CREDENTI

MUSICISTI ISPIRATI DALLA FEDE

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    00 23/04/2010 17:41

    MESSIAEN Un inno alla bellezza del creato

    di Andrea Milanesi
    09/10/2009
    «Molte persone sono infastidite dal fatto che io creda in Dio. Ma io voglio che la gente sappia che Dio è presente ovunque, in ogni cosa: in una sala da concerto, nell’oceano, su una montagna, perfino nella metropolitana… Ed è questo che la mia musica intende esprimere». È difficile, forse impossibile, individuare un momento nella vita e nel percorso artistico di Olivier Messiaen (1908-1992) in cui la tensione verso il Mistero non abbia giocato un ruolo decisivo, nelle sue azioni come nella sua opera. Proprio per questo, nel panorama musicale del secolo scorso la figura del compositore francese si staglia come quella di una sfavillante, solitaria stella cometa: all’interno di un firmamento perlopiù intorbidito da un diffuso agnosticismo e da un blando spiritualismo, riflette il fulgore di una salda e inestinguibile fede cattolica.
    Allievo di Dukas e Dupré, maestro a sua volta di Boulez, Xenakis, Berio e Stockhausen (che nella sua classe di composizione hanno trovato le basi per fondare il loro linguaggio musicale), sensibile al fascino letterario e filosofico di personaggi come Péguy, Claudel e Maritain, Messiaen ha saputo condurre la propria esistenza senza mai scendere a compromessi con la mentalità culturale imperante. Ed è così che ce lo restituisce il film-documentario intitolato La liturgie de cristal (proprio come il movimento d’apertura dello splendido Quatuor pour la fin du temps, da lui scritto tra il 1940 e il 1941 durante la prigionia nel campo d’internamento di Görlitz), in cui il regista Olivier Mille ci guida con acume e sensibilità alla scoperta del temperamento umano e artistico di una delle più grandi e originali figure del Novecento musicale; ricostruendone la complessa e ricca personalità, gli interessi, le passioni, il pensiero e la concezione estetica attraverso interviste, testimonianze dirette, filmati d’epoca che lo riprendono mentre insegna con passione ai suoi giovani allievi, oppure si aggira tra i boschi a trascrivere sul pentagramma il canto degli uccelli o ancora mentre è seduto all’organo della chiesa parigina della Sainte-Trinité, dove per ben cinquantacinque anni ha accompagnato le celebrazioni domenicali e spesso, durante la settimana, funerali e matrimoni.
    Vi è infine il Saint-François d’Assise, il monumentale capolavoro teatrale della maturità: sette anni di lavoro, duemila pagine di partitura, quattro ore di grande musica, a rappresentare la sintesi artistica e spirituale dell’universo di Messiaen. Inevitabilmente, un inno alla bellezza del creato e alla grandezza del Creatore.
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    00 23/04/2010 18:27

    La Missa Solemnis di Beethoven: “l’opera mia più compiuta”
    (Beethoven)
    di Giovanni Fornasieri
    L’occasione per la riscoperta di quella che Beethoven considerava “la mia opera più
    compiuta”, più perfetta o completa, diremmo noi, ci è data dal video-messaggio inviato da
    Benedetto XVI ai partecipanti della XX GMG svoltasi a Colonia nel 2005.
    Un vero e proprio evento, passato del tutto inosservato sia da parte del pubblico degli
    ascoltatori sia, fatto ancor più rilevante, da parte degli “addetti ai lavori”, credenti o no.
    Ciò è tanto più rilevante in quanto il Papa non riflette solamente da un punto di vista religioso
    ed umano, ma anche da quello di musicista (è pianista) e profondo conoscitore della storia
    della musica, entrando quindi nel vivo della materia esaminata.
    Già il Papa in altre occasioni era entrato nel merito della musica e della “ferita della bellezza”
    come la chiama lui stesso. Nel libretto “La bellezza, la Chiesa” (Libreria Editrice Vaticana e
    Itaca, 2005), Ratzinger ricorda con commozione: “Resta per me un’esperienza indimenticabile
    il concerto di Bach diretto da Bernstein a Monaco di Baviera dopo la precoce scomparsa di
    Karl Richter (direttore d’orchestra tedesco noto per le sue esecuzioni di Bach ndr). Ero seduto
    accanto al vescovo evangelico Hanselmann. Quando l’ultima nota di una delle grandi Thomas-
    Kantor-Kantaten (Cantate composte nella chiesa di S. Tommaso a Lipsia dal Kantor, cioè Bach
    ndr) si spense trionfalmente, volgemmo lo sguardo spontaneamente l’un l’altro e altrettanto
    spontaneamente ci dicemmo: “ Chi ha ascoltato questo, sa che la fede è vera”.
    In quella musica era percepibile una forza talmente straordinaria di realtà presente da rendersi
    conto, non più attraverso deduzioni, bensì attraverso l’urto del cuore (sembra don Giussani!
    ndr), che ciò non poteva avere origine dal nulla, ma poteva nascere solo grazie alla forza della
    verità che si attualizza nell’ispirazione dl compositore.
    Così Benedetto XVI dice ai partecipanti: ”Un’ opera che ci fa sentire la forza di una fede
    profonda, anche Beethoven, un uomo combattuto e sofferente, in un epoca di transizione,
    sentì la profonda necessità, dopo la Messa in do che esplorava tutte le possibilità della liturgia,
    di creare una grande opera da messa con cui esprimere tutto il suo animo e il suo conflitto con
    Dio, e questo senza lasciarsi limitare da considerazioni riguardo alla realizzabilità dell’ opera.
    La Missa Solemnis non è più musica liturgica. Il soggetto, con la sua passionalità e grandezza,
    testimone di un epoca di transizione, prende una posizione di primo piano. Anche la fede nella
    Chiesa non è più data per scontata. Le preghiere, ora, esprimono la lotta con Dio, la sofferenza
    per Dio e la sofferenza interiore e sono come i gradini di una scala alla quale l’umanità si
    aggrappa, tentando di afferrare Dio, di andargli incontro, e di rinnovare la gioia in Dio.
    In questo senso, la Missa Solemnis è una sconvolgente testimonianza di una fede sempre alla
    ricerca, che si tiene ben salda al Signore e che, nei secoli, lo riscopre attraverso la preghiera. La
    Missa Solemnis, unica nella sua grandezza, appartiene al mondo della fede cristiana.
    E’ preghiera nel senso più profondo della parola. Ci conduce alla preghiera, ci conduce a Dio”

    La Missa Solemnis nacque come composizione d’occasione sullo stimolo esterno
    dell’annuncio che il 9 marzo 1820 l’allievo e protettore arciduca Rodolfo avrebbe
    solennemente preso possesso della sua sede arcivescovile di Olmutz, in Moravia.. Era l’inverno
    del 1818 e Beethoven aveva davanti a sé più di un anno per portare a termine il lavoro. ma si
    avvide subito che non avrebbe potuto procedere con la disinvolta sicurezza di un Haydn, per
    esempio.
    Troppi problemi affollavano e turbavano la sua coscienza stilistica, che non poteva, dopo la
    precedente esperienza della messa in Do maggiore, citata dal Papa, affrontare il testo
    dell’Ordinarium secondo le formule ormai fossilizzate del cosiddetto “stile da chiesa”
    cristallizzatosi nei secoli precedenti, e che costituiva un sicuro approdo per ogni serio e
    stimato professionista della musica.
    Beethoven sente la necessità di inventare qualcosa di nuovo, ma andando a ricuperare nei
    grandi modelli del passato quelle suggestioni linguistiche e musicali che i suoi contemporanei
    andavano rileggendo in chiave puramente conservativa e tutto sommato ideologica (Si veda a
    questo proposito il saggio di E.T.A Hoffmann, Musica religiosa antica e moderna, 1814, poi
    compreso nei Fratelli di Serapione, nel quale l’autore sosteneva, in sostanza, che solo la
    musica di Palestrina e la polifonia a cappella rispondono pienamente agli ideali della vera
    musica religiosa).
    Beethoven vuole documentarsi sui modi (scale) ecclesiastici e sui procedimenti compositivi
    degli antichi polifonismi. Prima della composizione del Kyrie, ad es. scrive. “Per scrivere della
    vera musica religiosa, esaminare tutti i corali ecclesiastici dei monaci, ecc., farne degli estratti,
    anche delle strofe, nelle migliori traduzioni con la prosodia più esatta di tutti i salmi ed inni
    cattolici”
    Un intenso lavorio, affidato anche al discepolo Czerny, in cui il passato diventa fonte di
    ispirazione potente, sprone ad un cambiamento inusitato di linguaggio. Un atteggiamento che
    prefigura (il genio è sempre profeta) la posizione dei futuri compositori del Novecento, per es.
    Stravinskij.
    Ciò che ne risulta è un “inaudito Beethoven “ (per parafrasare il felice titolo della mostra su
    Beethoven ad un recente Meeting di Rimini) e che ha scandalizzato fino all’incomprensione
    celebrati filosofi e sociologi della musica, tra i quali Adorno (cfr. il saggio Straniamento di un
    capolavoro” nell’ed. italiana di Dissonanze (Milano, 1959, pp. 205 e sgg.)
    Non il “solito” Beethoven che enuncia e sviluppa i temi come nessuno sa fare, ma incisi
    melodici sottilmente uniti da straordinarie innervature strumentali, in cui il particolare si
    illumina nell’immensità dell’architettura complessiva.
    Come dice don Giussani in una delle Tischreden, “la totalità è concreta, il particolare è
    astratto” E’ solo guardando una grande cosa che il particolare acquista senso, perché se è
    “abstractum”, tolto dall’insieme, il particolare non si capisce più.
    Come per conoscere (sono ancora parole di Giussani) occorre “una distanza”, altrimenti
    l’occhio si “appiccica” al quadro diventando miope, così la Missa Solemnis è come un
    immenso affresco davanti al quale è necessario indietreggiare alcuni passi per poterne
    abbracciare l’arco compositivo nella sua interezza, così come i “singoli elementi di un
    complesso architettonico -finestra, edicola, rosone, colonna, arco- pur possedendo un
    organismo proprio e “individuale” si “fondono” e legano con il tutto (G. Carli Ballola).
    Alcuni passaggi sono indimenticabili. Primo fra tutti il Credo, che Beethoven in un primo
    tempo avrebbe voluto introdurre da una fanfara orchestrale con “timpani, trombe e
    tromboni”. Un tema che ha imperiosità monumentale e le cui quattro note si infiggono come
    pali ai punti cardinale della tonalità, stagliandosi poi di tanto in tanto dall’alto del fitto lavorio
    di sutura delle “idee secondarie” come un vessillo tra la mischia. E il Sanctus, con quella
    solenne e misteriosa introduzione in Adagio in cui Beethoven sembra aver scoperto l’antica ed
    esatta etimologia del termine “sanctus”, se-gregato, separato, misteriosamente “eletto”: non
    clangori di orchestra e coro, ma lineare e purissimo, ancorché antico, intrecciarsi di frasi dei
    solisti che richiamano l’antica polifonia fiamminga del XV secolo.
    E che dire del Benedictus, la cui melodia fiorisce prodigiosamente, come dall’alto di un sottile
    stelo, su un “sol” acuto del violino solista (il più bel solo orchestrale di violino che esista),
    sorretto dal brillio argentino di flauti e clarinetti, anticipo e prefigurazione di quelle “melodie
    infinite” che ritroveremo negli ultimi Quartetti? O del “Dona nobis pacem” su cui Beethoven
    annota “per la pace interna ed esteriore” trasformando così la parola liturgica in un grido
    dell’uomo a Dio, in un’ansimante preghiera il cui modello si trova in Haydn, nella sua Missa in
    tempore belli, ma che qui diventa clamore totale dell’essere (clamor mentis intimae) come
    diceva Jacopone da Todi in ‘Jesu dulcis memoria’?.
    Anche Adorno, che non aveva capito per spirito razionalistico questo capolavoro, si arresta
    per notare “qualcosa di sconvolgente”(e l’aggettivo ritorna nel discorso del Papa)
    Beethoven impiegò non uno, ma quattro anni per completare la partitura (1822) che venne
    eseguita, non più per lo scopo per cui era stata iniziata, a S. Pietroburgo il 18 aprile 1824, per
    interessamento del principe Nikolaus Galitzin, il cui nome è altresì legato ai Quartetti che
    Beethoven cominciò a scrivere nel 1822. Ma bisognava attendere il 29 giugno 1830, dopo una
    parziale ripresa a Vienna il 7 maggio 1824, con l’esclusione cioè del Gloria e del Sanctus-
    Benedictus, per trovare la prima esecuzione completa nella monarchia allora vigente. Fu per la
    buona volontà e il coraggio di un maestro di scuola, Johann Vincenz Richter, che la diresse
    nella piccolissima cittadina di Warnsdorf, in Boemia, a sud-est di Dresda. Ma fu Gasparo
    Spuntini che, accostando nello stesso concerto a Berlino nel 1838, il Kyrie e il Gloria della Missa
    Solemnis al Credo della messa in Si minore di Bach (di cui parla anche il Papa) istituì in modo
    profetico il legame tra i due grandi capolavori della musica appartenenti alla fede cristiana.
    Come già Mozart nel suo Requiem, non “rivestiva” più di note il testo, ma immedesimandosi
    totalmente con esso “fucinava” la parola nel suono e il suono nella parola così che è egli
    stesso che “parla” attraverso il testo, analogamente Beethoven crea una nuova forma
    musicale in cui parola e suono scendono in abissi che scardinano le leggi codificate per urgere
    ad un grido, al “grido” originario dell’essere che mendica da Dio il fiotto della sua stessa
    esistenza. Non a caso, (in Beethoven niente è a caso) l’unica “deviazione” dal testo liturgico,
    assolutamente e fedelmente, non come in altri musicisti, rispettato nella sua integrità,
    Beethoven se la permette, dominato, lui, questa volta dalla forma, proprio sulle parole
    “miserere nobis” del Gloria: O, miserere nobis! Un vocativo monosillabo di una sola lettera!


    Osa aggiungere una lettera, come un bambino che piange di fronte alla madre e chiede
    perdono per il suo male. Quale tenerezza, quale sospiro, dantescamente parlando, quale
    commozione ci invade all’entrata del tenore solo su queste parole!
    La Missa Solemnis fu eseguita al Beethovenfest del 1845 nell’inaugurazione del monumento a
    Beethoven a Bonn, ospiti d’onore Federico Guglielmo IV di Prussia e la regina Vittoria, e poi la
    partitura fu murata, con quella della Nona sinfonia, nel basamento della statua. Per lungo
    tempo è sembrata per sempre confinata in quello zoccolo di pietra. E’ forse giunto il momento
    di ascoltarla di nuovo.
    “La mia opera più compiuta”. Sapeva quel che diceva.

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    00 23/04/2010 19:01

    La MatthausPassion di Bach

     

    Erbarme dich, mein Gott,                   trad.   Abbi pietà, mio Dio
    um meiner Zähren willen!                           per amore delle mie lacrime!
    Schaue hier, Herz und Auge                        Guarda qui il cuore e l'occhio
    weint vor dir bitterlich.                                 piange davanti a te amaramente
    Erbarme dich, mein Gott                              Abbi pietà, mio Dio

    L'Evangelista Matteo (disegno di tt)

     

     Fin dai tempi della liturgia  paleocristiana dentro il ciclo pasquale e in particolare durante la Settimana Santa, trova posto nei luoghi di culto la narrazione della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, basata su un testo tratto da uno dei quattro brani contenuti nel Vangelo. Il testo dell'Evangelista Matteo viene letto nella Domenica delle Palme; quello dell'Evangelista Marco il martedì; quello di Luca il mercoledì ed infine il testo di Giovanni Evangelista il Venerdì della Settimana Santa. la rappresentazione del Sacrificio della Croce nel corso dei secoli si è sviluppato  attraverso varie forme: da un carattere essenzialmente cerimoniale e rituale, cantato esclusivamente sul recitativo liturgico gregoriano con inflessioni melodiche particolarmente espressive nei punti chiave del racconto, si è passati ad una forma drammatico-rappresentativa nella quale si voleva evidenziare il lato umano del dolore del Cristo con il conseguente carico di pietà che esso emanava.Infatti la monodia medioevale si è venuta trasformando lentemente fino a divenire nel XVII secolo un grandioso insieme di voci in cui quella del Celebrante, nel canto si alterna a quelle del Coro.

     L'architettura polifonica della Passione trova il suo più alto vertice in due capolavori di Johann Serbastian Bach: la Johannes Passion ( la Passione secondo Giovanni)e la Matthaus Passi0n( la Passione secondo Matteo), composte e rappresentate a Lipsia dove Bach era stato nominato Director Musices e Kantor della Thomasschule ( la Scuola di San Tommaso) facente parte della Thomaskirke ( la Chiesa di San Tommaso). E' indispensabile una breve digressione. La città di Lipsia ai tempi di Bach costituiva il centro dal quale partivano i messaggi culturali più significativi di quel periodo. Ed in tale contesto la Thomasschule era uno dei due pilastri del sistema scolastico d'istruzione primaria e secondaria della stessa città. L'altro pilastro, la  Nikolaisschule ( la Scuola di San Nicola), si era affermata nel corso degli anni come la scuola dei ricchi mentre la Thomasschule era quella dei poveri. Però in quest'ultima si insegnava la musica in maniera efficacissima mentre era piuttosto trascurata nella Nikolaisschule.

    Mater ( disegno di tt)

    Tornando ai due capolavori di Bach, nel primo- la Johannes Passion- con un tratto realistico, viene messa in risalto la drammaticità della vicenda dolorosa del Cristo. Nella seconda- la Matthaus Passion- figurano, invece, in primo piano le considerazioni e le riflessioni dei fedeli: infatti, musica autenticamente liturgica si alterna a musica di carattere contemplativo e di meditazione sul dramnma, affidata a cori di grande contenuto lirico. Nella Matthaus Passion sono addirittura due i Cori che  si oppongono, si fondono e si rispondono a seconda delle circostanze. Essi rappresentano la folla dei testimoni e degli attori, ma anche, mescolata a tale folla, l'Umanità intera per la quale si compie il sacrificio. Il coro partecipa all'azione e, a volte, come nella tragedia greca, si trasforma in spettatore che introduce e commenta gli eventi della vicenda.

    La prima rappresentazione della Matthaus Passion ebbe luogo il Venerdì Santo del 1727 nella Thomaschirke . Bach adattò il capolavoro all'impianto architettonico della Chiesa nella quale figuravano lungo una navata, ai lati dell'assemblea dei fedeli, due Cantorie e due Organi di cui uno disposto nella parete orientale al di sopra dell'altare. Sfruttando, quindi, lo spazio in maniera efficacissima, fece dialogare due orchestre, due Organi e due Cori creando un incredibile effetto " stereofonico". La gigantesca partitura dovette "scuotere" le esili mura della Chiesa tanto era innovativa e drammatica: Bach non scrisse mai un'opera ma è come se ne avesse scritta la più perfetta. Una testimonianza ci riporta i commenti di alcuni astanti, sconvolti dall'intensità della musica e dalla sua carica teatrale e drammatica: " Che significa tutto questo? Che Dio ci guardi, sembra di essere all'Opera!.." .

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    Coordin.
    00 23/04/2010 19:04
    Bach - Julia Hamari - Matthäus Passion - Erbarme dich

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    Coordin.
    00 23/04/2010 19:14

    Il Magnificat in re maggiore BWV 243 è una delle più importanti opere vocali di Johann Sebastian Bach. Si tratta di una cantata sacra composta per orchestra, coro a cinque voci e cinque solisti. Il testo è tratto dal cantico contenuto nel primo capitolo del Vangelo secondo Luca, con il quale Maria loda e ringrazia DioMessa in Si minore, costituisce una delle due principali composizioni in lingua latina di Johann Sebastian Bach. perché ha liberato il suo popolo. Il Magnificat, insieme alla

    Bach compose una prima versione in mi bemolle maggiore nel 1723 per i vespri di Natale a Lipsia, versione che conteneva numerosi testi natalizi. Nel corso degli anni il compositore rimosse i brani specifici per il Natale in modo da rendere il Magnificat eseguibile durante tutto l'anno. Bach traspose anche il brano da mi bemolle maggiore a re maggiore, tonalità più adatta per le trombe. La nuova versione, che è quella conosciuta oggi, venne eseguita per la prima volta nella Thomaskirche di Lipsia il 2 luglio 1733.

    La cantata è divisa in dodici parti che possono essere raggruppate in tre movimenti, ognuno inizia con un'aria ed è completato dal coro. L'esecuzione integrale del Magnificat, nella versione del 1733, dura circa trenta minuti.

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    Coordin.
    00 23/04/2010 19:14
    [Modificato da Coordin. 22/12/2010 12:22]
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    00 23/04/2010 19:14
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    Coordin.
    00 23/04/2010 19:22

    Musica sacra in Antonio Vivaldi

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    Il Magnificat di Vivaldi

    La musica sacra di Vivaldi fu poco conosciuta fuori dall'Italia e, come tutti i suoi lavori, dopo la sua morte cadde nell'oblio e man mano tornò completamente in auge a partire dalla fine degli anni trenta del XX secolo. Ci sono prevenute circa cinquanta opere di musica sacra di genere differente: parti della Messa tridentina e loro introduzione su testo libero (Kyrie, Gloria, Credo), salmi, inni, antifone, mottetti. L'impegno del Prete Rosso nel repertorio sacro ebbe un carattere sostanzialmente occasionale, poiché il musicista non ebbe né commissioni né ricoprì mai stabilmente l'incarico prestigioso di maestro in San Marco[58]. La sua produzione appartiene al cosiddetto stile moderno (ossia concertato, tipico della musica veneziana, che si contrappone al severo stile antico della musica di Palestrina), anche se molti movimenti dei suoi lavori rimangono comunque legati allo stile osservato. Si attengono alla produzione concertata anche i suoi lavori a cappella, come il Lauda Jerusalem a 4 voci e il Credidi a 5 voci, dove gli strumenti man mano si staccano dai gruppi del coro. Questo repertorio fu inoltre soggetto alle influenze operistiche dell'epoca. Questo lo si può soprattutto osservare nei suoi mottetti per voce solista, descritti da Denis Arnold come « concerti per voce », presentano parti di pure esibizioni vocali. Vivaldi compose inoltre otto mottetti d' « introduzione », i quali dovevano servire come premessa ai lavori in larga scala (Gloria, Dixit Dominus, Miserere); questo sottogenere fu scarsamente utilizzato da altri compositori. Un'altra particolarità che contraddistingue la musica sacra del Prete Rosso è la frequente assegnazione della parte melodica al violino nei movimenti corali, lasciando quindi il coro cantare in omofonia di sottofondo (ad es. nel movimento iniziale e finale del Credo RV 591). In questo modo Vivaldi anticipò le messe sinfoniche della generazione di Haydn. Anche le influenze del concerto non esitano a manifestarsi. Basti notare il Beatus vir RV 598, il quale presenta un ampio intervallo di 420 battute nella forma del ritornello. Tra i suoi lavori sacri attualmente più noti si ricordano il Gloria RV 589, i Magnificat RV 610 e RV 611, lo Stabat Mater RV 621 e l'oratorio Juditha triumphans.

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    Coordin.
    00 23/04/2010 19:25
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    Coordin.
    00 23/04/2010 19:25
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    Coordin.
    00 23/04/2010 19:26
    IL MESSIA DI HANDEL

    Tra le opere sacre di Händel il Messia appare immediatamente come una composizione singolare: Il libretto, interamente ricavato dai versetti biblici, si scosta notevolmente dagli altri suoi oratori e la natura meditativa della Historia è assai lontana dall'oratorio drammatico che Händel prediligeva.

    Non vi sono infatti veri e propri personaggi e neppure una vera vicenda: l'autore del testo, Charles Jemmens, ha redatto un percorso meditativo sulla figura di Cristo, che procede - senza la guida di un narratore - concatenando segmenti preordinati nei quali le arie si alternano ai cori, talvolta intervallate da recitativi. La Prima parte si concentra sulla venuta del Messia che realizza pienamente le attese espresse dalle antiche profezie; la Seconda Parte medita il mistero della passione e della morte di Cristo, culminante nella risurrezione celebrata dal famoso coro dell'Alleluia; la Terza Parte ha un orientamento escatologico, trattando della missione cristiana nel mondo e del destino finale del credente, al di là della morte.
    Si tratta perciò di un oratorio pasquale, non natalizio come viene talvolta erroneamente presentato.
    Per la prima rappresentazione a Dublino il 13 aprile 1742 a favore di istituzioni benefiche locali, Händel dovette anche fare i conti con il modesto organico che aveva a disposizione: solamente negli anni successivi, ritornato a Londra dopo la parentesi dublinese, potendo contare su una compagine più ampia, egli poté rivedere e rielaborare il materiale originario.
    La partitura, redatta in brevissimo tempo sul finire dell'estate 1741, sfrutta ampiamente composizioni precedenti, rielaborando brani vocali e strumentali congiunti a pagine scritte ex novo; ma il risultato finale sorprende per coerenza e sistematicità: la musica del Messia è intrisa di tutti quegli elementi stilistici e di quelle convenzioni consolidatesi nel corso di un secolo che avevano trovato la loro formulazione teorica nella "Musica Poetica", ovvero gli artifici e le regole della retorica applicati alla composizione musicale. Attraverso lo sfruttamento magistrale delle "figure" della Musica Poetica Händel supplisce all'assenza di azione drammatica, ponendo in risalto in ogni brano i diversi "affetti" delle parole chiave del messaggio biblico.
    Händel si rivela geniale non solo nel trattamento dei singoli brani, ma anche nella regia con cui ordina il materiale musicale: Il Messia ci appare come un "crescendo" culminante nel grande Coro dell'Alleluia, un vero e proprio "Coronation Anthem" collocato al vertice dell'intera composizione.
    A questo punto ci si potrebbe aspettare, che tutto ciò che viene dopo sia quasi mortificato da un tale splendore e da una tale potenza. Ma nella Terza Parte Händel prende un'altra direzione: la sua musica, senza rinunciare ad altri momenti di solennità, mira a toccare le corde dell'intimità. Se da una parte gli squilli della tromba richiamano il comune destino dei mortali e la terribilità del giudizio divino, dall'altra la dolce malinconia della linee melodiche "esprime l'intima certezza del credente nella misericordia divina che il predicatore di Galilea è venuto ad annunciare".
    Il Messia ha trovato una fortuna circondata da un alone mitico che è arrivato fino ai nostri giorni e che forse ne ha sopravvalutato l'importanza. Ma se la partitura di Händel non può essere equiparata alle Passioni ed agli Oratori di Bach, essa va comunque annoverata tra le pagine più rappresentative della cultura musicale barocca ancora oggi ricche di fascino.
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    Coordin.
    00 23/04/2010 19:26
    DAL "MESSIA" DI HANDEL (1)
    [Modificato da Coordin. 23/04/2010 19:28]
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    00 23/04/2010 19:33
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    00 23/04/2010 19:34

    IL REQUIEM DI MOZART

     

    Mozart lasciò la partitura incompiuta: ebbe la possibilità di portare totalmente a termine solo il primo numero dell'opera (Introitus: Requiem aeternam); portò comunque come di consueto avanti la stesura dell'opera scrivendo solo le parti principali (le quattro voci del coro e dei soli - se presenti - e la linea del basso con la numerica per la realizzazione del continuo all'organo), ed indicando di tanto in tanto il motivo melodico dell'accompagnamento ove questo non fosse deducibile dalle altre parti.

    In questo stadio primordiale sono pervenuti Kyrie, Sequentia (con il Lacrimosa che si ferma dopo le prime otto battute sulle parole "homo reus"), e l'Offertorium. Tutto ciò è verificabile dal manoscritto originale conservato presso la Biblioteca di Stato di Vienna, ricomposto verso la metà del XIX secolo o per donazioni o per acquisizioni dopo la morte dei proprietari.

    Esiste tuttavia la possibilità che Sussmayr abbia avuto accesso ad appunti ed abbozzi mozartiani non pervenutici. Constanze ebbe a dire anni dopo che in mezzo al noto disordine in cui il marito lavorava Sussmayr trovo vari "foglietti" con degli appunti: a testimonianza della veridicità di tale asserzione è a nota l'esistenza di un inizio di fuga sull'amen alla fine del Lacrimosa, abbozzata su un foglio contenente anche appunti riferiti ad altri lavori.

    L'orchestrazione di Sussmayr non è sempre di buona fattura, e a volte è infarcita di errori e cadute di gusto: rimane però il fatto che riducendo a voci e basso continuo anche i brani apparentemente composti interamente da lui, si può riconoscere una chiara impronta mozartiana. l'unica fuga presente è quella dell'Hosanna al termine del Sanctus, difficilmente attribuibile all'allievo di Mozart, evidentemente non all'altezza.

    Ipotizzando una paternità mozartiana anche per i brani non di suo pugno si possono evidenziare varie ingenuità. Sussmayr non si rese ad esempio conto che nel Benedictus - in si bemolle maggiore - la coda strumentale aveva un andamento modulante, e doveva servire per tornare a re maggiore, la tonalità del Sanctus (un ponte modulante identico era usato da Mozart poco prima nel finale primo del Flauto magico); Sussmayr invece porta a termine l'interludio strumentale trasportando l'Hosanna finale in detta tonalità, cosa mai fatta da Mozart in nessuna delle sue messe precedenti.

    In questa partitura si fondono momenti di straordinario senso teatrale melodrammatico ad altri brani rigorosamente classicheggianti. Fra i momenti di maggiore ispirazione drammatica spicca sicuramente il Lacrimosa. Il compositore riesce, attraverso l'utilizzo di brevi frasi di crome ascendenti e discendenti assegnate ai violini contornate da una scrittura corale di ampio respiro, a creare un effetto di pianto a stento trattenuto, di preghiera umile e devota con un Amen conclusivo in forte che esprime tutto il fervore religioso dell'autore. Il Lacrimosa è per questi motivi da sempre considerato un banco di prova importante per direttori d'orchestra. Per contrasto la rigorosissima fuga del Kyrie pone non pochi problemi di precisione ritmica e intonazione al coro, senza per altro cedere di un passo dalla drammaticità che impregna l'intera partitura mozartiana. Infine un pezzo ricorrente fra i repertori sacri di molti cantanti lirici solisti è lo splendido Tuba Mirum nel quale la teatralità del compositore si fonde in modo egregio con la sacralità del testo, descritto attraverso un sapientissimo utilizzo, prima separato poi unito, delle quattro voci soliste.

    Nel 1997 la scoperta di un'inedita sinfonia di Pasquale Anfossi (nota oggi con il nome di Sinfonia Venezia, 1776), mostrò che la voce tenorile nel Confutatis maledictis nel Requiem mozartiano, ne aveva ripreso una cellula melodica dall'Andante: sono uguali gli intervalli (il brano è trasferito dalla tonalità in La minore a quella di Re minore), la struttura armonica e l'articolazione ritmica, con le uniche differenze della quarta nota del motivo e dell'aggiunta di una pausa ritmica finale.

    La notizia fu ripresa dai giornali ed ebbe un certo clamore, ma va rilevato che la pratica di riprendere brani musicali già esistenti è frequente in tutta la storia della musica e che nello stesso Requiem di Mozart, vi sono altri pezzi che, senza dubbio, sono stati ispirati da composizioni già esistenti: è il caso dell'Introitus, che riprende la composizione di Haendel Funeral anthem for Her Most Sacred Majestry Queen Caroline HWV 264 e del Kyrie che, a sua volta è molto simile al coro And with his stripes we are healed dall'oratorio Messiah dello stesso Haendel (HVW56). Essendo Mozart un estimatore ed uno studioso della musica di Haendel (tanto da avere curato nel 1789 una nuova orchestrazione dello stesso Messiah per conto del barone Gottfried van Swieten), è difficile considerare queste similitudini come casuali.

    Va inoltre ricordato che nell'Introitus, sulle parole te decet hymnus Mozart utilizza un cantus firmus, affidato prima al soprano solo e poi a tutta la sezione, basato sul cosiddetto "tono peregrino", proveniente dal repertorio gregoriano: un arcaismo che si rifà alla grande tradizione polifonica tramandata sin dal rinascimento, quello che padre Martini definiva "stile sodo".

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    Coordin.
    00 22/12/2010 12:17

    Chailly: «La musica? È speranza»

    Guarda indietro Riccardo Chailly. E riflette. «Su come la mia vita sia stata un avvicinamento progressivo al grande mistero della morte» dice lasciandoti per un attimo disorientato. Poi ti spiega. Perché il direttore d’orchestra milanese ha ben impresso nella memoria quell’incontro. E lo racconta ancora con un nodo in gola. «È avvenuto il 24 dicembre del 2002, nella notte, quando se ne andò mio padre Luciano. Non ero lì accanto a lui perché il lavoro mi tratteneva ad Amsterdam: il giorno dopo c’era la diretta tv del Concerto di Natale del Concertgebow, l’orchestra che dirigevo allora». Chailly si ferma un attimo. Poi riprende. Con la stessa profondità che avverti nella sua musica. Che senti nel suo Bach e nel suo Mendelssohn. «Avrei voluto essere da tutt’altra parte. Avrei voluto che la musica, mia compagna di vita, tacesse e lasciasse spazio solo al silenzio. Invece fui costretto a confrontarmi con Stravinskij e con la <+corsivo>Sagra della primavera<+tondo>. Posata la bacchetta mi isolai dal mondo. E pensai. Al di là della verifica tragica del vuoto assoluto che resta dopo una così grande perdita, è stato lì che mi sono posto il problema della mia morte, che mi sono fatto la domanda su cosa accadrà quando toccherà a me».

    E che risposta si è dato, maestro Chailly
    ?
    «Sul momento nessuna che potesse essere definitiva. Ci ha pensato poi la vita. Qualche anno fa ho avuto un problema legato al cuore, piccole cose, subito risolte che, però, mi hanno preoccupato. Quando sono stato ricoverato d’urgenza ho fatto passare tutta la mia vita. Ho rivisto i miei valori. Aver fatto i conti con il limite dell’uomo mi ha cambiato. Anche se ho cercato di non diventare schiavo della malattia, di non sentirmi "vittima" di una situazione che era fuori dal mio controllo».

    E dove ha trovato la forza di reagire?
    «Sono sempre stato un credente in ricerca. Confrontarmi con grandi pagine sacre, penso su tutte alle Passioni di Bach, mi ha aiutato. In questa occasione la musica è stata una medicina eccellente: appena ho potuto, sono tornato sul podio con una grande fiducia nel futuro».

    Lei dal dolore ha tratto una speranza, ma le cronache, anche recenti, vanno in un’altra direzione. Cosa significa fare musica quando ci sono Haiti e il Cile, quando la crisi mette a dura prova le famiglie?
    «Le confesso che provo un senso di impotenza. Mi chiedo perché la musica non possa fare nulla di concerto. Poi rispondo facendo musica, facendo sì che la mia gioia personale, quella che provo quando sono sul podio, possa diventare una gioia collettiva. Non mi ritrovo nell’atteggiamento di molti musicisti che pensano che un concerto possa risolvere un problema politico o lenire un dolore fisico. E ho un senso di lieve disprezzo verso chi crede questo perché mi accorgo che in quei momenti l’umanità ha bisogno di ben altro che di un concerto. Chi fa musica è un privilegiato perché può sognare, staccarsi dalla realtà. È questo che siamo chiamati a fare: aiutare le persone a nutrire una speranza».

    E lei in cosa spera?
    «Nonostante tutto nell’uomo. Sono convinto che l’andamento della nostra vita sia conseguenza diretta della moralità (o immoralità) dell’uomo chiamato in prima persona a dare un’impronta decisiva alla storia. Certo, il compito è difficilissimo perché ogni giorno siamo chiamati a lottare con un nemico acerrimo, la televisione, una vergogna nazionale, responsabile dello svuotamento di valori della nostra società. Una schiavitù che ci tiene legati».

    Lei ha mai dovuto sacrificare la sua libertà? Si è mai sentito "incatenato" a qualcuno o a qualcosa?
    «Posso ritenermi privilegiato per non essere mai stato legato a nessuno in un mondo dove tutto procede per schemi di appartenenza. Ho sempre preferito smarcarmi dal pensiero comune per avere la possibilità di costruirmi autonomamente le mie idee. Come artista ho sempre ritenuto che la cosa più importante fosse quella di essere libero da obblighi che altri vorrebbero imporre».

    Avrà dovuto pagare un prezzo alto...
    «Direi di no, perché la libertà non ha prezzo. Perché oggi non sento di essere dipendente da nessuno. Poter dire di no – e non mi pento di quelli che ho detto – mi ha sempre permesso di seguire i miei desideri, le mie ambizioni, i miei progetti».

    Detta così, sembra la ricetta della felicità. Ma da dove le viene tutta questa serenità?
    «Dalla mia storia. In musica sono stato precoce: ho diretto il mio primo concerto a 13 anni. Certo, ho avuto momenti di irrazionale entusiasmo giovanile, ma aver iniziato presto mi ha aiutato a trovare un modo per non disperdere la mia gioventù. Certo, se si potesse rinascere e rifare il nostro percorso con la consapevolezza acquisita negli anni tutto sarebbe diverso. Ma la vita è un continuo confronto quotidiano con il pericolo e la tentazione».

    Qual è stata la più grande che ha dovuto affrontare?
    «Il successo. Per un musicista che vive di continuo il rapporto con il pubblico dovrebbe essere un elemento di verifica. Ma spesso diventa pericoloso per chi lo ritiene un punto di arrivo e non una tappa di un cammino: prima del successo c’è un percorso che è fatto anche di sofferenza. È chiaro che il successo gratifica, mentirei se dicessi il contrario, ma dura una frazione di secondo, poi sparisce».

    Si è mai sentito solo?
    «Molte volte. Ma la definirei una solitudine artistica per il fatto di non essere capito all’interno di un luogo, di un ente nella realizzazione di un progetto. Ma in questi momenti non ho mai sentito la solitudine umana. Ho sempre trovato conforto nella mia famiglia. In mia moglie, un punto fermo nella mia vita. Un grande dono: non posso che leggere così questa presenza. Di fronte alla vertigine che poteva prendermi dall’essere artisticamente solo, la mia famiglia mi ha sempre dato l’equilibrio, l’affetto di cui ogni uomo ha bisogno».
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    00 31/05/2011 23:10

    La conversione cattolica di Gustav Mahler

    Il filosofo Tommaso Scandroglio ha recentemente parlato della conversione cattolica di Gustav Mahler (1860-1911), celebre direttore d’orchestra a livello internazionale tra fine Ottocento ed inizio Novecento.

    Una conversione famosa e anche contestata da alcuni che la ritengono essenzialmente politica. Mahler era ebreo per nascita ma non per fede. Disinteressato alla religione ma non alla tradizione del suo popolo, come testimoniano bene alcune sue partiture (temi in stile klezmer , uno dei generi musicali di tradizione ebraica, nel terzo movimento della Prima Sinfonia, marcette o danze nuziali prese dalle musiche dei riti sponsali ebraici ecc…). Sin da ragazzo, continua il filosofo, nasce in lui una particolare attrazione per il cattolicesimo, anche sull’onda di un certo medesimo interesse nutrito dal padre. E’ attestato anche dal fatto che, come riportano diverse biografie, era corista in una chiesa cattolica, chiesa in cui il maestro del coro gli aveva impartito i primi rudimenti dell’arte pianistica. Tra l’Ottocento e il Novecento diventerà uno dei più importanti direttori di orchestra a livello mondiale e nel 1897 venne nominato direttore dell’Imperial Regia Opera di Corte. Per accedere a questa carica occorreva essere cattolici. Poco prima, nel febbraio di quello stesso anno, Mahler si fece battezzare. Questo è il fatto che ha innescato, sin da allora, numerosi dubbi e polemiche. Domanda: Mahler si fece battezzare per mero opportunismo oppure perché desiderava veramente diventare cattolico? Scandroglio, scrivendo su La Bussola Quotidiana, analizza tre argomenti a favore del fatto che Mahler colse quell’occasione per rompere gli indugi e abbracciare sinceramente la fede cristiana.

    1) Le opere: sia prima, sia dopo il suo ingresso all’Opera di Vienna egli scrisse musiche in cui l’elemento della cattolicità era ben presente. E dunque non avrebbe avuto interesse alcuno a citare rimandi alla tradizione cattolica dato che non era ancora direttore o aveva ormai dismesso i panni di questo. Prima della nomina, tra il 1893 e il 1896, mise a punto i lieder del ciclo Il corno magico del fanciullo, i cui testi sono tratti dalle poesie di Achim von Arnim e dal cattolico Clemens Brentano. Dopo la guida dell’Opera di Vienna scrisse ll’Ottava Sinfonia in cui è inserito il Veni Creator Spiritus.

    2) I biografi: una recente e monumentale biografia scritta da Quirino Principe (“Mahler. La musica tra eros e thanatos”, Bombiani 2002), uno dei massimi esperti di Mahler del mondo, conferma l’autenticità e la sincerità della conversione del compositore. Anche perché, dice lo studioso, «Mahler sarebbe comunque arrivato alla direzione del teatro, in virtù di un clima relativamente tollerante verso il mondo ebraico sotto Francesco Giuseppe». Anche nella biografia dell’enciclopedia Wikipedia si sostiene la sincerità della conversione.

    3) Le parole della moglie: Nella sua Autobiografia, scritta attorno agli anni ’60, la moglie Alma Mahler appunta: «A vent’anni conobbi Gustav Mahler, il mio primo marito. Era cristiano e si era fatto battezzare non soltanto per opportunismo, per poter diventare direttore dell’Opera di corte di Vienna, come hanno voluto far credere certi biografi». Nel diario della donna si trovano altri spunti sulla sincerità della conversione: «Una lettera che mi scrisse anni dopo è una risposta alla mia domanda polemica: in che misura Platone fosse superiore a Cristo, in un certo senso. Gustav Mahler respinse questa domanda fermamente e con convinzione. Raramente Mahler passava davanti a una chiesa senza entrare. […] Amava anche profondamente il misticismo cattolico. Ero in polemica con l’ebreo che credeva in Cristo, allora!». In un altro suo libro, dal titolo “Ricordi e lettere”, scrive: «Una delle nostre prime conversazioni ebbe per argomento Gesù Cristo. Sebbene avessi avuto una educazione cattolica, ero diventata più tardi una libera pensatrice convinta, sotto l’influenza di Schopenhauer e di Nietzsche. Mahler si opponeva con foga a questa concezione e si arrivò allo strano paradosso che un ebreo difendeva a spada tratta Gesù Cristo contro una cristiana. […] La mistica cattolica lo attraeva e questa attrazione veniva incoraggiata dai suoi amici di gioventù che si facevano battezzare e cambiavano nome; e il suo amore per il misticismo cattolico era perfettamente sincero. […] Amava l’odore dell’incenso, il canto gregoriano. […] I suoi canti religiosi, la Seconda, l’Ottava, tutti i corali nelle sinfonie sono sentiti sinceramente – non inseriti dall’esterno!». Vicino alla morte per endocardite batterica, la moglie racconta di averlo visto spesso camminare per casa leggendo la Bibbia. Ciò a testimonianza di un percorso di conversione realmente sincero, personale ed ininterrotto. Le parole di Alma Manher sono molto attendibili poiché non sostenute da nessun interesse a distorcere la narrazione dei fatti, trovandosi lei con stupore a giudicare se stessa quasi meno cattolica del marito.

    4) Più guai che vantaggi: la conversione, all’ebreo Mahler, non procurò alcun vantaggio, anzi lo pose in una situazione ambigua, anche perché non rinnegò mai le sue radici culturali, come ci racconta sempre Alma: «Non ha mai negato la sua origine ebraica – piuttosto l’ha messa in rilievo. Di fede era cristiano. Era un ebreo-cristiano e aveva la vita difficile». I cattolici lo guardavano in modo sospetto e gli ebrei pure. Il calcolo opportunistico risulta essere non molto solido.

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    00 23/10/2011 23:58

    Bruckner


    “Un’opera grandiosa che sintetizza la fede di un grande musicista, ma anche un richiamo a noi ad aprire gli orizzonti e pensare alla vita eterna”. E’ in sintesi la riflessione che il Papa ha lasciato ai presenti al termine del concerto di questo pomeriggio nell’Aula Paolo VI che ha visto in programma il "Te Deum" e la "Sinfonia n.9 in re minore" di Anton Bruckner. Protagonisti l’Orchestra dell’Opera di Stato della Baviera, diretta da Ken Nagano, e la Audi Jugendchorakademie, diretta da Martin Steidler. Il servizio di Gabriella Ceraso:00:01:42:77

    Una pagina di raffianata analisi musicale illuminata dalla luce della fede, nelle parole di ieri sera di Benedetto XVI. Ascoltare la musica di Bruckner, dice, è come trovarsi all’interno di una grande cattedrale con le strutture portanti che ci spingono in alto e creano emozione. Ma il fondamento di tutto, aggiunge, è la fede semplice, solida, genuina, conservata dal compositore austriaco tutta la vita. E in quest’ultima sinfonia, la dedica al buon Dio, tradisce un deisderio:

    “Quasi egli avesse voluto dedicare e affidare l’ultimo maturo frutto della sua arte a Colui nel quale aveva sempre creduto, ormai l’unico e vero interlocutore a cui rivolgersi, giunto all’ultimo tratto dell’esistenza”.

    E proprio a una dimensione misteriosa, quasi atemporale, ci aprono e ci guidano i tre movimenti sinfonici. Il senso, prosegue il Papa, è quello di una continua attesa, dal misterioso iniziale all’adagio finale, col suo moto di ascesa progressiva, i suoi chiaroscuri, le sue significative reminiscenze dal materiale musicale delle messe. Bruckner chiedeva la buon Dio di entrare nel suo mistero, di poterlo lodare in cielo come aveva fatto in terra con la sua musica e in questo un atto di fede, sottolinea il Papa, ma non solo:

    “Un richiamo anche a noi ad aprire gli orizzonti e pensare alla vita eterna, non per sfuggire dal presente, anche se segnato da problemi e difficoltà, ma piuttosto per viverlo ancora più intensamente, portando nella realtà in cui viviamo un po’ di luce, di speranza, di amore”.



    Le sinfonie di Anton Bruckner appartengono alle opere della storia della musica su cui le opinioni divergono fino ad oggi: o c'è un consenso senza riserve, come una professione di fede, oppure un rigido rifiuto - una via di mezzo sembra mancare. Se il carattere monumentale, la violenza delle emozioni che si esprimono in questa musica per non scegliere che qualche aspetto - rappresentano per gli ammiratori la vetta più alta di ciò che si può dire con i suoni, i detrattori credono invece di riconoscervi solo superficialità o persino banalità. Se agli uni l'organizzazione formale e le innovazioni armoniche sembrano ardite e sublimi, gli altri parlano invece di dilettantismo o di spirito di epigono. "Il più importante compositore di sinfonie dopo Beethoven", così appariva Bruckner agli occhi di Richard Wagner, ma nientemeno che Johannes Brahms vide nelle sue opere "un imbroglio che fra uno o due anni sarà finito e dimenticato".
    Un tale contraddittorio effetto - per quanto possa a volte essere formulato con esagerazione - non è naturalmente casuale e non ha nulla a che vedere con delle incidentali differenze di opinione. In esso si manifesta piuttosto un carattere essenziale particolare della musica di Bruckner che vuole essere più di una semplice "forma mossa dai suoni" vuole dare espressione a delle esperienze dell'anima e a delle speranze, e apre una dimensione trascendentale in cui non si tratta più solo dell'estetica, cioè di una concezione artistica ma, nel più verso senso del termine, di una visione del mondo. Bruckner, il contrario di un musicista intellettuale, l'uomo semplice e pio, come lo hanno descritto i suoi contemporanei, veniva dalla musica sacra e in certo modo è sempre restato, anche come compositore di sinfonie, un annunciatore della fede. Nella dedica della Nona Sinfonia - "Al buon Dio" - questo atteggiamento trova la sua commovente espressione.
    In modo corrispondente si può capire anche la vecchia consuetudine di far seguire ai tre movimenti, nelle esecuzioni dell'opera, il "Te Deum" di Bruckner quasi come Finale. A dire il vero un tale "completamento" non sembra assolutamente necessario perché la Nona appartiene certo, a causa del quarto movimento mancante, alle opere "incompiute" della storia della musica, a quelle però che - come la Sinfonia in si minore di Schubert sono compiute in un senso più alto. Proprio il fatto che alla fine della produzione sinfonica di Bruckner ci sia un Adagio, un movimento caratterizzato da un profondissimo sentimento e che in certo qual modo rappresenta una "presa di commiato" conferisce all'opera una particolare intensità e il carattere di un testamento personale.
    I tre movimenti della Nona furono composti, con continue interruzioni per la revisione di opere precedenti, tra il 1887 e il 1894. Poi Bruckner si accinse all'abbozzo del Finale, a cui ancora lavorava il mattino del giorno in cui morì (11 ottobre 1896). I movimenti interamente conclusi furono eseguiti per la prima volta sotto la direzione di Ferdinand Löwe, amico di Bruckner, nel 1903 in una forma orchestrale però fortemente modificata; l'orchestrazione originaria risuonò per la prima volta solo nel 1932.
    Per molteplici aspetti questa sinfonia costituisce una 'summa' dell'opera sinfonica di Bruckner. Già l'inizio è tipico, non comincia con il primo tema vero e proprio, ma con la raffigurazione descrittiva di uno 'stato originario' da cui si fanno lentamente avanti singole figure musicali che si ammassano in una poderosa struttura architettonica. Il posto occupato da Bruckner nella storia della musica si mostra qui in doppio modo: da una parte si può pensare all'inizio della Prima Sinfonia di Gustav MahIer, "Come un suono della natura", composta nello stesso periodo, ma ancora più forte si impone l'affinità con la Nona di Beethoven, il grande modello di tutto il sinfonismo romantico, a cui Bruckner si sentiva intimamente obbligato. Non solo l'inizio, "Misterioso" (e del resto già la tonalità di re minore), ma anche altri accorgimenti compositivi si possono comprendere come una cosciente eredità beethoveniana, soprattutto i collegamenti motivici tra i singoli movimenti. Si potrebbe compilare un intero catalogo di tali corrispondenze, di cui alcune si rivelano solo ad un'analisi dettagliata, mentre altre (p. es. il motivo ritmico principale dello Scherzo - l'"anapesto", costituito da due battiti brevi e uno lungo - e in ambito melodico i caratteristici pizzicati degli archi che ritornano nell'Adagio) risultano evidenti già ad un ascolto attento.
    In quale misura Bruckner si sia rifatto ad antichi modelli appare anche dalla grande importanza che hanno le tecniche contrappuntistiche (canone, imitazione e rigoroso moto contrario delle voci) e dall'organizzazione formale, che combina il principio dello sviluppo classico con la giustapposizione barocca di singole sezioni. Ma accanto a questo aspetto storicizzante colpiscono altre caratteristiche, decisamente moderne, con cui il compositore è andato al di là dei limiti di un sinfonismo tradizionale. Proprio nella sonorità, che include sia momenti solistici dei singoli strumenti che il massiccio addensarsi di interi gruppi orchestrale (particolarmente degli ottoni), Bruckner prosegue degli aspetti del linguaggio musicale drammatico di Richard Wagner. In verità tali rimandi a determinate affinità con altri compositori permettono di accennare solo ad alcuni tratti essenziali del sinfonismo di Bruckner. Decisivo resta il modo personalissimo in cui egli collega i differenti elementi: il carattere piano dei suoi complessi formali, la stratificazione architettonica ottenuta con gli stessi materiali e le loro modificazioni, le grandi linee e le curve di tensione e, come risultato di tutte queste caratteristiche, le ondate di crescendo, con cui la sua musica prende l'ascoltatore e lo trascina in sfere più alte che indicano un qualcosa che è al di là della sola musica.
    [Modificato da Credente 24/10/2011 00:07]
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    00 31/05/2014 22:14
    Teologi, meglio Mozart o Bach?


    Raccontano le foto in cui è ritratto Benedetto XVI al pianoforte negli anni del suo pontificato che gli spartiti appoggiati sul leggio o sopra lo strumento davanti a cui il Papa amava sedersi fossero quelli di Mozart e Bach. E anche adesso, nel monastero Mater Ecclesiae in Vaticano dove Ratzinger si è ritirato, le sue abitudini non sono cambiate se è vero che gli autori più ascoltati dal Pontefice emerito sono il genio di Salisburgo e il cantore luterano di Lipsia.


    Un caso che il Papa teologo sia affascinato da queste due penne di partiture straordinarie? Macché. Mozart e Bach sono i musicisti che, più di altri, hanno conquistato i teologi dell’ultimo secolo. L’intensità divina dei loro capolavori e la capacità di “dare forma” al sacro sul pentagramma li hanno sedotti. E talvolta li hanno anche divisi in sostenitori dell’uno o dell’altro, quasi fossero loggionisti in un teatro d’opera. Certo, Mozart e Bach hanno toccato talmente nel profondo la loro anima che i “pensatori” di Dio si sono sentiti quasi in obbligo di dedicare riflessioni e scritti ai due maestri. Probabilmente perché in entrambi hanno trovato impianti teologici simili a quelli proposti nei loro studi.

    Karl Barth, il teologo riformato svizzero che non si era sottratto dal decifrare il rapporto fra melodia e vita di grazia, aveva immaginato il Paradiso sospeso fra le note dei due autori. «Forse gli angeli, quando sono intenti a rendere lode a Dio, suonano la musica di Bach – annotava –; sono certo, invece, che quando si trovano fra loro suonano Mozart e allora anche il Signore trova particolare diletto ad ascoltarli». Comunque Barth tifava per Wolfgang Amadeus. «“I raggi del sole scacciano la notte”, si ode alla fine del Flauto magico. Non si riuscirà mai a percepire nella musica di Mozart l’incertezza e il dubbio: questo vale per la sua produzione operistica come per la sua musica strumentale e più che mai per le opere di genere religioso. Ognuno di quei Kyrie o Miserere, che pure attaccano su note così basse, non è come sorretto dalla fiduciosa certezza che la misericordia invocata si è fatta già da tempo realtà?».

    Aveva un orecchio altrettanto raffinato il teologo cattolico Hans Urs von Balthasar che negli spartiti dei due talenti scorgeva come un tocco in grado di risollevare l’uomo dalla sua caduta. «Di fronte alla musica di Bach – sosteneva – noi percepiamo sempre l’imponenza ciclopica dei volumi e delle architetture. L’enorme opera di Mozart ci appare invece come già nata senza alcuno sforzo, messa al mondo come un figlio già perfetto, giunta alla sua maturità senza turbamenti. Ci domandiamo se non sia una sorta di intatto arcobaleno che viene dalla memoria del paradiso terrestre». Sulla fede che alimentava Bach, non aveva dubbi. Sullo spirito religioso del maestro austriaco, lo stesso: tanto da indicarlo come esempio di seguace di Cristo. «Mozart vuole, creando e vivendo, essere suo discepolo. E servire rendendo percepibile il canto trionfale della creazione innocente e risorta».

    Fra i teologi mozartiani rientra il controverso Hans Küng che con alcuni suoi saggi ha voluto rendere onore alle «tracce della trascendenza» nella musica dell’enfant prodige austriaco. Di sicuro non ha fatto di lui un missionario musicale. E nel volume Musica e religione (Queriniana, 2012, 288 pagine, 23,50 euro) ha associato al «suono dell’infinito» che i lavori di Mozart trasmettono i drammi musicali di Wagner e le sinfonie di Bruckner.
    Anche il teologo Pierangelo Sequeri sta dalla parte dell’autore di Don Giovanni.

    «Mozart è stato in grado di interpretare l’avventura della modernità senza rinunciare alla luce della teologia. Ha saputo sviluppare una sorta di teologia musicale, capace di conservare e rendere le dissonanze senza risolverle falsamente», ha spiegato presentando il suo libro Eccetto Mozart. Una passione teologica (Glossa, 2006, 210 pagine, 29 euro). In ogni caso, ammette Sequeri, «se Dio fa risuonare la musica di Bach nelle riunioni in cui tutti possono partecipare, è perché essa è la più accogliente nei confronti di ciascuno».

    A sostegno del compositore tedesco intervengono due gesuiti: Christoph Theobald, docente di teologia fondamentale al Centro Sèvres di Parigi, e Philippe Charru, organista titolare nella chiesa di Saint-Ignace a Parigi e direttore del dipartimento di estetica sempre al Sèvres. I padri della Compagnia di Gesù sono gli autori del volumetto La teologia di Bach (Edb, 48 pagine, 5,50 euro) da oggi in libreria. «Nella prospettiva luterana – sottolineano – la musica porta la Parola fino in fondo al cuore e ne fa risuonare l’eco. Una cantata di Bach risponde a questa pedagogia dell’esperienza credente». Nell’ascolto delle sue composizioni si colgono molte discontinuità. «Fenditure», le definiscono i due religiosi, che formano una struttura musicale fatta di «resistenze e lotte, cromatismi e silenzi, ascensioni e cadute: in una parola della croce. Ecco perché Bach ha trovato nella contemplazione della croce il sigillo per eccellenza che fonda la sua musica».

    E se la sua produzione implica «una drammatica di conversione, essa non costringe alcuno poiché la decisione di credere si gioca nel segreto delle coscienze, al di là dell’ascolto musicale. Questo rispetto che circonda gli ascoltatori porta il segno di una gratuità capace di annullarsi nella forma di un’ospitalità senza confini. Il che non rappresenta una testimonianza minore del suo autentico sapore evangelico».
    A Bach ha dedicato parole lusinghiere Joseph Ratzinger, come si legge nel volume Sulla musica (Marcianum Press, 2013, 86 pagine, 9 euro). «In un concerto a Monaco di Baviera diretto da Leonard Bernstein – ha riferito Benedetto XVI nel 2011 – al termine dell’ultimo brano, una delle cantate, sentii, non per ragionamento, ma nel profondo del cuore, che ciò che avevo ascoltato mi aveva trasmesso verità, verità del sommo compositore, e mi spingeva a ringraziare Dio.

    Accanto a me c’era il vescovo luterano di Monaco e spontaneamente gli dissi: «Sentendo questo si capisce: è vera la fede così forte, e la bellezza che esprime irresistibilmente la presenza della verità di Dio».

    Fra le duecento cantate che il maestro di Lipsia ci ha lasciato quella cara al Pontefice emerito era per la Messa della 27ª domenica dopo la Trinità, l’ultima prima dell’Avvento nell’anno liturgico luterano. E il Papa tedesco aveva chiamato l’autore della Passione secondo Matteo uno «splendido architetto della musica, con un uso ineguagliato del contrappunto, guidato da un tenace ésprit de géometrie, simbolo di ordine e di saggezza, riflesso di Dio».

    Certo, Benedetto XVI è legato a Mozart da un «affetto particolare» che affonda nella sua infanzia quando sentiva in chiesa le note di una Messa della «stella» di Salisburgo. «In Mozart ogni cosa è in perfetta armonia, ogni nota, ogni frase musicale è così e non potrebbe essere altrimenti; anche gli opposti sono riconciliati e la “serenità mozartiana” avvolge tutto, in ogni momento. È un dono questo della grazia di Dio, ma è anche il frutto della viva fede di Mozart, che – specie nella sua musica sacra – riesce a far trasparire la risposta dell’amore divino che dona speranza». Gusti a parte, la musica è per chi si occupa dell’intelligenza di credere «la più grande apologia della nostra fede». Al pari della «scia luminosa» dei santi. Parola del «Mozart della teologia», ossia papa Ratzinger.
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    00 27/05/2015 23:10

    Jan Dismas  Zelenka


         

     La nazionalità di Zelenka è la Boemia, dove nacque il 16 ottobre 1679, a Lounovice.


    Battezzato col nome di Jan Lukàs, iniziò la sua formazione apprendendo i primi elementi musicali da padre Jirì che era organista. Poi passò al Collegio Clementino dei Gesuiti a Praga, ove conobbe il conte Hartig, e nel 1709 ne entrò a servizio. 
    Nel 1710 fu violinista nell'orchestra di Dresda.
    Il perfezionamento compositivo si realizzò con J.J Fux a Vienna nel 1716 e poi in Italia, conAntonio Lotti
    Nel 1717, tornato a Vienna, si dedicò all’insegnamento del contrappunto a Johann Joachim Quantz.
    Nel 1719 ritornò a Dresda, dove vi rimase fino alla morte, prima collaborando per un certo periodo con Johann David Heinichen, poi, dal 1725 circa, come vicemaestro di cappella di musica sacra, assurgendo al livello di primo maestro nel 1729 e quale compositore di corte dal 1735.
    Zelenka morì a Dresda il 22 o 23 Dicembre 1745.

    C’è uno spostamento di Zelenka assolutamente degno di nota: si tratta di una trasferta che fece a Praga nel 1723, per l'incoronazione di Carlo VI: in quell'occasione pare che Zelenka abbia composto molta musica strumentale e il bellissimo SUB OLEA PACIS ET PALMA VIRTUTIS CONSPICUA ORBI REGIA BOHEMIA CORONA, detto anche Melodramma de Sancto Venceslao: Carlo VI era Imperatore e veniva incoronato a Praga nel 1723 come anche Re di Boemia, con una sfarzosa cerimonia che prevedeva tutta una serie di manifestazioni per solennizzare l’evento. 
    La rappresentazione del Melodramma si diede il 12 Settembre 1723, nel Clementinum, un palazzo di proprietà dei Gesuiti, al cospetto di Carlo e dell’Imperatrice Elisabetta Cristina. Opera commissionata dai Gesuiti, su un libretto redatto in testo latino da padre Matous Zill, musica e testo innalzano lodi di carattere politico e patriottico, con una profonda venerazione verso la famiglia Reale. Sembra che non riesca a stabilire esattamente quanti fossero stati i musicisti che si esibirono il 12 settembre. La composizione alterna momenti di grande energia strumentale, ingioiellata da forti effetti coloristico-strumentali, e momenti dove la musica solistica si fa più intimista: il libretto alterna infatti momenti dedicati alla deferenza verso i regnanti e momenti concentrati all’edificazione morale. Il Melodramma si articola in un Prologo e te atti, con un Epilogo finale: ultimo atto e l’epilogo sono tutti strumentalizzati per lodare il consacrato nuovo Re di Boemia, e per questo Zelenka ricorre a tecniche espressive altisonanti con gran pompa e giubilo: anche il coro partecipa in queste solenni celebrazioni, anche se si concentra essenzialmente all’inizio e alla fine dell’opera. Fanfare di trombe e timpani coronano apoteizzando le sperticate lodi agli Imperatori. 

    La musica di Zelenka scomparve nell’arco di tempo compreso fra il 1800 e il 1950: si suppone che la motivazione debba ricercarsi in un preciso ostracismo nei confronti del compositore da parte dei musicisti della Corte Regale di Dresda, che impedirono la divulgazione delle sue opere, sopra le quali recentemente si sono avviati degli strudi. 
    Lo stile eminentemente polifonico di Zelenka presenta considerevoli analogie e legami con quello di J. S. Bach, di lui poco più giovane: Bach studiò le opere di Zelenka, ed instaurò contatti personali col compositore boemo.
    Nel tessuto contrappuntistico si rilevano comunque elementi nazionalistici, come ritmi di danza o riflessioni melodiche languidamente slave. 
    Non avulso dallo stile italiano imperante nel mondo Barocco, Zelenka ricorre a questi stilemi compositivi nel CONCERTO e nella SINFONIA, datate 1723: l’unisono, di tipo vivaldiano, lo ravvisiamo in modo ben evidenziato nelle introduzioni. 
    Dove però Zelenka dimostra il suo aspetto più individualistico è nei i 5 CAPRICCI, che presentano dei passaggi stravaganti e dotati di passaggi straordinariamente acuti per i corni, e nella OUVERTURE del 1723: tali composizioni tuttavia richiamano anche lo stile francese e quello di Telemann. Come caratteristica comune, in linea generale, nella musica di Zelenka si può ravvisare il ricorso ad un'armonia cromatica, ricca di tensione espressiva e il frequente utilizzo dell’accordo minore, cosa un po’ insolita all’epoca.
    La biografia di Zelenka è lacunosa, ma si può ritenere che buona parte della musica strumentale giunta fino a noi sia stata composta attorno al 1723 in occasione dell'incoronazione a Praga di Carlo VI. 
    Gli scarsi esempi di musica da camera per pochi strumenti che sono noti oggi di Zelenka sono leSEI SONATE IN TRIO del 1716, strutturati in 4 movimenti con l’eccezione della sonata numero 5 e nella forma corelliana della sonata da chiesa (Adagio-Allegro-Adagio-Allegro): anche in questi componimenti si può riscontrare uno stile peculiare: Zelenka ha previsto l’impiego di 2 bassi obbligati, ossia in sostanza 2 diverse elaborazioni di una stessa voce portante: questo aspetto non era un qualcosa mai incontrato prima, ma questa tecnica compositiva era scomparsa dopo il 1700, allora si può ritenere che esista un legame di Zelenka con la tradizione precedente.
    L’intenso lavorio di incastri polifonici, di progressioni, di inseguimenti fra le voci fanno di Zelenka un architetto Musicale, legato ad una concezione polifonico-vocale trasposta pure nelle pagine strumentali. 
    Il genere in cui Zelenka si è più intensamente cimentato è la produzione religiosa: lentamente oggi si stanno riscoprendo dei lavori sacri di eccezionale bellezza, cosa che già nel 1825 era stata annunciata da F. Rochlitz, colpito per il grande interesse e ricchezza inventiva che suscitava la musica sacra di Zelenka.

     

     

     

     

     


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    00 03/06/2015 09:12

    COMPOSIZIONI DI JAN ZELENKA:

    Si noti come nel seguente elenco prevalgano le opere di ispirazione religiosa che sempre accompagnò questo artista nella sua vasta opera, purtroppo poco conosciuta.


    Oratori

    Sub olea pacis et palma virtutis: Melodrama de Sancto Wenceslao ZWV 175, per soli, coro e orchestra (per l'incoronazione di Carlo VI; Praga, 1723). 
    Il Serpente del bronzo, per 5 voci, coro e orchestra (Palnicini; 1730); ZWV 61
    Gesù al Calvario, id. (Boccardi; 1735); ZWV 62
    I penitenti al Sepolcro del Redentore, per 3 voce, coro e orchestra (1736)  ZWV 63

    Cantate

    Immisit Dominus per soli, coro e orchestra (1709); 
    Attendite et videte, id. (1712); 
    Deus Dux, id. (1716).

    Musica da camera

    Triosonate Nr. 1 ZWV 181 Nr. 1
    Triosonate Nr. 2 ZWV 181 Nr. 2
    Triosonate Nr. 3 ZWV 181 Nr. 3
    Triosonate Nr. 4 ZWV 181 Nr. 4
    Triosonate Nr. 5 ZWV 181 Nr. 5
    Triosonate Nr. 6 ZWV 181 Nr. 6
    Ouverture a 7 concertanti (1723); ZWV 188
    Simphonie a 8 concertanti (1723); ZWV 189
    Concerto a 8 concertanti (1723); ZWV 186
    Hipocondrie a 7 concertanti per archi e fiati (1723); ZWV 187
    Capriccio Nr. 1 del 1723 ZWV 182
    Capriccio Nr. 2 del 1718 ZWV 183
    Capriccio Nr. 3 del 1723 ZWV 184
    Capriccio Nr. 4 del 1723 ZWV 185
    Capriccio Nr. 5 del 1729 ZWV 190
    6 pezzi per 4 tromba e timpani; ZWV 212
    9 Canoni auf dem Hexachord ZWV 191.

    Musica sacra

    Messe (tra cui 6 Missae ultimae; 2 messe furono copiate in partitura da J. S. Bach); Alcuni Requiem e parti Messa Magnificat (copiato da W. F. Bach per il padre J. S. Bach); 4 Asperges; 
    Salmi (tra cui il CL); Offertori; Antifone mariane; Litanie; Te Deum; Dies irae; Lamentazioni e responsori per la Settimana Santa; invitatori e responsori per l'Officio dei morti. Inoltre, canoni didattici in Collectaneorum Musicorum libri IV de diversis authoribus (libro III)

    Missa Sancta Caeciliae ZWV 1
    Missa Judica me ZWV 2
    Missa Corporis Domini ZWV 3
    Missa Sancti Spiritus ZWV 4
    Missa Spei ZWV 5
    Missa Fidei ZWV 6
    Missa Paschalis ZWV 7
    Missa Nativitatis Domini ZWV 8
    Missa Corporis Domini ZWV 9
    Missa Charitatis ZWV 10
    Missa Circumcisionis Domine Nostrus Jesus Christus ZWV 11
    Missa Divi Xaverii ZWV 12
    Missa Gratias agimus tibi ZWV 13
    Missa Sancti Josephi ZWV 14
    Missa Eucharistica ZWV 15
    Missa Purificationis ZWV 16
    Missa Sanctissimae Trinitatis ZWV 17
    Missa Votiva ZWV 18
    Missa Dei Patris ZWV 19
    Missa Dei Filii ZWV 20
    Missa Omnium Sanctorum ZWV 21
    Missa Sancti Blasii ZWV 22
    Missa ZWV 23
    Requiem ZWV 45
    Requiem ZWV 46
    Invitatorium, Lectiones, et Responsoria ZWV 47
    Requiem ZWV 48
    Requiem ZWV 49
    Requiem ZWV 247
    Missa ZWV 200
    Messe D-Dur ZWV 213
    Messe D-Dur ZWV 214
    Messe g-moll ZWV 215
    Missa Sanctae Conservationis ZWV 240
    Missa Theophorica a 2 Cori ZWV 241
    Missa tranquilli animi ZWV 242
    Kyrie, Sanctus, Agnus Dei ZWV 26
    Kyrie ZWV 27
    Kyrie ZWV 28
    Christe eleison ZWV 29
    Gloria ZWV 30
    Credo ZWV 31
    Credo a due cori ZWV 32
    Credo ZWV 33
    Sanctus, Agnus ZWV 34
    Sanctus ZWV 35
    Sanctus ZWV 36
    Agnus Dei ZWV 37
    Agnus Dei ZWV 38
    Agnus Dei ZWV 39
    De Profundis ZWV 50
    6 Lamentationes pro hebdomada ZWV 53
    3 Lamentationes pro hebdomada ZWV 54
    27 Responsoriae pro hebdomada ZWV 55
    Miserere ZWV 56
    Miserere ZWV 57
    Immisit Dominus pestilentiam ZWV 58
    Attendite et videte ZWV 59
    Deus Dux fortissime ZWV 60
    Dixit Dominus ZWV 66
    Dixit Dominus ZWV 67
    Dixit Dominus ZWV 68
    Dixit Dominus ZWV 69
    Contefibor tibi Domine ZWV 70
    Contefibor tibi Domine ZWV 71
    Contefibor tibi Domine ZWV 72
    Contefibor tibi Domine ZWV 73
    Contefibor tibi Domine ZWV 74
    Beatus vir ZWV 75
    Beatus vir ZWV 76
    Beatus vir ZWV 77
    Laudate pueri ZWV 78
    Laudate pueri ZWV 79
    Laudate pueri ZWV 80
    Laudate pueri ZWV 81
    Laudate pueri ZWV 82
    In exitu Israel ZWV 83
    In exitu Israel ZWV 84
    Credidi ZWV 85
    Laudate Dominum ZWV 86
    Laudate Dominum ZWV 87
    Laetatus sum ZWV 88
    Laetatus sum ZWV 89
    Laetatus sum ZWV 90
    In convertendo ZWV 91
    Nisi Dominus ZWV 92
    Nisi Dominus ZWV 93
    Beati omnes ZWV 94
    De profundis ZWV 95
    De profundis ZWV 96
    De profundis ZWV 97
    Memento Domine David ZWV 98
    Ecce nunc benedicite ZWV 99
    Confetibor tibi Domine ZWV 100
    Domine probasti me ZWV 101
    Lauda Jerusalem ZWV 102 
    Lauda Jerusalem ZWV 103
    Lauda Jerusalem ZWV 104
    Magnificat ZWV 106
    Magnificat ZWV 107
    Magnificat ZWV 108
    Ave maris stella ZWV 110
    Creator alme siderum ZWV 111
    Crudelis Herodes ZWV 112
    Deus tuorum militium ZWV 113
    Exesultet orbis gaudiis ZWV 114
    Jam sol recessit ZWV 115
    Jesu corona virginum ZWV 116
    Iste confessor ZWV 117
    Ut queant laxis ZWV 118
    Veni Creator Spritus ZWV 119
    Veni Creator Spritus ZWV 120
    Alma Redemptoris Mater ZWV 123
    Alma Redemptoris Mater ZWV 124
    Alma Redemptoris Mater ZWV 125
    Alma Redemptoris Mater ZWV 126
    Alma Redemptoris Mater ZWV 127
    6 Ave Regina coelorum ZWV 128
    3 Regina coeli ZWV 129
    Regina coeli ZWV 130
    Regina coeli ZWV 131
    Regina coeli ZWV 132
    Regina coeli ZWV 133
    Regina coeli laetare ZWV 134
    Salve Regina, mater misericordiae ZWV 135
    Salve Regina ZWV 136
    Salve Regina ZWV 137
    2 Salve Regina ZWV 138
    Salve Regina ZWV 139
    Salve Regina ZWV 140
    Salve Regina ZWV 141
    Te Deum ZWV 145
    Te Deum ZWV 146
    Litaniae de Venerabili Sacramento ZWV 147
    Litaniae de Venerabili Sacramento ZWV 148
    Litaniae Lauretanae ZWV 149
    Litaniae Lauretanae ZWV 150
    Litaniae Lauretanae ZWV 151
    Litaniae Lauretanae ZWV 152
    Litaniae Omnium Sanctorum ZWV 153
    Litaniae Xaverianae ZWV 154
    Litaniae Xaverianae ZWV 155
    Litaniae de Sancto Xaverio ZWV 156
    10 Sub tuum praesidium ZWV 157
    Statio quadruplex pro Processione Theophorica ZWV 158
    Pange lingua 'pro stationibus Theophoriae' ZWV 159
    Angelus Domini descendit (Offertorium) ZWV 161
    O sponsa amata; Sion salvatorem, 2 Arias ZWV 162
    4 Asperges me ZWV 163
    Currite ad aras (Offertorium) ZWV 166
    Da pacem Domine ZWV 167
    Credo ZWV 201
    Sanctus, Agnus ZWV 202
    Lamentationes Ieremiae Prophetae ZWV 203
    Salve Regina ZWV 204
    Salve Regina ZWV 205
    Benedictus Dominus ZWV 206
    Benedictus sit Deus Pater ZWV 207
    Graduale Propter veritatem ZWV 208
    Veni Sancte Spiritus ZWV 210
    Credo ZWV 216
    Salve Regina duplex ZWV 217
    Salve Regina duplex ZWV 218
    Salve Regina ZWV 219
    Agnus Dei ZWV 230
    Aria animae poenitentis ZWV 231
    Ave Regina ZWV 232
    Eja triumphos pangite (Offertorium) ZWV 233
    Quid statis. De Beata Virgine Maria ZWV 243

    Mottetti

    Barbara dira effera ZWV 164
    Chvalte Boha silného ZWV 165
    Gaude laetare ZWV 168
    O magnum mysterium ZWV 171
    Sollicitus fossor ZWV 209
    Qui nihil sortis felicitis ZWV 211
    18 Cantiones sacrae ZWV 220
    Gaudia mille ZWV 234

    Inni

    Haec dies ZWV 169
    Haec dies ZWV 170 
    Pro, quos criminis ZWV 172
    O sing unto the Lord ZWV 221
    Iste Confessore ZWV 236


    Altri lavori

    8 Italienische Arien ZWV 176
    Serenata ZWV 177
    Emit amor ZWV 178
    Cantilena circularis 'Vide Domine' ZWV 179
    Via laureata (Schul-Drama) ZWV 245


    [Modificato da Credente 03/06/2015 09:14]
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    00 12/04/2019 22:06

    Dieci grandi pagine di musica
    per accompagnare la Settimana Santa

     

      
    Per accompagnare al meglio la Settimana Santa vi proponiamo una meditazione in musica, con 10 grandi pagine selezionate e commentate da Pierachille Dolfini
     
     
    Wolfgang Amadeus Mozart SANCTUS dal Requiem in re minore
    Lucerne festival orchestra Cori della radio bavarese e svedese direttore Claudio Abbado
     
     
    Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna! Canta il coro nel Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart. Ben presto l’acclamazione della folla si spegne. Il grido di Osanna lascia il posto al sinistro Sia crocefisso. Della festa resta solo un eco lontana quando Gesù sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
     
    Cambio di scena. Dalle Porte di Gerusalemme al Cenacolo. Gesù festeggia con i suoi la Pasqua ebraica.
     
    Mentre cenavano si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli
     
     
    Fin qui Giovanni. L’unico evangelista a raccontarci la lavanda dei piedi. La cena la racconta Matteo
     
    Mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati
     
     
     
    Olivier Messiaen O SACRUM CONVIVIUMBbc singers
     
     
    Messiaen in questo O sacrum convivium ne rievoca l’atmosfera, ma soprattutto rammenta come ogni volta che mangiamo il pane e beviamo al calice facciamo memoria della Passione di Cristo
     
    Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Gesù disse ai discepoli: Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare
     
    Ludwig van Beethoven OUVERTURE da Cristo al Monte degli Ulivi
    Bach collegiun di Stoccarda direttore Helmut Rilling
     
     
     Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu! Il tormento. La paura di Cristo. Beethoven le racconta in musica. Nel suo oratorio Cristo al monte degli ulivi. Dove si compie il tradimento di Giuda. Ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!» Un tradimento. Al quale ne segue un secondo. Quello di Pietro. Siamo nel palazzo del sommo sacerdote Caifa. Gesù è sotto processo. Pietro osserva da lontano, nascondendosi per paura di essere indicato come uno di quelli che stavano con Gesù Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù: «Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente
     
     
    Giuseppe Verdi ALFREDO ALFREDO dalla Traviata
    Maria Callas, Francesco Albanese Orchestra e coro della Rai direttore Gabriele Santini
     
     Ma cosa c’entra Maria Callas che canta Traviata di Verdi con il rinnegamento di Pietro? Siamo nel secondo atto del melodramma verdiano, Violetta che si è sacrificata per amore si vede oltraggiata da Alfredo. Lei non impreca. Rilancia. «Alfredo, di questo core non puoi comprendere tutto l’amore… Ma verrà giorno in che il saprai, com’io t’amassi confesserai». Parole che potrebbero raccontare cosa passa nello sguardo che Gesù, mentre viene condotto via dalla guardie, rivolge a Pietro. Un altro sguardo. E un altro volto. Quello insanguinato e coperto di sputi. Gesù è stato ridotto così dai soldati di Pilato. Con questa maschera tragica inizia il suo cammino verso il Calvario.
     
     
     
    Bach O HAUPT VOLL BLUT UND WUNDEN dalla Matthauspassion
    Concentus Musicus Vienna direttore Nikolaus Harnoncourt 
     
     
    Gesù fissa il suo volto su chi incontra, sulle donne, su Simone di Cirene, sulla Veronica, su sua Madre. In questo corale della Matthauspassion di Bach sembra di sentire lo sguardo pieno di amore di Cristo puntato su di noi. Un «capo lacerato e ferito» di fronte al quale vorresti chiudere gli occhi. Come vorresti chiuderli di fronte allo spettacolo della croce.
     
    Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». E Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito
     
    Franz Joseph Haydn TERRREMOTO
    da Le ultime sette parole del nostro Redentore in croce
    Filarmonica della Scala direttore Riccardo Muti
     
     
    Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono
     
    Il terremoto che sconvolse il mondo dopo la morte di Cristo Franz Joseph Haydn lo mette in chiusura delle sue Ultime sette parole del nostro Redentore in croce
     
    Venuta la sera, giunse un uomo ricco, di Arimatea, chiamato Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro
     
     
    Antonio Vivaldi SONATA AL SANTO SEPOLCRO
    Europa galante direttore Fabio Biondi
     
      
     Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria
     
    Ecco le donne, sulle note della Sonata Al Santo Sepolcro di Antonio Vivaldi
     
    all’alba del primo giorno della settimana. Un angelo del Signore, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte. L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto»
     
     
     
    Bach ET RESURREXI dalla Messa in si minore
    Orchestra e coro Bach Munchener Direttore Karl Richter
     
     
    Voci come di angeli nella Messa in si minore di Bach annunciano la Resurrezione di Cristo. Et resurrexi tertia die secundum scripturas canta il coro nel cuore del Credo
     
    Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli
     
     
    George Friederich Handel HALLELUJAH dal Messiah
    Coro del King’s college di Cambridge
     
     
    Esplode la gioia nell’Alleluia del celebre coro del Messiah di Handel.
     
    Cambio di scena. Eccoci sulla strada per Emmaus.
     
    Due di loro erano in cammino e conversavano di tutto quello che era accaduto. Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno gia volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro.
     
    Johann Sebastian Bach ES HAT MIT UNS dall’Oratorio di Pasqua
    Amsterdam baroque coro e orchestra direttoreTon Koopman
     
    Li accompagna e ci accompagna la musica di Bach, il corale che chiude il suo Oratorio di Pasqua, con la certezza che «Cristo è stato con noi nella battaglia con la morte e ci ha fatto liberi».Meditazione in musica sulla Settimana Santa a cura di Pierachille Dolfini

    [Modificato da Credente 12/04/2019 22:07]