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IMPOSSIBILITA' DELL'EVOLUZIONE SPONTANEA


Impossibilità radicale generale


Quanto dunque al fatto della evoluzione, cioè se essa sia veramente avvenuta, abbiamo visto che le prove addotte sono inconsistenti ed anzi i dati di osservazione suggeriscono il contrario. Quanto poi al meccanismo, cioè ai fattori naturali che l'avrebbero determinata, ne abbiamo pure visto la inefficacia. Ma sono stati, in fondo, argomenti negativi.

Vogliamo ora fare un passo avanti e vedere se vi sono argomenti positivi e veramente decisivi contro di essa.

Per ottenere una più radicale confutazione, conviene iniziare l'analisi partendo dall'ipotesi più favorevole all'evoluzionismo. Partiamo cioè dalla concezione del mondo materiale puramente meccanicista, un mondo la cui costituzione di base si risolva tutta in pure combinazioni di particelle e dinamismi energetici. In tale ipotesi, tutti i corpi, viventi o no, vengono livellati a questa loro comune costituzione di base, il che rende meno ardua la presunta trasformazione evolutiva dall'uno all'altro. E' questa, del resto, la concezione cosmica comunemente seguita dalla scienza evoluzionista (e, in prima linea, inutile dirlo, da quella atea, che si illude, in tal modo, di escludere e gli interventi e la esistenza stessa del Creatore: il premio Nobel F. Crick ha opposto esplicitamente il suo evoluzionismo meccanicista al cristianesimo, in Uomini e molecole, 1970).

In tale quadro dunque, il risultato meccanicistico del puro gioco del caso avrebbe determinato tutta l'evoluzione spontanea, dall'auto organizzarsi del primo nucleo di materia vivente fino all'uomo. (Siamo, in fondo, alla concezione base di Democrito, V-IV s. av. Cr.: tutto ridotto ad atomi materiali.)


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Ma scatta subito la prima radicale confutazione generale.

Nessuno certamente ritiene che da uno scatenamento, a caso, di reazioni fisico-chimiche, tra una moltitudine di atomi, possa istantaneamente sgorgare la complicatissima e perfetta struttura di un vivente corpo umano (sia pure interpretato anch'esso, nel suddetto modo meccanicistico, come un puro complesso di atomi e corpuscoli in interazione fisico-chimica). Anche ripetendo l'esperienza un numero quanto si vuole di volte, tale risultato istantaneo apparisce sempre tanto improbabile da rientrare praticamente nella probabilità nulla, ossia nella impossibilità (a parte che, chi ha cercato di applicare il calcolo matematico delle probabilità, ha trovato che, per l'attuarsi, a caso, non di un corpo umano, ma anche di una sola primordiale entità vivente, occorrerebbe un tal numero di prove rapidissime da superare il tempo di esistenza dell'universo).

Gli evoluzionisti però - questo è il punto - ritengono che tale impossibilità scompaia, se dall'istantaneità si passi alla lenta evoluzione, con tante piccole mutazioni casuali fortunate, avvalorate dalla selezione. Ora ecco l'equivoco. L'illusione sta nel considerare isolatamente i singoli eventi casuali utili e i corrispondenti piccoli progressi evolutivi, ognuno dei quali non sarebbe impossibile. In realtà, il risultato evolutivo finale (questo corpo umano, per esempio) è e va visto invece quale effetto di tutto il complessivo gioco fisico­chimico, distribuito in tempi lunghi quanto si vuole. Resta pertanto integra l'impossibilità - come per l'effetto istantaneo - che un tale cieco processo produca la struttura meravigliosamente ordinata dell'attuale vivente. Il lunghissimo tempo operativo - al confronto con l'impossibile istantaneità - non elimina infatti la radicale sproporzione tra la complessiva causa cieca e il mirabile effetto: anzi l'accresce, presupponendo una assurda capacità del puro caso di mantenere, per così lungo tempo, la medesima linea costruttiva e di neutralizzare gli eventi contrari (mutazioni dannose, che sono la stragrande maggioranza). L'impossibilità che una pietra possa saltare in un istante su un gradino di un metro non si elimina immaginando che vi possa saltare, durante un lunghissimo tempo, salendo un solo millimetro alla volta. L'impossibilità che gettando, di un sol colpo, su una tela un mucchio di pennelli si ottenga la trasfigurazione di Raffaello, non si elimina supponendo che, durante un lunghissimo tempo, vi si getti, a caso, un pennello alla volta: anzi si accresce, non potendo il cieco caso mantenersi in armonia col medesimo piano artistico in modo da evitare così a lungo che pennellate dannose distruggano quelle utili.


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Ancor più intrinsecamente, si rifletta all'equivoco fondamentale di equiparare, per l'eventuale produzione casuale, la strutturazione mirabilmente ordinata del corpo vivente ad una qualsiasi altra combinazione prestabilita di particelle, aggiungendo vi solo la maggiore complessità dei legami da introdurre nel calcolo delle probabilità. Certo, anche con tale equiparazione la probabilità risulta praticamente nulla (e mancherebbe anche, come ho già detto, il tempo cosmico per moltiplicare le prove). Ma l'equiparazione è falsa. Nel caso del vivente infatti non si ha soltanto un qualunque maggior grado di complessità dei legami, ma un mirabile ordine, un intelligente piano costruttivo, il quale non è traducibile in puri termini di calcolo matematico di probabilità e di necessario numero di prove. Alla probabilità, già praticamente nulla, del cieco prodursi di una combinazione così determinata e complessa, si aggiunge dunque l'impossibilità assoluta che da una attività cieca sgorghi una strutturazione così intelligente. Questa postula necessariamente un Artefice - o immediato o agente su tutto il meccanismo produttore - adeguatamente intelligente. (Così del prodursi, per caso, di una combinazione, comunque confusamente vincolata, per esempio, di tutte le lettere sciolte della Divina Commedia, si può teoricamente calcolare la sia pur minima probabilità, inserendo nel calcolo il numero e la complessità dei rispettivi vincoli: ma essenzialmente diversa è la valutazione della combinazione delle stesse lettere, ordinate come sono nel Poema. In esso le lettere si combinano con vincoli intelligenti che trascendono, come tali, ogni valutazione matematica e appellano necessariamente a una proporzionata causa intelligente.)

Questa impossibilità radicale dell'ipotesi evoluzionista, che abbiamo visto nel quadro generale di partenza puramente meccanicista, risulterà tanto più evidenziata passando ora a considerare particolarmente i fondamentali gradini della vita. per i quali la pura concezione meccanicista risulterà insostenibile.


Impossibile sprigionarsi spontaneo della vita.


La logica evoluzionista non può fermarsi al problema dell'antenato dell'uomo e nemmeno alla trasformazione dell'una nell'altra specie, a partire dai protozoi e dal primo grumo vivente. Non si capirebbe infatti perché la linea evolutiva dei viventi debba avere la sua radice in un primo grumo vivente e non debba risalire, all'indietro, alla stessa materia inanimata. Questa dovrebbe essere riuscita dunque a superare spontaneamente anche il primo gradino della vita.

Non è più il problema della generazione spontanea attuale degli insetti o degli infusori o dei batteri, già risolto negativamente, sul piano sperimentale, dal Redi, dallo Spallanzani e dal Pasteur. Qui si tratta del primo antichissimo passaggio di qualche grumo di materia dallo stato inanimato allo stato vivente, passaggio che avrebbe innescato tutto il successivo processo evolutivo. La necessità della soluzione evoluzionista per chi parte dal preconcetto della esclusione di ogni intervento estrinseco implica l'affermazione assoluta di tale spontaneo passaggio, nonostante l'assenza di qualsiasi conferma sperimentale.

Implica cioè la riduzione del fenomeno della vita al puro piano fisico-chimico, con esclusione di ogni superiore concezione "vitalista" e di ogni intervento del Creatore. Tale intervento viene considerato, a priori, una "assurdità". Lo si osa perfino collegare, con sorprendente preconcetto antireligioso, ad una "vecchia cultura, basata, in origine, su val uri cristiani che stanno morendo"; e, quanto al "vitalismo", che non riduce la vita a puro fenomeno di organizzazione molecolare della materia, si esprime meraviglia che "vi siano ancora persone ,intelligenti" che lo seguono (F. Crick, Uomini e molecole).

Desta in tutti indubbiamente stupore che la materia vivente abbia come componenti essenziali e sappia produrre nei microscopici laboratori chimici delle cellule, le sostanze organiche chiamate proteine (dal gr. protos, primo). Le loro molecole, costituite da vario numero e successione di "amminoacidi", sono enormemente complesse e non si riesce a produrle artificialmente (salvo qualche limitato successo, come quelli del Miller, 1951, che, partendo dai presumibili gas iniziali della terra, idrogeno, metano, ammoniaca, vapore acqueo, ottenne, mediante potenti scariche elettriche, vari amminoaddi).

Quando però recentemente si è scoperto lo speciale meccanismo di tale laboratorio chimico cellulare (che cioè le lunghe catene molecolari delle proteine sono codificate, ossia regolate dai geni dei cromosomi dei nuclei delle cellule, formati dall'acido nucleico DNA) si è creduto di avere spiegato, in termini puramente chimici, il segreto della vita (Crick, Monod). E, quanto al primo prodursi di tale meccanismo, lo si è attribuito ad una aggregazione, sempre più complessa, di atomi e molecole, in ambienti primitivi energeticamente idonei, fino allo sgorgare di tali adeguate strutture per puro gioco di probabilità, cioè per puro caso.

A parte che contro tale gioco di probabilità e tale produzione per caso, si oppone la matematica (perché - come ho già ripetuto - dal calcolo delle probabilità deriverebbe la necessità di un tempo di prove superiore alla età stessa della terra, come notò lo stesso J. B. S. Haldane, genetista pioniere di questa tesi), questa pretesa riduzione della vita al puro piano fisico-chimico e a quel meccanismo del DNA costituisce. per ben più intrinseci motivi, uno dei più clamorosi equivoci. moderni della scienza.

La scoperta infatti di quel potere codificatore, cioè regolatore dei geni, anziché svelare, accresce il segreto intimo della vita, rendendo più fitto il mistero di come possano queste particelle (con gli enzimi sollecitati e sollecitanti, ecc.) determinare gli spettacolari effetti di produzione di materia vivente non amorfa, ma mirabilmente organizzata. Perché si formerà nell'uomo il meraviglioso meccanismo della sua mano, tanto diversa da quella pur analoga della scimmia, con quella preziosa triplice capacità di presa, a pugno, a tanaglia (per l’opposizione del pollice) e a uncino e con tanta forza e tanta sensibilità? Perché nelle zone di appoggio del piede già si troverà nel neonato maggiore spessore della cute? Perché la formazione, ben più meravigliosa, dell'occhio? Perché la strabiliante organizzazione centrale del cervello? ecc. Chi ha scoperto i pulsanti di un complicatissimo meccanismo non ha spiegato per niente la sua interna struttura.


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Nel vivente ci deve essere un segreto intrinseco, un principio vitale che va al di là delle sue strutture fisico chimiche.

E' chiaro che nel vivente materiale non possono non aversi reazioni e bilanci energetici sul puro piano sperimentale fisico-chimico. Ed è pure chiaro che un suo eventuale superiore principio animatore non può risultare da dirette esperienze fisico-chimiche (modificazione dei bilanci energetici, ecc.), precisamente in quanto trascende tale piano. Ma, di fatto, la sua esistenza, quale principio unificatore e orientativo delle attività fisico-chimiche è provato dall'esperienza indiretta, cioè dal confronto generale delle caratteristiche di fondo del vivente, rispetto a quelle delle sostanze inanimate.

Basta riassumere gli aspetti fondamentali della vita: la sapiente ed elastica (non rigidamente geometrica, come nei cristalli) organizzazione, perfettamente finalizzata a vantaggio del soggetto e delle sue mirabili strutture, che non può derivare dal puro cieco, rigido e unidirezionale dinamismo fisico-chimico; il ciclo immanente impresso alle attività fisico-chimiche, in quanto partono dal soggetto e vi ritornano per conservarlo nella sua identità, difenderlo, ripararla, moltiplicarlo, non producendo nei suoi contatti attivi con la materia esterna una terza entità, come nelle reazioni chimiche tra sostanze inanimate, ma restando sempre se stesso; l'elevazione del materiale preso dall'esterno alla superiore complessità e minore stabilità del soggetto (corruttibilità del vivente), contro la tendenza a minor complessità e maggior stabilità dei composti inanimati (processo antientropico contro il processo entropico) (5).

Ora un tale principio vitale che trascende così a fondo il piano puramente fisico-chimico non può spontaneamente derivare da esso (6). Esso postula un intervento creativo dell'Artefice sommo.

Bene Salvador Dalì, davanti alle scoperte sui geni, poté dire: "Questa è per me la vera prova della esistenza di Dio".

 

Impossibile sprigionarsi spontaneo del fenomeno sensitivo.


Se l'evoluzione non può salire da se il generale gradino della vita, tanto meno può salire gli ulteriori gradini della vita stessa, per il passaggio dalla vita soltanto vegetativa, alla quale si arrestano le piante, alla sensitiva, degli animali e alla intellettiva, dell'uomo.

Consideriamo ora il gradino della sensazione.

L'attività sensitiva è la caratteristica del regno animale. Si apre il capitolo meraviglioso e il grande equivoco degli organi di senso.

Capitolo meraviglioso: perché gli organi di senso, in sé (basta pensare al capolavoro dell'occhio) e nei corrispettivi apparati dei sistema nervoso e negli apparati di locomozione per la risposta alle sensazioni, costituiscono la più alta espressione organizzativa della materia vivente.

Ma anche grande equivoco, quanto alla natura intrinseca della sensazione, equivoco che è nella linea stessa {aggravata) della suddetta riduzione del mistero della vita alla scoperta dei pulsanti operativi. Si sono scoperte infatti tutte le complesse strutture, tutte le connessioni nervose, tutte le tensioni e correnti elettriche e reazioni chimiche che accompagnano le attività sensorie. Da ciò la miope deduzione che in tali sole attività fisico-chimiche si risolva tutto il fenomeno sensitivo.

La sensazione invece è bene al di sopra. Quelle attività non sono che preparatorie e concomitanti. Che vi debbano essere è ovvio perché il fenomeno sensorio presuppone contatti fisici dei corpi (talora solo di particelle o onde: odorato, udito, vista) con gli organi esterni del senziente e successive trasmissioni interne delle rispettive reazioni: attività fisiche nelle quali debbono valere i bilanci energetici delle pure leggi fisiche. Ma la sensazione segue e si accompagna a tali attività: e scatta solo quando si produce il fenomeno in qualche modo conoscitivo dell'oggetto. Altrimenti sarebbe come confondere l'immagine fisica che si produce nella retina dell'occhio (come su una lastra fotografica) con la sensibile visione.


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La trascendenza del fenomeno conoscitivo - già nel primo stadio sensitivo che stiamo ora considerando - viene chiarita dal modo di congiunzione con gli oggetti. Una sostanza inanimata si congiunge chimicamente ad un'altra, creando un composto nel quale è perduta l'individualità di entrambi gli oggetti. Il vivente si congiunge all'alimento (di ben delimitata misura) e se ne appropria conservando la propria individualità e distruggendo quella dell'alimento. Il senziente si congiunge agli oggetti e in qualche modo se li appropria senza alcuna modificazione fisica, né propria, né di essi (salvo le temporanee e superficiali modificazioni del contatto e del correlativo dinamismo fisiologico dell'apparato sensitivo): e, in grazia proprio di tale invarianza fisica, può appropriarseli successivamente, senza limite quantitativo (tanto il sasso, quanto la montagna che domina il panorama) e quanti vuole; e può anche conservarli nel suo interno con la memoria.

La trascendenza di tale fenomeno implica quindi una smaterializzazione degli oggetti, un porsi al di sopra non solo del piano puramente fisico-chimico, ma anche del piano vegetativo, ossia del puro piano della vita. Ciò suppone (per la proporzione che deve esservi tra causa ed effetto) l'esistenza nel senziente di un principio sensitivo proporzionalmente superiore a tali piani, principio che non può quindi evolutivamente derivare da essi: né dalla materia inanimata, né dalla materia vivente di pura vita vegetativa.

Per superare tale gradino deve essere quindi intervenuto uno speciale atto creativo.


Impossibile sprigionarsi spontaneo del fenomeno intellettivo


Al di sopra dell'attività puramente sensitiva animale, l'attività intellettiva, il pensiero, caratterizza l'uomo.

E' l'ultimo gradino della vita. L'evoluzionismo è obbligato a considerarlo come l'ultima tappa del perfezionamento evolutivo dei viventi, negando l'esistenza di qualsiasi componente umana (l'anima spirituale, generatrice del pensiero) estranea alla materia, che spezzerebbe la continuità della linea perfettiva evolutiva (Teilhard de Chardin: "Esiste solo la materia che diventa spirito": L'Energie Humaine; "Spirito: stato superiore della materia": Le Coeur de la Matière).

Infatti - si insiste ordinariamente nei libri non vi può essere per l'intellezione un salto di qualità, visto che si nota un progressivo sviluppo dell'intelligenza dagli animali inferiori all'uomo e un corrispondente sviluppo materiale del cervello e specialmente della corteccia cerebrale. Questa ricopre con miliardi e miliardi di cellule nervose stratificate gli emisferi cerebrali, con una superficie complessiva che nell'uomo, in grazia delle pieghe e dei profondi solchi, è pari a un quadrato di quasi 50 cm. di lato. E si sa che questa parte esterna dell'encefalo condiziona precisamente le attività coscienti e intellettive: tanto è vero che, una volta lesionata, non si ragiona più. Dunque il pensiero viene da lì e non da una ipotetica, invisibile anima spirituale.


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Con che ci tocca un'altra colossale confusione. Rimando al prossimo paragrafo il problema dell'istinto degli animali e dell'apparente, ma ingannevole suo allineamento con l'intelligenza umana. Riflettiamo ora alla relazione tra intelligenza e cervello. L'enorme equivoco consiste - al solito - nel confondere l'attività materiale cerebrale, che accompagna e condiziona l'attività intellettiva, con l'essenza di questa. E in conseguenza si confonde la sorgente cerebrale di quella attività concomitante (strumentale) con la vera sorgente dell'attività intellettiva, ossia del pensiero. Sarebbe come, per esempio, se si attribuisse un quadro al pennello invece che al pittore, per il fatto che questi ha dovuto necessariamente usare, come strumento, il pennello.

Un'attività materiale, concomitante e condizionante per l'attività stessa del pensiero umano è naturale, data l'unità attiva del soggetto, in quanto vivo, senziente, pensante: tanto più che l'alimento al pensiero viene dato dal contatto sensibile con le cose esterne (l'anima umana è spirituale e immortale, ma non è un angelo). Ed è anche naturale e meraviglioso (una meraviglia che si risolve nuovamente in drastica esclusione dell'ipotesi di strutture puramente derivanti dal caso) che strumento concomitante e condizionante del pensiero sia la prodigiosa "centrale" del cervello. Questo, raggiungendo con le sue diramazioni più sottili ogni minimo punto del corpo, regolando tutta l'attività sensitiva e motrice e condizionando anche l'attività intellettiva, garantisce l'unità operativa del soggetto.

Ma se si vuole scoprire la vera componente umana produttrice del pensiero, bisogna usare la via sperimentale indiretta: analizzare cioè le qualità intrinseche di tale prodotto, per risalire da esso all'entità produttrice. Si tratta cioè di passare dall'effetto alla causa principale che vi si deve ovviamente proporzionare. Ebbene, ogni pensiero, ogni nozione, pur relativa a entità corporee, si presenta come realtà fenomenica in sé totalmente smaterializzata, cioè immateriale non in modo parziale, come la sensazione (la quale resta correlata ogni volta, successivamente, a questo o quello oggetto, chiuso nella sua individualità corporea: vedo questo sasso o quell'altro sasso), ma in modo totale. Esso è cioè caratterizzato dalla radicale astrazione da ogni coartazione numerica e quantitativa dell'oggetto, elevandosi al concetto della cosa, riferibile a tutti gli oggetti della stessa natura (l'idea di sasso è toticomprensiva, indipendente da questo o quel sasso, da ogni grandezza e numero: è un'appropriazione conoscitiva di tutti i sassi). Quanto poi alle idee di cose già in se stesse totalmente immateriali, come virtù, dovere, ecc., la immaterialità radicale è ovvia. Ed è per tale qualità che le idee si possono logicamente concatenare nel ragionamento.

Si deve perciò dedurre, con assoluta certezza, che esiste nell'uomo una fonte del pensiero sullo stesso piano di esso e quindi totalmente immateriale: l'anima spirituale (perciò, a differenza dei corpi, non corruttibile, sussistente, immortale).

Nessuna difficoltà che la produzione del pensiero si accompagni - per la suddetta unità - ad una attività cerebrale. Impossibilità invece assoluta che derivi da essa. Sarebbe altrimenti come attendere vino da una botte d'acqua.

Questa componente dell'uomo, l'anima spirituale, non può quindi derivare da una trasformazione evolutiva della materia.

Esige un superiore atto creativo.


Negli animali, intelligenza o istinto?


Al grande salto di qualità dell'intelligenza umana sembra contraddire l'intelligenza, sia pure limitata, generalmente attribuita anche agli animali (è comune opinione popolare). Essi l'avrebbero, secondo le varie specie, in proporzione con la massa (soprattutto la corteccia) cerebrale. Per esempio, gli animali domestici capiscono gli ordini del padrone.

Ma vi sono tanti modi di capire, nel senso di rispondere, reagire alle iniziative dell'uomo. Il problema va posto in altri termini. Bisogna chiedersi se gli animali sono capaci di farsi l'idea delle cose (nella quale soltanto si esprime l'intelligenza e si rivela l'anima spirituale) o hanno solamente delle immagini e sensazioni (piano sensitivo, non intellettivo), alle quali reagiscono, non per riflessione intellettuale, ma per istinto, che resta ancora nel piano soltanto sensitivo, nonostante le apparenze contrarie.

Che l'istinto, pur non derivando da riflessione razionale, possa avere grande efficienza operativa risulta anche dalla diretta esperienza umana dei nostri comportamenti irriflessi: istinto di conservazione, spontanee attrazioni e ripulse per ciò che piace o dispiace, atti coordinati e irriflessi derivanti dall'abitudine di certe azioni, reazioni motrici estremamente complesse e automatiche, per esempio, per ristabilire l'equilibrio e non cadere, ecc.

Per gli animali, in realtà, si tratta solo di questo. Basta accennare ad alcuni fatti. Il primo è la mancanza della parola, normale manifestazione delle idee: mancanza che non dipende da impotenza fisiologica, come oggi è stato provato per alcune specie. Tutti conoscono le articolate parole pronunciate dagli "uccelli parlanti", gracula, pappagallo, ecc. (dunque non impotenza fisiologica). Ma è solo imitazione. Né si possono assimilare alla parola intelligente alcuni rudimentali suoni, segnaletici di stati emotivi.

Vi è poi la fissità assoluta dei comportamenti, sia lungo i secoli che nelle esistenze individuali, il che è contro la legge generale dell'intelligenza, il progresso. Piccole modificazioni derivanti da adattamento ambientale, nuove esperienze, imitazioni, ammaestramento, si spiegano con semplici associazioni mnemoniche, sensitive e non tolgono la fondamentale e universale fissità.

La onerosissima e industriosissima cura della prole esclude pure un amore cosciente. E' priva di qualsiasi vantaggio personale ed è riferita a individui che o non saranno mai visti (fatto tipico negli insetti) o mai recheranno alcuna utilità ai genitori, divenendone anzi competitori. O cieco istinto dunque o assurda supposizione di un disinteressato e sacrificatissimo amore ecologico per la conservazione della specie.

Decisiva è poi la straordinaria abilità di certi comportamenti i quali, se dipendessero da vera intelligenza, la rivelerebbero assolutamente eccessiva. Gli animali cioè, se fossero intelligenti sarebbero troppo intelligenti. La loro intelligenza sarebbe inoltre paradossalmente tanto maggiore negli animali con minore, piccolissima o quasi nulla massa cerebrale (uccelli, insetti). E si tratta di una abilità prodigiosa che esplode pienamente in tutti i nuovi individui, senza alcun ammaestramento, non avendo in genere i nuovi nati visto all'opera o neanche conosciuto i genitori (nidi degli uccelli o degli insetti; abile cattura della preda). Per l'abilità costruttiva per esempio, si ricordino: le costruzioni dei Castori; i nidi del Passero tessitore; l'arrotolamento della foglia a forma di sigaro (per attaccarvi dentro le uova) compiuta dal coleottero Curculionide con due abilissimi tagli a forma di S, in complementare orientamento, a destra e a sinistra della nervatura, incidendo anche questa parzialmente perché la foglia appassisca, ma non muoia, così da potere a suo tempo nutrire le larve; il capolavoro delle tele di ragno, tese perfettamente da quel minuscolo essere tra vari punti di appoggio di fortuna distantissimi e con la scelta del filo appiccicaticcio o no secondo che serve per la preda o per sostegno; i colossali termitai di terra cementata con speciale saliva delle termiti, duri come rocce, che si elevano sul terreno anche fino a 7 metri; l'insuperabile alveare, con cui le api risolvono l'arduo problema del massimo volume utile e della massima resistenza col minimo materiale. Ricorderò, a quest'ultimo riguardo, che un alveare capace di due chili di miele pesa a vuoto solo 40 grammi, lo spessore delle pareti delle celle è di 7 centesimi di millimetro, la forma esagonale (esattissima) è la più idonea per solidale robustezza e utilizzazione dello spazio nell'insieme dei due strati di celle anteriore e posteriore (il vertice di fondo di una celia posteriore occupa esattamente il vuoto tra i vertici di tre celle adiacenti anteriori, strettamente combacianti perché l'angolo dell'esagono è di 120 gradi); con grande meraviglia si è anche scoperto che la profondità del fondo piramidale esagonale di ogni celletta è scelta con un angolo che corrisponde al minimo sviluppo superficiale col massimo volume (problema dell'isoperimetro) e, mentre da un primo calcolo matematico era risultato un piccolo scarto dall'angolo ottimale, si è poi trovato che il calcolo era stato sbagliato e che le api avevano ragione; tutti poi conoscono la meravigliosa organizzazione sociale delle api, con la più accurata divisione dei compiti (ci sono perfino le ventilatrici alle porte dell'alveare), ecc. Ricorderò ancora, per esempio, lo Sfecide di Linguadoca (popolarmente: Vespa assassina) che saetta col pungiglione i gangli nervosi della Efippigera delle vigne e ne comprime senza ferirlo il cervello, in modo da paralizzarla e trasportarla viva nella tana, come cibo per le larve che nasceranno dalle uova depostevi: e sceglie la femmina perché ricca delle proprie uova. Non posso fare a meno di citare anche la formica asiatica e africana del genere Oecophylla (vuol dire: casa di foglie) che vive sui rami in nidi di foglie cucite insieme. Fu scoperta alla fine del secolo scorso. Una schiera di operaie, agganciatasi con le unghie posteriori al lembo di una foglia, si sporgono per afferrare con le mandibole il lembo della foglia vicina; se non vi arrivano spingono avanti, agguantate con le mandibole a metà vita, altre operaie e, all'occorrenza altre e altre ancora, formando una specie di braccio a sbalzo di formiche, concatenate l'una all'altra; raggiunto, tirato e fatto combaciare quel lembo accanto al primo, altre operaie portano con le mandibole, come fossero dei fusi, le loro larve, dalla cui bocca spremono un filo di seta che attaccano a zig-zag ai due lembi, fissandoli insieme; e così per altre foglie, fino a nido compiuto. (Altri mirabili particolari in Le Scienze, marzo 1978).

Non dunque intelligenza, - né anima spirituale (7) - ma istinto, che rimane nel piano soltanto sensitivo: cieco quanto a coscienza razionale riflessiva, mirabile quanto ad abilità naturale. Nessuna difficoltà quindi contro la esclusiva intellettualità dell'uomo.

E quanto al necessario intervento del sommo Artefice, si ha qui una validissima conferma, perché tanta incosciente sapienza non può derivare che dall'Artefice sapientissimo di quelle nature, con quegli istinti.