00 10/12/2010 23:25
Alla fine Giuseppe si fa riconoscere e la famiglia si riunisce presso di lui. L'ultimo atto della sapienza di Giuseppe è la rilettura della sua vita tormentata in chiave di salvezza. Specialmente dopo la morte del padre Giacobbe, i fratelli di Giuseppe cominciano a temere la sua vendetta, credendo che era per rispetto al padre che lui si era trattenuto. Perciò, gli mandano a dire: "Tuo padre, prima di morire ha dato quest'ordine: perdona il delitto dei tuoi fratelli. Ma Giuseppe disse loro: Non temete. Se voi avete pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso" (Gen 50,15-20).
Le parole di Giuseppe contengono qui una profonda teologia. La sua sapienza lo porta a rifiutare l'atteggiamento infantile di chi si piange addosso. E lo conduce a cogliere la difficile verità della pedagogia di Dio, che lo ha guidato per vie incomprensibili e aspre. Ma per un fine alto e buono. Si ha qui anche il primo barlume della sapienza della croce: Dio non affligge mai per il gusto di affliggere; certamente non lo farebbe, se la gioia e il frutto di bene che ne derivano non fossero sensibilmente maggiori. Giuseppe, negli anni della sua maturità, è in grado di rileggere la propria esperienza di dolore e di rifiuto, la propria vita di uomo respinto e perseguitato, senza sentire più alcuna ferita, e ciò perché la luce sapienziale che invade la sua mente, gli dà di comprendere che i dolori della vita, vissuti nel e col Signore, distruggono nell'uomo solo ciò che deve essere distrutto, in modo tale che ciò che sopravvive è sempre la parte migliore e più eletta della personalità. Così nascono i santi: fioriscono sulle ceneri del proprio uomo vecchio, distrutto dai dolori della vita, accettati con amore, senza mai pensare che Dio ci abbia colpiti per capriccio o per arbitrio. Dopo molti decenni di paziente attesa, però, splende la verità della divina pedagogia, troppo alta per essere compresa da noi prima che tutto si compia. Sono i giudizi rapidi che ci portano fuori strada. Giuseppe ha valutato il senso globale della sua vita, ma solo alla fine, quando il disegno di Dio a suo riguardo si era ormai quasi del tutto compiuto. Tocchiamo qui un'altra caratteristica dell'uomo saggio: la lentezza nel pronunciare giudizi definitivi sull'opera di Dio e l'attesa di ciò che Dio farà domani.
Altri aspetti dell'agire del saggio provengono dalla figura del veggente Daniele. Osserviamo intanto il distacco dagli onori e da ciò che umanamente procura la stima del prossimo. Daniele viene chiamato a corte per interpretare una misteriosa scrittura comparsa sulla parete; il re Baldassar chiama tutti i maghi del suo regno ma nessuno riesce a leggere e decifrare quella scritta. Infine si rivolge a Daniele: "Mi è stato detto che tu sei esperto nel dare spiegazioni e sciogliere enigmi. Se quindi potrai leggermi questa scrittura sarai vestito di porpora, porterai al collo una collana d'oro e sarai il terzo signore del regno. Daniele rispose al re: tieni pure i tuoi doni per te, tuttavia io leggerò questa scrittura al re e gliene darò la spiegazione" (Dn 7,16-17). Il saggio non è quindi sedotto dalla gloria umana, perché la sapienza è già un abito regale che lo riveste in modo più prezioso di quanto non possano le umane onorificenze. L'uomo saggio è abbellito in modo soprannaturale dalla sua stessa dignità e statura morale, perciò non è bisognoso di altri riconoscimenti, da lui considerati tutti inferiori alla ricchezza spirituale già posseduta.
Nella figura di Daniele il saggio si presenta anche come un uomo di preghiera. Daniele prega molto. Soprattutto nei momenti difficili. Quando, ad esempio, Nabucodonosor, adirato coi maghi del suo regno colpevoli di non avergli fornito la spiegazione autentica di un suo sogno, decide di metterli a morte, Daniele interviene per evitare lo sterminio e prega tutta la notte. Così, in una visione notturna Dio gli svela sia il sogno del re sia la sua spiegazione autentica. Questo fatto placa l'ira del re (cfr. Dn 2). Al cap. 6 si dice inoltre che Daniele era solito pregare tre volte al giorno rivolto verso Gerusalemme, lodando Dio (cfr. v. 11). La luce sapienziale si ottiene in sostanza nel contesto della preghiera. La sapienza è data a chi prega.
Un'altra caratteristica del saggio, molto evidente in Daniele, è il rifiuto del servilismo verso i potenti. Daniele si dimostra perfino disposto a morire, pur di non adorare il potere umano come se fosse una divinità. A Nabucodonosor, che gli impone l'adorazione di una statua, dice insieme ai suoi compagni: "sappi che il nostro Dio può liberarci dalla tua mano, o re. Ma anche se non ci liberasse, sappi che noi non serviremo mai i tuoi dèi" (Dn 3,17-18). La dirittura di coscienza è assoluta, inflessibile dinanzi all'autorità umana. Per il saggio, l'autorità umana perde ogni valore, quando è esercitata contro la verità e contro il bene.
La terza grande figura di uomo sapiente, nell'AT, è il re Salomone. Anche in lui possiamo notare taluni aspetti della sapienza che vanno senz'altro sottolineati. Ritorna a questo proposito il tema della preghiera: Salomone è un uomo di preghiera, anzi, è colui che edifica e consacra il luogo di preghiera per Israele, costituendo il centro ideale della spiritualità del popolo eletto. Salomone, così come farà anche Gesù nel suo ministero pubblico, affronta tutte le circostanze più cruciali della sua vita con la preghiera. Dopo la morte di Davide, il suo governo ha inizio con una notte di preghiera nel tempio di Gabaon (cfr. 1 Re 3,4ss) e più avanti è descritto mentre prega (cfr. 1 Re 8,22ss); e poi compare anche nell'atto di intercedere in favore del popolo (cfr. 1 Re 8,30ss). Il libro della Sapienza riporta pure una preghiera attribuita a Salomone, per ottenere da Dio la luce del discernimento (cfr. cap. 9). Nella visita della regina di Saba viene fortemente sottolineata questa caratteristica di Salomone, possessore di un acuto discernimento: "La regina di Saba si presentò a Salomone e gli disse quanto aveva pensato. Salomone rispose a tutte le sue domande, nessuna ve ne fu che non avesse risposta o che restasse insolubile per Salomone" (1 Re 10,1-3). Dopo che lo ebbe ascoltato, la regna concluse: "Beati i tuoi uomini, beati questi tuoi ministri che stanno sempre davanti a te e ti ascoltano" (1 Re 10,8). E possiamo anche comprendere, a questo punto, la profondità del rimprovero di Gesù ai suoi contemporanei: "La regina del Mezzogiorno si alzerà, nel giorno del giudizio, a condannare questa gente: essa infatti venne dalle più lontane regioni della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Eppure, di fronte a voi sta uno che è più grande di Salomone" (Lc 11,31). Nell'ultimo giorno non sarà dunque Dio a biasimare chi ha avuto la salvezza a portata di mano e non vi ha attinto la propria liberazione: saranno gli antichi, i quali hanno affrontato grandi sacrifici pur di avvicinarsi solo a un riflesso di quella luce che in Cristo splende in tutta la sua pienezza (cfr. Ap 1,16).
:::::::::
Quanto al dono della scienza, la precisazione della sua natura va certamente nella linea dei contenuti. Vale a dire: il dono della sapienza si può definire come "una luce che permette di vedere"; essa non consiste quindi in una "quantità" di cose da sapere, bensì in una particolare luce di discernimento che permette alla persona di leggere i fatti e le situazioni della vita, in certo senso, con gli occhi di Dio. Il dono della scienza non è una luce che permette di vedere, ma è l'oggetto stesso della verità di Dio (la Rivelazione). In questo senso il dono della scienza è coordinato a quello della sapienza. Se la scienza è il possesso mentale del progetto di Dio, la sapienza è quella luce intellettuale che permette di vederlo senza deformazioni o fraintendimenti. Sarà opportuno anche qui qualche riferimento scritturistico. Ai Corinzi l'Apostolo Paolo dice di essere un profano nell'eloquenza ma non nella scienza: "Se anche sono un profano nell'arte del parlare, non lo sono però nella dottrina" (2 Cor 11,6); il riferimento va alla dottrina sacra, la scienza di Dio, cioè ai contenuti del piano di salvezza conosciuti dall'Apostolo per rivelazione. Così anche agli Efesini: "Dalla lettura di ciò che ho scritto potete ben capire la mia comprensione del mistero di Cristo" (Ef 3,4).
I contenuti della scienza di Dio appartengono solo a Lui e solo Lui li comunica a chi vuole: "Per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero" (Ef 3,3); "C'è un Dio nel cielo che svela i misteri" (Dn 2,28); "Il Signore, cui appartiene la sacra scienza" (2 Mac 6,30); "s'insegna forse la scienza a Dio?" (Gb 21,22); e ancora: "Gli occhi del Signore proteggono la scienza" (Prv 22,12); "O profondità della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie" (Rm 11,33). L'idea è chiara: la divina rivelazione e le profondità della sua divina verità nessun uomo può raggiungerle con la sola luce della ragione naturale; Qoelet dice addirittura che neppure un saggio potrebbe trovarla (Qo 8,17). Ciò significa che è un dono di Dio non solo la conoscenza della sua verità (dono di scienza) ma perfino la luce intellettuale che permette di vederla (dono di sapienza). Che la scienza sia un dono risulta anche dalla dottrina paolina: "in Lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza" (1 Cor 1,5); e più avanti: "se io conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza… ma non avessi l'amore" (1 Cor 13,2). Qui la scienza è equiparata ai misteri, dunque si tratta di un sapere rivelato, che comunque è del tutto inutile in mancanza dell'amore teologale.
La Scrittura afferma inoltre che il dono della scienza è dato da Dio, ed è un dono ben distinto, come abbiamo detto, da quello della scienza: "L'ho riempito dello Spirito di Dio, perché abbia saggezza, intelligenza e scienza" (Es 31,3); è dunque Dio che concede il dono della scienza, che rimane comunque distinto dal dono della sapienza e da quello dell'intelletto, che esamineremo più avanti. Il libro del Siracide afferma che il dono della scienza, ossia la conoscenza rivelata della verità di Dio, è uno di quei doni che l'essere umano ha ricevuto fin dall'origine della creazione: "Il Signore creò l'uomo dalla terra… pose davanti a loro la scienza e diede loro in eredità la legge della vita" (Sir 17,1.9). Si vede dal parallelismo sinonimico che il termine "scienza" corrisponde a "legge della vita", cioè la Torah, ovvero la conoscenza della volontà di Dio e la sua dottrina. Coloro che hanno ricevuto il dono della sapienza apprezzano i contenuti della scienza di Dio, perché, avendo la sapienza, li possono guardare nella luce giusta: "I saggi fanno tesoro della scienza" (Prv 10,14). Essi sono in grado anche di comunicarla nel loro insegnamento: "La lingua dei saggi fa gustare la scienza" (Prv 15,2), "Le labbra dei saggi diffondono la scienza" (Prv 15,7). In conclusione: "Ricchezze salutari sono sapienza e scienza" (Is 33,6).