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Meditazioni per le festività (di Mons.Riboldi)

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    00 07/04/2017 12:29
    La Domenica delle Palme - Inizio della Settimana Santa



    Oggi Domenica delle palme la liturgia ci introduce nella Settimana definita Santa, perché in essa, non solo si ricordano, ma si celebrano i grandi Misteri della nostra Redenzione: da quella Settimana l’umanità intera ha ricominciato – e può oggi ricominciare – a vivere secondo la vera ragione del suo essere ed esistere, ossia come figli di Dio, quindi eredi del Paradiso.

    È davvero incredibile ciò che Gesù ha vissuto per ciascuno di noi.

    Non ci poteva essere un amore più grande.

    Dio si è preso sulle sue spalle le nostre colpe: un atto d’Amore divino su cui dovremmo meditare per giungere a ringraziare infinitamente, in ogni istante della nostra esistenza.

    Con la Sua Passione e Resurrezione Gesù, Figlio di Dio, ci ha resi nuovamente creature capaci di Paradiso… se accogliamo e viviamo la Sua Vita in noi.

    Questa Domenica delle Palme è caratterizzata inizialmente da una cerimonia festosa: quella dell’ingresso solenne di Gesù. Così, racconta Matteo, quel mattino:

    “… I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù. condussero l’asina e il puledro, misero su di essi il mantello ed egli vi si pose a sedere. La folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via.

    La folla che andava avanti e quella che veniva dietro, gridava: ‘Osanna al figlio di Davide! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!’.

    Entrato Gesù in Gerusalemme, tutta la città fu in agitazione e la gente si chiedeva: ‘Chi è costui?’. E la folla rispondeva: ‘Questi è il profeta Gesù da Nazareth di Galilea’.” (Mt. 21, 1-11)

    Poteva Lui assicurare quella pace che allora la gente sperava su questa terra tormentata o la giustizia, che non era facile trovare per le strade di Gerusalemme – allora, come oggi per le strade del mondo - ? È la stessa domanda che, forse, si pone tanta gente, oggi!

    Ma prima chiediamoci: ‘Di che pace parliamo?’.

    Gesù ha sempre affermato: ‘Io sono il Principe della pace. Io vi do la mia pace’.

    Gesù non si è lasciato montare la testa dal trionfo. Sapeva solo che l’Amore divino è un dono gratuito, fino all’ultima goccia di sangue e, non solo, è anche l’unica via per sconfiggere il male e vincerlo non per una sola volta, per un solo periodo della storia, ma per me, per tutti gli uomini, per sempre. Oggi la Chiesa dona ai fedeli un ramoscello di ulivo, segno della Pace che il sacrificio stesso del Cristo ci ha guadagnato, per portarla ogni giorno nelle nostre case.

    Gesù sapeva qual’era il prezzo da pagare, per dare la Sua pace: la dolorosa passione e morte in croce sul Calvario e ad esprimere questa sua consapevolezza nella liturgia segue il racconto della Passione.

    Lasciamoci guidare nella contemplazione su questo secondo momento liturgico dal caro e beato Paolo VI:

    “Nella seconda parte, la Santa Messa è caratterizzata dalla lettura della Passione del Signore.

    Essa è improntata a mestizia, a un profondo senso di commozione e tragedia.

    La liturgia si fa d’improvviso triste e grave, e la croce, eccola qui, dinnanzi a noi.

    Figlioli, lasciamoci impressionare da queste altissime verità.

    Lasciamoci commuovere, sì, commuovere.

    C’è molto bisogno di scuotere i nostri sentimenti stagnanti, opachi, incapaci di vibrare dinnanzi a queste supreme lezioni.

    Sentiamo nelle nostre anime ciò che Gesù Cristo sentì in se medesimo. Che da Lui passi la corrente dei suoi sentimenti, per trasformare e accendere i nostri! Gesù ci ha amato, ci ama.

    Ha offerto la sua vita per noi: ciascuno di noi è debitore a Lui di una salvezza per cui è occorso il prezzo del suo sangue. Gesù si è avvicinato a noi con la dedizione più completa e generosa.

    E noi non possiamo, non dobbiamo, rimanere inerti. Curviamo invece la fronte e con il Centurione ripetiamo: ‘Veramente costui è il Figlio di Dio!’”. (11 aprile 1965)

    Carissimi, ora tocca a noi ‘entrare’, con la fede e il cuore, nel Cuore aperto di Gesù che ci attende.

    Dovremmo essere capaci, nel limite del possibile, di programmare questi giorni santi, soprattutto il Giovedì, Venerdì e Sabato Santo, nella grande offerta dell’amore di Gesù, partecipando ai santi riti che la Chiesa celebra.

    Quando c’è fede e amore, credetemi, si può programmare tutto, a cominciare da quello che più tocca le profondità del cuore.

    Questa Settimana Santa, se partecipata con fede e intensità, può essere una svolta nella nostra vita, che a volte è priva di quel senso di Bellezza che solo il Risorto sa donare.

    L’augurio che posso fare a ciascuno di voi è che questa Santa Settimana sia davvero l’occasione per dare ordine alla vita dello spirito e così poter partecipare alla gioia del Risorto.

    Auguri e …. Buona Settimana Santa di Passione e di Amore!

    Antonio Riboldi, Vescovo
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    00 21/04/2017 16:35
    II Domenica dopo Pasqua – Festa della Divina Misericordia

    23 aprile 2017



    Il Vangelo di oggi ci riporta l’incontro di Gesù Risorto con i suoi discepoli. Un incontro che evidenzia come Dio voglia immediatamente dare corso alla Sua opera di conversione e di recupero di noi uomini, donando agli apostoli il mandato e la forza dello Spirito per esercitarla.

    Sono bastate poche ore dalla crocifissione, perché la loro paura e il rinnegamento venissero spazzati via dalla visita di Gesù, che torna tra loro, ‘RISORTO’!

    “La sera dello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: ‘Pace a voi’. Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore.

    Gesù disse loro di nuovo: ‘Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi’. Dopo aver detto questo alitò su di loro e disse: ‘Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi li riterrete, resteranno non rimessi’…

    Grande momento! Anche se a qualcuno può parere impossibile, come fu per Tommaso, l’apostolo che incarna tanta nostra incredulità, l’atteggiamento di chi ‘vuole vedere di persona’

    ‘Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù.

    Gli dissero allora gli altri discepoli: ‘Abbiamo visto il Signore!’. Ma egli disse loro: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi, e non metto la mano nel suo costato, non crederò’.

    E’ il dubbio che attanaglia ancora troppi di noi, forse anche ‘credenti’, di fronte ad eventi che alla ragione sembrano impossibili, come è la resurrezione. Un giorno anche noi risorgeremo: una realtà che, se non fosse vera, renderebbe vana, inutile e paurosa la stessa vita. In fondo tutta la nostra esperienza sulla terra, qualunque essa sia, dovrebbe essere essenzialmente un’attesa del giorno della nostra resurrezione!! Ma Dio comprende la nostra debolezza e così ci viene incontro in mille modi … come per Tommaso, con la Sua Presenza.

    “Otto giorni dopo, erano di nuovo in casa e con loro c’era anche Tommaso. Venne Gesù a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: ‘Pace a voi!’. Poi disse a Tommaso: ‘Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettila nel mio costato, non essere più incredulo, ma credente!’. Rispose Tommaso: ‘Mio Signore, mio Dio!’.

    Gesù gli disse: ‘Perché mi hai veduto hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!’. (Gv. 20, 19-31)

    L’apostolo Giovanni, testimone dell’irruzione di Gesù risorto, descrive lo stato d’animo degli Apostoli con un verbo che è proprio di chi ha ormai la certezza che la paura è distrutta e apre nuovamente il cuore, perchè sa che la vita non è più un abisso del nulla o un vicolo chiuso:

    ‘Gioirono al vedere il Signore…’.

    Da allora la prospettiva di tutti cambia: ora sappiamo, o dovremmo sapere, cosa significhi seguire Gesù, essere cristiani. Vuol dire passare per dove Lui è passato, rischiando di essere scherniti, flagellati, crocifissi, ma il terzo giorno risorgere. Vuol dire anziché fuggire… ‘gioire nel vedere il Signore’, sempre, in ogni situazione, in ogni momento bello o triste della vita.

    È l’inspiegabile forza che si legge nella storia di tanti fratelli che non temettero e non temono il dolore, la malattia, il martirio… come pure le fatiche e contraddizioni quotidiane.

    Noi, che abbiamo tanta paura di soffrire, restiamo impressionati dal martirio, oggi in tante parti del mondo, di tanti cristiani; dalla serenità di tanti fratelli che accettano il dolore con serenità e pazienza, nelle case o negli ospedali. Sono situazioni impossibili da spiegare con la ragione, ma non con la forza del Risorto. È una gioia che dovrebbe accompagnarci sempre: ‘Pace a voi!’.

    È davvero grande il dono della Resurrezione: ‘Io sarò con te, sempre! Fino alla fine dei tempi!’, ci assicura Gesù. Ecco perché a volte ci si chiede con amarezza perché tanti sono impenetrabili alla Grazia dello Spirito Santo (o almeno così appaiono). È davvero il mistero del male nel mondo, o spesso , c’è di mezzo l’incredulità, come quella di Tommaso: una vera mancanza di fiducia che indurisce il cuore. L’uomo ha bisogno di comprendere e di accogliere la Divina Misericordia.

    Il grande Giovanni Paolo II intuì questa urgenza e, nel 2000, diede ufficialità al titolo per questa domenica di ‘Domenica della Divina Misericordia’, celebrata, secondo il desiderio di Gesù, manifestato a S. Faustina. E' dunque questo un giorno di Grazia per tutti gli uomini, poichè Cristo ha legato a questa festa grandi promesse, tra cui la remissione totale dei peccati e delle pene temporali.

    I fedeli, per ottenere le grazie promesse, debbono restare in stato di grazia (previa confessione fatta nei giorni precedenti), debbono adempiere alle condizioni richieste dal culto della Divina Misericordia (fiducia in Dio e atti di carità verso il prossimo) e devono accostarsi in quel giorno alla santa Comunione. Non ci resta che abbandonarci alla Grazia e avere l’umiltà di affidarci alla Misericordia di Dio, che in Gesù, dalla croce, disse: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno’.

    Come affermava Paolo VI: “Noi siamo in migliori condizioni degli altri, privi della luce evangelica … per godere di quanto l’esistenza ci riserva anche nelle prove di cui essa abbonda, con riconoscente e sapiente serenità. Il cristiano è fortunato. Il vero cristiano sa di avere e trovare le ragioni della bontà di Dio in ogni avvenimento, in ogni quadro della storia e dell’esperienza; ed egli sa che ‘tutte le cose si risolvono in bene per coloro che vivono della benevolenza di Dio’ (Rom. 8, 28).

    E’ il continuo invito che ci fa Papa Francesco: ‘Ricordiamo: ogni incontro con Gesù ci cambia la vita e ogni incontro con Gesù ci riempie di gioia”.

    E’ questo il Suo Dono quaggiù!

    Antonio Riboldi, Vescovo

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    00 28/04/2017 18:47

    III Domenica di Pasqua


    Resta con noi, Signore, si fa sera


     


    Stando al racconto del Vangelo, siamo sempre nella giornata della domenica di Resurrezione, come a ricordarci che quel giorno non ha più fine anche per noi.


    Ovunque, quel giorno, si parlava di Gesù, a diritto e a rovescio, come del resto si fa oggi.


    Non si riesce a comprendere come tanti non credano nella resurrezione di Gesù e nella propria.


    Vivono nella convinzione che la vita sia un breve passaggio su questa terra… senza un domani…senza una ragione che giustifichi gioie e tante sofferenze!


    Ma domandiamoci: se non ci fosse la certezza che anche noi un giorno risorgeremo, sperando nella Gloria del Cielo, che senso avrebbe nascere e vivere? Un poco come affaticarsi a fare una squadra che ad un certo punto finisce e si dissolve senza alcuna possibilità di continuità.


    Che senso avrebbe soffrire o lottare?


    È nella nostra natura – o così dovrebbe essere – sapere che non stiamo percorrendo la vita senza un traguardo, ma – anche se non crediamo – parliamo, lavoriamo, soffriamo, gioiamo sempre con l’occhio teso al domani. Quale domani?


    Ci aiuta in questa riflessione il racconto del due discepoli di Emmaus, che stavano allontanandosi da Gerusalemme, delusi, dopo la morte del Maestro, che avevano amato, seguito, in cui avevano creduto.“Due discepoli – racconta l’evangelista Luca – … conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.”


    È quello che capita a tanti di noi, quando siamo in difficoltà, emotivamente turbati, sentendoci tremendamente soli: quella solitudine che è il più grande dolore che noi uomini possiamo provare.


    Non la solitudine, piena di Presenza di Gesù, capace di infondere un’incredibile serenità, o di chi vive con lo sguardo al futuro, che è nella vita eterna con Dio, trovando la forza, sempre, di dare una ragione alle sue azioni, alle sue fatiche ed alle sue sofferenze, ma una solitudine che è isolamento, senso di abbandono, incomunicabilità


    E Gesù disse loro: ‘Che sono questi discorsi che state facendo tra voi durante il cammino?’.


    Si fermarono con il volto triste e uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: ‘Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?’.


    Domandò: ‘Che cosa?’. Gli risposero: ‘Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, profeta potente in parole ed opere, davanti a Dio e a tutto il popolo: come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele. Con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne delle nostre ci hanno sconvolti. Recandosi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di avere avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma Lui non l’hanno visto’..


    Sono due discepoli smarriti, come spesso siamo noi, ma a cui sono giunte voci di qualcosa da loro ritenuto impossibile: la resurrezione, un Evento divino, inconcepibile per il nostro ‘buonsenso’, ma che, se fosse vero – ed è vero! - darebbe alla loro e nostra vita la gioia piena, di chi sa che la vita va oltre il ‘qui’ ed ‘ora’. In questa ridda di emozioni sospese, Gesù si manifesta, conducendoli per mano nella conoscenza delle Scritture.


    E Gesù disse: ‘Stolti e tardi di cuore nel credere alle parole dei profeti. Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze, per entrare nella gloria?’. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro le Scritture, in ciò che si riferiva a Lui…”


    La Parola di Gesù ascoltata e accolta, ieri come oggi, può aprire i cuori e illuminare le menti!


    Il racconto è commovente, perche ha parole che sono tante volte sulle nostre bocche, espressione della nostra necessità di essere certi che Lui è con noi, il Vivente.


    Quante volte questa preghiera sale spontanea alle nostre labbra, quando ci sentiamo soli o smarriti!


    Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero:


    ‘Resta con noi, Signore, perché si fa sera e il giorno già volge al declino’.


    Ma la gioia può essere piena solo con la rivelazione di Chi Lui è per noi, con cui il Vangelo chiude questo incontro: “Gesù entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese del pane, diede la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: ‘Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando spiegava le Scritture?’ (Lc. 24, 13-35)


    E’ davvero commovente la delicatezza con cui Gesù ci mostra quanto ci sia vicino!


    Questa è la vera Pasqua di ogni giorno, per noi che tante volte camminiamo nella vita con la delusione dei due che ritornavano ad Emmaus. Ha detto Papa Francesco che “la vita a volte ci ferisce e noi ce ne andiamo tristi, verso la nostra ‘Emmaus’, voltando le spalle al disegno di Dio. Ma Gesù ci spiega le Scritture e riaccende nei nostri cuori il calore della fede e della speranza”.


    Con lui preghiamo per noi e per i nostri fratelli di riscoprire “la grazia dell’incontro trasformante con il Signore risorto. C’è sempre una Parola di Dio che ci dà l’orientamento dopo i nostri sbandamenti; e attraverso le nostre stanchezze e delusioni c’è sempre un Pane spezzato che ci fa andare avanti nel nostro cammino”.


    Ed è il mio augurio … per noi, che, troppo spesso, per la nostra poca fede, tanto somigliamo ai due discepoli di Emmaus ‘tristi’, ma poi capaci di’andare’, dopo aver incontrato davvero il nostro Signore!


    Antonio Riboldi - Vescovo


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    00 07/05/2017 10:12
    IV Domenica di Pasqua

    Io sono la porta delle pecore



    Oggi la Chiesa celebra la festa del sacerdote. Un grande dono, che Dio ha fatto agli uomini: Gesù ha voluto che il sacerdote continuasse la Sua Opera tra gli uomini, scegliendo giovani, come fece con gli Apostoli, secondo un ‘criterio’, che Lui solo conosce.

    Quando ero parroco, la Comunità celebrava la Festa del Buon Pastore, di oggi, donando un agnello, come a commentare il Vangelo che la liturgia ci propone.

    “Gesù disse: ‘In verità, in verità vi dico: … Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce; egli chiama le pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei.’. … essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: ‘In verità, in verità, vi dico: Io sono la porta delle pecore. Tutti coloro, che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo: entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere. Io sono venuto, perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. (Gv. 10, 1-10)

    Gesù, con la parabola del pastore e il rapporto con le pecore, mostra il grande amore che ha per tutti noi. In un altro brano descrive poi la sua cura in modo stupendo, incredibile e particolareggiato, parlando di una pecora che si smarrisce e che Lui si preoccupa di cercare, incurante delle difficoltà e dei pericoli in cui lei si è cacciata. E non si dà pace fin a che non l’ha trovata! Se la mette sulle spalle, torna a casa e chiama gli amici per fare festa, ‘perché era perduta ed è stata ritrovata’… le stesse parole che Gesù mette sulla bocca del Padre, nel ritorno del figlio prodigo.

    E’ il mistero della giustizia misericordiosa, a cui siamo chiamati tutti noi ‘pastori’ del gregge.

    Non è facile neppure per noi sacerdoti, scelti da Dio, capire le ragioni della ‘nostra’ dignità: compiere il bene per gli uomini, con poteri che davvero sono divini, è davvero qualcosa che sfugge al nostro pensiero…. Sappiamo tutti che non si è sacerdoti per una scelta umana della vita, ma per una scelta vocazionale di Dio. Viene da chiedersi: ‘Perché io e non altri?’

    Ricordo l’inizio del mio cammino vocazionale. Ero chierichetto nella mia parrocchia. Un giorno, come era solito fare, il Card. Schuster era presente in parrocchia per l’amministrazione delle cresime. Avevo 10 anni. Improvvisamente mi chiese se sarei stato contento di diventare sacerdote. Non seppi rispondere. Ma quella domanda divenne un interrogativo persistente, che non lasciava pace.

    Come saperlo? Mi affidai alla cura e alla saggezza del mio parroco, che alla fine mi incoraggiò e così mi decisi. Avevo 12 anni quando lasciai la famiglia e soprattutto la mamma. Quante lacrime!

    Oggi guardo ai tanti anni del mio sacerdozio e del mio vescovado e non finisco di stupirmi nel contemplare ciò che Dio ha saputo operare nelle Comunità, in difficoltà, affidatemi dall’obbedienza, come a seguire un Suo preciso disegno.

    L’Istituto, a cui appartengo, aveva avuto l’invito di accettare una parrocchia nel Belice, a S. Ninfa, dove il parroco aveva abbandonato per sposarsi; la Comunità si era così tanto scandalizzata da rifiutare sacerdoti diocesani e voleva preti ‘continentali’. Il mio superiore accettò la Parrocchia e scelse tre Padri, tra cui io come parroco. Giungemmo in un vero deserto di fiducia… e senza neppure una casa canonica, per cui alloggiavamo in qualche modo. La gente, che era buona, presto tornò e dopo qualche anno la Parrocchia mostrò la sua vitalità… al punto che un giorno il Vescovo della Diocesi al mio Superiore generale disse: ‘Questa parrocchia era la mia spina, ora è la mia rosa’.

    Sentendo questo intervento il mio superiore subito disse: ‘Il prossimo anno tornerete nella nostra Comunità rosminiana per insegnare ai sacerdoti come si fa pastorale’.

    Ma il terremoto del 1968 scompigliò tutto e fui costretto a esprimere tutta la mia passione di pastore per accelerare la ricostruzione. Dopo quasi dieci anni, terminato, o quasi, questo compito, ancora una volta intervenne il mio superiore, perché tornassi al Nord…. E subito, come ad intralciare la volontà degli uomini, Dio, attraverso Paolo VI, mi affidò la diocesi di Acerra, che mancava di un vescovo residenziale da 12 anni. Una comunità da ricostruire. E, ancora una volta, la Grazia sostenne lo zelo, tanto da dare un volto nuovo e meraviglioso a questa Chiesa, al punto che il S. Padre scelse tra i suoi sacerdoti due vescovi.

    Ogni volta ripenso e ricordo, sempre più scorgo l’opera della Grazia, che si serve della nostra ‘buona volontà’ e del nostro fervore: ricordi e pensieri che fanno sgorgare dal cuore un ringraziamento di lode, in questa festa di oggi così vicina al cuore di ogni sacerdote.

    È davvero grande la passione di Gesù per noi, la stessa che dovrebbe essere nel sacerdote o nel vescovo per la gente loro affidata. Se da una parte ‘la messe è molta’, davvero richiede tutta la nostra passione di pastori il coltivarla, con la testimonianza della vita, che rispecchi la Presenza di Gesù, la preghiera e tanto, ma tanto, amore, per indicare a tutti l’unica ‘Porta’ che siamo chiamati ad attraversare: il Cuore di Gesù, espressione dell’Amore misericordioso del Padre.

    Oggi, di fronte a tanta scarsezza di sacerdoti, viene da pregare:

    “Chiama, Signore, quanti nel tuo misterioso piano di amore hai scelto.

    Metti in chi chiami lo stupore e la meraviglia nello scoprire che sono chiamati a ‘essere – addirittura – tuo Figlio Gesù, presente ed operante’ in mezzo ai fratelli, come quando era tra noi, ‘perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza’. Sono tanti anni che la mia vita è stata scelta da Te, Padre. Grazie. Ora so che tanti, ma tanti, per Te e in Te ho amati, e tanti, ma tanti, mi hanno amato e tanti già hanno conosciuto la gioia del Cielo … Tutto è Grazia!

    Antonio Riboldi - Vescovo
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    00 24/05/2017 12:54
    Omelia del 21 Maggio 2017

    VI Domenica di Pasqua

    Voi conoscete il Padre



    Oggi l’obiettivo del mondo e l’impostazione della sua ‘moda’ è quello di cancellare anche solo l’idea di sofferenza, facendo prevalere la filosofia dello star bene ad ogni costo: una corsa alla felicità che, quando non si incontra con i nostri desideri, può continuare, come impazzita, verso paradisi artificiali, quali la droga o altro, che si rivelano alla fine come anticamere della morte.

    Ma è inevitabile: viene per tutti, in qualunque condizione sociale, l’impatto con il dolore o con la necessità di scelte radicali o con le asprezze dei compiti da realizzare. Avere paura è come gettare le armi, ancor prima che inizi la ‘battaglia’: è rinunciare a vivere, prima ancora di essersi assunti un impegno, è lasciare un discorso in sospeso, quando per sua natura dovrebbe essere finito.

    Affrontare le difficoltà nella vita, le piccole o grandi scelte, fa parte della natura umana, e, molto di più, di chi vive di fede, sapendo che Dio ‘mette alla prova’ il nostro amore, ma nello stesso tempo si fa nostro Cireneo. A volte si rimane stupiti di fronte a fratelli e sorelle che affrontano nella vita difficoltà, scelte, sofferenze, che per i più sembrerebbero insormontabili. Ma sono la testimonianza di quanto un credente vero può vivere con coraggio e serenità e la ‘dimostrazione’ concreta di come solo da Dio possiamo ricevere la forza di vivere. D’altra parte noi sappiamo che la nostra vita non è un disegno uscito dalla nostra fantasia, ma è sin dall’inizio un percorso che il Padre ha tracciato per noi, e solo a noi spetta di decidere se seguirlo con amore e libertà.

    Troviamo nel Vangelo di oggi, come Gesù, prima ancora della Pentecoste, avesse tracciato per gli Apostoli il cammino che li attendeva, assicurandoli che non li avrebbe lasciati soli.

    È quello che, del resto, riserva per ciascuno di noi. Così, oggi, Gesù ci parla:

    “Gesù disse ai suoi discepoli (noi!): ‘Se mi amate osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi per sempre: lo Spirito di verità, che il mondo non può ricevere, perché non crede e non Lo conosce. Voi lo conoscete, perché Egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò a voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più: voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. (Gv. 14, 15-21)

    Queste parole Gesù le rivolgeva ai Suoi prima della sua passione, morte e resurrezione. Conosceva molto bene la loro – e nostra – debolezza e li voleva rassicurare: con la Pentecoste, la Presenza dello Spirito ‘annulla’ ogni debolezza umana. Quella stessa debolezza, manifestatasi subito dopo la Sua morte, quelle ore di smarrimento,… di tradimento!... da parte dei Dodici, sono in fondo la nostra stessa fragilità di fronte alle difficoltà o alle grandi scelte.

    Ma c’è la promessa del Consolatore!

    Ricordo il mio smarrimento quando improvvisamente ed inaspettatamente mi giunse la nomina, da parte di Paolo VI – che mi conosceva e mi amava – ad essere vescovo della Chiesa. La mia confusione era simile a quella dei Dodici. Confesso che provai un senso di ‘paura’ di fronte a quella chiamata: una ‘paura’ che non dovrebbe assolutamente essere nostra! Quando il beato Giovanni Paolo II fu eletto Papa, le prime parole che rivolse al mondo, ma soprattutto alla Chiesa, furono: ‘Non abbiate paura!’… perché dietro ad ogni volontà del Padre, c’è Lui stesso a sostenerci!

    ‘Non vi lascerò orfani’ – ripete Gesù a noi – ‘Tornerò da voi’.

    Ed è quello che ho sperimentato nella mia vita da vescovo. Ci furono momenti molto difficili, per tante ragioni e per tante scelte. Volendo liberare la mia terra dalla criminalità organizzata, sentivo come mio dovere di Pastore di dover ‘liberare’ il territorio affidato alla mia cura pastorale, fronteggiandola. Fu una lotta dura, in cui si doveva mettere in conto anche la possibilità di essere ucciso. Lo dissi una volta, in visita, al Papa, S. Giovanni Paolo II, che comprese il mio animo e con forza mi ripetè le parole: ‘Non abbiate paura. Vi sarò vicino’. E fu così.

    Per questo impressiona oggi la solitudine di tanta gente nel momento della prova, quando, a volte, basterebbe un sorriso, un nulla per rompere la solitudine. Non è nemmeno necessario ‘fare’ tanto: nella nostra società così dispersiva, distratta, così abituata a consumare persone e cose, ciò che la gente tutti i giorni desidera è un orecchio disponibile ad ascoltare, una mano pronta a sorreggere, una voce che, con pazienza, tatto, bontà, narri e testimoni la buona notizia che Gesù è venuto a dirci:

    ‘Non abbiate paura. Il Padre vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi, per sempre’.

    Anche Papa Francesco spesso constata con rammarico come nel nostro tempo ‘si riscontrano diversi segni della nostra condizione di orfani: Quella solitudine interiore che sentiamo anche in mezzo alla folla e che a volte può diventare tristezza esistenziale; quella presunta autonomia da Dio, che si accompagna a una certa nostalgia della sua vicinanza; quel diffuso analfabetismo spirituale per cui ci ritroviamo incapaci di pregare; quella difficoltà a sentire vera e reale la vita eterna, come pienezza di comunione che germoglia qui e sboccia oltre la morte; quella fatica a riconoscere l’altro come fratello, in quanto figlio dello stesso Padre; e altri segni simili”. A tutto questo, è la sua riflessione, “si oppone la condizione di figli, che è la nostra vocazione originaria, è ciò per cui siamo fatti, il nostro più profondo Dna,… Dall’immenso dono d’amore che è la morte di Gesù sulla croce, è scaturita per tutta l’umanità, come un’immensa cascata di grazia, l’effusione dello Spirito Santo … lo Spirito ci fa entrare in una nuova dinamica di fraternità … E questo cambia tutto! Possiamo guardarci come fratelli e le nostre differenze non fanno che moltiplicare la gioia e la meraviglia di appartenere a quest’unica paternità e fraternità”. Così sia!

    Antonio Riboldi - Vescovo

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    00 28/05/2017 10:32
    Solennità dell’Ascensione di Gesù al Cielo

    28 maggio 2017


    Dona sempre tanto conforto pensare e sapere che questa vita non è un camminare senza senso e verso il nulla, ma è un accostarsi al giorno del nostro ritorno a Dio … come una vigilia, vivendo, in ogni momento, lo stupore degli Apostoli, che assistono all’ascensione di Gesù.


    Così inizia il racconto degli Atti sul giorno di Gesù, che ascende al Cielo:

    ‘Gesù si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del Regno di Dio.’

    In 40 giorni – ben piccola cosa di fronte alla storia che conosce i tempi lunghi – si è come ripetuta la sofferenza e la bellezza della creazione. Gesù ci ha riaperto il Cielo, al termine di una storia chiusa in una manciata di giorni: i giorni dell’obbedienza al disegno del Padre, per riconciliare a Sé tutta l’umanità, nella umiliazione e sofferenza della passione e del sacrificio con la morte in croce. Ma con la Resurrezione, con l’incredibile stupore degli Apostoli nel vedere vinta la morte, nel constatare che, di fronte all’amore che si immola, chi ha la peggio è sempre la cattiveria, il peccato, la Chiesa può ripetere ieri, oggi e sempre: ‘L’Amore è più forte’, come a stamparlo nella mente e nel cuore, fino a diventare l’unica esperienza che conosciamo e viviamo, il centro stupendo della vita. E’ in Gesù risorto che diciamo anche noi, assediati a volte da violenze ed assurdità, da tragedie e rifiuti, da meschinità e dolori umanamente incomprensibili: ‘L’Amore è più forte’!

    Oggi la Chiesa fa festa per il trionfo dell’Amore in Gesù che, dopo 40 giorni dalla Sua Resurrezione, rassicurando i suoi della Sua continua Presenza, torna al Padre: ascende in Cielo, dove sappiamo che ha la Sua sede, ma restando sempre con noi ogni istante, fino a farsi compagno nel cammino per risorgere anche noi e con Lui, un giorno, salire al Cielo.

    Il segreto della vita è tutto qui: una vita dataci come dono, perché possa realizzarsi in pienezza nel ritorno a Casa, in Cielo.

    Ascoltiamo e lasciamoci inondare da tale misericordiosa realtà:

    ‘ … venutisi a trovare insieme, gli domandarono: ‘Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?’. Ma egli rispose: ‘Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra’.

    Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse ai loro sguardi.

    E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, ecco due uomini in vesti bianche si presentarono a loro e dissero: ‘Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che è stato tra voi assunto al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo’.” (At. 1, 1-11)

    Ora i discepoli sanno che Gesù non è più soggetto alla miseria e fragilità della nostra natura umana: continua ad essere tra noi, non in forma provvisoria, ma per sempre, nella pienezza della Sua potenza, pronto a farci partecipi di tale ‘potenza’ (e lo dimostra la vita di tutti i Santi, a volte in modo sbalorditivo). Come è scritto nel Vangelo di Matteo: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate, dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 16-20)

    Ma ancora di più, gli Apostoli ora sanno che anche per loro il Cielo è aperto e Gesù li ha solo preceduti. L’importante per loro e per noi è tenere fisso lo sguardo verso l’Alto, per ‘interpretare’ tutto attraverso quella Luce, che dall’Alto discende, vivendo, quindi, in qualche modo, già da ora come ‘cittadini del Cielo’, e non è facile per noi, distratti dal ‘mondo’, che proprio nulla ha a che fare con il Cielo. Dovremmo seguire l’invito, pregando perché si realizzi, dell’apostolo Paolo:

    “Possa davvero Dio illuminare gli occhi della nostra mente, per farci comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la Sua eredità fra i santi e quale è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti …”. (Ef. 1, 17-23)

    Il difficile, adesso, (ma è la somma sapienza cristiana, dono dello Spirito Santo) è vivere, dunque, con lo sguardo fisso alla mèta, il Cielo: non è avere ‘la testa fra le nuvole’, ma vivere con i piedi ben piantati sulle realtà terrene, che sono la nostra vita quotidiana, nella Luce della Volontà d’amore del Padre. Nessuno può nascondersi i rischi e le paure che ci prendono tutti, percorrendo i giorni della nostra vita terrena: soprattutto le velenose insidie, che ci vengono dalla nostra superbia e da tutti gli altri vizi che ci si appiccicano addosso come sanguisughe.

    È necessario, carissimi, corazzarci di una continua e salda fede, per non perdere mai di vista la mèta che ci attende, il Cielo. Abbiamo fiducia!

    Dio non ci lascia mai soli, nessuno …. siamo noi, purtroppo, che Lo dimentichiamo!

    Dovremmo abituarci a vivere quotidianamente nella consapevolezza di essere alla Sua Presenza, con la fede dei santi, veri interpreti della vita eterna con Dio, già quaggiù,: questa è la speranza cristiana. Non riesco a capire come possano essere davvero felici e guardare con speranza il futuro che ci attende, quanti tra di noi hanno occhi e cuore rivolti solo su questo mondo, che sa donare pochi sorrisi e tante lacrime.

    Solo vivere guardando verso un futuro, che non è la fine di tutto, ma il principio della vera Vita, nella pienezza della felicità in Dio, è davvero da ‘saggi’.

    Forse per troppi questo discorso dell’attesa del Cielo può sembrare utopia.

    Forse non comprendono l’inganno del mondo.

    Preghiamo per questi nostri fratelli e, soprattutto, che non sia così per noi.

    Antonio Riboldi - Vescovo

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    00 05/06/2017 21:45
    L’uomo non può stare da solo: da solo è come fosse ‘morto’.


    Creato da Chi è la stessa natura dell’Amore, che è Dio Padre, l’uomo ha bisogno, come dell’aria che respira, di essere amato e di amare. Senza amore si sente come ‘paralizzato’: non riesce a capire e vivere la sua grande vocazione e realtà: ‘Senza di Me – ha detto Gesù – non potete fare nulla.’ E per dare quasi un’immagine comprensibile, ci definisce ‘dimora’, in cui sceglie di ‘abitare’. Noi siamo ‘tempio vivo dello Spirito’: l’effusione dello Spirito Santo è ‘il respiro di Cristo’ in noi. ‘La prima volta, che il genere umano sentì questo potente respiro, fu il giorno della Pentecoste’. (Fornari)

    Sembra di assistere con questo dono del ‘respiro di Dio’, al racconto biblico della stessa nostra creazione, quando Dio, dopo avere composto con il fango l’incredibile frutto del Suo Cuore, che siamo noi, lo rese partecipe della Sua stessa Vita, infondendogli il Suo ‘respiro’.

    Così gli Atti raccontano la cronaca di questa grande Solennità della Pentecoste:

    “Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso un rombo dal cielo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano gli Apostoli. Apparvero loro lingue di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro ed essi furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito Santo dava loro di potere esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore e dicevano: ‘Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E come mai li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?

    Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e della Libia, vicino a Curne, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio”. (At. 2, 1-11)

    E così, come ‘nati da nuova creazione’, gli Apostoli, non solo comprendono chiaramente in loro quanto era accaduto e quanto avevano ascoltato da Gesù, ma, con la conferma che Lui è veramente il Figlio di Dio,grazie a questa manifestazione e dono, a cui si accompagna una straordinaria potenza, a loro sconosciuta, iniziano a proclamare la Parola di Dio con coraggio, sulle stesse piazze da cui pochi giorni prima erano fuggiti per la paura.

    Con la discesa dello Spirito Santo, ogni discepolo, ieri ed oggi, ha un ‘Ospite dolce dell’anima’, che assicura parola e coraggio di vita.

    È consuetudine che ogni cristiano, ad una certa età, riceva il sacramento della Cresima: è il giorno della nostra Pentecoste. Non so, da vescovo, a quanti fratelli nella fede, ho fatto dono della Cresima o Confermazione. Credo che tutti almeno abbiate il ricordo dell’unzione sulla fronte e del piccolo schiaffo, come a confermare la forza che si deve avere nella vita, da cristiani.

    Confesso che, a volte, forse per una non appropriata formazione, ho avuto come l’impressione di offrire un Dono non compreso, che per troppi si riduceva ad una festa esterna.

    Eppure lo Spirito è quella Presenza e Forza interiore che guida tanti a dare alla vita veramente un senso carismatico, fino a farli capaci di gesti grandi, fino ad accettare di vivere e morire da martiri. Chi infatti dona la forza di essere cristiani, come tanti nel mondo, dove esserlo è rischiare il carcere o la morte? O chi non scorge in tante nostre famiglie quel ‘respiro dello Spirito’, che rende i genitori veri testimoni del Vangelo?

    È davvero immensa l’opera dello Spirito, in tutto il mondo: la Pentecoste è un ‘oggi’ ovunque.

    Basterebbe leggere ciò che avviene in tanti Paesi, dove cristiano è sinonimo di emarginazione o martirio. O basterebbe, a volte, ascoltare persone che fanno esclamare: ‘Davvero è ispirata’.

    È davvero grande l’azione dello Spirito, ‘vero Respiro’ di tanti.

    Chiunque di noi può chiedersi, anzi deve, che posto abbia lo Spirito Santo nella sua vita quotidiana, nel ruolo che siamo stati chiamati a vivere, nella testimonianza, come quella degli Apostoli, che è – o non è – la nostra vita.

    Come ci ha ricordato Papa Francesco questa settimana, in preparazione alla Pentecoste, nelle omelie a Santa Marta: “Io sono capace di ascoltarlo? Io sono capace di chiedere ispirazione prima di prendere una decisione o dire una parola o fare qualcosa? O il mio cuore è tranquillo, senza emozioni, un cuore fisso? Ma certi cuori, se noi facessimo un elettrocardiogramma spirituale il risultato sarebbe lineare, senza emozioni …’. Dobbiamo “lasciarci inquietare dallo Spirito Santo: ‘Eh, ho sentito questo … Ma padre, quello è sentimentalismo!’ – ‘No, può essere, ma no. Se tu vai sulla strada giusta non è sentimentalismo’. ‘Ho sentito la voglia di fare questo, di andare a visitare quell’ammalato o cambiare vita o lasciare questo …’. Sentire e discernere: discernere quello che sente il mio cuore, perché lo Spirito Santo è il maestro del discernimento. Una persona che non ha questi movimenti nel cuore, che non discerne cosa succede, è una persona che ha una fede fredda, una fede ideologica. La sua fede è un’ideologia, tutto qui”.

    Interroghiamoci dunque sul nostro rapporto con lo Spirito Santo. Non sia per noi ‘il grande Sconosciuto’, ma il ‘Respiro’ di Cristo che solo può renderci simili al Maestro.

    Non è possibile essere cristiani, senza dare un segno, anche se piccolo, dello Spirito che è in noi.

    Antonio Riboldi - Vescovo

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    00 05/06/2017 21:45
    L’uomo non può stare da solo: da solo è come fosse ‘morto’.


    Creato da Chi è la stessa natura dell’Amore, che è Dio Padre, l’uomo ha bisogno, come dell’aria che respira, di essere amato e di amare. Senza amore si sente come ‘paralizzato’: non riesce a capire e vivere la sua grande vocazione e realtà: ‘Senza di Me – ha detto Gesù – non potete fare nulla.’ E per dare quasi un’immagine comprensibile, ci definisce ‘dimora’, in cui sceglie di ‘abitare’. Noi siamo ‘tempio vivo dello Spirito’: l’effusione dello Spirito Santo è ‘il respiro di Cristo’ in noi. ‘La prima volta, che il genere umano sentì questo potente respiro, fu il giorno della Pentecoste’. (Fornari)

    Sembra di assistere con questo dono del ‘respiro di Dio’, al racconto biblico della stessa nostra creazione, quando Dio, dopo avere composto con il fango l’incredibile frutto del Suo Cuore, che siamo noi, lo rese partecipe della Sua stessa Vita, infondendogli il Suo ‘respiro’.

    Così gli Atti raccontano la cronaca di questa grande Solennità della Pentecoste:

    “Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso un rombo dal cielo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano gli Apostoli. Apparvero loro lingue di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro ed essi furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito Santo dava loro di potere esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore e dicevano: ‘Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E come mai li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?

    Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e della Libia, vicino a Curne, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio”. (At. 2, 1-11)

    E così, come ‘nati da nuova creazione’, gli Apostoli, non solo comprendono chiaramente in loro quanto era accaduto e quanto avevano ascoltato da Gesù, ma, con la conferma che Lui è veramente il Figlio di Dio,grazie a questa manifestazione e dono, a cui si accompagna una straordinaria potenza, a loro sconosciuta, iniziano a proclamare la Parola di Dio con coraggio, sulle stesse piazze da cui pochi giorni prima erano fuggiti per la paura.

    Con la discesa dello Spirito Santo, ogni discepolo, ieri ed oggi, ha un ‘Ospite dolce dell’anima’, che assicura parola e coraggio di vita.

    È consuetudine che ogni cristiano, ad una certa età, riceva il sacramento della Cresima: è il giorno della nostra Pentecoste. Non so, da vescovo, a quanti fratelli nella fede, ho fatto dono della Cresima o Confermazione. Credo che tutti almeno abbiate il ricordo dell’unzione sulla fronte e del piccolo schiaffo, come a confermare la forza che si deve avere nella vita, da cristiani.

    Confesso che, a volte, forse per una non appropriata formazione, ho avuto come l’impressione di offrire un Dono non compreso, che per troppi si riduceva ad una festa esterna.

    Eppure lo Spirito è quella Presenza e Forza interiore che guida tanti a dare alla vita veramente un senso carismatico, fino a farli capaci di gesti grandi, fino ad accettare di vivere e morire da martiri. Chi infatti dona la forza di essere cristiani, come tanti nel mondo, dove esserlo è rischiare il carcere o la morte? O chi non scorge in tante nostre famiglie quel ‘respiro dello Spirito’, che rende i genitori veri testimoni del Vangelo?

    È davvero immensa l’opera dello Spirito, in tutto il mondo: la Pentecoste è un ‘oggi’ ovunque.

    Basterebbe leggere ciò che avviene in tanti Paesi, dove cristiano è sinonimo di emarginazione o martirio. O basterebbe, a volte, ascoltare persone che fanno esclamare: ‘Davvero è ispirata’.

    È davvero grande l’azione dello Spirito, ‘vero Respiro’ di tanti.

    Chiunque di noi può chiedersi, anzi deve, che posto abbia lo Spirito Santo nella sua vita quotidiana, nel ruolo che siamo stati chiamati a vivere, nella testimonianza, come quella degli Apostoli, che è – o non è – la nostra vita.

    Come ci ha ricordato Papa Francesco questa settimana, in preparazione alla Pentecoste, nelle omelie a Santa Marta: “Io sono capace di ascoltarlo? Io sono capace di chiedere ispirazione prima di prendere una decisione o dire una parola o fare qualcosa? O il mio cuore è tranquillo, senza emozioni, un cuore fisso? Ma certi cuori, se noi facessimo un elettrocardiogramma spirituale il risultato sarebbe lineare, senza emozioni …’. Dobbiamo “lasciarci inquietare dallo Spirito Santo: ‘Eh, ho sentito questo … Ma padre, quello è sentimentalismo!’ – ‘No, può essere, ma no. Se tu vai sulla strada giusta non è sentimentalismo’. ‘Ho sentito la voglia di fare questo, di andare a visitare quell’ammalato o cambiare vita o lasciare questo …’. Sentire e discernere: discernere quello che sente il mio cuore, perché lo Spirito Santo è il maestro del discernimento. Una persona che non ha questi movimenti nel cuore, che non discerne cosa succede, è una persona che ha una fede fredda, una fede ideologica. La sua fede è un’ideologia, tutto qui”.

    Interroghiamoci dunque sul nostro rapporto con lo Spirito Santo. Non sia per noi ‘il grande Sconosciuto’, ma il ‘Respiro’ di Cristo che solo può renderci simili al Maestro.

    Non è possibile essere cristiani, senza dare un segno, anche se piccolo, dello Spirito che è in noi.

    Antonio Riboldi - Vescovo

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    00 10/06/2017 16:22
    Solennità della SS.ma Trinità



    Papa Francesco così ha parlato della SS. Trinità, la cui solennità oggi la Chiesa celebra:


    "La Santissima Trinità - ha detto - non è il prodotto di ragionamenti umani; è il volto con cui Dio stesso si è rivelato, non dall'alto di una cattedra, ma camminando con l'umanità, nella storia del popolo d'Israele e soprattutto in Gesù di Nazareth. E' proprio Gesù che ci ha salvato. Gesù è il Figlio che ci ha fatto conoscere il Padre misericordioso e ha portato sulla terra il suo «fuoco», lo Spirito Santo, che dentro noi ci guida, ci dà delle buone idee, delle ispirazioni".

    Pensando all’incredibile amore che la Trinità svolge in modo sorprendente in mezzo a noi, facendosi vicina e partecipe della nostra vicenda, non si può non essere assaliti dallo stupore.

    Accanto a ciascuno di noi veglia il Padre, che davvero non solo ci ha fatto dono della vita, ma ci ha affidato un compito che noi dobbiamo svolgere, che dipenderà dalle nostre scelte. Lui ci traccia la strada, mostrandoci la Sua Volontà – che è la nostra stessa piena realizzazione – e ci sta vicino come solo un padre sa fare.

    Ed è proprio il Figlio Gesù, che ci ha insegnato come sentirlo vicino, con la preghiera unica, ineffabile, che è il ‘Padre nostro’, un vero riassunto dell’amore del Padre per noi.

    Gesù, Suo Figlio, incarnandosi, non solo ha assunto la nostra natura, ma l’ha purificata dopo il peccato originale, restituendoci la possibilità di tornare con fiducia a Dio come figli prodighi, riassaporando ogni giorno la dolcezza e bellezza del Suo abbraccio. Il Padre, appena vide il figlio, che aveva abbandonato la Sua casa, per scegliere altro, ‘commosso gli corse incontro, lo abbracciò e gridò: ‘Facciamo festa!’.

    È una continua storia d’amore, che tutti conosciamo: la storia di un Padre, che conosce le nostre debolezze, eppure ha sempre le braccia aperte al perdono.

    Un Padre che, come tale, presiede la grande famiglia, che è l’umanità.

    Un’umanità che, come possiamo constatare ogni giorno, non sempre comprende e gioisce di essere tanto amata dal Padre, ma pare ami l’infelicità del figlio prodigo, non trovando il coraggio di ‘rientrare in se stessa’ e dire: ‘Tornerò da mio Padre’.

    Ed è Gesù che, interpellato dai suoi discepoli - ‘Maestro, insegnaci a pregare.’ – ci ha trasmesso la più bella preghiera, uscita dal Cuore del Figlio, per noi figli prodighi: ‘Padre nostro, che sei nei cieli …’. La più preziosa preghiera, che tutti dovremmo avere sulle labbra e nel cuore, perché, non solo è il programma della vita di ciascuno di noi, ma, quello che più conta, è un meraviglioso dialogo tra noi e il nostro Padre.

    Ed infine Gesù ci ha donato il Suo stesso Spirito, perché ‘restasse con noi, fino alla fine dei tempi’, ispirando le nostre scelte e donando la forza di compierle.

    Davanti a questo stupendo rapporto che la SS.ma Trinità ha con ciascuno di noi, nasce spontanea una preghiera di ringraziamento e di lode.

    Credo in Te, Dio Trinità. Mi fai scoprire il senso della vita; mi inviti a rimanere con te, a rimanere in tua compagnia, per scoprirti amore che si dona.

    Credo, mio Dio, che Tu sei Santo ed io ti adoro. Spesso mi chiudo nella mia fragilità, mi lascio imprigionare dalle mie paure, mi àncoro a tante mie certezze, e tu mi sussurri poche parole: ‘Non temere, ti amo’.

    Credo, mio Dio, che tu mi hai dato tutto: ti ringrazio. Ti rendo grazie per la bellezza della creazione, per avermi pensato, desiderato e amato da sempre. Ti ringrazio per avermi dato la tua vita e aver offerto il tuo amore per me e per la mia salvezza.

    Credo, mio Dio, che tu sei Misericordia. Le mie paure, i miei limiti, il mio peccato aprono le braccia della tua bontà. Tu sei qui, dentro di me, pronto ad accogliermi. Mi proponi la tua amicizia e mi sveli i desideri del tuo Cuore. Sii per me Luce che rischiara la strada, Parola viva che mi sostiene nelle scelte di ogni giorno.

    Grazie, o Dio, perché ci sei e bussi alla mia porta, anche quando la sbarro davanti a Te, finché io la apra, perché senza di Te la vita non ha futuro.

    È davvero una grande gioia, anche solo pensare che c’è Dio tanto vicino a noi, con amore.

    Ci pensiamo anche solo quando facciamo il segno della croce, che è davvero il simbolo della nostra fede, con cui confermiamo la consapevolezza che tutto è fatto nel Suo Nome?

    E’ un ‘segno’ davvero tanto semplice, ma, se accompagnato dalla consapevolezza che ciò che sto iniziando voglio si compia ‘nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo’, nel ricordo della morte e resurrezione di Gesù, che sulla Croce ci ha salvati, diviene un profondo modo di proclamare la nostra fede ed anche di dare senso alle nostre azioni, oltre che metterle nelle sicure mani della Trinità.

    Una consapevolezza di fede che è davvero non solo la nostra carta d’identità davanti a Dio, ma è anche la certezza del divino e stupendo Suo vivere ora vicino, tanto vicino a noi, per condividere, rispettando la nostra libertà, il cammino di fede della nostra breve esperienza terrena, per domani renderci partecipi della Sua Gloria in Cielo.

    Prendiamo gioiosa coscienza di questa entusiasmante realtà. «Il Padre è in me - esclamava la Beata Elisabetta della Trinità - il Figlio è in me, lo Spirito Santo è in me». Quale immenso dono! «Se tu conoscessi il dono di Dio!» (Gv 4,10). Tutta la nostra vita è intrecciata, dalla culla alla tomba, al mistero trinitario. La Trinità è in noi più intima a noi di noi stessi (S. Agostino) come Presenza viva, attiva, purificante e santificante. Viviamo questo ineffabile mistero, ed ogni volta che ci segniamo con il segno della croce, rinnoviamo il desiderio di appartenere al nostro Dio, Trinità d’Amore.

    Antonio Riboldi - Vescovo

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    00 26/06/2017 15:27
    Non temete gli uomini

    Essere cristiani, ossia veri discepoli di Gesù, che fanno di Lui il solo Bene, Fine della vita, dovrebbe essere, per chi di noi Gli appartiene tramite il Santo Battesimo, la sola dignità da costruire e conservare. Ma non è facile.

    Ad alcuni pare faccia paura dare alla propria esistenza la gioia di appartenere a Dio e fare di Lui la vera ragione della stessa vita; ed allora si rifugiano in un cristianesimo di facciata, che nulla ha a che vedere con il ‘vivere Cristo’.

    A volte,’usano’ la parola ‘cristiano’, ossia si dicono tali, ma non è il Vangelo il riferimento della loro vita, la guida delle scelte, la continua testimonianza della fede, anzi, in un certo senso, per come si comportano, negano il Vangelo e Cristo.

    È uno spettacolo pietoso, che fa male a tutti noi, alla Chiesa che, così, si vede diffamata da costoro.

    Forse è proprio a noi, cristiani dell’Occidente, che oggi il Signore invia la Sua Parola, ‘viva ed efficace’, per aiutarci ad uscire dal ‘limbo’ in cui ci ritroviamo.

    “In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: ‘Non temete gli uomini … Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti.”

    Dobbiamo aprirci alla Sua Presenza.

    Fare un’esperienza profonda di Lui: sentirlo vivo accanto a noi, per poter testimoniarlo risorto.

    Lo Spirito Santo che ci ha donato apra i nostri cuori e le nostre menti e ci doni il coraggio di ‘essere’ Suoi discepoli, in ogni pensiero, azione e gesto.

    “ Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia”.

    La nostra esistenza ha un senso, l’ha sempre avuto nel pensiero d’Amore che dai secoli infiniti ci accompagna. Siamo al mondo per Amore e il nostro destino è l’Amore eterno, infinito e misericordioso, che ci è stato donato.

    Non sprechiamo questo tempo di passaggio, in cui solo ci è chiesto di accogliere questo Amore, in libertà e consapevolezza, testimoniandolo nel dono di sé.

    Il Signore Gesù ha fiducia in noi, crede in noi, più di noi stessi.

    “…. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!”.

    Noi siamo preziosi agli occhi di Dio. Egli ha cura di noi.

    Nel drammatico ‘deserto’ del nostro mondo, è segno di un’efficace presenza della Grazia, sapere e vedere che emergono sempre di più giovani, uomini, donne, famiglie, gruppi, che hanno ‘scelto’ di lasciare alle spalle il semplice ‘dirsi cristiani’ e si impegnano a vivere la fede con una coerenza ed una gioia da diventare preziosi testimoni, che annunziano in ogni angolo della terra la Bellezza di Dio che è vicino a noi e crea santi.

    È infatti incredibile il numero dei Martiri e dei Beati in questo ultimo scorcio di tempo.

    In Paesi di missione, dove il Vangelo è da piantare, raccontano i missionari che la fede è davvero la sola grande ricchezza dei popoli. Ho visto questa meraviglia in un confratello missionario, che si illuminava nel descrivere la sua missione e chiedeva di tornare presto in Africa, dai suoi, per ritrovare il gusto di Cristo. ‘Qui da noi, in Occidente, abbondano tanti altri profumi, che nulla hanno a che vedere con il profumo che si respira nella mia missione in Africa’.

    Ma anche qui mai si sono sentite così tante richieste di avviare cause di beatificazione di cristiani di ogni ceto sociale, come ora.

    I santi, cioè i veri discepoli del Maestro sono anche qui, tra noi, sempre, come ad affermare che non solo Dio non è tramontato, ma anzi sta manifestandosi in una maniera ‘divina’!

    Stampiamo nel nostro cuore e crediamoci anche noi:

    “Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”. (Mt. 10, 26-33)

    ‘Abbiamo un unico compito nella vita: riconoscere Gesù davanti agli uomini. Questo garantisce la nostra salvezza e apre la strada perché anche altri possano riconoscere Gesù. A volte è facile e bello riconoscerlo e proclamarlo, come accade con i bambini, spalancati all’accoglienza della fede’. Ce lo ha ricordato Papa Francesco, in un’udienza del mercoledì, concludendo: “A volte è richiesta la fortezza fino al martirio, come accade per tanti cristiani oggi. Ma Gesù non ci lascia soli; ci sostiene con la sapienza e la forza del suo Santo Spirito.”

    Questa è la nostra forza e consolazione: Gesù non ci lascia MAI soli!

    Antonio Riboldi - Vescovo
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    00 30/06/2017 11:29
    2 luglio 2017

    I cardini della vita cristiana: Amore a Dio e accoglienza verso i fratelli

    Conosciamo tutti, per esperienza diretta, come attorno a noi ci sia un vero assalto per ‘comprarci’, in ogni campo: mass media letteralmente intasati dalla pubblicità, che riesce anche ad imbrattare ogni muro possibile delle nostre città, insinuandosi nei nostri gusti fino a farci schiavi di ogni moda passeggera.

    Vi è poi un modo di pensare fatto di ‘opinioni correnti’, spesso senza nessuna possibilità reale di verifica, o peggio ancora, basate su autentica ignoranza, se non sfacciata menzogna spacciata per verità umana o bene comune.

    Veniamo ‘comprati’ dalla politica, che con le eterne, e mai realizzate, promesse da campagna elettorale ci deruba della insostituibile libertà di scegliere rappresentanti che davvero abbiano a cuore il bene comune. Basta dare uno sguardo al clientelismo, assistenzialismo, mai morti, e alla corruzione dilagante in ogni ambito della società.

    Oggi Gesù viene in aiuto della nostra debolezza o superficialità, indicandoci la strada per ridiventare liberi, veri ‘figli di Dio’, non merce per questo mondo.

    “In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: ‘Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me.

    Il senso della frase, tanto forte ai nostri orecchi, in realtà vuole più pacatamente affermare quanto propongono alcune versioni moderne, come quella della Conferenza episcopale italiana, che traduce il nostro versetto in questo modo: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre..., non può essere mio discepolo». Oppure si potrebbe anche tradurre: «Se uno viene a me e mi ama meno di quanto ami suo padre...».

    Ma la sostanza non cambia: dobbiamo scegliere ‘la roccia sicura’ su cui fondare la nostra casa!

    Occorrerebbe capire e vivere quanto il Signore ci propone oggi.

    In un’altra occasione, quando venne chiesto a Gesù quale fosse il più grande dei comandamenti, quello cioè che non si poteva eludere con facilità e senza compromettere seriamente il rapporto di amicizia con Dio, Lui ripropose la legge dell’amore verso Dio come prima e radicale necessità per noi ‘figli’ fatti a Sua immagine.

    Oggi ci indica una gerarchia chiara di valori in relazione a Se stesso, Figlio del Padre, nello Spirito.

    Come ha scritto Papa Francesco: ‘Non possiamo pensare che il Signore, ci chieda di essere insensibili a questi legami! Quando Gesù afferma il primato della fede in Dio, è perché questi stessi legami familiari, all’interno dell’esperienza della fede e dell’amore di Dio, vengono trasformati, vengono “riempiti” di un senso più grande e diventano capaci di andare oltre se stessi, per creare una paternità e una maternità più ampie, e per accogliere come fratelli e sorelle anche coloro che sono ai margini di ogni legame.’

    Seguire Gesù vuol dire un impegno totale, perché è dichiarare con la vita che è soltanto Lui a darle senso e significato, forza e coerenza.

    A Lui non si può non rispondere che con tutto il cuore, ma senza scappatoie, perché al ‘Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente’ è intimamente legato ‘e il prossimo tuo come te stesso’.

    Ed è la seconda parte della Sua richiesta, oggi:

    ‘Chi avrà trovato la sua vita, la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.’

    Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.

    Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto.

    E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”. (Mt, 10, 37-42)

    Per Gesù e quindi per la Chiesa tutta, l’accoglienza è un fondamento della carità.

    Accogliere vuol dire ‘aprire la porta a chi bussa’, senza fare distinzioni, pronti a dare tutto ciò che un fratello chiede, soprattutto pronti a narrargli le meraviglie della carità che sono proprio nel semplice gesto dell’accogliere.

    Piccolo, se vogliamo, il gesto di ‘dare anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli’, del fare sentire tutti, quando li incontriamo, come fossero a casa loro.

    Ma grande il senso che Gesù dà. In quel momento è Dio che ci fa sentire a ‘casa sua’, ossia in Cielo: ‘In verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa’.

    Come ha detto Papa Francesco:

    ‘Un solo sorriso miracolosamente strappato alla disperazione di un bambino abbandonato, che ricomincia a vivere, ci spiega l’agire di Dio nel mondo più di mille trattati teologici.

    Un solo uomo e una sola donna, capaci di rischiare e di sacrificarsi per un figlio d’altri, e non solo per il proprio, ci spiegano cose dell’amore che molti scienziati non comprendono più.

    Dove nascono questi gesti dal cuore, sono più eloquenti delle parole.

    Il gesto dell’amore... Questo fa pensare.’

    Anzi questo ci salva, facendoci crescere in umanità, come ‘discepoli’ di Gesù, ‘figli’ del Padre e ‘fratelli’ nello Spirito d’Amore.

    Antonio Riboldi - Vescovo
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    Credente
    00 07/07/2017 21:39
    XIV Domenica del Tempo Ordinario

    9 luglio 2017

    Venite a Me, voi tutti affaticati

    Ci sono brani del Vangelo, che si staccano talmente dal nostro comune modo di pensare e anche di vivere, che sembrano davvero uno ‘spaccato’ di Cielo, che si apre sul capo degli uomini, come a mostrarci una tenerezza di Dio, che difficilmente possiamo sperimentare tra noi uomini.

    Siamo abituati troppo spesso all’esperienza ‘delle spalle curve’, per il dolore o la croce che ci accompagna tutti, senza distinzioni, nella vita.

    Per alcuni, forse, la sofferenza può apparire come una maledizione, che non ci si riesce a togliere di dosso, tanto da pensare di liberarsene definitivamente con stupefacenti o con la via larga dei divertimenti a tutti i costi, a volte giungendo alla soluzione estrema ed inaccettabile, che è il suicidio o la volontà di eutanasia.

    Per altri, invece, la sofferenza è vivere nella verità della fede e dell’amore, che ha il suo fondamento nel dolore donato: la Croce è il segno inconfondibile dell’amore, quando questi è quello che deve essere, per sua stessa natura, cioè dono di sé, fino al sacrificio.

    La vita di Gesù che si dona totalmente, fino alla Croce, è l’esempio vivo dell’Amore che si fa dono…meraviglioso Amore!

    Gesù fa della nostra passione la Sua passione, accomunandosi con noi nel portare quella croce quotidiana e multiforme, che tutti portiamo.

    Così nasce spontaneo il nostro Grazie. Grazie non per la croce in sé, ma perché la nostra croce, portata insieme, ci fa sperimentare dal vivo, quanto Dio si prenda cura di noi e ci voglia bene.

    Quante volte, incontrando i malati, scopro che sanno fare della loro malattia un modo di amare ed hanno il sorriso che brilla negli occhi, perché sono consapevoli di soffrire con Lui e per Lui.

    Anime davvero preziose, che sanno interpretare il Vangelo, che la Chiesa ci offre oggi.

    “In quel tempo, disse Gesù: ‘Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a Te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.

    Venite a Me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi e Io vi ristorerò.

    Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da Me che sono mite ed umile di cuore e troverete ristoro per le anime vostre. Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero”. (Mt. 11, 25-30)

    Quante perle dentro queste poche parole!

    Anzitutto la tenerezza di un Dio che vuole cancellare stanchezza ed oppressione, facendole proprie, ed in cambio dona la serenità del proprio stesso Cuore. Il Cuore e le braccia aperte di Dio, che invitano, dovrebbero commuovere ed attirare tutti… questo solo Egli attende da noi.

    “Venite a Me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi ed Io vi ristorerò”.

    Sono tanto grandi le braccia e il Cuore di Dio, che l’immensità dei dolori di miliardi di uomini, là, in quelle braccia e in quel Cuore, diventano poca cosa… Immenso il Cuore di Dio.

    Ogni persona si vanta di avere un cuore. Quanti lo dicono e lo esaltano!

    Eppure è proprio lì che l’uomo viene a mancare. Non conosce le vie della bontà, che sono il frutto dell’umiltà di cuore. Un’umiltà che genera dolcezza, sa mettersi all’ultimo posto, per fare posto a tutti, che sa essere così grande e, nel silenzio, donarsi a tutti.

    È tanto difficile quest’amore all’umiltà e dolcezza di cuore, in un mondo che sembra impazzito nella corsa ad essere ‘grande’, anche se poi la sua ‘grandezza’ è un momentaneo fruscio di gloria, che spesso non è assolutamente tale, anzi, poiché crea ancora… tanti poveri!

    Il grande Papa del sorriso, Giovanni XXIII, scrivendo ai suoi fratelli, raccomandava loro:

    “La mia tranquillità personale, che fa tanta impressione nel mondo, è tutta qui.

    Stare nell’obbedienza, come ho sempre fatto, e non desiderare o pregare di vivere di più, oltre il tempo in cui l’angelo della morte mi verrà a chiamare e prendere per il Paradiso…

    E voi fate bene a tenervi in umiltà, come mi studio di fare anch’io, e a non lasciarvi prendere dalle insinuazioni e dalle ciance del mondo. Il mondo non si interessa che di fare soldi, godere la vita ed imporsi ad ogni costo, anche con prepotenza”

    Gesù ripete a ciascuno dei figli del Padre, quindi anche a ciascuno di noi: ‘Venite a me, voi tutti’.

    Lo dice anche a coloro che possiedono il tutto di questo mondo, che è ben poca cosa, ma il cui cuore è vuoto, seppure insoddisfatto, perché troppo pieno di ‘cose’.

    Come dice Papa Francesco:

    Gesù promette di dare ristoro a tutti, ma ci fa anche un invito, che è come un comandamento: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29).

    Il “giogo” del Signore consiste nel caricarsi del peso degli altri con amore fraterno. Una volta ricevuto il ristoro e il conforto di Cristo, siamo chiamati a nostra volta a diventare ristoro e conforto per i fratelli, con atteggiamento mite e umile, ad imitazione del Maestro. La mitezza e l’umiltà del cuore ci aiutano non solo a farci carico del peso degli altri, ma anche a non pesare su di loro con le nostre vedute personali, i nostri giudizi, le nostre critiche o la nostra indifferenza.

    Non dimentichiamo quello che ci ha ricordato Gesù la scorsa settimana: ‘Chi avrà dato un bicchiere d’acqua fresca a questi piccoli, perché miei discepoli, l’avrà dato a Me’!

    ‘Invochiamo Maria Santissima, - è l’invito di Papa Francesco e mio - che accoglie sotto il suo manto tutte le persone stanche e sfinite, affinché attraverso una fede illuminata, testimoniata nella vita, possiamo essere di sollievo per quanti hanno bisogno di aiuto, di tenerezza, di speranza.

    Antonio Riboldi - Vescovo

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