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LEGGI E COSTANTI MATEMATICHE CHE REGOLANO L'UNIVERSO

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    00 15/03/2013 11:14

    Il “pin” dell’Universo: una scelta razionale

     
    di Umberto Fasol*
    *preside e docente di scienze naturali in un liceo scientifico

     
     
     

    Ci sono delle cose, nella vita, che si possono scegliere, altre no. La costante gravitazionale G (0,0000000000667), la costante alfa o di struttura fine, di Sommerfeld (1/137), la velocità della luce nel vuoto (c = 299.792.458 m/sec), la costante di Plank (662 preceduto da 33 zeri, dopo la virgola) sono valori molto precisi, che non si possono scegliere. O meglio, sono già stati scelti una volta per tutte. E non sono più modificabili. Sono “i numeri dell’Universo” (J.Barrow) o costanti universali.

    Tutto quello che vediamo e che costituisce l’Universo, esiste nella forma che ha, proprio grazie alla combinazione di questi quattro numeri, ciascuno preso fino alla sua ultima cifra decimale. Da questi numerideriva la materia che esperimentiamo. E’ il codice PIN dell’Universo. Il film iniziato con il “big bang” ancora 13,7 miliardi di anni fa, è partito proprio perché “è stata digitata” questa unica e determinata sequenza di numeri.

    Ci sono stati tentativi falliti? Nessuno può dirlo. Certo, con questi numeri è partito il più grande spettacolo del Mondo e sappiamo anche che con altri non sarebbe mai partito. O questi oppure… niente. Perché “sono stati scelti” questi numeri? Non lo sappiamo. Non esiste alcun algoritmo, né una teoria scientifica in grado di rendere ragione del loro valore. La stessa domanda si può rivolgere alla fisica, all’astronomia, alla chimica e alla biologia: “perché esistono le leggi scientifiche?” Perché esiste la forza di gravità, data dal prodotto delle masse, diviso il quadrato della loro distanza e moltiplicato per una costante piccolissima? O ancora perché esiste la forza elettrica?

    In ambito biologico: perché esiste il codice genetico? Sappiamo infatti che non esiste alcun motivo per cui alla tripletta UUU debba corrispondere l’amminoacido fenilalanina: è una pura convenzione, come accade in ogni codice che si rispetti (E. Boncinelli). Perché esiste la meiosi, ovvero il processo di due divisioni cellulari che porta alla formazione esclusiva di cellule riproduttive nelle gonadi, dotate di corredo cromosomico dimezzato? Anche qui, non esiste alcun motivo materiale per cui i cromosomi degli spermatogoni debbano appaiarsi per poi separarsi in modo rigoroso, in funzione di una fecondazione di cui non hanno mai avuto esperienza né conoscenza. Cosa sanno gli spermatozoi dell’esistenza degli ovuli da fecondare?

    Insomma… possiamo scegliere se tenere un cane oppure un gatto, possiamo scegliere dove abitare o quali vestiti indossare ma… non possiamo scegliere se vivere un giorno di più o di meno, o il metabolismo delle nostre cellule o l’aria che respiriamo, o ancora il cielo che vorremmo sopra di noi. Soprattutto, non possiamo scegliere un mondo diverso da questo.  Il tessuto dell’essere ci precede e ci segue: noi fluttiamo in esso.

    Ora arrivo al punto della questione che per me appare più interessante e particolarmente intrigante. Ci si chiede: “queste costanti e queste leggi che danno sussistenza al Mondo e lo fanno esistere… rimandano ad un Creatore che le ha scelte tra infinite possibilità oppure la scienza arriverà un domani alla loro comprensione?” La risposta per conto mio non può che essere una sola: se le possibilità sono infinite e tra loro nessuna risulta privilegiata, significa che è avvenuta una vera e propria “estrazione” di numeri.

    Nulla potrà mai giustificare una scelta se non un criterio di razionalità che, come diceva Wittgenstein, dev’essere esterno al sistema (“il senso del Mondo dev’essere fuori di esso”). Perfino la lavatrice e il forno a microonde hanno il programma “intelligente” tra le loro possibilità… l’Universo e la vita no? L’informazione potrà mai essere spiegata da qualcosa che non sia a sua volta informazione?

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    00 12/04/2013 14:37

    Dalle coincidenze dell’universo
    la confutazione del naturalismo

    Nucleosintesi 
    di Giorgio Masiero*
    *fisico

     

    Si sente dire spesso che l’immensità dell’Universo prova l’esistenza d’innumerevoli altre forme di vita nelle galassie, cui filosofeggiando si fa seguire come corollariol’irrilevanza cosmica dell’esistenza umana. È un fatto scientifico, invece, che una vita fondata sulla chimica del carbonio (com’è la nostra) o su qualsiasi altro supporto fisico, non potrebbe esistere in un mondo più piccolo. E che, nonostante tutte le risorse profuse in un secolo nelle rispettive ricerche, non abbiamo il minimo indizio di vita aliena, né la minima idea di come si sia originata quella nostrana.

    È del 1929 la scoperta da parte di Edwin Hubble dell’espansione dell’Universo, rivelata dallo spostamento verso il rosso dello spettro luminoso delle galassie lontane. Da essa si poté desumere che la grandezza dell’Universo (una quindicina di miliardi di anni luce) è strettamente legata alla sua età (una quindicina di miliardi di anni). Dall’altro lato, a partire da un lavoro di Hans Bethe del 1939, la fisica nucleare sa che le stelle hanno un ciclo di vita durante il quale i nuclei d’idrogeno, di cui sono inizialmente composte, si fondono progressivamente ad assemblare tutti gli elementi della tavola di Mendeleev fino al ferro. Quest’attività della durata di 10 miliardi di anni circa si chiama nucleosintesi stellare. Anche gli atomi che compongono il nostro corpo, in particolare gli elementi ossigeno, carbonio, azoto e fosforo del DNA, furono sintetizzati nella fornace di un’antica stella, tra le prime nate dopo il Big Bang, in un lavorio durato 10 miliardi d’anni. Nell’esplosione finale, durante cui apparvero gli elementi chimici più pesanti, si staccò il frammento che è la nostra Terra e noi uomini siamo forme pensanti, organizzate sul fango di quella proto-stella ormai svanita.

    Fra 5 miliardi di anni, quando avrà esaurito il suo combustibile nucleare, anche il nostro Sole uscirà dalla sequenza principale di produzione. Simile ad una cipolla dagli strati contenenti ordinatamente tutti gli isotopi dall’idrogeno al ferro 56, esso si dilaterà allora a “gigante rossa”, inghiottendo la Terra e i pianeti più interni. Gli oceani terrestri bolliranno a milioni di gradi e ogni forma di vita terrestre, ammesso che sia sopravvissuta fino ad allora, scomparirà nell’inferno di plasma. Qualche centinaio di milioni di anni dopo, la gigante rossa esploderà come una bolla di sapone in supernova, producendo gli isotopi più pesanti e disperdendo nello spazio il suo magazzino di prodotti chimici finiti, dall’idrogeno all’uranio.

    Un Universo più piccolo di 10 di miliardi di anni luce non avrebbe l’età per aver ospitato il ciclo completo di una stella e pertanto non conterrebbe corpi celesti freddi con gli atomi necessari alla vita, ma solo fornaci nucleari in ebollizione e nubi sparse d’idrogeno e di elio. Facciamoci quattro conti in tasca:

    • Una decina di miliardi di anni per la nucleosintesi e l’esplosione in supernova della proto-stella;
    • mezzo miliardo di anni per il raffreddamento del frammento Terra, il suo aggancio ad un Sole nuovo di zecca e la precipitazione dell’abiogenesi dei primi batteri;
    • 3,5 miliardi di anni per la speciazione, culminata in Homo sapiens sapiens;
    • Totale: 14 miliardi di anni (e un Universo grande 14 miliardi di anni luce).

    Aveva dunque ragione Gilbert K. Chesterton a dire che l’Universo non è affatto grande per noi, ma “è pressappoco il buco più piccolo in cui un uomo può ficcare la sua testa”. Solo chi non si rende conto della complessità fisica della materia-energia, della complessità chimica della vita nella complessità del suo habitat fisico, e del mistero dell’Io umano può credere il contrario…

    Come avviene la sintesi degli elementi nelle stelle? Si è scoperto che questo è un processo accuratamente confezionato al momento del Big Bang da una serie di coincidenze nei valori di alcune costanti fisiche. Altrove ho spiegato che, come la nube degli elettroni intorno al nucleo atomico ha configurazioni energetiche discrete, anche il sistema dei protoni e dei neutroni nel nucleo (i nucleoni) si dispone su livelli quantizzati, a righe nitidamente osservabili. Quando i nucleoni passano da un livello energetico ad uno più basso viene emessa energia e, all’opposto, l’immissione dall’esterno di energia può favorire la transizione del nucleo ad un livello più alto. Questa chimica nucleare a livelli quantizzati è alla base della catena di reazioni che avvengono nelle stelle.

    Naturalmente la prima reazione che accade al centro di una stella giovane, in seguito alla pressione della gravitazione, è la fusione d’idrogeno in elio, con un’emissione di energia che momentaneamente allenta la pressione. Però la riserva d’idrogeno sarebbe destinata a svanire velocemente se poi, alla contrazione gravitazionale con densità di decine di tonnellate per litro, non corrispondesse anche una salita della temperatura a un centinaio di milioni di gradi, che fa scattare una seconda reazione nucleare: la fusione di elio in carbonio. La fisarmonica di reazioni esotermiche decongestionanti, seguite da contrazioni, seguite da aumento di temperatura e nuove reazioni sintetizzatrici di nuovi elementi chimicie passanti sempre per la produzione del carbonio, scandisce lo schema della sintesi di elementi sempre più pesanti nelle caldere stellari. Tuttavia, perché la fusione di elio in carbonio (3 He4 → C12) avvenga, è necessaria la concomitanza di 3 coincidenze.

    Prima coincidenza. La fusione diretta per collisione di 3 isotopi dell’elio è un evento troppo improbabile per dar luogo ad una significativa produzione di carbonio. Resta la strada indiretta che passa attraverso la produzione intermedia di berillio: prima 2 atomi di elio fondono in berillio (2 He4 → Be8), e poi la collisione di un atomo di elio con il berillio produce il carbonio: He4 + Be8→ C12. Perché ciò avvenga però, è necessario che l’isotopo di berillio abbia la durata di vita “giusta”, abbastanza lunga rispetto alla frequenza delle collisioni tra nuclei d’elio e alla loro durata (così da consentire anche la seconda reazione, che lo trasforma in carbonio), ma non troppo lunga da esser un elemento quasi stabile (e rendere la reazione violenta al punto da esaurire tutta la riserva d’idrogeno in berillio, senza produzione di altri elementi). Ebbene è risultato che il berillio ha una longevità di ~10-17 secondi, che è lunga rispetto ai tempi d’urto dei nuclei di elio (~10-21 s) ed ottimale per la produzione del carbonio e degli elementi successivi.

    Seconda coincidenza. La longevità del berillio è una condizione necessaria, ma non sufficiente alla produzione di carbonio. Perché la fusione nucleare avvenga effettivamente, occorre che la somma dei livelli energetici dei nuclei di elio e berillio reagenti (7,37 MeV) sia leggermente inferiore al livello energetico del carbonio prodotto: solo così la reazione entra in “risonanza” e, con un piccolo ammontare di energia extra fornita dal calore di caldera, precipita. Ebbene, si è trovato che il livello quantico dell’isotopo 12 del carbonio è 7,66 MeV, appena superiore a quello dei reagenti! Se esso fosse inferiore, la reazione non potrebbe accadere; se la sua superiorità fosse più marcata, la reazione sarebbe rara. Con questi valori, essa accade e produce abbondante carbonio.

    Terza coincidenza. La storia spericolata del carbonio non finisce qui. Sul neonato ora incombe la minaccia di una repentina eliminazione, con la sua trasformazione in ossigeno: He4 + C12 → O16. L’evento (catastrofico per l’apparizione di futuri osservatori) può essere controllato solo se il livello quantico dell’isotopo 16 dell’ossigeno è leggermente inferiore alla somma dei livelli dei reagenti (7,16 MeV). Ciò che, come il lettore ormai ha desunto dal fatto di essere vivo, risulta puntualmente: 7,12 MeV è infatti il livello energetico dell’ossigeno, con un’inferiorità giusto dello 0,6%.

    Ecc., ecc., in una serie di altre, felici concomitanze per gli elementi chimici successivi. Come si spiegano queste coincidenze stellari senza cui, come notò per primo Fred Hoyle nel 1953, non esisterebbe la vita? In ultima istanza scientifica, esse derivano dai rapporti di forza dei campi fisici e di massa di nucleoni ed elettroni. Una ventina di Numeri che a priori,in ipotetici universi, potrebbero essere qualsiasi, nel nostro Universo invece hanno fin dal Big Bang i valori necessari per la (futura) comparsa di osservatori come noi umani. Né potrebbe essere altrimenti, se siamo qui a rilevarlo! Questa ovvia considerazione si chiama “principio antropico” (debole) ed è un’assunzione scientifica, capace di predizioni controllabili. Per es., con riferimento alla seconda coincidenza del carbonio, Hoyle primaprevide col principio antropico l’esistenza di una risonanza dell’isotopo C12 “intorno ai 7,7 MeV” e solo dopo furono sperimentalmente cercate e misurate le righe che confermarono la sua predizione.

    La cosa sorprendente però è un’altra: è la sintonizzazione “ultrafine” di questi Numeri, stante nel fatto che una minima variazione dei loro valori al Big Bang avrebbe reso impossibile qualsiasi forma di vita. Se uno solo dei Numeri – che infine regolano i giochi di fisica, chimica e biologia – fosse appena diverso, l’Universo sarebbe un singolo buco nero, o un insieme di buchi neri, o una polvere di particelle non interagenti, o sarebbe costituito di solo elio, e così via. In tutti i casi l’uniformità del paesaggio (ad entropia costante, quindi senza trasformazioni termodinamiche, quindi zero chimica, quindi no metabolismi) impedirebbe ogni forma di vita immaginabile. Per dare un’idea della finezzadella sintonia, dirò solo che se la costante di gravitazione o d’interazione nucleare debole gW fossero diverse per 1 parte su 1050, noi non saremmo qui.

    Dalla sintonia fine io traggo una confutazione del naturalismo: il nostro Universo fisico non è una realtà chiusa, auto-esplicativa. Ogni spiegazione della sintonia fine infatti, può solo poggiarsi sull’esistenza di una seconda realtà inosservabile, che “trascende” l’Universo fisico in cui viviamo. Questa realtà metafisica si riduce infine a 2 opzioni: o un’Agenzia Trascendente Razionale (che tutti chiamano “Dio”) ha creato questo Universo, ordinandolo fin dal principio per la vita; o un’Agenzia Trascendente Cieca ha prodotto infiniti universi paralleli (il “multiverso”), con leggi fisiche e costanti cosmologiche disparate, e noi per caso ma necessariamente ci troviamo in una (rara) isola abitabile. Se, nel primo scenario, la scienza consiste nello scoprire le leggi di Natura – che vuol dire “conoscere i pensieri di Dio” (A. Einstein) –, mi chiedo: che cosa significa “scienza” per chi crede nel multiverso?

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    00 18/06/2013 09:05
    LE 3 LEGGI RICAVATE DA KEPLERO

    Abbazia Mont Saint Michel 
     
    di GIORGIO MASIERO  fisico

     

    Per tutta la vita Tycho Brahe (1546-1601) osservò le posizioni dei pianeti, del Sole e delle stelle. Da quelle misure di angoli e tempi il suo assistenteGiovanni Keplero ricavò 3 “leggi” che descrivono la geometria delle orbite, le velocità di rivoluzione e le relazioni cinematiche tra i pianeti. Ma perché i corpi celesti seguono proprio quelle leggi? La risposta arrivò nel 1687 da una piccola equazione contenuta nei “Philosophiae Naturalis Principia Mathematica” di Isaac Newton:

    f = Gm1m2/r2,

    donde, per sovrappiù, si ricavavano le traiettorie balistiche in Terra e… le maree di Mont Saint-Michel. Se Newton avesse proposto di spiegare le ellissi dei pianeti col caso invece che con un’equazione, e così pure le loro velocità col caso, e la caduta dei gravi col caso, ecc., non sarebbe sepolto all’abbazia di Westminster tra i grandi di Gran Bretagna, ma forse avrebbe un posticino nella storia del teatro comico. Certo il “caso” gioca un ruolo negli affari del mondo, come misura dell’imperfezione conoscitiva dell’umana ragione e come effetto dell’incrociarsi delle libere volontà. Ma quando non rinuncia ad interrogarsi su ciò che accade, la scienza ove necessario sposta in là i propri limiti con il ricorso alla statistica e al calcolo delle probabilità.

    La raccolta scrupolosa di dati operata da Brahe (e, prima di lui, da babilonesi e greci) fu un elemento necessario ma non sufficiente alla nascita dell’astronomia: “A Tycho Brahe mancava la fede nelle grandi leggi eterne. Perciò rimase uno fra i tanti meritevoli scienziati, ma fu Keplero a creare l’astronomia moderna” (Max Planck). Senza la “fede nelle grandi leggi eterne”, non si dà scienza. Né basta una descrizione matematica, compatta ed elegante, di osservazioni come quella condensata nelle 3 leggi di Keplero. Solo quando molte descrizioni sono dedotte logicamente da pochi postulati, siamo in presenza dello splendore d’una teoria scientifica. Questa impresa riuscì a Newton con la sua gravitazione universale fondata su quell’equazione. In generale, una teoria scientifica riguardante una classe di fenomeni è un sistema logico-formale, dai cui assiomi indipendenti, coerenti ed in minimo numero (principio di Ockam) s’inferiscono predizioni sperimentalmente controllabili (principio di falsificabilità).

    Nella nostra era tecnologica si dà per scontato che esistano leggi e teorie scientifiche, ma questa esistenza si poggia su almeno 2 assunzioni:

    1) La successione degli eventi naturali non è del tutto casuale e capricciosa, ma vi agiscono relazioni nascoste, dotate di qualche regolarità, che meritano di essere indagate. Questo postulato riguarda l’oggetto di osservazione e di studio, la Natura, e afferma che la Natura è almeno parzialmente dotata di ordine e leggi. Se così non fosse, nessuna scienza e nessuna tecnologia sarebbero a priori possibili; né alcuno scienziato farebbe il suo lavoro se credesse che il mondo è governato esclusivamente dal caso.

    2) Le relazioni tra i fenomeni naturali possono essere percepite almeno in parte dalla mente umana. Questo postulato riguarda l’Io, il soggetto delle osservazioni universali, e afferma chel’ordine presente in Natura è almeno in parte visibile e descrivibile dall’Io. La descrizione che l’Io fa della Natura è una “corrispondenza logica” tra l’ordine oggettivo esterno dell’Universo e l’ordine soggettivo interno dell’Io (della specie terrestre Homo sapiens).

    Tutti coloro che dichiarano di credere nelle scienze sperimentali credono in questacorrispondenza logica tra fenomeni naturali e linguaggio umano, anche senza rendersene conto.

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    00 27/04/2016 13:02

    Con il fine-tuning la scienza moderna porta a Dio



    fine tuningIl Messiah College si trova in Pennsylvania ed è stato riconosciuto dalla Princeton Review come la miglior università del nord-est degli Stati Uniti. A guidare il dipartimento di Filosofia c’è il prof. Robin Collins, formatosi sotto l’ala del celebre Alvin Plantinga.


    Collins, forte anche di un dottorato in Fisica all’Università del Texas, è un esponente di rilievo dell’argomento filosofico del fine-tuning (detto anche “argomento teleologico”), secondo il quale le perfettamente ottimizzate e finalizzate leggi e costanti della fisica rivelano l’esistenza di una causa intelligente dell’universo.


    Una tesi molto affascinante, che ha condotto al deismo uno dei principali fisici inglesi, Paul Davies, nonché l’ateo più famoso del mondo, il filosofo Antony Flew, che ha annunciato la conversione nel 2005. «Le scoperte della fisica moderna e della cosmologia negli ultimi 50 anni»ha infatti affermato Collins in un’intervista televisiva del 2008, «hanno dimostrato che la struttura dell’universo è impostata in modo straordinariamente preciso per l’esistenza della vita; se la sua struttura fosse leggermente diversa, anche per uno straordinariamente piccolo grado, la vita non sarebbe possibile».


    La sintonizzazione fine è rilevabile nelle leggi di natura, nelle condizioni iniziali dell’universo, ma «anche le costanti fisiche che regolano la struttura dell’universo», ha proseguito il filosofo americano, «devono rientrare in una gamma estremamente ristretta perché la vita possa esistere. Ad esempio, se la costante cosmologica fosse stata leggermente superiore, l’universo si sarebbe espanso troppo velocemente per la formazione delle galassie e delle stelle, se invece fosse stata anche solo leggermente inferiore rispetto a quanto è, l’universo sarebbe collassato su se stesso». D’altra parte, lo ha riconosciuto anche Stephen Hawking nel suo bestseller Dal big bang ai buchi neri«Il fatto notevole è che i valori di questi numeri [cioè le costanti fisiche] sembrano essere stati molto finemente regolati per rendere possibile lo sviluppo della vita». Infine, anche l’iniziale distribuzione dell’energia di massa al momento del Big Bang avrebbe dovuto avere una configurazione estremamente speciale per permettere l’esistenza della vita, una possibilità «che il matematico Roger Penrose, della Cambridge University, ha calcolato essere dell’ordine di 1 su 1010123. Un numero incredibilmente piccolo».


    Certo, c’è chi ha teorizzato una spiegazione alternativa alla creazione divina e, come più volte abbiamo accennato su questo sito web, quella più sostenuta è la cosiddetta ipotesi del Multiverso, secondo la quale vi sarebbe un numero enorme di universi con diverse condizioni iniziali, costanti fisiche e leggi naturali. «Semplicemente per caso», ha spiegato Collins, «almeno un universo avrà certamente la “combinazione vincente” per la vita e gli esseri che lo abitano guarderanno indietro stupiti di quanto sono stati fortunati. Siamo dunque solo il prodotto di una “lotteria cosmica”». Ildio caso puntualmente ritorna come tappabuchi, dunque, usato come spiegazione omnicomprensiva. Ma come questi universi sono emersi? «In genere, la risposta è postulare un qualche tipo di processo fisico, che chiamerò “universe generator”. Il problema è che anche questo “universe generator” deve aver avuto la giusta serie di leggi (e condizioni iniziali) per poter produrre anche un solo universo adatto alla vita. Dopo tutto, anche un banale elemento come una macchina del pane, che sforna solo pagnotte invece di complicati universi, deve avere il giusto insieme di meccanismi e programmazione per funzionare, utilizzando gli ingredienti esatti (farina, lievito ecc.) in esatte proporzioni. Ciò significa che l’ipotesi del Multiversosposta semplicemente il problema del fine-tuning a livello dell'”universe generator” stesso». Senza considerare, inoltre, che si tratta di una ipotesi puramente teorica, impossibile da verificare e perciò al di fuori del campo scientifico, come ha spiegato proprio su questo portale il matematico italiano Paolo Di Sia.


    Una seconda risposta è che l’universo esiste come un fatto che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni, la nostra esistenza è semplicemente un “incidente fortunato”. E non c’è nient’altro da dire. Certo, commenta il filosofo americano, «non si può assolutamente escludere questa possibilità, cose straordinariamente improbabili possono accadere e il nostro universo potrebbe essere una di esse. Ma, credo che la messa a punto dell’universo fornisca prove più convincenti per quello che si definisce “principio di verosimiglianza”, ma che io chiamo “principio di sorpresa”. Ogni volta che un’ipotesi risulta essere molto più sorprendente rispetto ad un’altra, bisognerà tendere in favore dell’ipotesi meno sorprendente. Immaginate un processo per omicidio nel quale le impronte digitali dell’accusato corrispondano precisamente a quelle presenti sull’arma del delitto. In circostanze normali, per la giuria si tratta di una forte evidenza di colpevolezza perché la questione verrebbe giudicata non sorprendente per l’ipotesi di colpevolezza e molto sorprendente per l’ipotesi di innocenza. Pertanto, il principio di sorpresa dice che la non sorpresa vale come una forte evidenza».


    Concludendo il paragone, «allo stesso modo si potrebbe sostenere che la sintonizzazione fine dell’universo, tale da produrre la vita intelligente, è molto sorprendente se rimanesse un bruto e ipotetico fatto di ipotesi, ma non lo è se porta ad ipotizzare il teismo. Pertanto, seguendo il principio di sorpresa, la messa a punto fornisce una prova significativa a favore del teismo rispetto ad un semplice bruto e ipotetico fatto, non prova che il teismo è certamente vero perciò la fede, intesa come un modo speciale di conoscenza, simile alle nostre intuizioni etiche, svolge ancora un ruolo essenziale verso Dio. La sintonizzazione fine offre significative prove a conferma di questa convinzione, nonché una significativa sfida per coloro che sostengono che le scoperte della scienza taglierebbero fuori la fede in Dio».



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    00 11/05/2018 11:17




    Michael Egnor, studioso dell'intelligent design ha scritto un articolo che analizza le tesi del filosofo Philipp Boff secondo il quale l'universo avrebbe una mente simile a quella posseduta dall'uomo. Questo perche' l'universo e' finemente sintonizzato per nascita della vita, se infatti la forza nucleare che tiene insieme i diversi elementi di un atomo e' superiore a 0,006 tutto l'idrogeno presente nell'universo si trasformerebbe negli elementi pesanti; se fosse inferiore a 0,006 tutto l'universo sarebbe costituito di solo idrogeno.


    In ambedue i casi sarebbe impssibile la vita. Se la forza di gravita' fosse leggermente piu' alta di come e', si formerebbero stelle molto piccole con una brevissima durata di vita, di 10.000ianni circa; se fosse leggermente piu' bassa ci sarebbe la fuga degli elementi della materia gli uni dagli altri.


    Oltre a queste che abbiamo appena riportato vi sono altre costanti che sono finemente sintonizzate alla nascita della vita. La probabilta' che il cieco caso abbia creato i valori delle costanti sintonizzate alla vita e' di 1/10elevato a 240, impossibile a verificarsi col puro caso.


    Davanti a questa impossibilità Boff attribuisce all'universo una mente simile a quella umana, ma in realta' non e' possibile sostenere questa tesi perche' allora tutto avrebbe una mente, anche gli atomi. Noi sappiamo che la mente esiste quando c'e' un corpo simile a quello umano, in condizioni naturali. La mente certamente esiste ma e' trascendente all'universo che e' contingente, non ha in se stesso la ragione della sua esistenza; la mente che e' esterna all'universo ha creato l'universo e lo ha reso idoneo alla nascita della vita ed e' una Mente che ha in se stessa la ragione della sua esistenza.




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    00 15/06/2018 12:17

    “Un Universo così grande è uno spreco divino”.
    Risponde l’astrofisico Hugh Ross

    Prima dell’invenzione del telescopio, alcuni consideravano il cosmo troppo piccolo ed insignificante per essere l’opera di un Creatore. Solo un cosmo infinito, dicevano, si adatterebbe ad una divinità infinita. Oggi conosciamo la grandezza dell’Universo, eppure alcuni sostengono che sia un argomento contro l’opera di un Creatore.

    Nel suo libro God: The Failed Hypothesis, il fisico Victor Stenger si lamenta infatti: «Se Dio ha creato l’universo come un posto speciale per l’umanità, sembra aver sprecato una quantità enorme di spazio». L’universo contiene infatti circa 200 miliardi di galassie di grandi e medie dimensioni e cento volte più galassie nane e le stelle si stima che ammontino a circa 50 miliardi di trilioni.

    L’astrofisico Hugh Ross, docente presso l’Università di Toronto (Canada), ha però spiegato che «coloro che non hanno avuto il privilegio di studiare astrofisica potrebbero non rendersi conto che l’universo deve essere tanto enorme per permettere la vita umana, o qualsiasi altra vita, al suo interno». Le ragioni sono almeno due. La prima riguarda la produzione di elementi essenziali per la vita, mentre la seconda la velocità di espansione.

    Il modello del Big bang, che vanta oggi una forte plausibilità nel mondo scientifico, ci dice che al momento della creazione cosmica l’Universo era infinitamente caldo e compresso e la sua materia esisteva sotto forma di idrogeno. Espandendosi si raffreddava e la velocità di espansione dipendeva dalla sua massa. Senza addentrarsi in spiegazioni complesse, basta comprendere che se la densità di massa cosmica fosse stata di poco inferiore, la fusione nucleare dell’idrogeno primordiale non avrebbe funzionato e non si sarebbero mai prodotti elementi essenziali alla vita, come carbonio, azoto, ossigeno ecc. Se, invece, fosse stata di poco superiore tutto l’idrogeno sarebbe stato rapidamente fuso in elementi non utili. Così, Ross ha commentato: «Date le leggi della fisica in base alle quali opera l’universo, la massa cosmica non doveva essere diversa da quello che osservano esattamente gli astronomi, altrimenti non saremmo qui ad osservarla e a discuterne. Un universo più grande o meno grande non avrebbe permesso l’esistenza della vita fisica». Dunque, ritorna la sensazione di una sintonizzazione fine in direzione della vita intelligente.

    La seconda ragione per cui l’Universo avrebbe dovuto avere la dimensione che ha, è legata all’espansione cosmica. Essa, come già scritto, dipende dalla densità di massa: data la legge di gravità, una densità di massa inferiore avrebbe reso troppo rapida l’espansione, impedendo il formarsi di stelle e pianeti. Con una densità di massa superiore, invece, tutte le stelle sarebbero state enormi (o trasformate in buchi neri) ed i pianeti in orbita completamente inadatti alla vita umana. La morale che se ne può trarre è che la vita fisica non può esistere in un universo con una densità di massa minore o maggiore del valore che osserviamo nel cosmo.

    Entrando in campo filosofico e teologico, così come vi entra chi nega Dio a partire dalla dimensione dell’Universo, l’astrofisico canadese arriva addirittura a ribaltare i piani e formulare un ragionamento molto semplice: «Data questa situazione, qualcuno potrebbe obiettare che la pura coincidenza spiega la densità di massa “giusta” dell’universo. Eppure, gli scienziati osservano che la massa dell’universo è finemente sintonizzata per produrre l’adeguata abbondanza e diversità di elementi essenziali per la vita e che la densità di massa è fissata con precisione per consentire il giusto tasso di espansione per tutta la storia cosmica, così che stelle e pianeti si formino nei momenti giusti e nei luoghi giusti per la vita. La combinazione di queste improbabilità astronomiche sfida chiaramente qualsiasi spiegazione diversa dall’intenzionalità trascendente».

    Ovvero, c’è un tale «perfezionamento cosmico» che si spiegherebbe solo presupponendo un’intenzione e non una coincidenza. Oltre non è prudente andare, se non apprezzando quanto ha scritto Alfio Quarteroni, ordinario di Matematica presso l’Università del Minnesota: «Per chi ha fede, il Dio creatore non può esimersi dall’essere anche un matematico. Il più grande di tutti, naturalmente. Perché ha risolto il più complesso problema inverso che mai sia stato posto: determinare le condizioni iniziali giuste (al tempo zero, quello della creazione) affinché il sistema dinamico dell’evoluzione dell’universo arrivasse a oggi a possedere questa meravigliosa grandezza».


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    00 15/06/2018 12:21

    La costante cosmologica calibrata per la vita,
    qualcuno ci aspettava?

    terraIl canonico cattolico Nicolò Copernico ebbe il grande merito di ribaltare l’idea secondo cui la Terra si trovava fissa al centro dell’Universo. La sua scoperta viene ancora oggi più volte citata in ambito filosofico-nichilistico per promuovere l’approccio riduzionistico all’esistenza, partendo dal delegittimare l’importanza del nostro pianeta, in orbita attorno a un Sole piuttosto piccolo, collocato in uno dei bracci a spirale di una galassia piuttosto tipica (e, secondo i fautori del multiverso, inserito perfino in un universo qualunque).

    Eppure il quadro straordinario che a poco a poco sta emergendo dalla fisica e dalla cosmologia moderna mette seriamente in discussione il tentativo nichilistico. Il nostro Universo, ci dice oggi la scienza moderna, è quello le cui forze fondamentali risultano essere finemente regolate affinché possano consentire la vita intelligente. Infatti, se si modifica di poco uno qualunque di tali valori, l’Universo diviene ostile alla vita e incapace di sostenerla. «L’Universo ci stava aspettando», ha detto il fisico Freeman Dyson con la sua celebre citazione, e tale regolazione fine richiede una spiegazione tanto da far presupporre dietro di sé una mente intelligente. Anche se così si entra nel campo della filosofia e della teologia, abbandonando quello scientifico che non può pronunciarsi su questo.

    Un recente studio, pubblicato su Physical Review Letters e commentato su Science, ha scoperto che anche le forze, finora sconosciute, che governano l’attuale tasso (e velocità) di espansione dell’Universo, e la costante cosmologica che lo determina, giocano un ruolo importante nel creare le giuste condizioni per la vita. Il valore di tale costante è infatti sufficiente per ridurre al minimo l’esposizione dei raggi gamma sulla Terra ma è anche abbastanza piccolo per permettere la produzione di idrogeno in quantità sufficiente per la formazione di stelle, da cui dipende la vita.

    Questa è un’altra delle numerose caratteristiche che rendono unico e incredibile il nostro pianeta. Purtroppo l’alzata di spalle di fronte a notizie del genere è scontata, lo ha fatto anche uno degli autori di tale studio, la cosmologa italiana Licia Verde, docente di Fisica e Astronomia alle università di Oslo e di Barcellona. «Se vediamo un Universo “a nostra misura”», ha commentato, «è perché, se non lo fosse, molto probabilmente non saremmo qui a osservarlo». E’ una risposta abbastanza comune, ma risulta inadeguata come ha spiegato il filosofo della scienza Richard Swinburne, professore emerito dell’University of Oxford. «E’ vero, soltanto se l’ordine è presente possiamo sapere ciò che è presente, ma questo rende ciò che è presente non meno straordinarioe bisognoso di una spiegazione. Il punto di partenza non è che percepiamo l’ordine anziché il disordine, ma che sia presente l’ordine anziché il disordine» (R. Swinburne, Esiste un Dio?, Lateran University Press 2010, p. 73).

    Il filosofo John Leslie, professore emerito presso l’Università di Guelph, ha spiegato magistralmente la tautologia della risposta della prof.ssa Verde: «equivale a sostenere che, se vi trovate di fronte a un plotone di esecuzione con cinquanta fucili puntati contro di voi, non dovreste essere sorpresi di osservare che siete ancora vivi dopo che hanno fatto fuoco. In fin dei conti, questo è l’unico esito che potevate osservare: se una pallottola vi avesse colpito, sareste morti. Tuttavia potreste ancora ritenere che qualcosa necessiti fortemente di una spiegazione: perché tutti hanno sbagliato il colpo? Era un progetto intenzionale? Non vi è incoerenza, infatti, fra non sorpresi di non osservare di essere morti ed essere sorpresi di osservare di essere ancora vivi» (J. Leslie, in The Foundations of Dialogue in Science and Religion, Blackwell 1998, p.114).

    Le persone di fede sperimentano la presenza di Dio nella propria vita e su essa basano la propria esistenza e il suo significato, indipendentemente dal progresso della scienza astronomica. Tuttavia, al contrario di quanti molti sostengono, quest’ultima non è affatto un ostacolo ma, a volte, può anche essere uno stimolo e un aiuto a guardare il cielo e intuire l’eleganza di un progetto creatore. Senza ovviamente confondere il piano filosofico con quello scientifico, che deve rimanere totalmente neutrale.


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    00 16/06/2018 19:05
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    00 15/10/2018 22:06
    IL CICLO FOGLIARE E LA SEQUENZA DI FIBONACCI

    Il tratto della spirale generatrice compreso tra due foglie sovrapposte si dice ciclo fogliare, e serve a determinare l’indice fillotattico o angolo di divergenza (o divergenza), pari al rapporto 
    g/n
    .

    La divergenza indica la distanza angolare di due foglie consecutive, espressa in frazioni di angolo giro (360°); alcune divergenze sono particolarmente frequenti: 1/2, 1/3, 2/5, 3/8, 5/13 ecc.; in questa serie ogni frazione a cominciare dalla terza è la somma, termine a termine, delle due precedenti, ovvero rispetta la successione numerica di Fibonacci; altre serie simili sono più rare (1/3, 1/4, 2/7, 3/11 ecc.).

    In ogni frazione il denominatore è anche il numero delle ortostiche; a seconda di tale numero (2, 3, 5 ecc.), si distinguono foglie distiche, pentastiche ecc.

    La capacità dei sistemi biologici di generare strutture caratterizzate da forme geometriche è sempre stata di grande interesse per la scienza. Nelle piante, foglie e fiori si formano a partire da un tessuto specializzato chiamato meristema apicale, che contiene cellule indifferenziate paragonabili alle staminali umane. Queste cellule si dividono e danno origine a tutti gli organi delle piante che si formano periodicamente in specifiche posizioni. Questo definisce un modello spazio-temporale che determina la fillotassi (dal greco phyllon, foglia + taxis, ordine), cioè la disposizione regolare di foglie e fiori attorno allo stelo.

    Osservando la geometria di intere piante, fiori o frutti, è facile riconoscere la presenza di strutture e forme ricorrenti. Un semplice esempio è dato dal numero di petali dei fiori; la maggior parte ne ha tre (come gigli e iris), cinque (ranuncoli, rose canine, plumeria), oppure otto, 13 (alcune margherite), 21 (cicoria), 34, 55 o 89 (asteracee). Questi numeri fanno parte della celebre successione di Fibonacci in cui ciascun numero equivale alla somma dei due precedenti: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 233…

    Petali fibonacci

    Iris versicolor, 3 petali; Rosa canina, 5 petali; Hepatica nobilis, 8 petali.

    I numeri della successione appaiono, seppur in maniera meno evidente, anche nella disposizione dei singoli fiori nelle infiorescenze composte di margherite, girasoli, cavolfiori e broccoli. Come mostrato nella foto, si possono riconoscere i singoli fiori disposti lungo linee curve che ruotano in senso orario e antiorario. Contando le linee, si noterà che per ciascun fiore si può individuare una coppia di numeri che corrispondono al numero di spirali in ciascuna direzione (13 e 21 nell’esempio). Sorprendentemente, questi saranno nella maggioranza dei casi numeri consecutivi della sequenza di Fibonacci.

    Spirali fiori fibonacci

    Geometria di Arthemis tinctoria.

    Un’importante caratteristica della successione è il fatto che il rapporto tra qualunque numero e quello precedente nella serie tenda verso un valore ben definito: 1,618… .
    È questo il numero aureo o sezione aurea, ϕ (Phi), che ricorre spesso sia in spirale foglie fibonaccinatura che in opere architettoniche costruite dall’uomo, come le piramidi. Nelle piante con foglie disposte a spirale, per ogni giro attorno al fusto ci sono in media Phi foglie, fiori o petali. Ciò significa che, girando attorno ad uno stelo e muovendosi dal basso verso l’alto, incontreremo una foglia o un fiore ogni 222,5°, valore che si ottiene dividendo l’angolo giro di 360° per Phi.

    Tutti gli organi della pianta hanno origine nel meristema apicale attraverso un processo molto ben organizzato e geneticamente regolato. Le cellule che compongono il meristema, sulla cima del fusto, si dividono molte volte e le loro discendenti si differenziano in tipi cellulari specifici per ottenere organi completi e funzionali, come foglie e fiori. È a questo primissimo stadio di sviluppo che si determina la geometria finale della pianta: il punto del meristema in cui inizia il differenziamento di una foglia si pone a 222,5° rispetto al punto in cui si è differenziata la foglia precedente che, a causa dei processi di crescita in corso, si sarà ingrandita e allontanata dal centro del meristema stesso. Si genera in questo modo la spirale che gira attorno al fusto principale. Questa geometria consente di minimizzare la sovrapposizione tra le foglie e massimizzare di conseguenza la capacità della pianta di catturare la luce. I fiori e i semi, il cui differenziamento avviene secondo lo stesso criterio geometrico, risultano disposti in modo molto compatto, riducendo al minimo gli spazi vuoti tra una struttura e l’altra.

    Fillotassi angolo aureo

    Immagine al microscopio del meristema apicale di Arabidopsis sulla sinistra e rappresentazione schematica della posizione dei boccioli sulla destra. I fiori più giovani sono al centro, mentre quelli più vecchi, e più grandi, si sono spostati verso l’esterno. L’angolo che si forma tra un bocciolo e quello successivo corrisponde a 222,5°. Foto originale: (2010) PLoS Biology Issue Image | Vol. 8(5) May 2010. PLoS Biol 8(5): ev08.i05.

    Ma come fanno le piante a generare questi pattern? Una lunga serie di esperimenti condotti sulla pianta modello Arabidopsis thaliana (di cui abbiamo parlato nella puntata #83 del podcast) indicano che la risposta risiede nel ruolo di un ormone vegetale, l’auxina, simile al neurotrasmettitore serotonina umana. L’accumulo di auxina in particolari regioni del meristema determina la posizione in cui verrà iniziato il differenziamento di una nuova foglia o di un nuovo fiore. Allo stesso tempo, il trasporto dell’ormone verso la nuova fogliolina produrrà una forte riduzione della sua concentrazione nelle regioni circostanti. Avremo così un campo inibitore attorno alla nuova foglia che previene la formazione di altre foglie nelle vicinanze. Sarà quindi necessario attendere che i primordi crescano e si allontanino dal centro del meristema (definizione temporale) perché si trovino regioni con una concentrazione di auxina sufficientemente alta da consentire l’instaurarsi di un nuovo primordio (definizione spaziale). L’effetto combinato di attivazione e inibizione del differenziamento regolato da questo ormone, determina la geometria a spirale di foglie e fiori; se osserviamo l’immagine precedente e teniamo conto dei campi inibitori generati dai primordi 8 e 9, noteremo che la posizione favorita per la formazione di un nuovo fiore è esattamente quella in cui si sta formando il primordio 10.

    Ma questi sono solo alcuni tra i moltissimi casi in cui la sezione aurea si presenta in natura. Provate voi a cercare la successione di Fibonacci nei fiori, nelle pigne, nei broccoli e nelle conchiglie!

    In Botanica, il numero delle spirali formate dalle infiorescenz
    e del disco (centrali) di alcuni generi corrisponde spesso a una serie di Fibonacci.
    Solitamente quando le spirali orientate in senso orario sono 34 quelle orientate in senso antiorario sono 55;
    quando le spirali orientate in senso orario sono rispettivamente 55 o 89
    quelle orientate in senso antiorario sono 89 e 144, 
    tutti numeri consecutivi appartenenti 
    alla serie di Fibonacci.

    Ad esempio nel girasole (Helianthus), i piccoli fiori del disco sono disposti lungo due insiemi di spirali che girano rispettivamente in senso orario e antiorario.
    Anche nella margherita (Leucanthemum) la disposizione dei fiori del disco individua due serie di spirali:
    
    la prima presenta 21 curve che ruotano in senso antiorario
    
    la seconda presenta 34 curve che ruotano in senso orario
    21 e 34 sono due numeri consecutivi di Fibonacci.

     Bibliografia:

    – R. Knott, Fibonacci numbers in nature, 2009
    – Kuhlemeier, C. (2007) Phyllotaxis. Trends in Plant Science, 12(4), 143-150. DOI: 10.1016/j.tplants.2007.03.004

    Foto:
    – Foto di copertina di Alice Breda
    – Foto Wikimedia commons: Iris versicolor, Rosa canina, Hepatica nobilis, Arthemis tinctoria, Fillotassi spirale


    [Modificato da Credente 15/10/2018 22:26]
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    00 25/07/2020 14:57

    Il numero  aureo e l’uomo




    • Se moltiplichiamo per 1,618 la distanza che, in una persona adulta proporzionata va dai piedi all'ombelico, otteniamo la sua statura. La distanza che va dal ginocchio all'anca, moltiplicata per il numero d'oro, dà la lunghezza della gamba, dall'anca al malleolo. (Fig. 14)


    fig 14



    • la distanza dal gomito alla mano (con le dita tese), moltiplicata per 1,618, dà la lunghezza totale del braccio. (Fig. 15)


     


    fig 15



    • i rapporti tra le falangi delle dita medio e anulare sono aurei, così il volto umano è tutto scomponibile in una griglia i cui rettangoli hanno i lati in rapporto aureo. (Fig. 16)


    fig 16



    • La molecola di DNA si muove a spirale in proporzione di phi: essa misura 24 angstrom in lunghezza e 21 angstrom in larghezza per ogni ciclo della sua duplice elica spirale. 34 e 21 chiaramente sono numeri della serie di Fibonacci ed il loro rapporto di 1,6190476 è vicino al rapporto phi 1.6180339. (Fig. 17)


    fig 17


    Nella figura a fianco possiamo individuare numerosi rapporti aurei (fig 18):


    fig 18


    A/a= tra l'altezza e larghezza del viso.


    B/b= posizione della linea degli occhi rispetto al mento ad alla fronte.


    C/d= posizione della bocca rispetto 


    al mento ed agli occhi.


    D/d= altezza e larghezza del naso.


    E/e= lunghezza ed altezza del profilo della bocca.


    F/f= larghezza degli occhi e la loro distanza.


    H/h= distanza degli occhi rispetto al centro di simmetria del viso.


    In un segmento, si fissi un punto intermedio in modo che lo divida in parti diseguali. Le parti sono dette in Rapporto Aureo se la parte più corta è proporzionata alla più lunga allo stesso modo della parte lunga rispetto all’intero segmento.


    Basti pensare alla struttura anatomica del piede dove le due parti diseguali o segmenti sono rappresentate da (fig. 19):


    fig 19



    • retropiede o parte b (segmento più corto)

    • avampiede o parte a (segmento più lungo)

    • piede o parte C (segmento completo)


    Se misurando i due segmenti a e b (Rx, strumenti chirurgici…) e applicando la formula:


    formula 3


    Si ottiene il rapporto 1,618 allora possiamo dire che il piede in esame è proporzionale, funzionale ed esteticamente bello. Per quanto concerne più da vicino, cioè nell’apparato di moto, è stato rilevato che il numero d’oro è il valore del rapporto fra il piano della sezione massima della coscia e la superficie plantare del piede rispetto al ginocchio.


    La risposta, positiva, è insita nel fondamento geometrico:



    • stabilità,

    • armonia,

    • matematica


    vi fanno il loro trionfale ingresso sulla scia dell’alto contenuto in simmetria delle configurazioni elicoidali di moto, là dove il numero d’oro e la serie di Fibonacci sono, per così dire, di casa. Infatti nel corso della meccanica antigravitaria il rapporto fra le rotazioni nel piano trasverso e le rotazioni nel piano frontale tende al valore “aureo”.


    Va tenuto presente che, in genere, la quantificazione del rapporto è arrotondata, nella media, a 1:0,5. Trattasi di un dato artificioso, giustificato dall’ampiezza dei limiti morfo-meccanici dell’articolazione cruro-podalica ma che comunque, valutazioni in eccesso o in difetto, non ne inficiano la validità della regola. Considerato che il fulcro della “meccanica antigravitaria” è la trasmissione trasverso-frontale delle rotazioni, pervenire alla sua quantificazione nel singolo caso è, un decisivo passo verso la conoscenza fisio-patologica.


    E tutto lascia ritenere che le ricerche in merito fornirà, nell’immediato futuro, i mezzi per l’agevole rilievo, in diagnostica, del rapporto fra le rotazioni nel piano trasverso e le rotazioni nel piano frontale.


    “L’universo è unito in modo meraviglioso: il rapporto aureo è il rapporto delle meraviglie” (Davis e Hersch)



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    00 25/07/2020 14:58
    [Modificato da Credente 31/12/2020 15:25]
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    00 25/07/2020 14:59

    Kurt Godel e la dimostrazione logica  
    della necessaria esistenza di Dio

    Una delle più grandi menti del XX secolo è sicuramente quella di Kurt Gödel (1906-1978). Ritenuto uno dei più grandi logici di tutti i tempi, a soli venticinque anni esponeva in un celebre articolo i presupposti dei suoi teoremi di incompletezza destinati a sconvolgere tutte le teorie logico-matematiche elaborate fino a quel momento. Su Avvenire, il filosofo italiano Roberto Timossi, ci informa di un fatto meno noto di Godel, e cioè della sua rielaborazione della prova ontologica di sant’Anselmo di Aosta, ossia di quella dimostrazione logica che ritiene di poter inferire l’esistenza di Dio a priori, partendo dal concetto che abbiamo di lui. Adele, sua moglie, scrisse infatti che Gödel, «sebbene non andasse in chiesa era religioso e leggeva la Bibbia a letto ogni domenica mattina». Egli racconta che su questo tema è ritornato di recente David P. Goldman, il quale rileva innanzitutto come la scoperta dell’impossibilità di fare della matematica un sistema formale in sé compiuto quale conseguenza dei teoremi di incompletezza conduca lo stesso Gödel a concludere che noi non possiamo conseguire un credibile approccio con la realtà senza la presenza di Dio.

    Il grande matematico, dopo aver tentato nel 1949 di prospettare una soluzione originale delle equazioni della teoria generale della relatività del suo amico Albert Einstein, proponendo una descrizione logica del cosmo, ritenne che pure così al “sistema” continuava a mancare qualcosa di essenziale: la ragione dell’esistenza del mondo secondo un ordine logico-matematico. E la soluzione di questo problema poteva venire soltanto da una dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio, ossia dalla necessità logica della presenza di un ente che assommi in sé tutte le qualità positive. È dunque da presupposti sia logici sia esistenziali che è scaturita nella mente di Gödel l’esigenza di concepire una nuova prova ontologica modale. Formulò così un teorema logico costituito da ventotto passaggi e strutturato con formule ben formate di logica simbolica, la cui conclusione equivale alla seguente perentoria affermazione: «Dio esiste necessariamente, come volevasi dimostrare». Ovviamente nessun cristiano crede in Dio grazie ad una qualche dimostrazione scientifica. Riteniamo comunque interessante che un celebre matematico come Godel abbia voluto interessarsi a tal punto di Dio da tentare una dimostrazione logica della Sua esistenza.

    Un ottimo testo per approfondire l’argomento è Prove logiche dell’esistenza di Dio da Anselmo d’Aosta a Kurt Gödel (Marietti 2005).

    https://www.uccronline.it/2010/10/15/quando-kurt-godel-dimostro-logicamente-la-necessaria-esistenza-di-dio/


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    00 18/11/2020 09:33

    l cervello umano è simile all’Universo?



    Un astrofisico dell’Università di Bologna e un neurochirurgo dell’Università di Verona hanno messo a confronto la rete cosmica delle galassie con la rete dei neuroni della corteccia cerebrale, trovando caratteristiche sorprendentemente simili



    In uno studio pubblicato sulla rivista Frontiers of Physics, l’astrofisico dell’Università di Bologna Franco Vazza e il neurochirurgo dell’Università di Verona Alberto Feletti hanno indagato come sono organizzati al loro interno e quanto davvero si somigliano due dei più enigmatici e complessi sistemi che esistono in natura: la rete delle galassie che compongono l’Universo la rete dei neuroni all’interno del cervello umano.

    Nonostante l’enorme differenza di scala dei due sistemi (oltre 27 ordini di grandezza), i risultati della ricerca quantitativa – a metà tra cosmologia e neurochirurgia – suggeriscono che processi fisici completamente diversi possono formare strutture con livelli di complessità e di auto-organizzazione sorprendentemente simili.

    Le funzioni del cervello umano sono determinate dalla vasta rete dei neuroni, che si stima siano circa 69 miliardi. L’Universo visibile è invece segnato da una “rete cosmica” (cosmic webdi almeno 100 miliardi di galassie. In entrambi i casi, però, galassie e neuroni occupano solo una piccola frazione della massa dei due sistemi: meno del 30%. In entrambi i casi, galassie e neuroni si organizzano in lunghi filamenti, o nodi tra filamenti. E in entrambi i casi, circa il 70% della distribuzione di massa o energia dei due sistemi è formata da componenti che hanno un ruolo apparentemente passivo: acqua nel caso del cervello, energia oscura per l’Universo osservabile.

    A sinistra: sezione di cervelletto, con fattore di ingrandimento 40x, ottenuto con microscopia elettronica (Dr. E. Zunarelli, Ospedale Universitario di Modena); a destra: sezione di una simulazione cosmologica, con estensione 300 milioni di anni luce di lato (Vazza et al. 2019 A&A)

    I due studiosi sono partiti da queste caratteristiche comuni mettendo a confronto da un lato una versione simulata della rete di galassie e dall’altro sezioni di corteccia cerebrale e di cervelletto. L’obiettivo era osservare come le fluttuazioni di materia si distribuiscono su scale tanto diverse.

    "Per entrambi i sistemi abbiamo calcolato lo spettro di potenza: una tecnica standard usata in cosmologia per studiare la distribuzione spaziale delle galassie", spiega Franco Vazza. "Da questa analisi è emerso che la distribuzione delle fluttuazioni nella rete neuronale nel cervelletto, su scale da 1 micrometro fino a 0,1 millimetri, ha lo stesso andamento della distribuzione di materia nel cosmic web, su scale che però vanno da 5 milioni di anni luce fino a 500 milioni di anni luce".

    Gli studiosi, inoltre, hanno calcolato diversi parametri che caratterizzano sia la rete cerebrale che quella cosmica: il numero medio di connessioni per nodo e la tendenza a raggruppare molte connessioni in grossi punti centrali all'interno della rete.

    "Anche in questo caso, i parametri strutturali mostrano un inaspettato livello di accordo: probabilmente la connettività delle due reti evolve secondo principi fisici simili, nonostante le forze fisiche che regolano le interazioni tra galassie e neuroni siano ovviamente del tutto diverse", aggiungeAlberto Feletti. "C'è una maggiore somiglianza tra la struttura di queste due reti complesse che tra la rete cosmica e una singola galassia, oppure tra la rete neuronale e l'interno di un corpo neuronale".

    A partire dai promettenti risultati ottenuti in questo primo lavoro esplorativo, gli studiosi sperano ora che nuove efficienti tecniche di analisi – sia nel campo della cosmologia che in quello della neurochirurgia – possano permettere di conoscere meglio le dinamiche profonde con le quali questi due affascinanti sistemi evolvono nel tempo.

    Lo studio è stato pubblicato su Frontiers of Physics con il titolo “The quantitative comparison between the neuronal network and the cosmic web”. Gli autori sono Franco Vazza, del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna, e Alberto Feletti, del Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona.

    fonte
    https://magazine.unibo.it/archivio/2020/11/17/il-cervello-umano-assomiglia-all2019universo


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    00 16/03/2021 23:02
    <header class="entry-header">

    Frattali


    </header>

    I Frattali sono immagini geometriche autosimilari che si ripetono all’infinito aumentando lo zoom, per autosimilari si intende che una parte del frattale, per esempio di una spirale, è la rappresentazione del “tutto”, della sua completezza.Come potete vedere nell’immagine sottostante, ogni singola spirale che si vede nel perimetro è la rappresentazione del disegno globale e cambiando la scala vedremo che l’immagine si ripete all’infinito :



    Slope Spiral



    In natura ci sono molti esempi di immagini Frattali, per esempio prendiamo un albero possiamo dire che ogni suo ramo è la rappresentazione del tronco stesso, un cavolfiore, dove è ben visibile l’autosimilarità, le conchiglie, i broccoli, e tante altre forme naturali.
    Possiamo affermare, senza peccare di presunzione, che tutto ciò che è presente in natura è rappresentabile tramite la geometria frattale, geometria complessa.

    Facciamo una digressione e parliamo del concetto Matematica/Scienza/Dio. Diversi filosofosi hanno cercato di dimostrare l’esistenza di “Dio”, con argomentazioni molto valide, la mia personale visione di “Dio” è semplicemente equilibrio, riuscire a trovare un equilibrio nel caos, questo avviene anche all’interno di noi stessi, la persona che cerca un equilibrio sicuramente si è districata tra ordine e caos e conosce bene se stessa da poter trovare un equilibrio solido.

    Potreste obiettare, ma che c’entra Dio? Queste sono semplici immagini…Si ma qui parliamo di Matematica pura, i frattali, la rappresentazione della Natura e ovviamente non possiamo non parlare di Dio, perchè non possiamo non chiederci “è la Matematica che governa le leggi della Natura o è Dio che ha creato queste leggi?”, a me piace pensare che Dio abbia creato la Matematica.

    Tutto in Natura è rappresentabile tramite un algoritmo frattale, tutto, la Geometria Frattale è una Geometria Complessa che ingloba la Geometria Euclidea e la espande, di conseguenza ci mostra che tutto in natura è rappresentabile tramite una successione di numeri che interagiscono tra loro, tutte le forme che noi vediamo sono rappresentabili tramite algoritmi o semplicemente successioni matematiche di numeri, i tavoli, le sedie, le forme delle ruote, le coste delle montagne, i mari, i laghi, il terreno, le galassie a spirale, etc…etc…. Tutto è rappresentabile e quindi tenuto insieme da una regola matematica, non vi è caos ma vi è un ordine ben preciso.

    Ma allora Dio non c’entra!!! Non esiste!!! tutto è Matematica, non si scappa, ehhh no la Matematica ha un inizio? Alla fine si tratta di trovare un “INIZIO”, Si dice che la Matematica sia la regina delle scienze, ed in effetti sembra che il tempo le dia sempre più ragione, ma non può essere casuale, ed ecco che entra il ballo un’idea di perfezione, come diceva Cartesio, qualcuno ci trasmette un’idea di perfezione;
    Non può essere casuale, perchè no?Perchè non può essere casuale?
    Ci sono leggi, tutte, che si ripetono e determinano degli avvenimenti scientifici e queste leggi non sono casuali ma sono ben determinate e si ripetono con leggi ben precise.

    Chi decide queste leggi? Chi di voi non si è mai fatto questa domanda? Ahh alla fine si parla di questo!!! Per me non è altro che “equilibrio”, non mi interessa il nome, o i dogmi inventati dall’uomo, so che la Natura si muove per un principio che è il principio di “Equilibrio”(Non gli interessa il bene e il male, al di là del bene e del male, lo scopo è “equilibrio”), questo principio tiene legato sia il concetto religioso che scientifico, la religione non è altro che la parte umanistica di Dio, ma Dio ha anche una parte scientifica, che forse è quella determinante.

    Ognuno di noi sceglie la parte umanistica che più gli si addice e se seguire o meno la religione, ma non possiamo rimanere indifferenti sulle spettacolirità della Matematica, della rappresentazione delle sue leggi, e come queste si avvicinino enormemente alla rappresentazione del nostro mondo.

    I Frattali rappresentano e dimostrano non solo come la natura si serva di una scienza certa ma rappresentano anche una forma d’arte “assoluta” e “irripetibile”.

    In breve la geometria frattale a differenza della geometria Euclidea è formata da numeri complessi, un frattale non è altro che una successione di numeri complessi.
    L’insieme di Mandelbrot…. ma potete vederlo da voi, Benoit Mandelbrot.
    Ci ha reso consapevoli di questa struttura.

    fonte https://fractalcosmo.com/frattali/?unapproved=3&moderation-hash=5c2e7d68577ecd93b00de3857f1e1154#comment-3

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    Penso che la presenza di tante forme naturali concepite come frattali, non possano essere il frutto di un’autorganizzazione della natura, determinate da un algoritmo matematico che una forza cieca ha originato per dare forma ed ordine a tanti elementi, ma sia invece il risultato di una organizzazione Logica voluta  e realizzata da una Intelligenza somma.
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    00 20/03/2021 18:33
    LE LEGGI DELLA NATURA

    fonte disf.org/leggi-naturali

    Giuseppe Tanzella-Nitti
    I. La nozione di leggi di natura ed il suo impiego nelle scienze - II. Il principio di legalità come base della conoscenza scientifica - III. Il dibattito sullo status delle leggi naturali, terreno di confronto fra pensiero scientifico, filosofia e teologia - IV. Le riflessioni della scienza contemporanea sul significato delle leggi naturali - V. Verso un'analisi ontologica delle leggi di natura: leggi scientifiche, leggi naturali e nozione metafisica di natura - VI. Per una teologia delle leggi di natura.

    Il concetto di legge è un concetto fortemente analogico. Sorto in ambito giuridico-sociale, si estende successivamente alla razionalità scientifica, ove entra dapprima attraverso le nozioni di regola armonica e proporzione numerica (Pitagora) e, dopo la fondazione del metodo sperimentale, mediante l’espressione matematica dei fenomeni fisici (Galileo, Newton, Leibniz). A motivo del più facile impiego che le scienze della natura fanno del formalismo matematico, l'uso della nozione di legge è in queste discipline assai diffuso. Compare però anche in non poche scienze umane (economia, sociologia, ecc.) sebbene con un diverso apparato epistemologico. L'area disciplinare preposta alla riflessione sul significato delle leggi naturali è, ordinariamente, la filosofia della scienza. Ci limiteremo qui ad evidenziarne alcune risonanze interdisciplinari, ovvero le diverse concezioni di natura in rapporto alle leggi che vi operano, la causa delle leggi ed il dibattito circa il loro rapporto con un legislatore.



    I. La nozione di leggi di natura ed il suo impiego nelle scienze
    1. La nozione di legge ed il suo rimando classico alla presenza di un legislatore. La nozione di «legge» ha come ambito primario quello sociale e civile. Essa contiene l'idea di un ordine, di un «dettato» (lat. lex, dal gr. léghein, dire), ma non è lontana dall'idea di vincolo, legame (lat. ligare). Così come il suo sinonimo «norma» (gr. nómos), la legge indica una prescrizione positiva che ha come fine quello di «regolare», cioè «ordinare con una misura», il comportamento dei membri di una comunità. Ne risulta subito implicato il riferimento ad una «autorità» responsabile della legge, soprattutto dell'ordinamento o del fine che con essa intende instaurare o raggiungere. Proprio a motivo di tale rimando ad un'autorità, in modo naturale, e quasi per istinto, le religioni hanno posto il fondamento dell'idea di legge nella nozione di Dio. Ne sarà prova il fatto che fino all’epoca moderna il concetto di legge, anche nel suo contesto sociale e civile, non potrà mai essere compreso prescindendo dalla sua connotazione teologica.

    All'interno del pensiero religioso occupa un ruolo significativo quanto accaduto al popolo ebreo. L'esperienza religiosa di Israele ha infatti nella consegna di una «Legge», cioè del decalogo dei comandamenti (cfr. Dt 5,1-22), una delle tappe fondamentali della sua storia. Assolutamente singolare sullo sfondo delle tradizioni extra bibliche per profondità e trascendenza, la legge ebraica ha però in comune con le legislazioni presenti in altri popoli la funzione di regolare simultaneamente sia i rapporti con Dio che quelli fra gli uomini, e dunque della società nel suo insieme. In continuità con il messaggio biblico, la teologia cristiana, operando una certa estensione dall'ambito positivo civile a quello cosmico e poi a quello morale naturale, segnalerà con Tommaso d'Aquino l'esistenza di una «legge eterna» e di una «legge naturale». La prima indica il piano «eternamente concepito da Dio» sul mondo, attraverso il quale il Creatore conduce ogni cosa verso il suo fine con provvidente sapienza (lex eterna est ratio divinae gubernationis; cfr. Summa theologiae, I-II, q. 93). La seconda può riconoscersi invece nella presenza di una «legge» impressa dal Creatore nella natura degli uomini (cfr. Sal19,8-15, Rm 2,14-16), una legge «naturale» appunto, riconoscendo la quale la coscienza opera il giudizio di distinguere il bene dal male, imperando la volontà con atti corrispondenti (cfr. Summa theologiae, I-II, q. 94).

    La persona umana partecipa alla legge eterna con la libertà, cioè secondo la “natura razionale” che le è propria, mentre le creature irrazionali lo fanno seguendo una “inclinazione” voluta in esse dal Creatore, legata alla loro specifica essenza. Ma anche in questo caso la riflessione tomista parlerà di «leggi naturali» come partecipazione ad una legge eterna, conservando cioè un'analogia con il mondo personale e razionale, dove le leggi si riconoscono e si possono seguire liberamente. Seguendo un'analogia propria di proporzionalità, e non una semplice metafora, Dio Creatore è visto come il «legislatore» che «ordina e dispone tutto con misura», l'autorità trascendente sul cui fondamento poggiano tutte queste leggi. Senza che il Creatore della natura venga identificato con la legge, o con le leggi, il carattere universale, eterno e stabile delle leggi può discendere con facilità da alcuni Suoi attributi filosofici. Le leggi attingono alla verità di Dio e la manifestano, specie mediante la loro regolarità o «legalità», facendola cogliere anche in relazione alle nozioni di fermezza e di fedeltà. Sul rapporto fra immagine biblica di Dio ed epistemologia delle leggi naturali torneremo più avanti (vedi infra, VI).

    2) Il vocabolario delle leggi utilizzato dalle scienze della natura.
    Erede di quel vocabolario filosofico che ha caratterizzato — ed in parte ancora caratterizza —il linguaggio delle scienze, la visione scientifica del mondo fa ampio riferimento al concetto di «legge». Nel suo significato più generale, si intende con essa esprimere una connessione stabile e verificabile, fra grandezze osservabili che concorrono in un determinato fenomeno, di solito mediante il ricorso ad un formalismo logico-matematico. Nel caso di osservabili fisici, il formalismo matematico viene generalmente espresso con un’equazione, grazie alla quale diviene possibile calcolare e prevedere l'andamento di certe grandezze nello spazio e nel tempo. La “matematizzazione” di un certo fenomeno rappresenta pertanto la condizione abituale con cui cercare, scoprire ed esprimere una certa legge di natura. Al tempo stesso, la “riduzione matematica” del fenomeno implica sempre una certa semplificazione, quando non una vera e propria perdita, rispetto alla ricchezza o alla complessità della fenomenologia in gioco: siamo cioè di fronte ad una rappresentazione “scientifica”— cioè trattabile dalle scienze — della natura. La forma «lineare» di buona parte delle equazioni associate alle principali leggi di natura (ad es. la 2ª legge della dinamica F = m a, o anche F = m dv/dt), aventi la proprietà che la somma di due loro soluzioni è ancora una soluzione per l'equazione stessa, consente un'efficace trattabilità e predicibilità del fenomeno in studio, compresa la sua piena reversibilità rispetto al tempo (la forma delle equazioni non dipende dal segno positivo o negativo di t, cioè dall’orientamento della freccia del tempo). Sono però ugualmente diffuse equazioni dalla forma «non lineare», come ad es. molte leggi della fluidodinamica, per le quali la somma di due soluzioni non è più una soluzione del sistema. In questo caso la trattabilità matematica, e dunque il potere di predicibilità delle equazioni, è molto più limitato e, in un certo numero di casi, fortemente condizionato dalla precisione con cui si possono stabilire le «condizioni iniziali», cioè quell'insieme di valori numerici senza dei quali le equazioni prescelte per rappresentare “scientificamente” un fenomeno “naturale” non potrebbero essere risolte, per determinare lo “stato” del sistema in studio . Il fatto poi che nel 2° principio della termodinamica la freccia del tempo ammetta soltanto dei valori crescenti (del tempo), fa sì che molte leggi che inglobano a qualche livello quel principio, non solo in ambito strettamente termodinamico, ma in quello assai più ricco delle reazioni chimiche e dei fenomeni biologici, siano irreversibili rispetto al tempo, contribuendo ad una visione del mondo che non è più solo quella di un cosmo ordinato ed in equilibrio, ma un universo che ha una storia, si sviluppa ed evolve.

    Nella formulazione di una legge concorrono quasi sempre due fattori, uno di carattere induttivo, a-posteriori, legato all'osservazione, e l'altro di carattere deduttivo, a-priori, legato ad una teoria o ad una serie di princìpi all'interno dei quali si tenta di leggere ciò che sta avvenendo.
    Abbiamo così la formulazione della «legge di gravità» all'interno di una specifica «teoria della gravitazione», o delle «leggi di propagazione delle onde luminose» all'interno della «teoria elettromagnetica», rappresentata dalle equazioni di Maxwell.
    Si tratta di due fattori a volte difficilmente distinguibili nello stesso linguaggio della formulazione: si parla infatti delle tre leggi, ma anche dei tre «princìpi», della dinamica, della termodinamica, ecc.. Già all'epoca della fondazione del metodo scientifico, F. Bacon (1561-1626) prima e R. Descartes (1596-1650) poi, indicheranno con lo stesso termine di «legge» sia princìpi che relazioni funzionali.
    Tuttavia, il termine «principio», così come quello di «teorema» in matematica, fa più spesso riferimento ad un impianto di carattere ipotetico-concettuale (si pensi ad es. al principio di d'Alembert o a quello di Hamilton, per restare nell'ambito della meccanica, oppure ai teoremi di conservazione), mentre il termine «legge» implica sempre il tentativo di organizzare ed esprimere un'osservazione sperimentale.

    La fisica classica conosce ed utilizza una enorme quantità di leggi, entrate ormai a far parte di un linguaggio acquisito. Si spazia così dalle tre leggi di Keplero sull'orbitamento dei pianeti alle leggi di Coulomb, di Ohm o di Faraday nell'ambito dei fenomeni elettrici, dalle leggi di tipo statistico, come la legge dei gas perfetti o la legge di entropia, a quelle di ambito fisico-matematico, come la legge di Gauss o quella di Poisson. In ottica si parla delle leggi di Fresnel e di Huyghens, in fluidodinamica della legge di Navier-Stokes o di quella di Bernoulli.
    In cosmologia si conosce la legge di Hubble sull'espansione dell'universo e la legge Periodo-Luminosità delle Cefeidi (stelle variabili il cui periodo di pulsazione è strettamente dipendente dalla loro luminosità intrinseca); grazie a quest’ultima, scoperta da Miss H. Leavitt, gli astronomi riuscirono per la prima volta a stabilire una scala di distanze che oltrepassava i confini della nostra Galassia. La fisica quantistica, dal canto suo, non rinuncia al vocabolario delle leggi ed adopera così la legge di Planck, che regola la radiazione di un corpo nero o, in ambito statistico, le leggi di Fermi-Dirac e di Bose-Einstein, che descrivono la distribuzione energetica di un gas di diverse classi di particelle, i fermioni (fra cui vi sono i più noti elettroni) ed i bosoni (cui appartengono i fotoni).

    Ma il concetto di legge trova applicazione anche in discipline diverse dalla fisica o dall'astronomia. In chimica si parla infatti delle leggi di ossidoriduzione e delle leggi dell'elettrolisi; la biologia parla delle leggi di Mendel sulla trasmissione dei caratteri ereditari; vi sono leggi anche in una disciplina come l'economia, fra le quali la più nota è certamente quella “della domanda e dell'offerta”, e leggi in demografia. In ambito umanistico spetta alla sociologia il compito di aver introdotto una riflessione sull'esistenza di specifiche leggi nel tentativo di descrivere e prevedere il comportamento, le tendenze (trends) e le reazioni delle società in presenza di particolari circostanze ambientali, economiche, ecc. Leggi, queste ultime, che per forza di cose non possono che essere «statistiche», cioè trattare il fenomeno “sociologico” su larga scala, nel suo insieme, restando il comportamento libero del singolo individuo indisponibile alla previsione scientifica. Proprio quest'ultima particolarità, vale a dire la libertà di ogni persona umana, ha posto l'interrogativo circa l'esistenza di vere e proprie leggi in un simile ambito, o comunque mette in luce la loro sostanziale differenza rispetto a quelle che operano nell'ambito delle scienze naturali. Come riflesso, una teoria od una disciplina che, mediante l’impiego di leggi, si sentisse capace di descrivere in modo esaustivo tutta la fenomenologia umana, per esempio considerando le reazioni psicologiche e sociali in modo deterministico, come conseguenze necessarie dei condizionamenti cui l'individuo sarebbe soggetto, manifesterebbe un’implicita visione riduttiva, quando non una vera e propria negazione, del valore del libero arbitrio.

    [Modificato da Credente 21/03/2021 18:27]
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    Credente
    00 20/03/2021 19:14
    continuazione dal post precedente.


    Le riflessioni della scienza contemporanea sul significato delle leggi naturali
    Il dibattito sullo statuto delle leggi naturali è stato mantenuto, negli ultimi decenni, da autori direttamente impegnati nella ricerca scientifica. Gli scienziati vedono con una certa sorpresa la stabilità e la reciproca connessione delle leggi, si interrogano sul perché della loro intelligibilità e del successo riportato nell'esprimerle in forma matematica, cercano significati profondi circa i valori delle costanti di natura. Fra i motivi di questo interesse vi è l'odierna formulazione, in termini piuttosto soddisfacenti, di un quadro evolutivo globale e coerente, capace di legare la fisica del microcosmo con quella del macrocosmo. «Il concetto di legge di natura — afferma Paul Davies — è così ben stabilito nella scienza che fino a non molto tempo fa solo pochi scienziati si soffermavano a riflettere sulla natura e sull'origine di queste leggi; si accontentavano di accettarle come “date”. Ora che fisici e cosmologi hanno compiuto rapidi progressi verso la scoperta di quelle che considerano le “leggi ultime” dell'universo, riemergono molti vecchi interrogativi. Perché le leggi hanno la forma che hanno? Avrebbero potuto essere diverse? Da dove hanno origine? Esistono indipendentemente dall'universo fisico?» (Davies, 1993, p. 81).

    1. Che natura hanno le leggi di natura? Una certa irriducibilità delle leggi di natura al genere dei princìpi, e quindi la rivendicazione di un loro statuto epistemologico proprio, era stata già avanzata da Henri Poincaré (1854-1912), sebbene con una visione ancora in parte convenzionalista. Ma saranno Clerk Maxwell (1831-1879), Max Planck ed Albert Einstein (1879-1955) ad offrire una visione decisamente realista delle leggi naturali, insistendo sulla necessaria fiducia verso il «principio di legalità» come presupposto di ogni sapere scientifico. «Nella fiducia che il mondo reale sia governato da leggi — notava il padre della teoria dei quanti — il fisico si forma un sistema di concetti e di princìpi, la cosiddetta immagine fisica del mondo, che egli correda come meglio può e sa, in modo che, collocata al posto del mondo reale, essa gli mandi possibilmente i medesimi messaggi che questo gli invierebbe» (Planck, 1993, p. 246). La corretta conoscenza di questa “immagine del mondo” richiede per Einstein l'inseparabilità fra approccio induttivo e deduttivo: «La missione più alta del fisico è dunque la ricerca di queste leggi elementari, le più generali, dalle quali si parte per raggiungere, attraverso semplici deduzioni, l'immagine del mondo. Nessun cammino logico conduce a queste leggi elementari: l'intuizione sola, fondata sull'esperienza, ci può condurre ad esse» (Come io vedo il mondo, Roma 1993, p. 35). Dal punto di vista della logica, esse sono «libere creazioni dell'intelletto umano che non si possono giustificare a priori», ma dal punto di vista dell'esperienza, le nostre intuizioni risultano da questa normate: la nostra libera creatività è limitata dalla “libertà” della natura.

    A questi autori potrebbero oggi affiancarsene altri come Carl von Weizsäcker, Richard Feynman, Paul Davies o John Barrow, tutti interessati a sottolineare, sebbene secondo prospettive non sempre coincidenti, il carattere “dato”, oggettivo, ed in certo modo fondante, delle leggi di natura, di cui si può comprendere sensatamente l'azione solo concependole su scala cosmica, cioè in un quadro di validità universale. Nella sua Introduzione alle Lezioni di Elettrodinamica Quantistica, Feynman segnalava ai suoi studenti che «un motivo per cui potreste pensare di non comprendere quello che racconterò è che, mentre descriverò “come” funziona la Natura, voi non capirete “perché” funziona così. Ma questo, vedete, non lo capisce nessuno. Io non vi posso spiegare perché la Natura si comporta in questo modo particolare» (QED. The Strange Theory of Light and Matter, Princeton 1985, p. 10). Buona parte degli scienziati, consapevoli del carattere rivedibile ed impreciso delle leggi che utilizzano, sono portati, come Feynman, a sottolineare la loro capacità “descrittiva” piuttosto che “esplicativa”, il loro legame preferenziale con la categoria della “relazione” e non con quella della “essenza”, quasi a segnalare che il «principio di legalità o di regolarità» sembri appartenere di più alla natura di quanto non appartenga alle sue leggi. La natura si manifesta infatti continuamente con i caratteri della novità e dell'imprevedibilità, ma secondo modalità che non rimandano né al caos né all'indeterminismo, bensì a nuovi e più generali livelli di comprensione e di legalità.

    Difendendo il loro status epistemologico oggettivo, per Paul Davies «è importante comprendere che queste regolarità della natura sono reali. Talvolta si sostiene che le leggi naturali, che sono tentativi di cogliere in modo sistematico queste regolarità, sono imposte al mondo dalla nostra mente, allo scopo di dargli un senso. È senza dubbio vero che la mente umana ha la tendenza a individuare gli schemi, e persino a immaginarseli dove non ce n'è. I nostri antenati vedevano animali e divinità fra le stelle e inventarono le costellazioni. E noi tutti cerchiamo di vedere facce nelle nuvole, nelle rocce e nel fuoco. Tuttavia, ritengo assurdo suggerire che le leggi naturali costituiscano analoghe proiezioni della mente umana. L'esistenza di regolarità nella natura è un fatto matematico oggettivo. D'altro canto, gli enunciati che vengono chiamati leggi e che sono contenuti nei libri di testo sono chiaramente invenzioni umane, ma invenzioni destinate a riflettere, anche se in maniera imperfetta, proprietà effettivamente esistenti nella natura. Senza questo assunto che le regolarità sono reali, la scienza si riduce ad una sciarada senza senso» (Davies, 1993, pp. 91-92). Fra le ragioni fornite in appoggio a questa prospettiva si cita il fatto che la predicibilità delle leggi ha una capacità esplicativa che va al di là del fenomeno originariamente studiato, consentendo spesso di interpretare con successo anche altre fenomenologie; dalle leggi proposte si possono poi dedurre conseguenze controllabili in nuovi contesti, che conducono a nuove scoperte, con le quali non ci si aspettava a priori alcun collegamento.

    Come è noto, la problematicità di una visione realista delle leggi di natura (di cui ricordiamo la differenza da una visione “determinista”) è stata richiamata nell'ambito della meccanica quantistica. Va però ricordato che accanto ad interpretazioni tendenzialmente idealiste (interpretazione di Copenhagen, principalmente con Bohr e Heisenberg), non ne sono mancate altre maggiormente realiste, dovute ad autori come David Bohm, John Bell, Richard Feynman e, più recentemente, John Cramer (per una visione di insieme, cfr. J. Gribbin, Schrödinger's Kittens and the Search for Reality, Boston-New York 1995). Come sobriamente riepilogato da Polkinghorne (1988), nella fisica quantistica «ci imbattiamo con un'immagine del mondo che non è né meccanicistica, né caotica, che possiede allo stesso tempo i caratteri dell'apertura e dell'ordine» (p. 341).

    2. L'intelligibilità delle leggi di natura e la ricerca di una loro unificazione. Il dibattito interno alla scienza sulle leggi di natura viene spesso associato all'interrogativo sulla loro “intelligibilità”: ci si chiede perché sono esprimibili con un formalismo matematico relativamente semplice, e non di rado elegante, e per qual motivo debba esistere una corrispondenza fra il nostro intelletto e la logica con cui la natura pare comportarsi. Tale sintonia è insieme una fede (accettazione dell'induzione) ed una constatazione (predicibilità della deduzione). In prospettiva filosofica, i canoni del dibattito riproducono quello, prima evidenziato, fra visione realista ed idealista delle leggi naturali. In prospettiva religioso-teologica, il possibile Legislatore assume qui le vesti di un Architetto progettista. Non mancheranno, nei testi di divulgazione scientifica, concetti come «codice cosmico» o «progetto cosmico» (cosmic blueprint). Accanto alle conseguenze dell'intelligibilità del reale fisico sul piano della religiosità naturale e sul piano della teologia del Logos cristiano, già affrontate in altre voci di questo Dizionario, riassumeremo qui alcune motivazioni che ne rendono significativo l’interrogativo anche sul piano delle scienze.

    La questione non può essere rivolta direttamente alle leggi perché, di tale intelligibilità, esse sono appunto una concrezione intenzionale, voluta allo scopo di rendere comprensibile e predicibile il comportamento del reale. Essa va piuttosto rivolta alla matematica e al nostro intelletto. Molte delle proprietà matematiche osservate in natura sono meno ovvie di quanto sembri. Non poche leggi sarebbero potute essere tutt'altro che semplici, simmetriche, dotate di integrali convergenti, facilmente approssimabili con modelli ideali. Molte fenomenologie a simmetria radiale o sferica sono descritte da equazioni le cui variabili hanno per esponenti dei “semplici” numeri naturali, lasciando quasi confluire tutta la “problematicità” della rappresentazione matematica nel valore “trascendente” (cioè transfinito) di p. Cosa accadrebbe se tali esponenti fossero dei complicati numeri razionali o perfino irrazionali?

    Se la matematica è in buona misura una proiezione della mente umana sul reale fisico, quest'ultimo ha però la singolare proprietà di permettere che una simile proiezione “funzioni”, mostrandosi adatto ad ospitare una rete di relazioni logico-matematiche che consentono di interpretare e predire molti fenomeni. Il legame fra matematica e natura pare spingersi ben più in profondità di quanto possa suggerire la semplice costruzione di tutto il corpo dei numeri reali a partire dall'insieme dei numeri naturali. «Ciò che ci dovremmo aspettare, a priori — affermava ancora Einstein — è proprio un mondo caotico del tutto inaccessibile al pensiero. Ci si potrebbe (di più, ci si dovrebbe) aspettare che il mondo sia governato da leggi soltanto nella misura in cui interveniamo con la nostra intelligenza ordinatrice: sarebbe un ordine simile a quello alfabetico, del dizionario, laddove il tipo d’ordine creato ad esempio dalla teoria della gravitazione di Newton ha tutt’altro carattere. Anche se gli assiomi della teoria sono imposti dall'uomo, il successo di una tale costruzione presuppone un alto grado d’ordine del mondo oggettivo, e cioè un qualcosa che, a priori, non si è per nulla autorizzati ad attendersi» (A. Einstein, Lettera a M. Solovine, 30.3.1952, in Opere scelte, Torino 1988, pp. 740-741).

    Uno dei modi per ridimensionare drasticamente il problema sarebbe quello di obiettare che le leggi che reggono il cosmo fino a consentire di ospitarvi la vita intelligente sono in fondo le stesse che governano il funzionamento della nostra mente. La concordanza fra intelletto umano e leggi naturali dipenderebbe solo dal fatto che il cervello opera secondo le leggi della fisica, e queste gli risultano perciò completamente compatibili. In realtà una simile obiezione pare poco convincente. Il funzionamento bio-chimico o anche fisico del cervello da una parte, le cui leggi sono certamente in sintonia con quelle del cosmo cui apparteniamo, e l'attività razionale di astrazione della mente dall'altra, con la sua capacità di trovare la forma matematica della fisica, individuano in realtà due livelli distinti, fra loro irriducibili. Giustificare poi di trovarci in un universo “matematico” solo perché il nostro sarebbe “antropicamente selezionato” fra infiniti possibili universi “non matematici”, è una risposta filosofica a priori e non una soluzione scientifica in senso stretto. L'intelligibilità delle leggi di natura non può neanche considerarsi una conseguenza della selezione naturale nella nostra evoluzione biologica, essendo difficile sostenere che la capacità di risolvere equazioni differenziali sia stato un fattore storico di sopravvivenza per la nostra specie. Senza per questo sciogliere, al livello dell'analisi delle scienze, l'enigma dell'intelligibilità, la cui soluzione compiuta non pare praticabile dall'interno del loro metodo, parrebbe più logico argomentare che tanto la struttura quanto la comprensibilità dell'universo siano due aspetti intimamente collegati: se la scienza deve ricevere come “data” la prima, cioè la ragione ultima del perché l'universo è così come è, essa si vede obbligata a ricevere come data anche la ragione profonda della seconda. In linea di principio, sarebbe stato possibile che la specie umana si fosse adattata ed organizzata nel mondo solo biologicamente, cioè senza comprenderlo anche intellettualmente: ma di fatto non è stato così.

    Il contesto più ambizioso in cui si esprimono l'intelligibilità e la trattabilità matematica delle leggi di natura è senza dubbio rappresentato dai progetti di unificazione delle quattro forze fondamentali di interazione. Da tempo capaci, con Maxwell, di esprimere all'interno di un medesimo formalismo il campo elettrico e quello magnetico, gli scienziati hanno potuto in tempi più recenti inglobarvi l'unificazione delle forze nucleari deboli, confermandone sperimentalmente l'esattezza con la scoperta delle corrispondenti particelle di scambio. Esistono oggi teorie soddisfacenti, usualmente denominate «modello standard» o anche GUT (Grand Unified Theories) in grado di unificare con le prime due, anche la terza forza fondamentale, quella nucleare forte, mentre la capacità di compiere l'ultimo passo che inglobi anche l'interazione gravitazionale offre problemi di portata assai maggiore. Il formalismo matematico impiegato non è univoco, come mostrato dalla presenza nelle equazioni di molti parametri liberi, ma l'immagine fisica del cosmo che ne emerge è fortemente suggestiva: il processo di unificazione matematica delle forze è sensato e progredisce perché l'universo “è suscettibile di essere unificato”. La formulazione di “gruppi di simmetria” sempre più generali nasce senza dubbio dalla creatività della mente del ricercatore, ma la natura deve contenere nei suoi fondamenti, a qualche livello, una intima realtà strutturale sulla quale tale razionalità possa poggiarsi.

    Un ulteriore risvolto della ricerca di una teoria unificata è la seduzione di poter proporre una «teoria del tutto» (Theory of Everything, TOE). Pur non condivisa dalla maggior parte dei cosmologi, se ne sono fatti animati interpreti S. Hawking (A Brief History of Time, New York 1988) e S. Weinberg (Dreams of a Final Theory, New York 1992). La definitiva scoperta delle leggi fisico-matematiche che, nei primi istanti di vita dell'universo, regolarono il progressivo differenziarsi delle quattro forze fondamentali attraverso le «rotture di simmetria» verificatesi al decrescere della temperatura globale, conterrebbe anche la ragione ultima dell'esistenza di quelle forze, ovvero di quell'unica “superforza”, fornendo così una spiegazione ultima del tutto. Ma il tentativo di volersi servire di un simile formalismo unificato come descrizione esauriente di tutto il reale fisico conduce a palesi incongruenze, non solo sul piano filosofico, a motivo dell'indisponibilità per il metodo scientifico del «problema dell'intero», ma anche sul piano strettamente fisico (cfr. Ellis, 1991; Barrow, 1992 e 1999). Si finirebbe con l'andare necessariamente incontro ai classici “problemi di incompletezza”, sia di ordine logico che ontologico, oltre a riprodurre i classici canoni di un insostenibile riduzionismo.

    3. Una visione evolutiva delle leggi di natura: dall'essere al divenire? La crescente importanza attribuita al concetto di evoluzione e la maggiore attenzione, specie a partire dalla termodinamica dei fenomeni irreversibili, rivolta alla freccia del tempo, hanno introdotto nelle ultime decadi importanti novità nel modo di vedere le leggi naturali, caratterizzandone la riflessione all'interno di un quadro fortemente filosofico. Tale novità è stata presentata da alcuni autori nei termini di una transizione dal cosmo ideale delle leggi naturali, ordinato ed immutabile, all'universo reale dei processi evolutivi, disordinato ed imprevedibile. Perdendo il «paradiso delle leggi» (cfr. Cini, 1994), l'interpretazione scientifica avrebbe perso con esso quella visione filosofica tradizionalmente edificata sulla nozione di legge e, di riflesso, anche il suo Legislatore. Non ci riferiamo qui alla scoperta dell'impredicibilità matematica dei fenomeni complessi — di cui abbiamo già segnalato la distinzione sia rispetto al principio di legalità che a quello di causalità — ma al fatto che all'origine dell'ordinamento, della strutturazione e della diversificazione del reale non vi sia più l'idea di «legge naturale», bensì quella di «processo». Quest'ultima nozione rappresenterebbe meglio fenomeni come l'auto-organizzazione, lo sviluppo funzionale, l'emergenza di strutture complesse, l'adattamento all'ambiente o l'interazione con esso, i quali sarebbero i veri responsabili delle proprietà e della morfologia osservate in natura. La nuova visione coinvolgerebbe tanto la fisica (ad esempio privilegiando la dimensione, o perfino l’origine, relazionale-globale delle proprietà elementari della materia) quanto, soprattutto, la chimica e la biologia, costitutivamente aperte alla categoria di “trasformazione”, di “sviluppo” o anche di “emergenza”.

    Un forte influsso sul pensiero scientifico di fine secolo XX, all'interno di questa nuova visione, è quello avuto dai noti lavori del chimico ed epistemologo belga, di origine russa, Ilya Prigogine (n. 1917). Lo studio dell’evoluzione dei sistemi termodinamici lontano dalle soluzioni di equilibrio consente di descrivere l'emergenza di strutture organizzate, morfologicamente più ricche e complesse rispetto a quanto mostrato dal sistema di partenza (principalmente Prigogine e Stengers, La Nouvelle Alliance, 1979; poi, Nicolis e Prigogine, 1982; Prigogine, 1986). Le «soluzioni di non equilibrio», possibili attorno ai «punti di biforcazione» di un sistema, che sono anche quelli maggiormente “indecidibili” e dunque trattabili solo probabilisticamente (in un panorama orografico li si potrebbe paragonare al comportamento di una pallina sulle cime dei rilievi), descrivono proprio la dimensione “evolutiva” o di “sviluppo creativo” del sistema. Le soluzioni di equilibrio, invece, che si danno lontano dalle biforcazioni (rappresentate dal comportamento delle palline nelle valli), ricondurrebbero il sistema nella fenomenologia predicibile e deterministica rappresentata dalle sue leggi note. Tali comportamenti esistono di fatto in natura, ove si osserva una progressiva diversificazione delle strutture chimiche, bio-chimiche ed infine biologiche, ma anche la formazione di strutture fisiche assai ordinate (ad esempio la termodinamica di una stella) a partire da sistemi caotici (una nube di gas di idrogeno da cui essa si forma). Saremmo così di fronte all'emergenza di «ordine dal caso» (Order out of Chaos, sarà il titolo dato alla traduzione inglese de La Nouvelle Alliance). La termodinamica di non equilibrio riesce così a descrivere «isole di entropia descrescente», nelle quali si contengono le novità di un mondo in evoluzione, sullo sfondo di una legge globale di «entropia sempre crescente», che coinvolge invece l'universo nel suo insieme, spingendolo assai probabilmente verso uno stato di progressivo degrado termico ed energetico.

    A motivo dell'esplicita risonanza filosofica datagli dallo stesso Prigogine, il precedente quadro scientifico è stato usato per porre in questione che il principale fattore di strutturazione (e di interpretazione) dell'universo fisico sia rappresentato dalle leggi di natura, assegnando piuttosto alla “emergenza dell'imprevedibile” il ruolo trainante. Più facilmente associate alla descrizione dei sistemi in equilibrio, alle soluzioni stabili, agli sviluppi predicibili, le leggi naturali rimanderebbero alla nozione di legame e di eterna ricorrenza, mentre l'idea di emergenza o di complessità rinvierebbe alla nozione di creatività o, perfino, di libertà. In sintonia con questo cambio di prospettiva — e riprendendo i termini di una tensione ormai classica — Prigogine sosterrà una supremazia del divenire sull'essere, del processo sulla sostanza, trascinando in tale confronto le grandi idee portanti della filosofia e delle religioni (cfr. Prigogine, 1986). Come cornici filosofiche maggiormente adeguate egli citerà l'opera di M. Heidegger, Essere e tempo (1927) e la filosofia del processo sviluppata da Whitehead. Ma c'è qualcosa di più. La visione di una scienza la cui importanza e successo interpretativo vengono spostati dalle equazioni reversibili rispetto al tempo, tipiche delle leggi naturali tradizionalmente (ma anche riduttivamente!) intese, alla termodinamica dei fenomeni irreversibili, responsabili della vera novità e ricchezza nell'universo, tipicamente più vicini alla biologia, consentirebbe finalmente «una nuova alleanza» con il mondo dell'uomo e della vita. Una scienza meno determinista e liberata da un eccesso di legalismo fisicalista può dialogare più facilmente con le discipline umanistiche, sensibili alla libertà e alla creatività.

    Sebbene la portata scientifica, ma anche la novità epistemologica, della termodinamica di non equilibrio siano fuori discussione, non condividiamo la maggior parte delle conseguenze “filosofiche” che Prigogine vuole trarne. Come accennato, esse derivano da una visione inconsapevolmente riduttiva non solo delle leggi naturali (identificate con il determinismo) o del principio di legalità (identificato con un fissismo che precluderebbe ogni novità), ma anche della scienza stessa nel suo insieme. La capacità di dialogo delle scienze con l'umanesimo e la filosofia si sono certamente accresciute con l'abbandono del meccanicismo, ma tale dialogo dipende da fattori ben più profondi e filosoficamente più fondanti di quanto non dica la riscoperta, o semplicemente una migliore interpretazione scientifica, del comportamento aperto o “creativo” della natura.

    La fenomenologia della termodinamica di non equilibrio non costituisce una negazione del valore delle leggi di natura e questo almeno per due motivi. In primo luogo perché qualunque sistema termodinamico, comunque rappresentato, non costituisce «la causa formale» dell'emergenza di una struttura ordinata e complessa, ma semplicemente il suo contesto materiale e cronologico previo: l'emergenza della novità è dovuta ad una “azione di natura”: se questa non ha la forma di una legge riproducibile (qual è infatti la legge con cui cade una pallina posta sulla sommità di una vetta?), ciò accade per la non-riproducibilità delle medesime condizioni al contorno (o condizioni iniziali) del sistema, non per l'assenza di un principio di legalità o di regolarità (la legge di gravità, che farà certamente cadere la pallina, anche se non sappiamo dove). In secondo luogo, in non pochi casi le fluttuazioni e le instabilità di un sistema, a partire dalle quali esso poi evolverà in modo imprevedibile, sono descrivibili da opportune leggi fisico-matematiche, come accade ad esempio per le instabilità della fluidodinamica. Come riprova, Prigogine continuerà inevitabilmente ad utilizzare anch'egli la nozione di legge, presentando il comportamento della natura come un sottile equilibrio fra caso e necessità, fra fluttuazioni e leggi deterministiche, fra rotture di simmetrie e leggi che propagano tali rotture.

    4. Alcuni aspetti in ambito biologico. Per la biologia, a differenza di quanto può essere accaduto in fisica, pensare alle leggi di natura in termini di “processi”, piuttosto che di semplici regolarità, non rappresenta un cambio di visione. Sebbene in tale ambito si parli poco di «leggi», la loro esistenza pare a qualche livello evidente: il codice genetico contenuto nel DNA dei nuclei cellulari dà luogo a precisi sviluppi dell'individuo e non ad altri, i caratteri ereditari si trasmettono seguendo alcune regole del calcolo combinatorio, i viventi reagiscono anch'essi secondo un «principio di legalità» alle medesime interazioni con l'ambiente, ecc. Dal punto di vista storico, il dibattito circa la presenza di un eventuale “Legislatore” si è snodato lungo due tesi classiche, la cui opposizione ha dato e continua a dar luogo ad equivoci: da un lato l'utilizzo in chiave apologetica della forte organizzazione, complessità e finalismo mostrati dai viventi, dall'altro il tentativo di darne ragione in termini di casualità, selezione naturale, adattamento all'ambiente o altri fattori. Ci limiteremo qui a segnalare solo alcuni recenti sviluppi su come possa essere compresa la presenza di leggi in ambito biologico (per una recente rassegna sui principali aspetti interdisciplinari, cfr. R. Russell, W. Stoeger, F. Ayala, 1998)

    Il contesto più frequente in cui si parlava in passato di legge biologica era la proposta darwiniana “classica” di un'evoluzione affidata alla «legge della selezione naturale», concepita come azione combinata di due fattori: mutazione genetica casuale, con relativa trasmissione ereditaria, e sopravvivenza delle speci le cui mutazioni causavano morfologie maggiormente idonee all'ambiente naturale del vivente. Conservando le nozioni di evoluzione di adattamento, la cui operatività è certamente fuori dubbio, tale visione è oggi fortemente discussa, sia perché la trasmissione ereditaria delle mutazioni subite non costituisce la regola, sia perché la principale origine delle mutazioni si è riconosciuta non più essere la “casualità”, bensì l'azione dell'ambiente sui viventi (cfr. Kauffmann, 1993).

    Vanno oggi acquistando peso crescente in biologia due nuovi contesti che fanno riferimento implicito a princìpi di legalità. Il primo di essi è l'idea che esistano processi di “canalizzazione” o di “confluenza”, mediante i quali dei princìpi di natura strutturale e termodinamica intrinseci nell'organizzazione molecolare o cellulare sembrano esplicitarsi lungo l'evoluzione dei viventi, non appena le circostanze lo rendano possibile (cfr. Webster e Goodwin, 1988). È come se l'evoluzione biologica non debba “aprirsi essa stessa una strada”, ma semplicemente “seguire le forme del paesaggio” che già individuano questo cammino. Il secondo è la rivalutazione della “formalità specifica individuale” del vivente, sia esso una cellula o un organismo complesso, come unità e soggetto di funzioni non riduttivamente interpretabili come semplice somma o combinazione delle proprietà delle parti componenti. Tale comportamento indica in fondo la capacità di un organismo di conservare e sviluppare in modo coerente delle caratteristiche invarianti, come possono essere ad esempio l'omeostasi, simmetrie funzionali, l'immunità verso agenti esterni, ecc. È stata avanzata anche l'idea, comunemente nota sotto il nome di «ipotesi Gaia», che un simile comportamento sia in qualche modo applicabile, su scala planetaria, a tutta la biosfera nel suo insieme (cfr. J.E. Lovelock, A New Look of Life on Earth, Oxford 1979; The Ages of Gaia. A Biography of our Living Earth, London 1988). Non è forse senza interesse segnalare che ambedue i contesti furono teorizzati nella prima metà del XX secolo da Teilhard de Chardin (cfr. L. Galleni, How does the Teilhardian Vision of Evolution compare with Contemporary Theories?, “Zygon” 30 (1995), pp. 23-43).

    Da un punto di vista più tradizionale (cfr. G. Blandino, Vita, ordine, caso, Brescia 1967), il ricorso all’idea di legge e di regolarità ha sempre accompagnato la descrizione della fenomenologia della vita. Esiste una riconosciuta «regolarità funzionale dei viventi» grazie alla quale ogni parte è funzionale al bene del tutto ed il tutto difende la funzione della parte, secondo una logica che trascende l'individuo per aprirsi al bene della specie. Esiste una certa «costanza nell'esistenza», manifestata dalla riproduzione di medesime strutture, che provvedono ad una regolarità morfologica, funzionale, ma anche riproduttiva. Esiste anche, quasi in analogia con quanto accade con i princìpi variazionali della fisica-matematica, una sorta di «legge di semplicità», in base alla quale pare essere una legge, propria dei viventi, agire col minimo lavoro, con procedimenti semplici e sicuri, evitando inutile complicanze.



    V. Verso un'analisi ontologica delle leggi di natura: leggi scientifiche, leggi naturali e nozione metafisica di natura
    Riprendere le domande poste da Paul Davies, «da dove hanno avuto origine le leggi naturali?» o, anche, «avrebbero potuto essere diverse?», implica spostare l'attenzione dal loro statuto epistemologico a quello ontologico. La necessità di accedere, presto o tardi, a questo livello veniva così espressa con sguardo storico da Pierre Duhem: «La teoria fisica non ci dà mai la spiegazione delle leggi sperimentali, non ci rivela in nessun caso le realtà che si nascondono dietro le apparenze sensibili. Ma più si perfeziona, più avvertiamo che l’ordine logico nel quale essa dispone le leggi sperimentali è il riflesso di un ordine ontologico; più dubitiamo che i rapporti che essa stabilisce tra i dati dell’osservazione corrispondono a rapporti tra le cose, più scopriamo che essa tende ad essere una classificazione naturale. [...] Tuttavia, se il fisico è incapace di motivare tale convinzione, non lo è meno a sottrarle la sua ragion d’essere» (La teoria fisica, tr. it. Bologna 1978, p. 31-32). Un altro epistemologo e scienziato, Henri Poincaré, si chiedeva, pur riconoscendo la convenzionalità delle leggi scientifiche, se nell'insieme potessero aver qualcosa di indipendente da quelle convenzioni, qualcosa che potesse considerarsi “invariante”, per concludere poi che l'esistenza di invarianti era in fondo richiesta dal ruolo “traduttore” della scienza: le relazioni fra fatti scientifici — inevitabilmente espresse mediante convenzioni — esistono perché esistono delle leggi invarianti, che sono delle relazioni tra i fatti in sé e per sé, di cui le leggi scientifiche sono appunto una «traduzione» (cfr. Il valore della scienza, 1911, cap. X, § 4).

    Siamo dunque condotti verso una necessaria distinzione fra «leggi naturali» e «leggi scientifiche». Le due espressioni non sono identiche (cfr. Artigas e Sanguineti, 1989, pp. 236-240). Noi possiamo maneggiare soltanto le seconde, ma non le prime. Le leggi scientifiche hanno una portata conoscitiva limitata e sono sempre soggette a revisione sperimentale; la loro conoscibilità ed intelligibilità rimanda ad un substrato “invariante”, di carattere squisitamente meta-fisico, che in prima approssimazione sarebbe rappresentativo, appunto, delle «leggi di natura»; in modo più preciso, come vedremo, esso andrebbe ancorato alla «natura metafisica di un ente», cioè a quel principio operativo che esprime le proprietà formali e le possibilità di interazione attiva e passiva di un ente fisico, manifestativo della sua essenza.

    Richard Feynman amava associare alle leggi sperimentali l'immagine di un ritmo musicale che collega fra loro i fenomeni. Ricollegandoci alla precedente distinzione, le leggi di natura sarebbero ciò che rende possibile la regolarità e la cadenza di quel “ritmo”, e che permette alle leggi scientifiche di essere scoperte ed espresse con algoritmi matematici. Questi ultimi hanno un carattere necessariamente convenzionale, consentono una molteplicità di approcci e di formulazioni, la cui libertà è però limitata dalle risposte che si riceveranno «dalla natura», in base ad un metodo sperimentale aperto interattivamente sul reale. Così intese, le leggi di natura rappresentano, per le leggi scientifiche, una sorta di “asintoto”. Ma si tratta di un asintoto “filosofico” piuttosto che matematico. La scienza, infatti, non può “dare ragione” delle leggi di natura: esse hanno un carattere di gratuità (givenness), sono qualcosa di dato o di ricevuto. Il loro perché ultimo sfugge al dominio della scienza, ma è proprio grazie alle leggi di natura che la scienza diviene possibile. Le leggi scientifiche descrivono il mondo senza poterlo “spiegare”, mentre le leggi di natura danno ragione di come sia fatto il mondo, senza poterlo descrivere direttamente.

    Un'epistemologia realista delle leggi naturali non implica che le espressioni matematiche che descrivono i processi fisici “siano lì, dentro le cose”, né tantomeno che le regolarità o le simmetrie, grazie alle quali possiamo raggiungere la formulazione di una legge, costituiscano la struttura “reale e concreta” di quel fenomeno. Una visione realista delle leggi naturali afferma soltanto che il «principio di legalità», punto di partenza della strutturazione della conoscenza scientifica, sarebbe un principio che risponde alla natura delle cose, la sua validità conoscitiva non risulterebbe geneticamente compromessa dal problema dell'induzione e la sua esistenza sarebbe conseguenza di proprietà naturali stabili ed intelligibili, la cui ragione ultima è ricevuta dalla scienza come “data”.

    Riveste in proposito un certo interesse ricordare che per la metafisica ogni ente possiede una sua «natura». Nel suo Commento al Libro II della Fisica di Aristotele, Tommaso d'Aquino definisce la «natura» come un principio operativo grazie al quale ogni ente, perché dotato di una specifica «essenza», agisce secondo cio che è. La natura è un'inclinazione naturale (valga la ridondanza) che regola le modalità con cui quel determinato ente può interagire con quanto lo circonda. La natura è un principio di moto ma anche di quiete: essa fa cioè riferimento non solo alla regolarità delle interazioni, ma anche alla stabilità delle proprietà intrinseche (cfr. In II Physicorum, lec. 1, nn. 145-146; lec. 14, n. 267; cfr. anche Summa theologiae, I-II, q. 6, a. 5, ad 2um). La «natura» risulta pertanto collegata alla «causalità formale» dell'ente, ma con interessanti collegamenti anche alla «causalità finale»: la Causa Prima, infatti, alla quale spetta l'essere e la progettualità di tutto ciò che esiste, è la ragione ultima del perché della specifica natura di ogni ente. Nel cosmo di Tommaso (che aggiungerà alla visione aristotelica la prospettiva teologica della creazione e l'importante intuizione filosofica dell'«atto di essere»), la finalità o il disegno globale dell'universo — e dunque indirettamente anche l'azione del Legislatore — non è qualcosa imposto al mondo fisico dall'esterno, ma il risultato dell'operare armonico di tutti gli enti creati secondo ciò che è loro proprio, operare che conduce ogni cosa verso il suo fine ultimo.

    Alcuni autori hanno suggerito una certa convergenza fra la nozione metafisica di natura e le proprietà elementari o fondanti del reale fisico, nel senso che queste ultime, quando si accede ad un'analisi di maggiore profondità ontologica, dovranno a qualche livello poggiare sulla prima (cfr. R.J. Connell, Matter and Becoming, Chicago 1966; P. Durbin, Philosophy of Science. An Introduction, New York 1968; più recentemente, W.A. Wallace, The Modeling of Nature, Washington 1996). Noi stessi abbiamo proposto di estendere questa convergenza anche nei confronti delle «leggi di natura» (cfr. Tanzella-Nitti, 1997), cercando di mostrare il guadagno che ne deriverebbe, sia per dar ragione dell'intelligibilità delle leggi scientifiche, sia per comprendere in modo non conflittuale il rapporto fra azione divina (o progetto divino sul mondo) e fenomeni naturali. Quest’ultimo rapporto si può infatti ancorare a quello, assai stretto, fra causalità formale e causalità finale. Sebbene un certo finalismo abbia un valore regolativo nella formulazione delle scienze, il metodo scientifico guarda ordinariamente con sospetto l’idea di una causalità finale, mentre è invece costitutivamente aperto al riconoscimento di una causalità formale.

    Riferendoci ai nuovi contesti sperimentali e teoretici sui quali le scienze contemporanee richiamano l’attenzione del filosofo (vedi supra, IV), si potrebbe anche facilmente notare che una distinzione fra leggi scientifiche e leggi naturali aiuta a comprendere perché la presenza di vere leggi di natura sia ancora compatibile con l’inconsueta fenomenologia della meccanica quantistica o con quella dei fenomeni complessi. Più problematico sembrerebbe invece armonizzare la nozione metafisica di natura con un quadro interpretativo, come quello di buona parte della scienza contemporanea, ove le proprietà sono sempre più comprese in termini di relazioni, di connessioni o di interazioni, e non come caratteristiche proprie degli enti in quanto tali. Ma, in realtà, la nozione metafisica di natura è nozione “aperta alla relazione” in quanto non denota solo un principio attivo di operazione, ma anche un principio passivo, la capacità specifica di ricevere nuove forme, di dare origine a specifiche interazioni (cfr. Summa theologiae, I-II, q. 6, a. 5, ad 2um; De spiritualibus creaturis, a. 2, ad 8um). Essa non si oppone pertanto alle nozioni di relazione, di emergenza o di processo, ma semplicemente ne regola le modalità operative, secondo un itinerario specifico e non casuale.

    Il concetto di natura metafisica di un ente è nozione aperta alla molteplicità e alla ricchezza del mondo fenomenico, perché capace di indurre (e di ricevere) una quantità praticamente infinita di connessioni verso gli altri enti e nei confronti dell’ambiente nel suo insieme. È nozione relativa e non assoluta, principio di formalità operativa in un mondo di soggetti ove l’uno è funzione dell’altro: in natura est alterum propter alterum, sicut et in arte (In II Physicorum, lectio 13, n. 257). Nel “cosmo” ordinato che emerge dalla visione della metafisica tomista, i princìpi di legalità o di regolarità non indeboliscono il ruolo causale del tutto, né viene sottovalutata la valenza relazionale delle proprietà dei vari componenti, dovuta alla loro reciproca dipendenza. Ne viene soltanto sottolineata l’organicità e la sintonia con un progetto, il dirigersi verso un fine. In questo cosmo c’è posto non solo per la sostanza, ma anche per il processo: si richiede soltanto che i molteplici livelli di processo abbiano un soggetto ultimo di attribuzione, che non sia, a sua volta, ancora un processo.



    VI. Per una teologia delle leggi naturali
    1. Il cosmo, luogo dell'alleanza fra Dio e l’uomo. Il messaggio biblico presenta una natura governata da leggi. Queste sono volute dalla provvidenza di un’unico Creatore e ad esse obbediscono il mondo inanimato e quello dei viventi. La loro azione viene descritta con un linguaggio che non può considerarsi speculativo, ma narrativo, sapienziale, non di rado fortemente estetico, sebbene non manchino precise conseguenze metafisiche circa il rapporto fra Dio e la natura. Un mondo “creato” si manifesta con i caratteri della legalità, dell’ordine, della regolarità, perché effetto della Parola divina, una parola personale, intenzionale, intelligente, ma anche buona, provvidente e fedele: la parola sapiente di Dio ha creato e mantiene nell’essere ogni cosa, conducendo tutto l’universo verso il suo fine (cfr. Sap 8,1; 11,24-26; Sal 33,4-9; Sal 104,24-29). L’uomo, con l’assistenza della sapienza, divina può riconoscere le leggi di natura e comprenderne la verità che esse contengono (cfr. Sap 7,17-21). I principali contesti che richiamano la presenza di leggi sono quello dei fenomeni celesti, il comportamento dei viventi, anche in relazione al loro habitat, ed infine quello della persona umana e della sua vita morale. Le pagine bibliche in proposito sono molteplici. Fra le più note, i capitoli iniziali del Libro della Genesi, i Salmi 19 e 104, i capitoli 36-39 del Libro di Giobbe, il capitolo 43 del Siracide. Spunti sulla “razionalità” del progetto creatore e sulla “legalità” del comportamento della natura sono presenti un po’ ovunque nei Libri sapienziali (cfr. Prv 3,19-20 e 8,22-31; Sir 16,24-26; 42,15 – 43,33; Sal 119,89-91) e talvolta anche in quelli profetici (cfr. Ger 31,35-37).

    La principale idea che emerge dalla lettura di questi passi è che la stabilità delle leggi naturali è immagine ed espressione della fedeltà di Dio, della verità della sua alleanza con l’uomo, di cui la creazione partecipa come tappa primordiale. È fedeltà di Dio a se stesso, alla verità e bontà del suo progetto, ma anche fedeltà verso l’uomo, perché le leggi non vengono rimosse, ma sono costantemente attive come segno del favore e dell’amore divini. La stabilità dei cieli è immagine dell’amore fedele di Dio verso il popolo che Egli si è scelto: «Così dice il Signore che ha fissato il sole come luce del giorno, la luna e le stelle come luce della notte, che solleva il mare e ne fa mugghiare le onde e il cui nome è Signore degli eserciti: “Quando verranno meno queste leggi dinanzi a me — dice il Signore —allora anche la progenie di Israele cesserà di essere un popolo davanti a me”» (Ger 31,35-36).

    Nel contesto delle leggi naturali sembra difficile separare quanto impresso nella natura, da quanto impresso nel cuore dell’uomo: la «legge» per antonomasia è la legge morale inscritta da Dio nella coscienza umana, vivere la quale è manifestazione di saggezza e fonte di felicità. Le leggi di natura giocano a riguardo il ruolo di “accompagnare” e “favorire” la comprensione della legge morale da parte dell’uomo, ma anche quello di offrirne una certa “garanzia” di veridicità e di bontà, legando la verità provvidente della legge morale alla verità delle leggi di un cosmo che è sotto gli occhi di tutti. Esemplare, al riguardo, il contenuto del Salmo 19.

    Le leggi naturali hanno infine il compito di muovere l’uomo a dare gloria a Dio, di aiutarlo a riconoscere l’esistenza del Creatore attraverso l’ordine e la regolarità con cui è governato il creato. «Anche la luna, sempre puntuale nelle sue fasi, regola i mesi e determina il tempo […]. Bellezza del cielo la gloria degli astri, ornamento splendente nelle altezze del Signore. Si comportano secondo gli ordini del Santo, non si stancano al loro posto di sentinelle. Osserva l’arcobaleno e benedici colui che l’ha fatto, è bellissimo nel suo splendore […]. Nel glorificare il Signore esaltatelo quanto potete, perché ancora più alto sarà. Nell’innalzarlo moltiplicate la vostra forza, non stancatevi, perché mai finirete» (Sir 43,6.9-11.30). Pur non costituendo un loro oggetto primario, la riflessione teologica e la tradizione cristiana hanno raccolto questa eredità biblica, associando spesso un riferimento alle leggi naturali con l’idea di un “governo del mondo”: «Chi si impegna nella ricerca scientifica e tecnica ammette, come presupposto del suo itinerario, che il mondo non è un cháos, ma un kósmos, ossia che c’è un ordine e delle leggi naturali, che si lasciano apprendere e pensare, e che hanno pertanto una certa affinità con lo spirito» (Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 31.10.1992, Insegnamenti, XV,2 (1992), p. 465; di interesse storico anche Pio XII, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 21.2.1943, Discorsi e Radiomessaggi, IV, pp. 383-395).

    2. Stabilità delle leggi di natura e fedeltà di Dio. Se dovessimo dire a quale immagine di Dio corrisponde il richiamo biblico ad un Legislatore, dovremmo rispondere che i suoi tratti più forti non sono quelli di un architetto, né tanto meno di un orologiaio o un musicista, bensì quelli di un Creatore fedele. La nozione di «legge naturale» diviene, nella Sacra Scrittura, sinonimo di «fedeltà» e di «verità» (questi due concetti derivano dal medesimo termine eb. ’emet) e, solo secondariamente, fa riferimento alle nozioni di razionalità o di ordine. Fedeltà non vuol dire determinismo, ma volontà e capacità di realizzare quanto si è promesso, ed attraverso vie che solo Dio conosce. Se il cristianesimo, sulla scorta della Rivelazione biblica, ha certamente favorito un clima di “fiducia” nell’esistenza di leggi di natura e nella razionalità del mondo, ciò non può tradursi, in termini epistemologici, in una piana affermazione di determinismo. La natura poggia sul carattere della stabilità, non sul cháos o sull’eterno cangiante divenire, perché Dio è «fedele», cioè «vero». Legalità e fedeltà, entrambe rivelano un ordinamento verso un fine. Dio “non riprende i suoi doni”: il mondo che ha messo nelle mani degli uomini non sfugge totalmente alla loro “prensione”, perché è mondo altrettanto vero, reale, e dunque conoscibile. In quanto Creatore, Dio conserva la piena trascendenza sul mondo e la piena separazione da esso (Egli è «santo», eb. qodes, cioè «separato»); ma pure in quanto Creatore, egli fonda in modo immanente la verità e l’autonomia di tutte le cose, ed inclina il suo sguardo provvidente su ciò che ha amato da sempre e da sempre ha voluto così come è. L'immagine biblica di Dio non è quella di un Legislatore che imponga dall'esterno le sue leggi ad una natura che plasma in modo demiurgico. Queste non sono “esterne” al mondo, nella mente di Dio (come avrebbe voluto il platonismo), ma sono “consegnate alla verità di ciò che è creato”, sebbene il progetto del mondo e della sua salvezza risieda certamente nella mente di Dio.

    Il corretto rapporto fra Dio e le leggi di natura è ancorato a quello fra la sua trascendenza ed immanenza rispetto ad un mondo creato. Dio opera attraverso le leggi, perché Egli è la ragione ultima della loro specificità ed esistenza, ma è anche al di là delle leggi, in quanto l’origine divina del loro piano progettuale non implica che il Creatore giunga ad identificarsi con esse. A questo riguardo, una corretta “teologia delle leggi di natura” deve chiarire esplicitamente la sua equidistanza sia dal deismo che dal panteismo. Non va dimenticato che il deismo sette e ottocentesco pretendeva di essere una sorta religione razionale e non era aperto, per definzione, alla nozione di Rivelazione; la nozione di Dio (o di Logos) alla quale le scienze, a partire dalla domanda sulle leggi di natura, paiono fare riferimento, per essere lecitamente utilizzata dalla teologia, deve essere riconosciuta “aperta” ad un’immagine rivelata di Dio. Analogamente, per evitare lo scoglio del pantesimo, occorre che il Logos percepito dalla riflessione filosofica delle scienze sia capace di rimandare “al di là delle leggi”: se le leggi sono esse stesse “il divino”, e la meraviglia dello scienziato si ferma ad uno stupore verso un “codice cosmico” fine a se stesso, la teologia cristiana non potrà che formulare un semplice giudizio di panteismo.

    Infine, il chiarimento prima operato nei riguardi del determinismo può anche far comprendere l’ambiguità di quelle interpretazioni che ipotizzano un mondo senza leggi ed investigano il rapporto che intercorrerebbe fra Dio ed un mondo indeterminato (o indeterministico), sul piano filosofico quello fra Dio e il caso. Come la negazione di ogni legge in natura è stata utilizzata da alcuni come una mozione contro l’esistenza di Dio (Monod), così per altri il caso e l’indeterminazione rappresenterebbero lo spazio, o forse l’“azione”, che permetterebbe l’intervento originale e creativo di Dio nel mondo (Peacocke, Bartholomew). Riteniamo che all’origine di tali letture vi sia sempre la difficoltà a saper cogliere la simultanea trascendenza ed immamenza di Dio all’interno di una metafisica della creazione centrata sulle proprietà filosofiche dell’«atto di essere». Nei confronti della nozione di Dio, le riflessioni della scienza sulle leggi di natura desiderano da una parte prevenire, e giustamente, il pericolo di ingerenza di un Dio “controllore”, che programmi la natura o vi agisca con intromissione di piani. Dall’altra, la riflessione scientifica non manca di percepire positivamente, pena l’autoreferenzialità, il carattere incondizionato, indisponibile delle leggi di natura: «da dove vengono?» (Davies), «chi ha infuso la vita nelle equazioni, chi vi ha “soffiato il fuoco”?» (Hawking). Se esiste un Creatore, in un caso si esige la sua trascendenza dal mondo; nell’altro, si scorge la necessità che ne sostenga, come causa immanente, l’intima vita e la ragione ultima. La possibilità di una simultanea affermazione dei due poli, e la garanzia di poter comporre tale dialettica, verrà solo dall’immagine di Dio consegnata dalla Rivelazione giudeo-cristiana.

    3. L’ineluttabilità delle leggi naturali ed il problema del male fisico. In prospettiva teologica, il tema delle leggi di natura coinvolge indirettamente il problema del male, quando la loro ineluttabilità diviene causa di danni, distruzione e morte. È il problema del «male fisico», così chiamato per distinguerlo dal male morale, termine che la teologia riserva al peccato. La possibilità di un’eventuale “sospensione” delle leggi di natura viene affrontata all’interno della teologia del miracolo. Qui ci si chiede perché un Dio, Autore delle leggi di natura, ne permetta l’azione anche quando i loro effetti sono distruttivi per l’ambiente e per l’uomo. In altri termini, ci si domanda come tale situazione sia riconducibile ad una visione biblica delle leggi naturali, manifestazione della fedeltà-amore del Creatore.

    Svolta la necessaria premessa che tutto quanto nel mondo abbia attinenza con la sofferenza e con il dolore partecipa del mistero dell’umanità e della morte di Gesù Cristo e della Sua capitalità sia sulla prima che sulla nuova creazione, e dunque, in prospettiva teologica, sofferenza e dolore devono mantenere la disponibilità ad essere compresi compiutamente solo nell’orizzonte di quel mistero e non fuori si esso, si possono ugualmente suggerire alcune piste di riflessione. In primo luogo andrebbe ricordato che l’azione di leggi di natura che possono causare un male fisico (terremoti, inondazioni, crescita di cellule cancerose, patologie virali, ecc.) è la medesima che permette la stabilità e la conservazione del mondo, o la crescita e la riproduzione dei viventi. Senza queste fenomenologie fisiche (ad es. la gravità) o questi comportamenti biologici (ad es. processi chimici o biochimici), l’universo e la vita non potrebbero sussistere. Il fatto che tali cause, forze o processi non vengano rimossi da un Legislatore nella cui provvidenza si confida, può condurre a due conclusioni. Da una parte fa comprendere la “radicalità” del rapporto instaurato da Dio con la sua creazione; un rapporto in cui la fedeltà alle leggi create (che è, lo ricordiamo, fedeltà a Se stesso) ha un valore più grande, per il bene del mondo e dei suoi abitanti, di una loro eventuale e continua sospensione, trasformazione o alterazione. Dall’altra deve muovere a ritenere che il rapporto fra Dio e la natura creata, rapporto che “passa” attraverso l’umanità del Verbo incarnato, soggetta alla morte ma anche alla resurrezione, preveda il modo, proprio alla luce di quel mistero, di dare significato e valore al dolore, alla sofferenza, alla caducità, in ragione di una trasfigurazione futura.

    In secondo luogo, è lo stesso ordine e stabilità delle leggi naturali, la cui azione può divenire fonte di angoscia e di disperazione, a suscitare nell’uomo quei sentimenti di abbandono e di fiducia verso un Creatore, che aiutano a sperare in una trasfigurazione ed in un superamento del dolore in termini di rinnovamento, di restaurazione e di giustizia. Non è senza interesse notare che proprio una delle pagine bibliche che trattano con maggior drammaticità e vivezza della sofferenza umana, quella del Libro di Giobbe, sia anche sede di uno dei richiami più belli alla fiducia, nonostante tutto, nella bontà del Creatore. Al protagonista che chiede ragione del perché del male fisico che lo ha duramente provato, fino a volerne sentenziare l’orribile ingiustizia, Dio chiede di uscire all’aperto e contemplare la bellezza della creazione, delle sue leggi, della sua armonia (cfr. i discorsi raccolti in Gb da 37,14 a 40,4): l’uomo non può “darsi ragione” del male fisico, ma la natura creata, retta da quelle stesse leggi che a volte possono causarlo, lo aiuta a comprendere che tale ragione esiste, nella volontà sapiente del suo Creatore.




    Bibliografia:
    Storia e filosofia della scienza: J. STUART MILL, A System of Logic, Ratiocinative and Inductive (1843), Univ. of Toronto Press, Toronto 1973; E. BOUTROUX, Dell'idea di legge naturale nella scienza e nella filosofia contemporanea (1895, 19252), Signorelli, Milano 1956; R. WESTFALL, The Concept of Order, Univ. of Washington Press, Seattle-London 1968; J. MARITAIN, La filosofia della natura, Morcelliana, Brescia 1974; P. DUHEM, La teoria fisica (1906), Il Mulino, Bologna 1978; N. CARTWRIGHT, How the Laws of Physics Lie, Oxford Univ. Press, Oxford 1983; D.M. ARMSTRONG, What is a Law of Nature?, Cambridge Univ. Press, Cambridge 1983; J.J. SANGUINETI, La filosofia del cosmo in Tommaso d'Aquino, Ares, Milano 1986; G.C. WEBSTER, B.C. GOODWIN, Il problema della forma in biologia, Armando, Roma 1988; M. ARTIGAS, J. SANGUINETI, Filosofia della natura, Le Monnier, Firenze 1989; M. ARTIGAS, La intelegibilidad de la naturaleza, Eunsa, Pamplona 1992; F. SELVAGGI, Filosofia del mondo, Pont. Univ. Gregoriana, Roma 1993, cap. 17: “Le leggi della natura”, pp. 401-433; G. DEL RE, Una chiave di lettura: l'essere e la verità come fondamenti della scienza, in T. Torrance, Senso del divino e scienza moderna, LEV, Città del Vaticano 1992, pp. 5-37; M. CINI, Un paradiso perduto. Dall'universo delle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi, Feltrinelli, Milano 1994; C.B. KAISER, Creational Theology and the History of Physical Science: The Creatonist Tradition from Basil to Bohr, Brill, Leiden 1997.

    Riflessioni del pensiero scientifico sulle leggi naturali: R. FEYNMAN, La legge fisica, Boringhieri, Torino 1971; I. PRIGOGINE, I. STENGERS, La Nouvelle Alliance, Gallimard, Paris 1979; R. THOM, Stabilità e morfogenesi, Einaudi, Torino 1980; F. DYSON, Turbare l'universo, Boringhieri, Torino 1981; C. VON WEIZSÄCKER, Die Einheit der Natur, Hanser, München 1981; G. NICOLIS, I. PRIGOGINE, Le strutture dissipative. Auto organizzazine dei sistemi termodinamici di non equilibrio, Sansoni, Firenze 1982; I. PRIGOGINE, Dall'essere al divenire: tempo e complessità nelle scienze fisiche, Einaudi, Torino 1986; J. POLKINGHORNE, The Quantum World, in “Physics, Philosophy and Theology. A Common Quest for Understanding”, a cura di R. Russell, W.R. Stoeger, G.V. Coyne, LEV and Univ. of Notre Dame Press, Città del Vaticano 1988, pp. 333-342; G. ELLIS, Major Themes in the Relation between Philosophy and Cosmology, “Memorie della Società Astronomica Italiana” 62 (1991), pp. 553-605; J. BARROW, Il mondo dentro il mondo, Adelphi, Milano 1991; J. BARROW, Teorie del tutto. La ricerca della spiegazione ultima, Adelphi, Milano 1992; H. POINCARÉ, Il valore della scienza (1911), Dedalo, Bari 1992; R. RUSSELL, N. MURPHY, C. ISHAM (a cura di), Quantum Cosmology and the Laws of Nature, Vatican Observatory Publications and The Center for Theology and Natural Sciences, Città del Vaticano 1993; P. DAVIES, The Intelligibility of Nature, in ibidem, pp. 145-161; W.R. STOEGER, Contemporary Physics and the Ontological Status of the Laws of Nature, in ibidem, pp. 209-234; P. DAVIES, La mente di Dio. Il senso della nostra vita nell'universo, Mondadori, Milano 1993; S.A. KAUFFMANN, The Origins of Order. Self-organization and Selection in Evolution, Oxford Univ. Press, New York 1993; M. PLANCK, La conoscenza del mondo fisico, Bollati Boringhieri, Torino 19932; P. DAVIES, Il cosmo intelligente. Le nuove scoperte sulla natura e l'ordine dell'universo, Mondadori, Milano 1994; P. DAVIES, Superforza, Mondadori, Milano 1994; G. TANZELLA-NITTI, The Aristotelian-thomistic Concept of Nature and the Contemporary Scientific Debate on the Meaning of Natural Laws, “Acta Philosophica” 6 (1997), pp. 237-264; R. RUSSELL, W. STOEGER, F. AYALA (a cura di), Evolutionary and Molecular Biology, Vatican Observatory and Center for Theology and Natural Sciences, Città del Vaticano - Berkeley 1998; J. BARROW, Impossibilità. I limiti della scienza e la scienza dei limiti, Rizzoli, Milano 1999.
    [Modificato da Credente 21/03/2021 18:29]
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    Credente
    00 25/05/2021 08:32
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    Regole matematiche dietro il lavoro delle api





    Oggi per fortuna stiamo iniziando a capire che le api sono fondamentali per la vita sulla Terra, ma in pochi ricordano che ci hanno dato anche qualche bella lezione di matematica. Ne parliamo in occasione della giornata mondiale delle api, che è stata giovedì 20 maggio!


    Piccole e operosissime, anche se spesso lontane dal nostro sguardo, le api hanno catturato l’attenzione di molti curiosi già tanto tempo fa. René-Antoine Ferchault de Réaumur è stato uno dei più grandi scienziati del Settecento, un illuminista ammaliato dall’idea di poter far ordine nel caos, di poter comprendere con la propria mente i misteri dell’Universo. Si occupò degli argomenti più disparati, come accadeva all’epoca, dalla digestione degli uccelli alla produzione del ferro e dell’acciaio; la sua curiosità però era particolarmente attratta dagli insetti e fra questi soprattutto dalle api. Passò anni a osservarle e a studiarle tanto da aver dato alle stampe un’opera gigantesca in sei volumi che è considerata oggi la base dell’entomologia moderna.


    Dunque analizzava con attenzione ogni aspetto della loro vita: fra le tante curiosità che lo colpirono vi era l’alveare e la sua struttura. L’attento René iniziò a chiedersi come mai il favo, costruito per conservare larve, miele e polline, presentasse sempre la stessa struttura, quella che noi appunto oggi definiamo a nido d’ape.


    Ciò che lo affascinava era il pensiero che le api potessero in qualche modo seguire una logica precisa, magari matematica, potessero mettere in pratica quelle stesse leggi naturali che governano le stelle e i pianeti. Un’idea meravigliosa che restituiva ordine e senso al creato! Così chiese a un suo amico matematico, tale Johan König, di risolvere un problema. Senza avergli raccontato l’affascinante ipotesi sulle api per non influenzare la sua risposta, formulò questo quesito: tra tutte le celle esagonali a fondo piramidale qual è quella che può essere costruita con minor materia?


    Il risultato fu: che l’angolo ottuso doveva essere di 109 gradi e 26 primi e l’acuto di 70 gradi e 34 primi. Una differenza minima, di soli due primi di grado, rispetto alle rilevazioni eseguite sul favo. Una risposta stupenda perché dimostrava l’attenzione quasi geometrica del lavoro delle api la loro abilità quasi perfetta. Però René rimase perplesso. Questa minima differenza era fastidiosa, annichiliva la sua ipotesi e con il tempo si convinse che forse il risultato non era giusto, così chiese più volte a Johan di ripetere l’esperimento, ma il risultato fu sempre quello. Due primi di differenza.


    Fino a quando qualche anno dopo, una nave inglese naufragò dopo aver centrato gli scogli della madrepatria. Si salvarono tutti, ma l’episodio fu, come potete immaginare, imbarazzante. Com’è possibile che una nave della marina più potente del mondo centri le proprie coste? Un’indagine dimostrò che comandante ed equipaggio avevano fatto tutto a dovere e svelò che le tavole logaritmiche utilizzare per la navigazione contenevano un errore. E guarda caso si trattava delle stesse tavole usate da Johan König, il quale potè così correggere il suo lavoro e giungere allo stesso risultato delle api.


    Già nel Settecento dunque, anche grazie al lavoro di questi due studiosi, fu chiaro che le api sono un ingranaggio piccolo ma fondamentale dell’Universo, che il loro bene è intrinsecamente legato al nostro e che prendersi cura di loro significa prendersi cura del mondo interno e soprattutto di noi stessi. Per parafrasare il Talmud: chi salva un’ape, salva il mondo intero!



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    Credente
    00 16/09/2023 21:46


    NEL NOSTRO CODICE GENETICO VI E' "MATEMATICA PURA" ?







    La matematica, spesso vista come un mondo astratto e lontano dalla realtà, trova una nuova dimora nel cuore stesso della vita: la genetica. Un gruppo di ricercatori ha scoperto una connessione stupefacente tra la teoria dei numeri, una delle forme più pure della matematica, e i meccanismi che governano l'evoluzione della vita su scala molecolare.


    Questa scoperta potrebbe essere una chiave per comprendere come la natura abbia sviluppato una tale diversità di forme di vita, tutte regolate da leggi matematiche che sembrano trascendere il tempo e lo spazio. La teoria dei numeri, che si occupa delle relazioni tra numeri interi, è forse più famosa per la sequenza di Fibonacci, un modello che si ritrova in natura in una varietà di forme, dai semi di girasole alle pigne.


    La vera bellezza della teoria dei numeri sta non solo nelle relazioni astratte che rivela, ma anche nelle strutture matematiche del nostro mondo naturale, come spiega Ard Louis, matematico dell'Università di Oxford e autore senior del nuovo studio. Louis e i suoi colleghi si sono concentrati sulle mutazioni, gli errori genetici che si insinuano nel genoma di un organismo nel tempo e guidano l'evoluzione.


    Alcune mutazioni possono essere un singolo cambiamento di lettera in una sequenza genetica che causa una malattia o produce un vantaggio inaspettato, mentre altre mutazioni possono non avere alcun effetto osservabile sull'aspetto, i tratti o i comportamenti dell'organismo. Queste ultime sono talvolta chiamate mutazioni neutre e, sebbene non abbiano alcun effetto osservabile, sono indicatori dell'evoluzione in azione.


    Louis e i suoi colleghi hanno esaminato come le proteine e le piccole strutture di RNA possano tollerare una certa quantità di mutazioni, mantenendo la loro forma e funzione originale. Hanno scoperto che la robustezza mutazionale massima seguiva un modello frattale auto-ripetente chiamato curva di Blancmange ed era proporzionale a un concetto di base della teoria dei numeri, chiamato la frazione della somma delle cifre.


    Questa scoperta potrebbe avere implicazioni rivoluzionarie per la nostra comprensione dell'evoluzione e della vita stessa, dimostrando ancora una volta che la matematica è un componente essenziale della struttura del mondo fisico, anche a livelli microscopici.




    FONTE: SCIENCEALERT





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