sale che non dà sapore non serve più a nulla!
    Gesù accoglie e difende la vita dei piccoli. Varie volte, Gesù insiste nell'accoglienza da dare ai piccoli. "Chi accoglie uno di questi piccoli nel mio nome, accoglie me" (Mc 9,37). Chi dà un bicchiere d'acqua ad uno di questi piccoli, non perderà la sua ricompensa (Mt 10,42). Lui chiede di non disprezzare i piccoli (Mt 18,10). E nel giudizio finale i giusti saranno ricevuti perché avranno dato da mangiare "ad uno di questi piccoli" (Mt 25,40). Se Gesù insiste tanto nell'accoglienza da dare ai piccoli, è perché c'è molta gente piccola, non accolta! Infatti, donne e bambini non contavano (Mt 14,21; 15,38), erano disprezzati (Mt 18,10) e ridotti al silenzio (Mt 21,15-16). Perfino gli apostoli impedivano che arrivassero vicino a Gesù (Mt 19,13; Mc 10,13-14). In nome della legge di Dio, mal interpretata dalle autorità religiose dell'epoca, molta buona gente era esclusa. Invece di accogliere gli esclusi, la legge veniva usata per legittimare l'esclusione. Nei vangeli, l'espressione "piccoli" (in greco si dice elachistoi, mikroi o nepioi, a volte indica "i bambini", altre volte indica i settori esclusi dalla società. Non è facile discernere. A volte il "piccolo" nel vangelo è "un bambino". Questo perché i bambini appartenevano alla categoria dei "piccoli", degli esclusi. Inoltre, non sempre è facile discernere tra ciò che proviene dal tempo di Gesù e ciò che proviene dal tempo delle comunità per cui furono scritti i vangeli. Pur così stando le cose, ciò che risulta chiaro è il contesto di esclusione che vigeva all'epoca e che le prime comunità conserveranno di Gesù: lui si pone dal lato dei piccoli, degli esclusi, e ne assume la difesa.


    4) Per un confronto personale

    • Nella nostra società e nella nostra comunità, chi sono oggi i piccoli e gli esclusi? Come avviene l'accoglienza nei loro confronti da parte nostra?
    • "Mola al collo". Il mio comportamento merita la mola o una cordicella al collo? E il comportamento della nostra comunità: cosa merita?



    5) Preghiera finale

    Il Signore perdona tutte le tue colpe,
    guarisce tutte le tue malattie;
    salva dalla fossa la tua vita,
    ti corona di grazia e di misericordia
    . (Sal 102)

  • OFFLINE
    Credente
    00 25/02/2011 08:54
    Paolo Curtaz
    Commento Marco 10,1-12

    Mai come oggi l'amore di coppia è stato al centro dell'umanità nelle sue gioie e nelle sue contraddizioni. Nelle sue gioie perché il fallire di grandi sistemi, di ideologie e la generale insicurezza ci fa sempre più rifugiare in questo sentimento che da sicurezza, in questo piccolo mondo interiore così ricco e così sognante che sentiamo essere la cosa più importante per la vita. Ma, accanto a questo, la contraddizione dell'uomo emerge con inaudita violenza: l'amore finisce col diventare un mito irraggiungibile che si scontra con la pesantezza della realtà. Ecco allora la nascita di una insoddisfazione continua, di una fatica di amare che, alimentata da una follia mass-mediologica, finisce col far credere che l'amore esiste, è fondamentale, è straordinario, ma, di fatto è irraggiungibile. Capisco allora che entrare in questo dominio diventa davvero spinoso: esperienza totalizzante, l'amore diventa, in caso di fallimento, una sconfitta bruciante. In punta di piedi, allora, nella consapevolezza di entrare in un mondo di luci e di ombre, vi do una buona notizia: Gesù ha un progetto anche sull'amore. E, occorre pur dirlo, essendo Lui ad averlo inventato, può anche darsi che sia la voce più autorevole su tale argomento. La ascoltiamo, cercando di astrarre dalle nostre esperienze personali? Bene: Dio ci ha creato parte di un Tutto da ritrovare. Un Tutto che è formato da una compagnia, una persona, con la quale condividere, certo, i sentimenti e le passioni, ma soprattutto la vita. Ecco allora che l'innamoramento lascia spazio all'amore, che è scelta entusiasta e faticosa, tutta orientata dalla consapevolezza che il mio partner non è l'orizzonte ultimo della mia vita, ma che, assieme, verso questo Orizzonte camminiamo insieme. Amore che è dono, dono di sé reale, non appesantito dal possesso morboso, non involgarito dall'egoismo, ma stupore continuo del dire: "Grazie perché esisti". Non solo: questa energia profonda svela nel mio compagno le sue qualità, gli permette di valorizzarle, nel rispetto reale e nella consapevolezza che nulla mi è dovuto, che nulla è abitudine, che nulla è delusione. Amare diventa, allora, in questa tensione verso il Tutto, nel continuo confronto con Dio, un dire: "Grazie perché mi hai fatto esistere". Questa riflessione, però, dev'essere concretizzata nella quotidianità del gesto: nel dire "ti voglio bene" anche dopo vent'anni di matrimonio, nell'usare nel proprio vocabolario della quotidianità parole come "Grazie", "Faccio io", "Scusa". La quotidianità diventa il fermento nel quale, come ci si promette davanti a Dio, io ti "rispetto e ti onoro", cioè metto te al centro del mio cammino.
    Gesù, scoraggiato davanti alla piccineria degli uomini, davanti ai singoli casi, davanti ai fallimenti e agli errori, davanti alla tentazione di ridurre l'amore a sensazione, davanti alle soluzioni affrettate, dice: "all'inizio non era così". Non è così nel Progetto di Dio, l'amore non è quel sentimento nevrotico e melenso al quale spesse volte lo riduciamo, ma è pienezza e lenta consapevolezza. E ditemi voi se avete mai sentito dire niente di più bello e di più vero su tutto ciò.

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