00 19/05/2011 22:05

Recensione del libro “Evoluzionismo e cosmologia”

Con questo articolo diamo avvia alla collaborazione con Michele Forastiere, docente di matematica e fisica con appassionata propensione per gli studi biologici ed evoluzionisti. In questo primo articolo presenterà il suo libro “Evoluzionismo e cosmologia. Ovvero: Cosa c’entra Darwin con la vita, l’Universo e tutto quanto?” (Edizioni Cantagalli, Siena 2011, Pagine 160 – Prezzo 12,00 €). L’autore si è reso anche disponibile a rispondere a domande, dubbi ed eventuali critiche che potranno essere postate nei commenti sotto l’articolo.

 

di Michele Forastiere*
*insegnante di matematica e fisica in un liceo scientifico.

 

È innegabile: come gli scienziati immaginari della notissima serie fanta-comica di Douglas Adams, “La Guida Galattica per gli Autostoppisti”, anche gli abitanti della Terra hanno tentato, fin dalla più remota antichità, di trovare la fatidica Risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’Universo e tutto quanto. È del resto altrettanto innegabile che molti ritengono che la scienza abbia già trovato la Risposta, e l’hanno individuata nel darwinismo: ovvero nell’idea che l’esistenza dell’Uomo si possa – in ultima analisi – ritenere solo il punto terminale di una lunga, involontaria successione di processi di variazione casuale (mutazioni genetiche) seguiti dalla cernita dell’inesorabile selezione naturale (sopravvivenza del più adatto). In altri termini, la Risposta starebbe nel connubio del caso cieco con la necessità materialista (guidata cioè dalle sole leggi della fisica e della chimica).

Sebbene questa convinzione venga oggi raramente messa in dubbio, ho provato lo stesso a chiedermi se per caso la verità non stia altrove. “Evoluzionismo e cosmologia” è il risultato delle riflessioni che in un paio d’anni di ricerche sono riuscito a mettere insieme, sempre basandomi su lavori scientifici di studiosi onesti. Per inciso, e per non creare equivoci: le mie critiche al darwinismo non si ispirano al creazionismo. Sono fermamente convinto che l’evoluzione della vita sulla Terra si sia effettivamente verificata, e che le prove scientifiche di ciò siano schiaccianti (penso che dubitarne, in fin dei conti, equivarrebbe a mantenere delle riserve sui fondamenti stessi della scienza). Secondo me, però, questo non significa che siano definitivamente chiari tutti i meccanismi mediante i quali l’evoluzione biologica è avvenuta, né che il darwinismo sia in grado di spiegarla compiutamente. Ho dato avvio alle mie riflessioni concentrandomi in particolare sul primo termine del binomio ritenuto il motore dell’evoluzione, la mutazione genetica casuale. Come è noto, secondo il darwinismo moderno (il cosiddetto neo-darwinismo) questa è l’unica fonte possibile di nuova informazione, quella che – in altre parole – ha permesso la comparsa continua di nuovi organi, di nuove funzioni, di nuove specie nella storia della vita.

 

Ebbene, nella prima parte del libro mostro che si può senz’altro affermare che la mutazione casuale potrebbe teoricamente essere stata la fonte di ogni nuova informazione emersa nella biosfera terrestre; ma con un valore di probabilità assolutamente trascurabile. In altri termini: se fosse possibile fare scorrere daccapo tutte le scene della storia della Terra, da quattro miliardi di anni fa a oggi, ci sarebbe bisogno di innumerevoli miliardi di ripetizioni perché compaia per caso qualche forma di vita moderatamente complessa.

Eppure, come è noto, i sostenitori del neo-darwinismo si aggrappano a quel “teoricamente” per continuare a difendere tale concezione. È chiaro però che, affinché questo tipo di difesa abbia un minimo di credibilità scientifica, si deve poter dare per certa almeno una delle seguenti condizioni: 1) la probabilità della catena di eventi casuali che possono condurre alla comparsa dell’Uomo non è poi così bassa; 2) la storia della Terra si è effettivamente ripetuta un numero strabiliante di volte. Ora, siccome la prima possibilità appare proprio difficile da sostenere, non rimane che la seconda. Inutile dire che, se dimostrata, essa risolverebbe definitivamente la questione: in un Universo che si rinnova innumerevoli volte – o che esiste in innumerevoli copie – il verificarsi di ogni evento, per quanto improbabile, diventa una certezza.

In realtà, l’idea di un Universo eterno e infinito è vecchia come il cucco, e si è ripresentata ciclicamente più volte nella storia del pensiero umano fin dai tempi di Democrito ed Epicuro. Attualmente essa è rinata nella nuova veste cosmologica del multiverso, un concetto apparso nell’ultima parte del XX secolo e ispirato da alcune osservazioni astrofisiche.

 

Nella seconda parte del libro ho esaminato in dettaglio quest’ultimo baluardo del paradigma darwinista e – sempre sulla base di studi documentati – ho cercato di metterne a nudo le più evidenti pecche di ordine scientifico e logico. Sono arrivato così a questa conclusione: se proprio si vuole credere che il darwinismo (o per meglio dire, il binomio caso-necessità) sia effettivamente la Risposta alla domanda sull’origine della vita e di tutto quanto, si è liberissimi di farlo; convincendosi però che per l’appunto di una credenza si tratta: e di una credenza cieca e irrazionale, che non trova alcun sostegno nella scienza e nella retta ragione.

La vera Risposta, dunque, andrebbe cercata da qualche altra parte. Sì, ma dove? Nell’ultima sezione del libro ho provato a indicare quelle che penso siano le uniche strade percorribili a chi creda davvero nella scienza, così come la intendeva Galileo.

La prima è quella di rimanere convinti del fatto che l’Universo sottenda effettivamente un ordine razionale, conoscibile per via scientifica, e che la sua piena comprensione un giorno sarà raggiunta. Ciò – naturalmente – a patto di compiere ogni onesto sforzo per arrivarci, senza rinchiudersi pregiudizialmente in alcun paradigma anti-empirico.

La seconda strada non è molto lontana dalla prima. Chi la segue crede pienamente nella scienza e nella sua capacità di spiegare il funzionamento del mondo materiale, e tuttavia prova stupore per come esso sia perfettamente accordato in tutti i dettagli, perfino nelle contingenze più impensabili, e accetta di aprirsi al mistero di una Verità che lo trascende. Insomma (come hanno effettivamente fatto moltissimi scienziati, da Galileo a oggi) comincia a credere in Dio.