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E IN GESU’ CRISTO, SUO UNICO FIGLIO, NOSTRO SIGNORE
La fede cristiana confessa che Gesù di Nazaret, il profeta della Galilea, morto crocifisso e
risuscitato da Dio, è anche veramente Dio, nell’unità della Sua persona di Figlio eterno del
Padre.
In passato c’è stata una tendenza ad accentuare talmente la divinità di Gesù Cristo da
mettere in ombra la sua umanità: se nella vicenda terrena del Nazareno è il Figlio di Dio
ad agire, sembrava necessario escludere da lui ogni imperfezione. Ne risultava l’immagine
di un Dio impegnato a recitare la parte dell’uomo’ (J.Maritain).
Contro questa immagine di un Gesù troppo divino c’è stata la reazione, spesso eccessiva,
che ha fatto sua l’esigenza di scoprire un Cristo umano, compagno di strada e amico degli
uomini. Soltanto ‘questo’ Gesù sarebbe capace di parlare e relazionarsi con l’uomo
contemporaneo: profeta di libertà, testimone contagioso di un amore spinto fino alla morte,
individuo scomodo e inquietante per gli uomini di potere, povero e vicino ai poveri. Questo
Gesù avrebbe avuto il merito di svelare all’uomo la possibilità di essere ‘soltanto’ uomo,
senza cercare rifugio in un mondo divino alienante.
La sua morte di Croce sarebbe stata l’ora decisiva in cui sarebbe morta la figura di Dio,
per far nascere quella dell’uomo adulto e sovrano.
Conseguenza di questa maturità dell’uomo sarebbe l’emancipazione da ogni forma di
dipendenza, di affrancamento da ogni mediazione sacrale. Gesù avrebbe liberato l’uomo
da ogni Chiesa. Il tutto si riassume nello slogan “Gesù sì, Chiesa no”.
Queste proposte pur essendo inaccettabili nelle loro conclusioni, sollecitano la presa di
coscienza dei valori pertinenti alla fede nel Gesù Cristo Dio-uomo.
Se Dio si è fatto uomo, l’umanità di Gesù non è in concorrenza alla sua divinità, ma è,
anzi, il luogo concreto in cui il volto di Dio si è rivelato per noi. Proprio in questa umanità
umile e profonda, così come ci è data conoscere dai Vangeli, e che è stata oggetto di
grande amore da parte dei santi13, in questa vicenda umana di Gesù di Nazaret, ci è dato
conoscere quanto grande sia la vicinanza del Dio trinitario alla nostra umanità, che così
acquista una dignità senza pari.
Insieme a questa riscoperta dell’umanità di Dio, è necessario ribadire la divinità di Cristo: il
messaggio scandaloso ed esaltante che il crocifisso dai potenti e risuscitato il terzo giorno,
è il Figlio di Dio.
Senza questo annuncio, non avrebbe valore né la riscoperta della nostra dignità di
persone umane a partire da Gesù Cristo, né la fiducia nella liberazione dal peso della
colpa di origine, né la speranza della gloria che in lui ci è rivelata.
Se Gesù fosse soltanto un uomo, sia pure il più grande tra i figli dell’uomo, egli non ci
avrebbe salvati, non ci avrebbe dato la vita che viene dall’alto e che è eterna: la morte non
sarebbe vinta, né lo sarebbe il peccato.
Nel Figlio di Dio che muore per noi abbiamo la garanzia che è possibile vincere l’egoismo
e il peccato, che è possibile amare e superare nell’amore la morte, che l’ultima parola
della vita e della storia non sarà l’ingiustizia e il dolore, ma la pace fatta di giustizia e di
gioia senza fine.
13 Cfr. Dizionario Francescano, Padova, 1995, voce: Gesù Cristo (pp.742 sgg.); Voce Passione in I Cappuccini- fonti
documentarie del primo secolo, Roma 1994.
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Ci si può domandare perché ci sono tante resistenze a credere nell’Uomo-Dio. E quali
sono le difficoltà principali a confessare Gesù Messia e allo stesso tempo Figlio di Dio?
Scorrendo la storia è possibile individuarne quattro che muovono da presupposti diversi.
1. A partire dalla concezione di Dio che ci si è fatti prima di affrontare il problema e la
realtà di Gesù Cristo.
Pensarlo e ritenerlo Dio-Uomo risulta scandaloso perché così viene perso il senso e il
valore della trascendenza divina. Ritenere l’uomo di Nazaret, umiliato nella vergogna della
Croce, il Figlio di Dio, non può che cozzare contro l’immagine di un Dio Assoluto, separato
e straniero rispetto le miserie del vivere umano.
A questa obiezione la fede risponde con l’annuncio, sempre scandaloso, della buona
novella: Dio si è fatto uomo, mettendosi per amore dalla parte degli uomini, dei peccatori,
dei senza diritti della storia.
Il Dio cristiano rivela la follia del suo amore per noi proprio in ciò che sconcerta i presunti
esperti del divino14.
2. A partire dalla concezione di uomo che si ha.
Se Dio si è fatto veramente uomo perché non ha risolto i problemi fondamentali
dell’umanità, le ingiustizie, le malattie, ecc.?
Di fronte a questa protesta sta ancora l’umile silenzio del Crocifisso immolato per amore: il
Dio cristiano non sta dalla parte dei vincitori, né dalla parte di chi pretende di avere in
mano le chiavi del destino degli altri. E’ un Dio dei poveri, che si è fatto vicino e compagno
al vivere e al soffrire umano, il Dio-con-noi che non è venuto per condannare, ma per
servire e salvare.
Nella fede questa debolezza di Dio risulta più potente della forza dei potenti, e il silenzio
della passione più convincente delle proteste di coloro che si dibattono nella non
speranza.
3. A partire dalla concezione della Chiesa.
La Chiesa, che dovrebbe essere custode e trasmettitrice del dono infinito del suo amore,
troppe volte si è macchiata e presentata sotto il segno del peccato dei suoi figli. Dove sta
l’autenticità del Vangelo nel silenzio complice di tanti cristiani di fronte ad esempio
all’iniquo potere del mondo e delle sue atrocità?
Eppure di questa Chiesa Dio si è fidato, affidandogli il suo messaggio e l’opera della sua
salvezza. Se non si fosse fidato a tal punto degli uomini, sia pure fragili e peccatori, come
avrebbe potuto essere davvero il Dio vicino per raggiungere le tante e varie miserie
umane? In fondo, quest’audacia dell’amore divino risulta più provocante di una Chiesa di
perfetti, ristretta a una cerchia di eletti ma in realtà abbandonata alle sole capacità umane.
4. Infine la difficoltà che viene alla fede cristiana dal vissuto dell’amore.
E’ quella di chi, pur ammirando la bellezza delle urgenze espresse dal Vangelo e la
testimonianza dei martiri e dei santi di tutti i tempi, non se la sente di far propria la
proposta di perdere la propria vita per salvarla, di rischiare tutto per amore. E’ l’obiezione
del giovane ricco, che abbandona Gesù, dopo che questi lo ha messo di fronte alle radicali
esigenze della sequela15. A questa difficoltà di compromettersi per il regno, Dio offre la
consolante certezza che non chiede mai nulla a nessuno, senza prima avergli dato la forza
e la gioia per compiere quanto viene richiesto. Il Dio cristiano non è il Dio delle cose
14 Cfr. 1Cor 1,22-23 “E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo
crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani”
15 Mc.10,17-22
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impossibili, ma il Dio di tenerezza e di misericordia, che offre al peccatore la grazia del
perdono, al debole la forza di ricominciare sempre da capo. Chi ha compreso questa sfida
del Dio-umano non ha che una possibilità significativa: arrendersi al suo amore.
Cosa comporta questa incondizionata accoglienza? Confessare che Gesù è il Signore
annulla ogni altro modo di accedere alla salvezza? La fede in lui è una delle tante fedi
possibili? Se sì, perché allora credere così perdutamente in lui? Se no, che cosa distingue
il Cristianesimo dalle altre religioni storiche?
A queste domande decisive si può rispondere partendo da quell’interrogativo che in un
modo o nell’altro esiste in ogni uomo: la nostalgia del Totalmente Altro, come nostalgia di
giustizia e di pace assolute che nessuna capacità umana sa realizzare. Ne consegue un
atteggiamento di rispetto profondo da nutrire nei confronti di tutte le credenze e delle loro
concretizzazioni storiche. Questo però non significa che tutto, in tutte le religioni storiche,
promuova l’uomo e dia veramente gloria a Dio. E’ necessario un discernimento poiché non
di rado la dimensione religiosa è stata ed è sorgente di alienazione o strumento di
manipolazione di uomini, di popoli.
A questo proposito emerge l’esigenza di evidenziare un’altra prospettiva risolutiva: è solo
la rivelazione storica di Dio che offre all’uomo i criteri capaci di discernere i valori presenti
nel cuore degli uomini.
La fede cristiana riconosce questo criterio nella persona e nell’opera di Gesù di Nazaret,
Signore e Cristo: è in lui che Dio ci ha parlato in pienezza; è in lui che ci ha raccontato la
sua storia di Padre che ama, di Figlio che è amato e in cui noi siamo amati, di Spirito che è
vita dell’amore; è in lui che ci è dato accesso a questa storia divina dell’amore, perché
anche noi diventassimo capaci di amare.
Cristo si offre come la risposta alla nostalgia di Assoluto che ogni religione storica porta
con sé, fondata come luogo d’incontro fra il cielo e la terra, fra gli uomini e Dio. Ma è un
incontro realizzato nella Pasqua di morte e risurrezione, laddove le domande umane
vengono anch’esse crocifisse per essere purificate e risolte nella resurrezione.
Cristo diventa allora luce per chi accetta di camminare nelle tenebre e accetta lo scandalo
del morire con lui. In questo modo si spiega anche perché il Vangelo non è un’evidenza,
non si impone mai, ma interpella e per essere significativo ha bisogno della libertà e
decisione coraggiosa dell’uomo.
La novità cristiana è dunque la storia dell’amore di Dio e degli uomini che si aprono a lui
credendo in Gesù Cristo. Ma questa novità apre al Cristianesimo un orizzonte missionario
pur nella chiara consapevolezza ch’esso non può essere imposta a nessuno, anche se
proposta a tutti.
Riferimenti bibliografici:
- Catechismo della Chiesa cattolica.
Per approfondire si possono leggere dal cap. II - nn. da 422 a 451.
- Dizionario Francescano, Padova, 1995, voce: Gesù Cristo (pp.742 sgg.)