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Perchè vi è l'ESISTENTE e non il NULLA ???

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    00 17/08/2010 17:06

    L'ESSENTE E IL NULLA

    17 Agosto 2010 da angeloluciorossi

    "Perchè vi è, in generale, l'essente e non il nulla?": così Heidegger formula la domanda metafisica.

    "Ecco la domanda.Non si tratta, presumibilmente di una domanda qualsiasi.E' chiaro che la domanda:"perchè vi è, in generale, l'essente e non il nulla?" è la prima di tutte le domande. Non certo la prima per quanto riguarda l'ordine temporale. I singoli, e anche i popoli, si pongono una quantità di domande nel corso del loro sviluppo storico attraverso i tempi; affrontano, esplorano, indagano ogni sorta di cose prima di imbattersi nella domanda:"perchè vi è,in generale, l'essente e non il nulla?". Capita a molti di non imbattersi addirittura mai in una simile domanda, né di chiedersene mai il significato:dato che non si tratta di fermarsi alla pura e semplice enunciazione, sentita o letta, della frase interrogativa, ma di formulare la domanda, di farla sorgere, di porla, di immetersi nella necessità di questo domandare. Eppure, capita a ciascuno di noi di essere, almeno una volta e magari più di una, sfiorato dalla forza nascosta di questa domanda, senza tuttavia ben rendersene conto. In certi momenti di profonda disperazione, ad esempio, quando ogni consistenza delle cose sembra venir meno e ogni significato oscurarsi, la domanda risorge. Può darsi che una sola volta essa ci abbia colpito, come il suono cupo di una campana echeggiante nell'intimo e che vada via via morendo. Oppure la domanda si presenta in una esplosione giubilante del cuore, allorché repentinamente tutte le cose si trasformano e ci attorniano come per la prima volta, tanto che riuscirebbe più facile concepire che esse non siano piuttosto che siano proprio come sono. La domanda si presenta anche in certi momenti di noia, quando ci sentiamo ugualmente distanti dalla disperazione come dalla gioia; ma in modo tale che l'icombente normalità di ciò che è induce a una desolazione nella quale appare indifferente che ciò che è sia o non sia. Allora, in guisa ancor più pertinente, risuona ancora la domanda:"Perché vi è in generale, l'essente e non il nulla?"
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    00 21/09/2010 08:40
    Il nulla e l'essere
     di Pasquale Foresi
    Fonte:    Città nuova

    Come arrivare alla vera conoscenza, senza fermarsi al buio, quasi anticipo dell'inferno?

    La ragione discorsiva non è atta a farmi cogliere nella sua immediatezza la realtà dell'essere. Dal momento che è l'espressione dell'intelletto in quanto legato alla contingenza, essa non può che procedere nella forma di una scansione temporale. Ora, poiché la realtà vera consiste, come abbiamo detto (Città nuova n. 14/2008), nell'essere partecipazione di Dio, quindi nell'essere atemporale, nell'essere eternità, soltanto nell'attimo presente, in quanto attimo dell'eterno, posso avere la percezione della realtà e dire così di conoscere atemporalmente, il che significa cogliere la realtà immediatamente nella sua totalità e oggettività. Con la ragione, invece, trasferisco la realtà nel tempo, sì che alla sua verità potrò approssimarmi solo progressivamente. Ma posso io cogliere la realtà, nella sua immediatezza e totalità, senza l'opera della grazia? Senz'altro posso conseguire una conoscenza filosofica vera mediante la ragione discorsiva, temporale e dunque tipicamente creaturale. Altra cosa è un tipo di conoscenza implicante l'esistere in senso pieno, l'io totale, diremmo, quale è pensato da Dio in relazione personale con lui: questa, penso, non possa raggiungersi senza l'aiuto della grazia. Ciò mi pare confermato dal fatto che, ad esempio, alcuni filosofi esistenzialisti, astraendo esplicitamente da un contesto di relazione con Dio, pervengono nel loro cammino conoscitivo, che pur presenta forme analoghe al nostro, non alla percezione dell'esistere in Dio e con Dio, ma alla percezione del Nulla: un nulla che ha una sua consistenza, che è un non essere esistente. Essi, non vedendosi in Dio, si conoscono in un buio che non è luminoso e che ha i tratti del nulla; in certo senso, si può dire che è l'anticipo dell'inferno. Il grande mistero dell'inferno è infatti questo: essere un nulla esistente, una esistenza al negativo, e non semplice non essere o carenza di essere e di esistenza, aristotelicamente intesa. Ora, se in una filosofia astratta è possibile pensare il niente come pura negazione, come nihil, come vacuum, in una filosofia che parte dalla percezione dell'esistenza, il niente, che in sé non sarebbe percepibile, richiede di essere pensato al positivo, quindi come un non esistente, come affermazione di una negatività. E di fatto, è il niente così inteso che, in alcune forme di esistenzialismo, viene percepito e che conduce ad una sorta di mistica naturale, ove il Nulla è l'unica vera spiegazione dell'esistenza. In esse la percezione del tempo, quale momento di congiunzione fra esistenza e temporalità, si accompagna, sì, alla percezione della atemporalità di sé, ma la percezione di queste due realtà simultaneamente esistenti e opposte - l'atemporalità nel tempo, l'essere infinito nella finitezza - sfocia nell'angoscia metafisica - dolore dell'essere che percepisce ciò che non è - e nell'incomunicabilità. In realtà, l'incomunicabilità fra me e gli altri è superata proprio dal fatto che ritrovo il mio stesso essere - partecipatomi da Dio, Dio partecipato - partecipato in tutti. E lo ritrovo nella misura in cui si attua fra noi quell'amore che è donazione totale di sé e che ha la sua fonte e il suo modello nella vita stessa di Dio, l'Unitrino. Esperienza dell'unità, ove ciascuno, seppur distinto, ritrova sé stesso nell'essere con gli altri, nell'essere negli altri. Questa visione dell'essere, che è in quanto è in relazione con Dio e quindi con gli altri uomini, mi dà di cogliere in ognuno il disegno di Dio, cioè la sua Parola nel Verbo e, al tempo stesso, il suo dover essere parola nel tempo. Qui è la radice più profonda del nostro essere uno: il percepire non tanto ciò che ciascuno è o appare, quanto ciò che Dio pensa di lui, che è già in lui, ma che deve emergere e scoprirsi a lui stesso e agli altri. E qui è anche la radice di una nuova forma di conoscenza: quella che ha da arrivare all'essenza dell'essere e all'essere dell'essenza che è dentro ciascuno di noi.

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    00 29/11/2010 09:36

    L’astrofisico Bersanelli risponde magistralmente a Stephen Hawking.

    SE L'ESISTENTE FOSSE DERIVATO DAL NULLA, QUEST'ULTIMO DOVREBBE ESSERE ENORMEMENTE COMPLESSO, E DONDE VIENE QUESTA COMPLESSITA' ?

    La serie infinta di scienziati e astrofici che hanno risposto a Stephen Hawking è interminabile (ne abbiamo raccolti alcuni qui: Ultimissima 4/9/10). Questo di per sé dice molto sia sulla variabilità infinita di opinioni diverse presenti nella scienza (molto più che nel mondo religioso), sia della assoluta non evidenza di quanto sostiene il grande astrofisico Hawking. Uno degli ultimi, cronologicamente parlando, a rispondergli è stato Marco Bersanelli, uno fra gli astrofisici italiani più importanti. Docente di Astrofisica all’Università degli Studi di Milano, membro dell’Istituto di Fisica Cosmica del CNR e dell’Agenzia Spaziale Europea. E’ specializzato proprio nell’osservazione dell’universo primordiale ed è a capo a livello internazionale della progettazione e sviluppo del Low Frequency Instrument utilizzato dal satellite Planck Surveyor. Secondo noi è un intervento davvero esaustivo, per questo lo abbiamo mantenuto nella sua quasi integrità. Lo si può trovare comunque su Tracce.it.

    1) L’idea di Hawking non è nuova, non è verificabile o falsificabile, quindi è un opzione metafisica.
    «Nei miliardi di anni l’universo è passato da uno stato di massima semplicità a una fioritura impensabile, nella quale hanno trovato posto la complessità e la vita, fino alla coscienza. Alcuni scienziati, forse preoccupati di evitare ogni cenno finalistico, propongono che la straordinaria predisposizione dell’universo alla vita sia un puro effetto di selezione. Ad essi si è unito anche Hawking, con il suo ultimo libro divulgativo annunciato nei giorni scorsi da un battage mediatico internazionale senza precedenti. Essi postulano l’esistenza di una moltitudine di universi, sconnessi e inaccessibili, nei quali le proprietà di base (leggi fisiche, valore delle costanti, dimensioni spazio-temporali…) assumono tutti i possibili valori, diversi da quelli che abbiamo “quaggiù”, nel nostro universo. Noi vediamo un cosmo adatto alla vita semplicemente perché tra gli innumerevoli universi (che insieme costituirebbero il cosiddetto “multiverso”) non potevamo che ritrovarci in uno di quelli compatibili con essa. Non ci sarebbe dunque bisogno di una scelta preordinata da parte di un creatore. Per la verità l’idea non è affatto originale, visto che fu proposta nel 1895 dal filosofo William James, e da allora è stata più volte riciclata in diverse versioni in ambito cosmologico. Ma dal punto di vista scientifico questa visione soffre di una grave malattia: essa non può essere verificata o falsificata, essendo le altre regioni del “multiverso” per definizione causalmente sconnesse dalla nostra. Il che allo stato attuale rende quest’idea più simile a una opzione metafisica che a una teoria scientifica, e come tale andrebbe presentata – indipendentemente dalla fama dell’autore – e eventualmente paragonata ad altre visioni metafisiche».

    2) Il vuoto di Hawking è in realtà un pieno di leggi fisiche. E chi se l’è inventate?
    Ma ammettiamo per un momento, facendo leva sulla fantasia, che un domani troveremo nuovi percorsi che ci permetteranno di parlare in modo scientificamente sensato di una realtà fisica che eccede quello che oggi chiamiamo “universo”. In quel caso avremmo solo spostato più in là l’orizzonte, come quando Hubble nel 1922 mostrò che l’universo non coincide con la nostra Galassia ma è un oceano di miliardi di galassie. L’universo sarebbe ancor più vasto di quel che oggi pensiamo, ma la domanda fondamentale resterebbe intatta: da dove proviene, ultimamente, tutto ciò? «L’universo ha creato se stesso dal nulla, non c’è bisogno di alcun creatore», risponde Hawking, caricando l’affermazione della sua pesante autorità di scienziato. Ma che cos’è allora questo “nulla” dal quale tutto avrebbe preso le mosse? Hawking risponderà che è il “vuoto” quantistico primordiale nel quale una fluttuazione può dare origine a una particella, e in linea di principio a realtà fisiche più complesse. Ma questo significa che il “vuoto” dei fisici è radicalmente diverso dal “nulla” del filosofo e del teologo. Anzi, se le cose fossero davvero andate così, quel “vuoto” iniziale finirebbe per essere l’opposto del “nulla”: sarebbe la realtà fisica più “piena” che si possa immaginare, il seme creato dal quale sboccia il fiore dell’universo. Rinasce perciò inevitabile la domanda: questo “vuoto” primordiale, da dove viene? E le leggi della fisica, che in esso agiscono, chi se l’è inventate? Se anche ci fossero moltitudini di universi con leggi diverse, da dove verrebbe la meta-legge così ben congegnata da generare tutto ciò? L’esigenza di spiegazione della ragione umana non si arresta: nessuna “teoria del tutto” potrà mai acquietare la sete di indagare oltre.

    3) Rimarrà sempre da chiedersi il “perché”.
    Ma c’è un’ultima, più pungente domanda: perché? È la stessa domanda del bambino. E del filosofo: «Perché l’essere invece che il nulla?», direbbe lui. Oppure del poeta: «A che tante facelle?». Perché il fiore, a che scopo l’universo? Perché noi, in questo immenso alveo cosmico, così stranamente capaci di comprendere il reale? Perché questa bellezza del mondo, che la scienza ci consente di contemplare sempre più in profondità? Perché il dolore, perché il nostro infinito desiderio, la nostra sete di conoscenza e di felicità? Ecco l’esigenza abissale, alla quale la scienza non è capace neanche di balbettare una risposta. Da dove proviene l’esserci delle cose, ora? L’evidenza della creazione non va cercata anzitutto nel passato, ma nella sorpresa che le cose ci sono in ogni istante, ora: io non mi faccio da me, ogni cosa, se potesse pensare, dovrebbe dire: «Io non mi faccio da me». Quel momento drammatico di 13,7 miliardi di anni fa, quando tempo e spazio ebbero inizio, è un segno grandioso della contingenza dell’universo. Ma la creazione non è relegata a quel remoto evento. Essa è l’atto misterioso che trae dal nulla ogni istante di ogni stella o fiore o bimbo dell’universo.

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    00 14/01/2012 22:29

    Il peccato dell’ateismo militante: per negare Dio, deve negare l’uomo


     

    di Francesco Agnoli*
    *scrittore e giornalista

     
     

    Alcuni grandi poeti, da Verlaine a Pascoli a Pirandello, sono vissuti nell’epoca del positivismo scientista, che proponeva di sostituire Dio con l’uomo, la teologia con la scienza, l’immortalità dell’anima con l’onnipotenza della tecnologia e delle scienze esatte, le quali, secondo alcuni, porteranno l’uomo alla felicità e all’immortalità già su questa terra. Sono vissuti nell’epoca del Titanic che affonda, nonostante tutta la sua prosopopea, e della onnipotenza tecnologica che si rivela, se utilizzata male, mortale e distruttiva nella I° guerra mondiale. Eppure loro, non credenti, non hanno dovuto certo aspettare il fallimento del positivismo e l’affondamento dei Titanic, per intuirli, per prevederli, per comprendere che l’uomo non basta a se stesso, che nessuna ricetta di salvezza prodotta da qualche fervida mente terrestre esaurisce l’immensità del desiderio e i misteri della realtà, terrena e celeste. Sapevano molto bene che se Dio c’è, o se solo lo si ritiene possibile, ogni ricerca è aperta; ma se non c’è, la ricerca è già finita, lo scopo del viaggio dell’esistenza, già da principio, negato.

    Poeti come BaudelaireMontaleVerlainePascoliHuysmansUngaretti, sapevano infatti, in mezzo alle trincee, dinanzi alla morte, allo spleen, al male di vivere, alle illusioni politiche dei loro contemporanei intruppati con le loro camice rosse, o nere, o brune, che solo se Dio esiste, noi siamo veramente, durevolmente, significativamente; solo se Lui è, non vi è il nulla a precederci ed il nulla a non attenderci; solo se Lui è, i nostri pensieri, i nostri atti sono non soffi di vento, né gesti inconsulti nel vuoto, né istanti separati secondo il prima e il poi, ma costituiscono una identità, una storia, una vicenda unica e irripetibile, dotata di senso; solo se Lui è, se il nostro essere partecipa del suo Essere, allora ha senso amare, perseguire la verità, la giustizia, distinguere tra vero e falso, scegliere tra bene e male. Solo se Lui esiste ha senso che ogni cosa terrena ci dica: non basto, “più in là”, perché ogni oggetto terrestre si rivela povero, ogni amore umano incompleto, ogni giustizia mancante, ogni felicità incompiuta, ogni bene, per quanto immagine e presagio di un Bene più grande, corrotto, di contro al nostro desiderio infinito di Felicità. Se Lui non è, insomma, tutta la nostra esistenza cade nell’assurdo, e il suicidio diventa l’unico gesto possibile, una protesta contro il non senso, oppure l’ammissione che vivere o morire, amare o scomparire, uguali sono. “Vi è un solo problema filosofico – scriverà coerentemente l’ateo Camusveramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita vale la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia”.

    La grandezza dell’ “ateismo tragico”, che vero ateismo non è, sta in questo: che non si rassegna a negare Dio, per non dover negare anche l’uomo. Per coloro che indagano l’uomo, egli rimane un grande miracolo, un mistero che non è possibile ridurre, come fanno tutte le ideologie atee, a infinitamente meno di ciò che egli è. Perché negare Dio ha significato, da sempre, ridurre l’uomo ad un elemento della natura, equivalente ad un sasso o un albero; ridurlo via via a frutto del Caso, a un “esito inatteso”, a una “eccezionale fatalità”, a un aggregato di materia senz’anima, a un meccanismo geneticamente determinato, a un membro indistinto di una non meglio identificata Umanità, di una Razza o di una Classe sociale. E’ infatti una caratteristica tipica di tutti gli ateismi – da quello darwinista-materialista a quello marxista, da quello animalista a quello new age – quasi un risentimento, un rancore verso l’uomo, come singolo, unico e irripetibile, che reclama testardamente un senso più alto. Già il filosofo illuminista d’Holbac, uno dei più coerenti e influenti atei del secolo dei cosiddetti Lumi, sosteneva che l’uomo è un essere presuntuoso e superbo, che non comprende la sua contingenza, il fatto che può essere o non essere, dal momento che solo la materia è necessaria. L’uomo sarebbe opera della natura, infinita, eterna, immortale, e null’altro: “non può nemmeno nel pensiero uscirne. Inutilmente il suo spirito vuole lanciarsi al di là dei limiti del mondo visibile”. Gli faceva eco, nella sua “Lettera sui ciechi” (1749), prefigurando un argomento che sarebbe diventato centrale per gli evoluzionisti materialisti, l’ateoDiderot, descrivendo la genesi del cosmo da una serie di tentativi ed errori “fortunati” della natura, da una congerie di combinazioni e trasformazioni casuali alla fine delle quali l’uomo avrebbe benissimo potuto non comparire. Se allora è, è per caso, “quest’essere orgoglioso che si chiama uomo, [che] dissolto e disperso tra le molecole della materia, sarebbe rimasto, forse per sempre, nel numero dei possibili”. Sarà, questo della possibilità dell’uomo di essere o non essere, come un accidente o un incidente qualsiasi, un leit motiv di tutta la propaganda atea degli ultimi due secoli, sino alle definizioni di uomo come “un numero uscito alla roulette” del celebre scienziato J. Monod , come “figlio del caso” di Telmo Pievani, come “cancro del pianeta”, secondo l’ottica di tanti movimenti animalisti, o come “incidente congelato”, che c’è, ma avrebbe potuto anche non esistere, del celebre fisico, biologo e genetista evoluzionistaEdoardo Boncinelli.

    Ma se Dio non esiste, allora chi è quell’essere che canta, suona, dipinge, scolpisce, che da sempre si chiede il senso della sua vita, che immagina che la sua anima sia immortale, che si domanda cosa siano il bene e il male, che crea la filosofia per comprendere l’archè, l’origine di tutto, che ragiona e scrive, in ogni secolo, di valori, di verità da cercare, di bene da compiere, di meccanismi della natura da capire… che da sempre, unico tra tutti gli animali, costruisce tombe per i suoi cari, gettando così un ponte tra l’aldiqua e l’aldilà? Chi è, se non un pazzo che esalta ingiustamente il suo destino oltre le stelle, mentre dovrebbe sapere che finirà sotto terra, per sempre e null’altro? Chi è, se non un essere più stupido, più spregevole degli animali, che non cercano, non indagano, non sperano, ciò che, in verità, appunto, non esiste? Eppure non è difficile accorgersi, come scriveva Pascal, che “l’uomo supera infinitamente l’uomo”, che la natura umana, composta di anima e corpo, supera infinitamente quella delle altre creature: non solo osservando la vita morale degli uomini, la loro possibilità di dire “io”, di imporsi sulla loro stessa natura animale, ad esempio offrendo la propria vita per il prossimo, ma anche riconoscendo che l’uomo indaga e conosce, sempre più, la natura di ciò che gli è inferiore, comprende il moto delle stelle e scruta le leggi della cellula, viola gli spazi stellati e percorre i mari, ma rimane perfettamente incapace, oggi come ieri, di definire con una formula, di rinchiudere in una legge, di comprendere con le scienze – naturali, mediche, biologiche, fisiche – la coscienza, la libertà, l’intelligenza, il desiderio di infinito, la aspirazione a Dio.

    Si comprende anche qui che l’ateismo è una “fede”: chi non crede in Dio, crede, di conseguenza, a una grande quantità di cose sull’uomo, sulla sua natura, sul non senso della sua vita. Di conseguenza, se è coerente, imposterà la sua vita su alcuni dogmi: uomo uguale animale, uomo uguale materia, vita terrena uguale unico orizzonte dell’uomo…bene e male, vero e falso non esistono, o meglio, si equivalgono e sono in balia del capriccio umano… Scriveva molto logicamente l’ateo Sartre“L’esistenzialismo pensa che è molto scomodo che Dio non esista, poiché con Dio svanisce ogni possibilità di ritrovare dei valori in un cielo intelligibile; non può più esserci un bene a priori poiché non vi è nessuna coscienza infinita e perfetta per pensarlo; non sta scritto da nessuna parte che il bene esiste, che bisogna essere onesti, che non si deve mentire e per questa precisa ragione: che siamo su di un piano dove ci sono solamente degli uomini” (J.P. Sartre, “L’esistenzialismo è un umanesimo”, Milano, 1963, p.46).  In verità, prima che negare Dio,l’ateismo nega l’uomo.

    Da: Perché non possiamo essere atei (Piemme 2009)
     

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    00 03/05/2012 22:47

    La scienza non riesce a spiegare
    perché c’è qualcosa anziché niente

    Probabilmente è un articolo in risposta alle recenti posizioni scientiste dell’astrofisico Stephen Hawking, già ampiamente criticate anche su questo sito web (e da parecchi suoi colleghi). Dopo Hawking, anche Lawrence Krauss ha affermato la stessa tesi (anche questa è stata analizzata sul nostro portale) nel suo libro “A Universe from Nothing”. Horgan risponde proprio a quest’ultimo, spiegando che nel suo pensiero di un universo nato dal “nulla” «non c’è nulla di nuovo», era già stato teorizzato da John Wheeler e Andrei Linde. Ma essi sapevano bene di proporre qualcosa di stravagante, al contrario «Krauss ci chiede di prendere» la sua teoria «sul serio, e lo stesso fa il biologo evoluzionista Richard Dawkins». Evidentemente è una tesi che suscita calore nella tribù ateista, tanto che il leader del fondamentalismo antireligioso ha firmato la postfazione del libro di Krauss, spiegando che«anche l’ultima carta del teologo raggrinzirà davanti ai vostri occhi mentre state leggendo queste pagine [...]. Se “L’origine delle specie” è stato il colpo micidiale della biologia al soprannaturale, possiamo guardare “un universo dal nulla” come l’equivalente da parte della cosmologia». Notiamo che lo zoologo in pensione cita il titolo breve dell’opera di Darwin, dato che si è saputo non conoscere il titolo completo.

    Horgan si prende comunque gioco di lui: «Whaaaa …?! Dawkins sta confrontando il più profondo trattato scientifico della storia ad un libro di “pop-science” che ricicla un sacco di idee stantie della fisica e della cosmologia? Questa assurda iperbole dice meno dei meriti del libro di Krauss di quanto non faccia l’inteso odio che Dawkins prova verso la religione». Il divulgatore cita anche la dura recensione al libro di Krauss arrivata dal filosofo David Albert, specialista della teoria quantistica, arrivata dalle colonne di “The New York Times”il quale ha liquidato così le tesi di Krauss: «Dove sono, tanto per cominciare, le leggi della meccanica quantistica che si suppone provengono da?». Le moderne teorie quantistiche dei campi, sottolinea Albert, «non hanno nulla da dire a proposito di quei campi da dove provengono, o di perché il mondo dovrebbe essere costituito da particolari tipi di campi, o del perché avrebbe dovuto essere costituito da campi, o del perché avrebbe dovuto esserci un mondo, in primo luogo. Caso chiuso. Fine della storia».

    Horgan ha proseguito il suo articolo paragonando le tesi di Hawking e Krauss a quelle di Jim Holt e del romanziere John Updike, i quali sostenevano -seppur con sfumature diverse- che Dio aveva creato il mondo per noia o che lo aveva fatto perché colpito da una crisi di identità cosmica. «Questa idea», si conclude su “Scientific American”«è del tutto stravagante, certo, ma non più, a mio avviso, dell’assurda pretesa di Krauss e altri scienziati che pensano di aver risolto l’enigma dell’esistenza». E infine: «Quando gli scienziati insistono dicendo di aver risolto, o presto risolveranno, tutti i misteri, tra cui quello più grande di tutti, fanno un cattivo servizio alla scienza, e diventano speculari ai fondamentalisti religiosi che tanto disprezzano. Comte sbagliò su “come” la scienza è limitata, ma non sul fatto che è limitata».

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    00 17/05/2015 15:20

    Perché esiste qualcosa e non il nulla:
    considerazioni di un matematico

    Terra spazio 
     
    di Paolo Di Sia*
    *docente di Matematica presso Libera Università di Bolzano e l’Università di Verona

     

    Le argomentazioni relative al “perché esiste qualcosa e non il nulla” sono, assieme al concetto di “infinito”, al “senso” della vita e della realtà, al “destino” del futuro, all’”essenza ultima” dello spazio e del tempo e altre ad esse correlate, tematiche che hanno coinvolto, nel corso della storia dell’uomo, pensatori, uomini di scienza, filosofi, teologi, religiosi. La questione su perché esiste qualcosa e non il nulla viene spesso considerata come la “madre di tutte le questioni” (P. Di Sia, Looking at the Dimension of Time among Science, Psychology and Everyday Reality, International Letters of Social and Humanistic Sciences (ILSHS), 1(2), 146-153, 2015).

    Alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, l’universo accessibile alle osservazioni dell’uomo sembra essere il risultato di una concatenazione di cause, scientificamente spiegabili, che iniziò circa 14 miliardi di anni fa con un primo evento conosciuto con il nome di “big-bang”. Ma cosa ha causato il big-bang?

    a) Una corrente di pensiero afferma che non ha senso porsi questa domanda, poiché se assumiamo che il tempo è nato con il big-bang, nulla era in essere prima di tale evento; viene in questo modo evitata la questione relativa ad una “causa precedente” ad esso. Già S. Agostino si era reso conto di questa difficoltà e ne aveva parlato nella sua opera “Le confessioni”, scritta tra il 397 e il 400 d.C. e considerata uno dei massimi capolavori della letteratura cristiana (Agostino, Le confessioni, Ed. Crescere, 2011). La questione è stata affrontata seguentemente da molte persone, legate e non ad una cultura religiosa, tra cui in particolare S. Severino Boezio, scrittore di opere matematiche e logiche, che elaborò intorno al 500 d.C. un concetto di creazione decisamente più sofisticato. Egli pensò un Dio al di fuori del tempo, non dentro il tempo, quindi non “prima”, ma “sopra” il tempo (S. Boezio, C. Mohrmann, La consolazione della filosofia, BUR, 2012).

    b) Un’altra corrente di pensiero ritiene il big-bang come un evento accaduto all’interno di un universo più grande, contenente il nostro, che potrebbe essere addirittura infinito ed eterno. In questo contesto più ampio, ci sarebbe l’opportunità di spiegare il big-bang mediante una “causa anteriore”, ma ciò non spiega l’esistenza di tale universo-contenitore, né tutta la concatenazione di cause che ha condotto a questo particolare big-bang, da cui è iniziato il nostro universo. Si tratta di un tentativo di risoluzione del problema che “sposta” il problema indietro, non lo risolve completamente. La fisica riesce a spiegare i possibili meccanismi di esplosione e implosione che possono creare e distruggere un universo, ma il problema relativo all’inizio del tutto rimane.

    c) Perchè le leggi della fisica sono quelle che sono e non altre? Molti riflettono sul fatto che sono proprio queste difficoltà concettuali a rimandare a qualcosa di superiore, ad una creazione divina. Questa domanda è ancora più stringente di quella iniziale, perché riguarda gli strumenti con cui si descrive la dinamica del tutto. Occorre sottolineare che la scienza non ha il compito di dimostrare l’esistenza o meno di Dio. Nel passato questa “pretesa” ha portato ad una frattura nel rapporto tra scienza e fede; molti ritengono che la scienza abbia il compito di “dimostrare” o “negare” l’esistenza di una mente superiore creatrice, non valutando che siamo in presenza di un “salto ontologico”. Le ragioni che possono aver portato all’esistenza una realtà non vanno infatti confuse con le regole/leggi che disciplinano le dinamiche di tale realtà.

    La scienza e la fede (razionale) sono due strade che hanno possibili interazioni, ma non interferenze distruttive o pretese di sovrapposizione. Le proprietà di un sistema non sempre possono venire spiegate solamente attraverso le sue componenti; lo stesso organismo biologico è un lampante esempio. Ciò si collega al rapporto (non conflitto) tra olismo e riduzionismo.