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Darwin non aveva ragione. Lo dicono anche gli
atei
Il saggio di Jerry Fodor e Massimo Piattelli Palmarini dimostra che la teoria
evoluzionista fa acqua. Persino per i positivisti. Nei viventi ci sono strane
costanti che si ripetono, forme perfette ed armoniche
di Roberto de Mattei*
Esiste una particolare specie di vespa (Ampulex compressa) che usa
un cocktail di veleni per manipolare il comportamento della sua preda,
uno scarafaggio. La vespa femmina paralizza lo scarafaggio senza
ucciderlo, poi lo trasporta nel suo nido e deposita le sue uova nel
ventre della preda, in modo che i neonati possano nutrirsi del corpo
vivente dello scarafaggio. Mediante due punture consecutive, separate
da un intervallo temporale molto preciso e in due parti diverse del
sistema nervoso dello scarafaggio, la vespa riesce letteralmente a
«guidare» nel suo nido già predisposto la preda trasformata in uno
«zombie». La prima puntura nel torace provoca una paralisi
momentanea delle zampe anteriori, che dura qualche minuto,
bloccando alcuni comportamenti ma non altri. La seconda puntura,
parecchi minuti più tardi, è direttamente sul capo. La vespa dunque
non deve trascinare fisicamente lo scarafaggio nel suo rifugio, perché
può manipolare le antenne della preda, o letteralmente cavalcarla,
dirigendola come se fosse un cane al guinzaglio o un cavallo alla
briglia. Il risultato è che la vespa può afferrare una delle antenne dello
scarafaggio e farlo andare fino al luogo adatto allovodeposizione. Lo
scarafaggio segue la vespa docilmente come un cane al guinzaglio.
Pochi giorni più tardi, lo scarafaggio, immobilizzato, funge da fonte di
cibo fresco per la prole della vespa.
Questa macabra ma illuminante storia entomologica è
presentata dai cognitivisti Jerry Fodor e Massimo Piattelli
Palmarini nel libro, appena stampato da Feltrinelli, Gli errori di
Darwin, come uno degli argomenti più efficaci per confutare
levoluzionismo darwiniano secondo cui gli organismi viventi
traggono la loro origine da una «casuale» selezione naturale.
Nel simile comportamento delle vespe, infatti, molte cose
avrebbero potuto andare in altro modo. «La natura biochimica

del cocktail di veleni - osservano gli autori - avrebbe potuto
essere molto diversa, risultando o del tutto inefficace o, per
eccesso, letale per la preda. La scelta del momento e dei punti in
cui pungere avrebbe potuto essere sbagliata in molti modi, per
esempio consentendo allo scarafaggio di riprendersi e di
uccidere la vespa, di lui molto più piccola. La vespa avrebbe
potuto non "capire" che la preda può essere guidata al
guinzaglio, dopo le due magistrali punture, e avrebbe potuto
tentare di trascinare faticosamente il corpo piuttosto voluminoso
nel suo nido. E via di questo passo. I modi in cui questa
sequenza comportamentale avrebbe potuto uscire di strada sono
in effetti innumerevoli. Neanche il più convinto fra gli
adattamentisti neo-darwinisti suppone che gli antenati della
vespa abbiano tentato alla cieca tutti i tipi di alternative e che
siano state progressivamente selezionate soluzioni sempre più
valide, fino a che non è stata trovata la soluzione ottimale, che è
stata conservata e codificata nei geni» (p. 108). Per quanto
lungo possa essere il tempo in cui le vespe sono in circolazione,
non è possibile immaginare lemergere «a casaccio» di un
comportamento così complesso, sequenziale, rigidamente pre-
programmato. «E allora? Nessuno lo sa, al momento. Simili casi
di programmi comportamentali innati complessi (raffinate
ragnatele, procacciamento del cibo nelle api come abbiamo visto
prima, e molti altri) non possono essere spiegati direttamente
mediante fattori ottimizzanti fisico-chimici o geometrici. Ma non
possono essere spiegati nemmeno dalladattamento
gradualistico. È corretto ammettere che, anche se siamo disposti
a scommettere che un giorno si troverà una spiegazione
naturalistica, per il momento non ne abbiamo nessuna. E se
insistiamo che la selezione naturale è lunica via da esplorare,
non ne avremo mai una» (p. 109).
Per i darwinisti tutto ciò che esiste è «imperfetto», perché in
continua evoluzione. La selezione naturale non «ottimizza» mai,
ma si limita a trovare soluzioni localmente soddisfacenti. Fodor e
Piattelli Palmarini, invece, dimostrano lesistenza di casi di
soluzioni ottimali che smentiscono la tesi darwiniana. «Quando
morfologie specifiche simili si osservano nelle nebulose a
spirale, nella disposizione geometrica di goccioline magnetizzate
sulla superficie di un liquido, nelle conchiglie marine,
nellalternarsi delle foglie sui fusti delle piante e nella
disposizione dei semi in un girasole - scrivono i nostri due autori
- è molto improbabile che ne sia responsabile la selezione
naturale» (pp. 88-89).
Fodor e Piattelli Palmarini non vogliono avere niente a che fare
con il «disegno intelligente», ma il loro libro va letto accanto a
quello di Michael J. Behe, La scatola nera di Darwin. La sfida
biochimica allevoluzione (Alfa & Omega, 2007). Professore di
biologia alla Lehigh University in Pennsylvania, Behe ha
dimostrato come levoluzionismo non è in grado di spiegare
strutture e processi «irriducibilmente complessi» come quelli
esemplificati dalla biochimica degli organismi viventi. La
complessità biochimica di un microbo non è inferiore a quella di
una pianta o di un animale.
Levoluzionismo suppone che le specie viventi siano state
precedute da strutture imperfette e incompiute,
progressivamente trasformatesi nelle attuali. Tanto i reperti
paleontologi quanto le specie viventi provano invece lesistenza
di specie tra loro distinte con strutture in sé compiute. Nella scala
dei viventi e nella gerarchia delle specie esistono evidentemente
gradi di perfezione diversi. Ogni specie tuttavia può definirsi
perfetta nella sua struttura e nessun organismo in natura mostra
di essere in evoluzione verso una complessità maggiore. Tutti gli
animali a noi noti, a cominciare dalluomo, sono «produzioni high
tech», ha osservato il biologo Pierre Rabischong (in
Evoluzionismo: il tramonto di una ipotesi, Cantagalli, 2009, pp.
177-194, a mia cura).
Dove si deve cercare la soluzione? Esistono «regole», «norme»,
«vincoli alla stabilità» che Peter Timothy Saunders ha chiamato
«leggi della forma» (An Introduction to Catastrophe Theory,
Cambridge, 1980), riecheggiando quanto già Sir DArcy
Wentworth Thompson sosteneva nel 1917 nel suo Growth and
Form. Fodor e Palmarini ricordano anche la successione del
matematico pisano Fibonacci, secondo cui ogni termine è uguale
alla somma dei due precedenti. È la nota «sezione aurea» o
«proporzione divina», che si riscontra nelle leggi armoniche della
fisica, della chimica, della biologia, della mineralogia e che
disturba non poco i teorici dellevoluzionismo.
Tutto ciò che è vivente ha una sua struttura biologica e si
presenta come espressione di una «forma» che va oltre le sue
componenti materiali. La forma è la perfezione prima di quanto
esiste, ciò che determina la differenza di un essere dallaltro,
determinandone la sua originalità. La forma rinvia alla specie,
che prima di essere lunità di base della classificazione
tassonomica degli esseri viventi, è una categoria logica che ha
un fondamento nelle cose. Nella filosofia tradizionale la specie di
ogni cosa deriva da quella forma che la rende una cosa
concreta, con unessenza specifica. Nella riflessione filosofica,
infatti, è il principio che determina lessenza e la struttura
dellessere come tale (Aristotele, Fisica, III, 2, 194 b 26;
Metafisica, V, 2, 1013 b 23).
Levoluzionismo, come già osservava Etienne Gilson, è un ibrido
connubio fra una teoria filosofica e una teoria scientifica, che è
impossibile dissociare. La posizione di Fodor e Piattelli Palmarini
capovolge quella dei cosiddetti «teo-evoluzionisti». Questi ultimi
rifiutano la concezione filosofica di Darwin, ma ne salvano la
teoria scientifica, cercando di conciliarla con il «creazionismo».
Fodor e Piattelli Palmarini mettono in discussione lipotesi
scientifica della selezione naturale, ma riaffermano la loro fede
filosofica nellateismo evoluzionista. Per criticare Darwin,
lAccademia esige infatti una professione pubblica di
«anticreazionismo». Gli autori del saggio che abbiamo
presentato ribadiscono di voler essere iscritti allalbo degli
«umanisti ufficialmente laici». «In effetti - scrivono - entrambi ci
proclamiamo atei, completamente, ufficialmente, fino all'osso e
irriducibilmente atei» (p. 11). È questo il prezzo pagato per
ammettere candidamente che «non sappiamo molto bene come
funzioni levoluzione» (p. 12).
Cè bisogno di proclamarsi «cattolici, completamente,
ufficialmente, fino allosso e irrimediabilmente cattolici», per
spiegare che la macroevoluzione non funziona semplicemente
perché è una teoria, filosofica e scientifica, falsa e infondata?
* Vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche
«Il Giornale» del 3 aprile 2010