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11. Gloria in excelsis Deo!

Dall’aria sommessa e austera dell’atto penitenziale, passiamo all’atmosfera esaltante dell’inno di lode. Il “Gloria in excelsis Deo” è l’unico inno della celebrazione eucaristica. Si tratta di un testo teologicamente molto ricco, espresso in prosa ritmica, come il “Te Deum”. È probabile che il Gloria apparve nella messa con il diffondersi della festa del Natale che a Roma fu introdotta nel IV secolo. Fino al X secolo l’intonazione del Gloria fu privilegio esclusivo del vescovo. Le prime estensioni ai semplici presbiteri si riscontrano a partire dal secolo XI. Il rinnovamento liturgico ha valorizzato la pregnanza contenutistica e rituale di questa solenne dossologia: “Il Gloria è un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e l’Agnello” (PNMR 31). Il testo rivela chiaramente il contenuto trinitario:

1. Coro angelico tratto da Lc 2,14;

2. Glorificazione a Dio Padre Onnipotente;

3. Supplica al “Figlio unigenito che toglie il peccato e siede alla destra del Padre”;

4. Epilogo trinitario: riconoscimento di Gesù Cristo come “il solo Signore”, con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre.

Il Gloria è un canto-rito, non ha lo scopo di accompagnare una sezione celebrativa, ma costituisce un rito autonomo. A motivo della sua solennità, caratterizza solo alcune circostanze specifiche: “Lo si canta o si recita nelle domeniche fuori del tempo di Avvento e Quaresima; e inoltre nelle solennità e feste, e in particolari celebrazioni più solenni” (PNMR 31).

Il Gloria ha suscitato sempre una significativa attività compositiva da parte dei musicisti. Non solo è stato musicato come parte dell’intera “messa” (Kyrie, Gloria, Sanctus, Agnus dei), ma spesso è stato oggetto specifico di composizione, costituendo una parte a sé stante. Si pensi, ad esempio, al notissimo Gloria in Do maggiore di A. Vivaldi.

Essendo un inno l’aspetto musicale è strettamente associato al testo. S. Agostino, commentando il salmo 72, afferma: “Se c’è la lode, e lode di Dio, ma poi manca il canto, non c’è affatto l’inno”. È tipico dell’inno coniugare testo e musica. Pensiamo al esempio agli inni patriottici. Si può rinunciare al canto del testo, ma non all’ascolto della musica; e mai abbiamo sentito recitare durante la consegna delle medaglie olimpioniche: “Fratelli d’Italia...”. Pertanto la recitazione del Gloria limita assai la significatività del rito che tale inno intende realizzare. Non ci deve quindi meravigliare il fatto che l’introduzione al Messale Romano “conceda” che sia cantato anche dalla sola schola (Cf PNMR 31). È opportuno sottolineare il fatto che si tratti di una concessione, infatti fin dalle origini questo inno è stato un testo tipicamente assembleare, ma perse tale caratteristica a motivo delle sempre più elaborate forme compositive polifoniche che non consentirono l’intervento dei fedeli.

Attualmente l’animazione musicale dovrà farsi carico di tenere ben legate la solennità e l’assemblearità del Gloria. In tempi recenti sono apparse nuove soluzioni musicali dotate di facili ma efficaci formule acclamanti da destinare all’intervento dell’assemblea, affidando alla schola le altre parti. Il conosciutissimo Gloria del repertorio multilingue di Lourdes è da considerare un modello molto significativo.

La ricchezza musicale del Gloria deve essere posta in giusto rilievo da un adeguato uso degli strumenti. Di certo una chitarra in arpeggio e/o un flauto dolce non sono in grado di realizzare un accompagnamento significativo, soprattutto negli interventi assembleari. È necessaria una sonorità ricca, che sottolinei l’aspetto acclamante di tale inno. Particolarmente efficace è l’ausilio di “ottoni” (soprattutto trombe e magari anche tromboni) per realizzare un preludio che fin dall’inizio crei un’atmosfera solenne e coinvolgente, e per sottolineare gli interventi dell’assemblea. Agli strumenti si aggiungeranno gli opportuni inserimenti polifonici del coro.

12. La Parola di Dio e la risposta dell’uomo

L’aspetto più sublime della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio. Se l’uomo esiste, infatti, è perché Dio lo ha creato per amore e, per amore, non cessa di dargli l’esistenza; e l’uomo non vive pienamente secondo verità se non riconosce liberamente quell’amore e se non si abbandona al suo Creatore”. Così si esprime la Gaudium et spes al n. 21 per descrivere il rapporto dialogico tra Dio e l’uomo. Fin dalle origini la manifestazione di Dio all’uomo rivela tale carattere dialogico. Alla fedeltà di Dio deve corrispondere una risposta fedele da parte dell’uomo. Il popolo dell’alleanza è quindi “popolo della risposta”, comunità aperta al dialogo.

Nel libro dell’Esodo leggiamo: “Aveva detto a Mosè: “Sali verso il Signore tu e Aronne, Nadab e Abiu e insieme settanta anziani d’Israele; voi vi prostrerete da lonta­no, poi Mosè avanzerà solo verso il Signore ma gli altri non si avvici­neranno e il popolo non salirà con lui”. Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose insieme e disse: “Tutti i comandamenti che ha dati il Signore, noi li eseguiremo!”. Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popo­lo. Dissero: “Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo esegui­remo!”. Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: “Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha con­cluso con voi sulla base di tutte queste paro­le!”” (Es 24,1-8).

Nel capitolo ottavo del libro di Neemia viene presentata una “celebrazione della Parola”. Anche in questo brano il popolo interviene ponendosi in un atteggiamento di ascolto e di dialogo con il Signore: “Tutto il popolo si radunò come un solo uomo sulla piazza davanti alla porta delle Acque e disse ad Esdra lo scriba di portare il libro della legge di Mosè che il Signore aveva dato a Israele. (...) Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque , dallo spuntar della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci di intendere; tutto il popolo porgeva l’orecchio a sentire il libro della legge. Esdra lo scriba stava sopra una tribuna di legno che avevano costruito per l’occasione (...). Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutto il popolo; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore Dio grande e tutto il popolo rispose: “Amen, amen”, alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra davanti al Signore”.

Anche nella liturgia la parola di Dio suscita la risposta dell’uomo. Nella liturgia della parola della celebrazione eucaristica tale risposta si esprime con i cosiddetti “canti tra le letture”: il salmo responsoriale, l’acclamazione al vangelo e, nelle poche circostanze in cui è prevista, la sequenza. Ma l’intervento dialogico dell’assemblea si esprime anche con le acclamazioni che concludono le letture (Parola di Dio. Rendiamo grazie a Dio / Parola del Signore. Lode a te o Cristo), con la professione di fede e con la preghiera dei fedeli. È importante notare che tutti questi interventi assembleari trovano la loro giusta espressione nel canto, il quale contribuisce in modo tutto speciale ad unire menti e cuori affinché i fedeli possano rispondere comunitariamente agli appelli della parola di Dio.