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PADRE ONNIPOTENTE
Onnipotente nell’amore
In base a quanto detto riguardo la definizione di Dio indissolubilmente legata alla realtà
dell’amore, possiamo ora inoltrarci ad esaminare il primo attributo che la professione di
fede riconosce a Dio: l’onnipotenza. Parola che in passato, ma ancora oggi può creare
degli equivoci. “L’onnipotenza di Dio viene chiamata in causa nella natura e nella storia là
dove si arrestano la scienza e la tecnica, l’economia e la politica o quando non siamo più
in grado di fronteggiare i nostri problemi personali… Ma dopo i massacri del nazismo e del
comunismo, non è più possibile parlare di un Dio onnipotente, assoluto, che tutto potrebbe
fare, ma di fronte a enormi catastrofi su naturali e crimini contro l’umanità, non interviene,
ma tace, tace e tace …” (H.Kung, Il Credo, Milano, 1994, p.23).
Ma l’onnipotenza di Dio è altro: Dio, il Padre di Gesù, è Colui ha cominciato una volta e
per sempre ad amare e che non è mai stanco di cominciare ad amare: è il Padre
onnipotente.
Possiamo domandarci dove nasce in Lui questo coraggio di amare, tanto più
sorprendente quanto più pensiamo alla storia d’ingiustizia, di peccato e di morte che è la
storia del mondo in cui viviamo. Come fa questo Dio-della-vita a non stancarsi dei nostri
rifiuti, delle nostre indifferenze, dei nostri tradimenti, che ci rendono uomini deboli, idolatri
e sanguinari?
Questi interrogativi non hanno risposta se non si contempla il mistero della gratuità del
Suo amore: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che amato
noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati … Noi
abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore: chi sta
nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4,10.16).
Il Padre è l’eterno Amante, Colui cui appartiene in assoluto l’iniziativa dell’amore: senza
essere costretto o motivato da qualche causa esterna. Egli ha iniziato nell’eterno ad amare
e continuerà per sempre ad amare.
“Uomo, dice il Signore, considera ch’io sono stato il primo ad amarti. Tu non eri ancora al il
mondo, il mondo neppur v’era ed io già ti amavo” (S.Alfonso Maria de Liguori).
Quest’amore che un ‘dare gratuitamente’, è all’origine dell’atto della creazione: “E’ l’amore
che fa esistere” (M.Blondel).
Lo stesso amore è alla radice dell’atteggiamento che il Padre ha nei confronti degli uomini.
Ama le pecore smarrite5, i peccatori e i malati6, i perduti7: in una parola gli ultimi, quelli che
nessuno ama.
Un brano di S.Paolo riassume bene questo orientamento di Dio: “Ma Dio ha scelto ciò che
nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per
confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è
nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,27-28).
5 Cfr. Lc 15,4-7: “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a
quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i
vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in
cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”.
6 Cfr. Lc 5,31s: “Gesù rispose: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati;
[32]io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi”.
7 Cfr. Lc 19,10: “il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”
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Se dunque Dio è Padre è Amore non ci sarà nessun motivo o colpa per cui possa
dimenticarsi dell’uomo e voltargli le spalle. Dio continua e continuerà ad amare gli uomini
perché diversamente smentirebbe se stesso in quanto Amore incondizionato.
Le provocazioni
Di fronte al Padre di infinita misericordia si leva la domanda che viene dal dolore del
mondo: perché il dolore se Dio ci ama? Perché il suo silenzio davanti ai dolori del mondo?
Dov’è il Padre onnipotente nell’amore? Dio muore nell’innocente che muore8.
Il primo senso di questa risposta tragica in cui si afferma la morte di Dio nell’innocente che
muore porta a risolvere il senso della vita dell’uomo in un puro esistere per la morte, dove
tutto è destinato al nulla. Tutte le risposte atee conducono a guardare la morte negli occhi
e perdersi in essa, confessando che nulla ha veramente senso. Anche il ‘carpe diem’ non
può che trascinarsi in una tristezza invincibile e una protesta contro Dio.
Alla protesta contro Dio si oppone l’atteggiamento opposto: la resa, la rinuncia alla
domanda dell’uomo sofferente. Il grido del deportato di Auschwitz rivela qui il suo secondo
senso: nell’innocente che muore si presenta la morte di un Dio senza cuore, dl Dio dei pii
e di coloro che si ritengono giusti e sono convinti della giustizia divina ripristinata con le
pene del mondo. Quasi una celebrazione della gloria di Dio a prezzo della morte
dell’uomo.
La risposta di un Dio com-passionato
Accanto all’innocente che muore, solidale con lui ed in lui c’è il Dio della Croce: non un
giudice lontano, impassibile spettatore della sofferenza umana; ma il Dio vicino, il Dio
‘compassionato’, il Dio che ha fatto suo il dolore del mondo per dare ad esso senso e
conforto.
Il Vangelo del dolore di Dio è il Vangelo dl Crocifisso che si consegna alla morte per amor
nostro. In questo modo si annuncia non la morte di Dio ma la morte in Dio, in senso
trinitario. La passione del Crocifisso, e in essa la passione del mondo, toccano
profondamente il mistero della divinità, coinvolgendo ciascuna delle Persone divine e
inserendo la storia del dolore del mondo nell’eterna storia dell’amore divino.
Al patire umano viene così riconosciuta una dignità infinita: così grande da essere assunta
dal Figlio e al contempo rivelativi della vicinanza di Dio Padre ad ogni sofferenza degli
uomini, per redimerla e dare ad essa consolazione e speranza.
Il Vangelo della Croce non pretende essere la risposta al problema del silenzio di Dio: la
domanda viene superata nella certezza della prossimità del Dio vicino, che offre a tutti, per
vie misteriose, che Lui solo conosce, la possibilità di trasformare il dolore in amore, la
bestemmia in invocazione, la storia della sofferenza in storia dell’amore del mondo.
“Se vogliamo sapere chi è Dio, dobbiamo inginocchiarci ai piedi della Croce” (J.Moltmann).
CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA
8 Dinanzi ai poveri impiccati nel luogo dell’Olocausto, l’Auschwitz di ogni miseria umana, mentre il condannato più
giovane si dibatte lottando con la morte, la voce di un prigioniero domanda: “Dov’è dunque Dio?”. E il grido di un
altro racchiude tutte le possibili risposte: “Eccolo: è appeso lì, a quella forca”. (cfr.E.Wiesel, La notte, Firenze, 1980,
p.67)
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A partire dalla redenzione
A questa domanda la fede cristiana sin dalle sue origini ha dato risposta collegando fra
loro creazione e redenzione. Come aveva fatto il popolo d’Israele, così la Chiesa alla
confessione del Dio creatore passando attraverso l’esperienza del Dio Salvatore.
E’ alla luce dell’evento pasquale che la storia delle origini è letta come storia trinitaria.
La creazione viene anzitutto riferita al Padre in quanto principio di ogni vita: dalla sorgente
inesauribile della divinità ha origine tutto quanto esiste; dal Padre è “ogni paternità in cielo
e in terra” (Ef 3,15). Riprendendo la formulazione niceno-costantinopolitana confessiamo
che Dio Padre è onnipotente, creatore e signore del cielo e della terra, di tutte le cose
visibili e invisibili.
Dalla distinzione fra il Padre e il Figlio deriva la comunione all’interno dell’infinità alterità fra
il Creatore e ogni creatura: “tutto è stato creato per mezzo di Cristo e in vita di Lui (…)
“per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle
visibili e quelle invisibili ..” (cfr.Col 1,16).
Come nella vita divina trinitaria lo Spirito, in quanto amore unificante unisce il Padre al
Figlio, così lo stesso Spirito unisce la creatura al Creatore.
Tutto è stato creato dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito. E nello stesso Spirito,
per mezzo del Figlio unico mediatore, tutto ritornerà al Padre.
L’orizzonte creaturale
Pertanto, tutto quanto esiste, in qualunque forma o spazio o tempo esista, in quanto ha
ricevuto essenza ed esistenza, va riconosciuto come creatura dell’unico e solo Dio.
Ammettendo che esistano altri mondi a noi ignoti il Padre estende la sua signoria anche su
di essi.
E’ chiamata in causa l’onnipotenza creatrice di Dio che non può essere misurata secondo i
criteri valutativi della conoscenza umana, e neppure limitata nelle sue infinite possibilità
dall’uomo. Dio è Dio e la creatura non è Dio.
Un richiamo alla vastità e profondità dell’azione creatrice di Dio è rappresentato dalla fede
nell’esistenza di un universo angelico. Gli angeli esprimono la memoria permanente di un
orizzonte oltre l’umano, che sfugge alle pretese della ragione. In un mondo adulto ed
emancipato così come si presenta il mondo d’oggi, si sta riscoprendo fortemente il bisogno
di un orizzonte più ampio, capace di oltrepassare le ristrettezze della ragione
orgogliosamente sicura di sé e di un’umanità pensata e programmata a partire soltanto
dall’uomo.
Anche l’angelo decaduto, Satana, esprime le possibilità radicali della creatura di fronte al
Creatore, fino ad arrivare al tragico rifiuto di Dio, nella consapevole volontà di voler
operare contro di Lui, pur rimanendo sotto il suo indiscusso primato.
Il peccato dell’origine: rifiuto del progetto creaturale di Dio
All’inizio Dio offre all’uomo la propria amicizia insieme ad una condizione di vita
paradisiaca. L’uomo si ribella con il primo peccato, stravolgendo così la sua esistenza, e
affondando in una moltitudine di peccati.
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Questa dinamica della storia viene rappresentata simbolicamente in Gn 1-11, a partire al
peccato originale di Adamo e di Eva.9
L’uomo cede alle seducenti tentazioni del serpente che incarna l’idolatria satanica. Non si
fida più di Dio, rifiutando di riconoscerne la signoria sulla sua vita e norma dl suo agire.
Cibandosi del frutto dell’albero della scienza dl bene e del male si autodetermina,
facendosi legge a se stesso. Vuole sperimentare tutto e decidere da sé ciò che è bene e
ciò che è male. Pretende di realizzare, senza Dio e la sua grazia, il proprio desiderio
illimitato di vivere. Detto in sintesi, vuole essere praticamente un dio, autosufficiente e
onnipotente.
Il peccato si estende e si moltiplica
Il rifiuto della comunione con Dio porta l’uomo a vivere in una terra diventata ormai ostile.
Si sente umiliato dalla vergogna, minacciato e impaurito dalla morte, incapace di
controllare i propri istinti. Gli uomini sperimentano la divisione tra di essi. L’armonia
originaria con Dio, con se stessi, con gli altri e con la natura non esiste più.
L’umanità è trascinata dalla legge del peccato, precipitando nella confusione e nella
disgregazione10.
La riflessione del magistero della Chiesa sul peccato
Nel tentativo di conciliare il pelagianesimo e il protestantesimo, due visioni estreme
maturate riguardo al problema del peccato e della salvezza, il magistero si è espresso
secondo questi enunciati dottrinali11.
- Il peccato primordiale dei progenitori ha causato la perdita della giustizia originale
per loro e per tutti i discendenti;
- Il peccato originale ereditario è in ogni uomo per il solo fatto di nascere, in quanto
riceve una sua natura umana privata della giustizia originale, ferita e inclinata al
peccato;
- La corruzione non è totale e la libertà può e deve cooperare con la grazia;
- La redenzione e la grazia di Cristo sono assolutamente necessarie a tutti per la
giustificazione e la salvezza;
- Il peccato originale è soppresso mediante il battesimo;
- Rimane la concupiscenza che deriva dal peccato e dispone al peccato, ma
propriamente non è peccato.
9 Cfr. CdA n.390
10 Cfr. Gn 6,11; 11,1-9; CdA n.391-392
11 Cfr. Sinodo di Orange (DS 371-372); Concilio di Trento (DS 1511-1515-1551-1552-1554-1555)
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APPENDICE
Riferimenti bibliografici:
- Catechismo della Chiesa cattolica.
Per approfondire si possono leggere dal cap. I - paragrafo 3 (nn. da 268 a 274);
paragrafo 4 (nn. da 279 a 314)
Note esplicative sul peccato originale e redenzione
Ogni uomo è plasmato dalla solidarietà con gli altri, con chi lo ha preceduto e con chi lo
accompagna. Non si parte mai da zero. Viviamo inseriti in un intreccio di doni naturali, culturali
e spirituali. La nostra libertà si attua sempre in una situazione storica oggettiva, da cui viene
condizionata. La comunicazione della vita divina avviene in modo da valorizzare le mediazioni
umane.
I nostri peccati indeboliscono la comunicazione del bene e alimentano il contagio del male.
Tendono a deformare la società con una mentalità e con strutture di peccato, che gravano sulle
decisioni personali. Si sviluppa così una storia separata da Dio, avversa a Cristo, che ostacola
fino a bloccare l’iniziativa divina.
Ogni uomo, senza alcuna responsabilità personale, viene al mondo in questo contesto inquinato.
Privato della grazia santificante, è incapace di entrare in dialogo filiale con il Padre e di amarlo
sopra ogni cosa,; incline a chiudersi nell’esperienza terrena e di assolutizzare i beni temporali.
Così la sua libertà, indebolita interiormente e condizionata negativamente dall’esterno, non
riuscirà ad osservare la Legge di Dio e arriverà prima o poi, a commettere gravi peccati
personali, incamminandosi verso la perdizione eterna.
La condizione in cui l’uomo nasce è uno stato soggettivo della natura umana, trasmesso insieme
ad essa, non un atto delle persone. Viene chiamata peccato originale non perché sia una colpa,
ma perché deriva da una colpa altrui e fruttifica in successive colpe personali. E’ analoga alle
situazioni di peccati grave e permanenti.
Nessun uomo da solo potrebbe con le sue sole forze uscire da questa situazione chiamata regno
del peccato e della morte. Il Signore Gesù, crocifisso e risorto, ci comunica la potenza del suo
Spirito e spezza le catene che ci tengono prigionieri, rigenerandoci a nuova vita.
Certamente, anche dopo questa rigenerazione, permangono sia le inclinazioni interiori
disordinate che le seduzioni negative esterne, ma non sono più irresistibili. Occorre ancora
combattere, ma si può vincere.
Anche la sofferenza e la morte rimangono, ma assumono un altro senso e diventano occasione
di crescita spirituale. La vita divina elimina il peccato e ne trasfigura le conseguenze. Ci
introduce nella vita pasquale che è superiore alla stessa vita paradisiaca originale.
“Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20).12
12 Cfr.CdA nn.396-397-398-399
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