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4. L’atto di fede degli apostoli

L'atto di fede del cristiano negli apostoli implica:

- l’accettazione della loro persona come degna di fiducia;

- l'accettazione di quanto essi hanno detto su Gesù.

Tra le loro affermazioni c’è anche questa: Gesù è il Figlio di Dio. Dunque tutte le sue parole sono vere. Egli risponde, a nome di Dio, al nostro problema del senso della vita.

Questo però gli apostoli non lo constatarono, ma lo credettero sulla parola di Gesù.

Anch’essi dunque fecero un atto di fede in Gesù.

Vediamo meglio.

Secondo quanto ci riferiscono i documenti del Nuovo Testamento, gli apostoli sentirono Gesù che diceva:

- «Sono il Figlio di Dio» (Mt 16,16-17; Mc 14,61-62; Mt 26,63-64; Gv 10,36);
- «Prima che Abramo fosse, Io sono» (Gv 8,58);
- «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6);

e molte frasi simili.

Però queste affermazioni relative alla coscienza che Gesù aveva di se stesso, non saranno mai «dimostrabili» come vere, perché non sono evidenti.

Esse inoltre sono inaccettabili da un ebreo (tant’è vero che a volte gli ebrei presero i sassi per lapidare Gesù, come bestemmiatore. Cfr. per es. Gv 10,31).

Per questo gli apostoli, nel sentirle, si domandarono: «Ma costui dice il vero? non sarà forse pazzo? o bestemmiatore?» E chiesero a Gesù: «Che garanzia/segno ci porti di essere quello che dici e di agire a nome di Dio?».

E Gesù rispose dando loro due garanzie complementari:

a) Nel vangelo secondo Matteo presentò il segno di Giona:

«Come Giona era nel ventre del cetaceo tre giorni e tre notti, così sarà il figlio dell’uomo nel cuore della terra tre giorni e tre notti» (Mt 12,40. Cfr Lc 11,29).

Il figlio dell'uomo è Gesù stesso.

Si noti però che nel vangelo secondo Marco (8,11-13) Gesù si rifiuta di dare un segno.

b) Nel vangelo secondo Giovanni offrì il segno del tempio:

«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere (lett. lo sveglierò)» (Gv 2,19)

e l’autore commenta:

«Egli parlava del tempio del suo corpo. Perciò quando risuscitò dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che egli aveva detto questo e credettero alla Scrittura e alle parole che aveva pronunciato Gesù» (Gv 2, 21).

Entrambe le garanzie si riferiscono alla sua risurrezione.

Ma gli apostoli a tutta prima non gli credettero. Infatti, quando Gesù fu arrestato e crocifisso, tutti (o quasi) lo abbandonarono. Quando poi videro Gesù risorto e si convinsero che era proprio lui,

- ritennero sufficiente la garanzia della sua risurrezione;

- credettero che veramente fosse quanto aveva detto di essere, cioè il Figlio di Dio;

- decisero di fidarsi di lui e di accettarlo come il maestro della loro vita, anche perché, rileggendo alla luce della risurrezione di Gesù l'Antico Testamento, che essi ritenevano Parola di Dio, trovarono in esso delle conferme che egli fosse il messia: 1 Cor 15,3-5; Gv 2,22; 20,8-9; ecc.

Classico è l’esempio di Tommaso che, dopo aver visto Gesù risorto, concluse:

«Il Signore mio e il Dio mio»

ed il commento di Gesù:

«Poiché hai visto me, hai creduto. Beati coloro che, pur non avendo visto, hanno creduto» (Gv 20,28).

Da allora gli apostoli si impegnarono a vivere come Gesù aveva insegnato.



In sintesi:

gli apostoli accettarono che Gesù fosse il Figlio di Dio, perché, dopo che egli lo disse e fu messo a morte, risorse.



5. La struttura dell’atto di fede oggi

In base a quanto si è detto e per sintetizzare, l’atto di fede oggi si sviluppa attraverso i seguenti passaggi:

1) atto di fiducia nella Chiesa, che abbia conservato bene l’insegnamento degli apostoli, selezionando e tramandando senza manipolazioni i libri che lo contenevano e interpretandoli secondo quanto gli autori volevano dire;

2) atto di fiducia (attraverso la Chiesa) negli apostoli, che abbiano tramandato bene quanto Gesù ha fatto e detto e, in particolare, la risurrezione di Gesù;

3) atto di fiducia (attraverso gli apostoli) in Gesù, che sia veramente quello che ha detto d’essere, cioè il Figlio di Dio, il Cristo, poiché l'ha garantito con la risurrezione;

4) atto di fiducia (attraverso Gesù) in Dio, Padre di Gesù e Padre di tutti gli uomini, che abbia risposto definitivamente al problema del senso della vita umana.

Come già notato, nessuno di questi passaggi è dimostrabile razionalmente e, tuttavia nessuno è assurdo.

Questo è lo schema teorico di un corretto atto di fede cristiano, secondo il Cattolicesimo.
Tuttavia molte persone, che pure sono cristiane, non arrivano alla fede in Gesù seguendo questa linea in modo cosciente, ma attraverso una «catena di fiducia».
Caso tipico, ma non unico, è quello del bambino che si fida della mamma, la quale si fida del parroco, il quale si fida del suo professore di teologia...
Come si vede, ognuno accetta la testimonianza di un altro in cui ha fiducia.
Che dire di questa situazione?
È un vero atto di fede e per molti spesso è l’unico possibile; tuttavia basta che un solo anello della catena si spezzi, perché la fede crolli. Spesso per es. succede che un cristiano, dopo un bisticcio con un prete, abbandoni la fede. Proprio per evitare questo inconveniente e comunque per economizzare il più possibile la fiducia, ha senso mettersi a studiare i documenti del Nuovo Testamento in modo che la fiducia si appoggi il più possibile sugli apostoli e non su intermediari. Solo in questo modo si può credere che Gesù è il Cristo, senza essere disturbati dal comportamento a volte poco coerente di certi cristiani attuali o passati. Gesù infatti è risorto (o non è risorto) indipendentemente dal comportamento dei cristiani di oggi o di ieri.
Un fatto di 2000 anni fa non può essere cancellato da fatti che sono venuti dopo.
Tuttavia attraverso gli autori dei fatti poco edificanti che sono avvenuti dopo, allora la persona è tentata di rifiutare o mettere in dubbio il fatto antico.

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6. Le reazioni dell’ascoltatore

Come mai, davanti all’annuncio della risurrezione, alcuni credono ed altri no?

Per rispondere a questa domanda analizziamo quali sono le possibili reazioni dell’ascoltatore:



Vediamo meglio i singoli casi:

1. «Non mi interessa»

Chi risponde così lo fa

- o per orgoglio (dice di accettare solo quello che è razionale),
- o per moda,
- o per non impegnarsi in una ricerca che potrebbe portarlo a cambiar vita,
- o perché è condizionato da un’educazione anticlericale,
- o ancora perché non riesce a vedere in che cosa la risurrezione di Gesù tocchi oggi la sua vita...

Comunque il discorso con lui è provvisoriamente chiuso. Lo studio del Cristianesimo può rivestire per lui solo un interesse culturale.

2. «Approfondisco»

In questo caso la persona riflette più a fondo su tutta la questione, onde prendere una decisione e può arrivare ad una conclusione (sia pure non definitiva), oppure rimanere nel dubbio:

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a) «concludendo»

Se la persona ritiene che i dati raccolti siano sufficienti per prendere una decisione, ha terminato la sua ricerca, almeno fino a quando fatti nuovi nella sua vita vengano a riaprire da capo tutta la questione.

La conclusione può essere: vedo che devo credere, oppure vedo che non devo credere:

- «Vedo che devo credere»
Questa conclusione da molti teologi (compreso Tommaso d’Aquino) è chiamata «illuminazione», dono di Dio (v. oltre).
A questa persona resta poi il dovere di tradurre la sua fede in vita cristiana coerente (fede esplicita).

- «Vedo che non posso credere»
Secondo il Cristianesimo anche questo atteggiamento è corretto, se nasce da buona fede (Rom. 14) e se la persona si comporta coerentemente con la verità che ha scoperto, anche se tale verità non coincide col Cristianesimo.

Si parla in questo caso di fede implicita o di buona fede.



b) «rimanendo nel dubbio»

Il dubbio è lo stato di una persona che non sa decidersi da quale parte stare, in quanto o ritiene che gli elementi raccolti non siano ancora sufficienti per prendere una decisione e ne attende altri più convincenti, oppure ha il timore di non averli ancora analizzati a sufficienza.

A questo proposito occorre far notare che
- non c’è da sperare che in futuro le prove siano migliori, perché ci sarà sempre da fare un atto di fiducia nei testimoni e tale atto sarà sempre libero (= non costretto dall’evidenza);
- il rimanere nel dubbio può essere un modo comodo per evitare una decisione impegnativa;
- il giudizio positivo o negativo che uno dà può essere sempre rivisto, qualora una più matura esperienza e riflessione suggerissero la scelta contraria;
- a volte lo stato di dubbio è semplicemente un rifiuto della libertà dell’atto di fede: si vogliono delle prove tali che «costringano» a credere. Così facendo, si impone alla realtà delle cose di essere come vogliamo noi... e questo è assurdo.
Questo atteggiamento si ha, per esempio, quando si dice: «Se Gesù è risorto, perché non compare qui ora? Solo così crederò».
Si può rispondere: chi assicura che sia proprio Gesù quello che eventualmente comparisse? E che diritto si ha di esigere un «miracolo» per credere?

Il dubbio poi può essere di due tipi, motivato o immotivato:

1. dubbio motivato
Si ha quando ci sono ragioni che fanno sospendere il giudizio.

Altrimenti si tratta di

2. dubbio immotivato
Si ha quando non ci sono ragioni di dubitare. In genere nasce dalla paura di errare nel prendere una decisione, dalla paura di "buttarsi" in Dio, di impegnarsi in una vita senza certezze razionali assolute.

Come giudicare queste situazioni di dubbio?

Il dubbio è una situazione umana possibile.

Secondo il Cristianesimo, è accettabile solo se accompagnata dalla volontà di risolvere o di vincere il dubbio.

In pratica però, chi è nel dubbio non può agire: fino a quando non dirà sì agli apostoli (facendo così un atto di fede), di fatto dice no.

* Possiamo ora rispondere alla domanda iniziale: «Perché alcuni credono e altri no?»

Davanti all’annuncio della risurrezione alcuni non credono, perché

- o l'evangelizzazione è stata fatta a loro malamente (errori nella predicazione o difetti nel predicatore);

- o non ne è stata vista la credibilità (limiti o precedenti esperienze negative nei confronti della Chiesa da parte dell'ascoltatore);

- o, pur avendone vista la credibilità, non vogliono credere, perché non vogliono cambiar vita.

Secondo il Cattolicesimo, solo in quest’ultimo caso vi è colpa morale nell’ascoltatore (malafede).

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Precisazione

Fede e salvezza secondo il Cattolicesimo

Per tranquillizzare una persona che, in buona fede, ritiene di non dover credere, ma si sente in colpa o ha paura di essere "dannata" se non crede agli apostoli, qualora, in buona fede, ritenesse di non dover credere, precisiamo qual è il rapporto tra fede e salvezza secondo il Cattolicesimo:

- tutti gli uomini sono chiamati da Dio alla salvezza, cioè alla vita eterna con Lui:

"Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi" (1 Tim 2,4);

- non tutti però sono chiamati alla fede esplicita in Gesù:

* non lo è colui a cui il vangelo non è stato predicato;

* non lo è colui a cui è stato predicato in modo incomprensibile o inaccettabile;

* non lo è colui che non l'ha capito o l'ha capito male;

- la salvezza effettiva dipende dalla buona fede (Rom 14), cioè dal comportamento coerente con la verità scoperta.

D'altra parte non si può pretendere che una persona si comporti secondo una verità sconosciuta o non conosciuta come tale.



7. La fede dono di Dio

Spesso si sente affermare che la fede è «dono di Dio».

Che dire di questa affermazione?

Essa può essere intesa nel senso che Dio a qualcuno concede la fede e ad altri no, secondo i suoi "imperscrutabili" disegni.

Ma questo sarebbe contraddittorio. Infatti

- se «senza la fede è impossibile piacere a Dio» (Ebrei 11,6), Dio, dando la fede a chi vuole, salverebbe solo chi vuole: negazione della libertà dell’uomo;

- se «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi» (1 Tim 2,4), dovrebbe dare a tutti la fede.

Ma come mai non tutti ce l’hanno? (cfr. Gv 6,64: «Ci sono fra voi alcuni che non credono»).

Queste osservazioni fanno pensare che la frase «la fede è un dono di Dio» debba essere intesa in un altro senso.

Secondo il Cristianesimo

è dono di Dio che

1. egli stesso abbia mandato Gesù e lo abbia fatto risorgere;

2. qualcuno abbia visto Gesù risorto e abbia comunicato la notizia ad altri, altrimenti sarebbe andata perduta;

3. altri abbiano tramandato integra la testimonianza dei primi testimoni;

4. l’annuncio dei fatti di Gesù sia giunto all'ascoltatore in modo credibile, in un terreno ben preparato da una precedente educazione favorevole.

Così la persona ha potuto vedere la credibilità dell'annuncio ("posso credere") e che era onesto credere ("devo credere" - questo è chiamato dai teologi: "illuminazione!").

* Però, dopo questa serie di doni di Dio, la decisione se vivere coerentemente la fede cristiana o no spetta esclusivamente alla persona, in tutta la sua libertà.

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In sintesi:

dire che la fede è un dono di Dio equivale a dire che Dio mette certe persone nella condizione di fare un atto esplicito di fede. Se non lo fanno sono colpevoli.

E che ne è di quelli che Dio non mette in queste condizioni? Cioè non dà loro il dono? Forse che si dannano?

A volte qualche teologo ha risposto di sì, citando una frase di Gesù: «Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo. Chi non crederà, sarà condannato» (Mc 16,16).

Tuttavia, siccome nel Cattolicesimo è stata più volte condannata la teoria della predestinazione alla dannazione da parte di Dio, la frase di Mc 16,16 si deve intendere così:

chi, vedendo che deve credere,

- crederà e sarà battezzato, sarà salvo;

- non crederà, sarà condannato.



8. L’eresia

Chi sceglie di prestare fiducia ad un testimone, sceglie di accettare per vero tutto quanto il testimone ritiene essenziale nella sua testimonianza.

Se perciò, tra le notizie che il testimone racconta, si fa una scelta di accettarne alcune e non altre (in greco a‡resij-éresis = scelta, da cui la parola eresia), la si fa in base ad un criterio soggettivo di ciò che è plausibile o no. In questo caso il metro della verità non è la parola del testimone, ma il proprio criterio personale. E questo non è un atto di fiducia nel testimone. E dunque non è fede.

Operare una scelta di ciò che piace o no nella testimonianza apostolica e, indirettamente, nelle parole di Gesù, equivale a rifiutare la fede cristiana.

Chi infatti ha scelto di prestare fiducia agli apostoli quando raccontano un fatto colossale come la risurrezione, non dovrebbe avere difficoltà ad accettare tutte le affermazioni che gli apostoli hanno fatto su Gesù e che essi stessi hanno giudicato importanti.

E poi, sulla garanzia della risurrezione, non dovrebbe avere difficoltà ad accettare come vero tutto quanto disse Gesù e gli apostoli tramandarono, anche se ciò implica un effettivo «salto nel buio». Prendere solo ciò che piace e lasciare ciò che non piace non è fidarsi di Gesù, ma di se stessi e quindi non è fede cristiana.