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 la famiglia: «non esistono modelli alternativi»




 
di Alessandro Barbano*
*direttore del quotidiano “Il Mattino”

 
da “Il Mattino”editoriale del 19/10/14
 

Rispetto per i gay. Non solo a parole, ma anche nei fatti e nei diritti, individuali, che meritano tutela. Ma la vera discriminata è la famiglia. Lo diciamo senza timore di essere additati al ludibrio, sbeffeggiati in pubblico e sulla rete, nei giorni del grande conformismo che viviamo. Giorni di show e inchini. In cui quasi tutta la politica, senza colore che conti, mostra a un selfie da prima pagina la faccia più audace che trova. Per un ritratto al Gay pride. O per riscrivere i diritti civili dall’anagrafe di un Municipio. Giorni in cui si fa a gara, a sinistra come a destra, per apparire più liberal, più aperti, più trasgressivi che si può. Giorni in cui la Chiesa, preoccupata di non perdere contatto con la modernità, scopre che il suo formato «ospedale da campo» è utile a prestare i primi soccorsi a un’umanità smarrita, un po’ meno a guarirla dai suoi mali.

Quando troppi sono d’accordo, c’è da dubitare che qualcosa non funzioni. Perché non funziona, per esempio, l’antica distinzione tra progressisti e conservatori? Verrebbe da rispondere: perché non c’è più niente da conservare. La famiglia, senza ombra di dubbio,è già un patrimonio perduto. Non solo perché crollano i matrimoni (3,5 per 1.000 abitanti, contro i 3,7 della Francia, i 4,8 della Germania e gli 8,0 della Turchia) e raddoppiano le separazioni e i divorzi. Ma perché la famiglia non scommette più su di sé. Non fa figli, non compra case, in una misura più grave che in qualunque altro Paese europeo. Qualcuno se n’è accorto?

Qualcuno ha compreso che la sfiducia nella famiglia coincide con la rinuncia al futuro dell’Italia? Qualcuno vuole dire ai cittadini che un Paese che da vent’anni fa 1,43 figli per donna non ha nessuna chance di rimontare il Pil? Sembrerebbe di no. La famiglia è aggredita nella sua unicità, ignorata dal welfare e svantaggiata dal fisco. Gli 80 euro elargiti dal governo finiscono in tasca ad un single che ne guadagna 24mila all’anno, non sul conto di una coppia che ne prende 28mila con un solo coniuge che lavora e quattro figli. C’è qualche forza politica che denuncia questa stortura? C’è qualche bel volto, di quelli che sgomitano per arrivare in cima e in cima arrivano, disposto a farsi fotografare sul divano in mezzo a quella coppia prolifica e ai suoi bambini? La risposta è no. L’obiettivo della politica ha smarrito il quadrangolo...

Cari lettori? Pensate che chi ha già pagato sulla sua pelle il prezzo della discriminazione si riconosca in una caricatura dove l’esibizione ha sostituito il pudore? Pensate che gli omosessuali italiani si sentano rappresentati da quei saltimbanchi che scambiano pubbliche effusioni davanti ad una telecamera, abbracciati al politico di turno convertito alla causa? Anche di questo è lecito dubitare.

Chi scrive pensa che i gay meritino ben altro rispetto e tolleranza per la loro scelta di vita. E abbiano un diritto su tutti gli altri: non vedersi usati a beneficio del protagonismo di pochi. Poi lo Stato dovrà attivarsi per rimuovere ogni ostacolo, legale o culturale, alla loro libertà d’affetti, al loro diritto di amarsi e di assistersi. Ma l’accettazione e il rispettonon possono diventare promozione sociale di un modello alternativo alla famiglia. Che non è una libertà, ma uno spazio di doveri prima che di diritti, una responsabilità sociale che la politica, anziché sostenere nel suo impegno, oggi ignora e tradisce.

Ciò vale anzitutto per il compito più importante, e non surrogabile da nessun altro presidio, che la famiglia ha nei confronti della società: il concepimento e l’educazione dei figli. Si dirà che anche qui molte cose sono cambiate. La modernità ha liberato la sessualità dal fine della procreazione. La tecnologia ha liberato la procreazione dal mezzo della sessualità. Ma entrambe non hanno liberato l’uomo e la donna dalla responsabilità nei confronti dei figli e nei confronti della comunità che sostiene la loro unione. Nessuna tecnica fecondativa, nessun cambiamento culturale, nessun esperimento di ingegneria sociale dovrebbero poter privare chi nasce del diritto di dire “mamma e papà”.Basterebbe guardare con gli occhi dei bambini per capire che pensarsi genitori non è un“insopprimibile diritto di autodeterminazione dell’individuo”, come invece ha decretato una cieca sentenza della Consulta. Ma solo un desiderio a cui corrisponde, in prima istanza su tutto il resto, una grande responsabilità sociale.

I progetti di legge sulle unioni tra gay fingono di non riconoscere questo dovere, ma di fatto lo ignorano. Negano l’adozione, ma ammettono il riconoscimento del figlio naturale di uno dei due partner. Nella giungla mondiale di leggi e di tecniche procreative, aggirare l’ostacolo sarà un gioco da ragazzi. Sarebbe meglio spiegare con onestà agli italiani che, se si passa dal riconoscimento dei diritti individuali a quello delle unioni di fatto, non esistono mezze misure. I paletti legali per vietare le adozioni sono palliativi che il costume e le sentenze abbatteranno. Ci sia consentito di dubitare che questa si chiami libertà. Ci sia consentito di denunciare che questo accade mentre la famiglia muore.