CREDENTI

COSA ESPRIMONO I CREDENTI NEL "CREDO"

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    AmarDio
    00 11/04/2010 22:58
    Il credo esprime in forma sintetica le principali verità delle fede dei cristiani, ma le espressioni che lo compongono, pur essendo molto precise, meritano qualche precisazione per evitare malintesi dovuti alle interpretazioni non sempre aderenti alla verità insegnata dalla Chiesa.
    Quello che segue è un testo curato da Paolo VI e può essere utile a chi non lo conosca, leggere le sue precisazioni:

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    AmarDio
    00 11/04/2010 22:59
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    AmarDio
    00 11/04/2010 23:01

    Il testo integrale del Credo del popolo di Dio pronunciato solennemente da Paolo VI il 30 giugno 1968, nella traduzione ufficiale in lingua italiana:


    crediamo in un solo Dio..."



    crediamo in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, Creatore delle cose visibili, come questo mondo ove trascorre la nostra vita fuggevole, delle cose invisibili quali sono i puri spiriti, chiamati altresì angeli, e Creatore in ciascun uomo dell'anima spirituale e immortale.


    crediamo che questo unico Dio è assolutamente uno nella sua essenza infinitamente santa come in tutte le sue perfezioni: nella sua onnipotenza, nella sua scienza infinita, nella sua provvidenza, nella sua volontà e nel suo amore. Egli è Colui che è, com'egli stesso ha rivelato a Mosè; e egli è Amore, come ci insegna l'Apostolo Giovanni: cosicché questi due nomi, Essere e Amore, esprimono ineffabilmente la stessa realtà divina di colui, che ha voluto darsi a conoscere a noi, e che abitando in una luce inaccessibile è in se stesso al di sopra di ogni nome, di tutte le cose e di ogni intelligenza creata. Dio solo può darci la conoscenza giusta e piena di se stesso, rivelandosi come Padre, Figlio e Spirito Santo, alla cui eterna vita n?i siamo chiamati per grazia di lui a partecipare, quaggiù nell'oscurità della fede e, oltre la morte, nella luce perpetua, l'eterna vita. I mutui vincoli, che costituiscono eternamente le Tre Persone, le quali sono ciascuna l'unico e identico Essere divino, sono la beata vita intima di Dio tre volte santo, infinitamente al di là di tutto ciò che n?i possiamo concepire secondo l'umana misura. Intanto rendiamo grazie alla bontà divina per il fatto che moltissimi credenti possono attestare con n?i, davanti agli uomini, l'Unità di Dio, pur non conoscendo il mistero della Santissima Trinità.


    dunque crediamo al Padre che genera eternamente il Figlio; al Figlio, Verbo di Dio, che è eternamente generato; allo Spirito Santo, Persona increata che procede dal Padre e dal Figlio come loro eterno Amore. In tal modo, nelle tre Persone divine, coeterne e coeguali, sovrabbondano e si consumano, nella sovreccellenza e nella gloria proprie dell'Essere increato, la vita e la beatitudine di Dio perfettamente uno; e sempre deve essere venerata l'Unità nella Trinità e la Trinità nell'Unità.


    Noi crediamo in nostro signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli è il Verbo eterno, nato dal Padre prima di tutti i secoli, e al Padre consustanziale, homoousios to Patri; e per mezzo di lui tutto è stato fatto. Egli si è incarnato per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo: eguale pertanto al Padre secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l'umanità, ed egli stesso uno, non per una qualche impossibile confusione delle nature, ma per l'unità della persona.


    Egli ha dimorato in mezzo a noi, pieno di grazia e di verità. Egli ha annunciato e instaurato il Regno di Dio, e in sé ci ha fatto conoscere il Padre. Egli ci ha dato il suo comandamento nuovo, di amarci gli uni gli altri c?m'egli ci ha amato. Ci ha insegnato la via delle Beatitudini del Vangelo: povertà in spirito, mitezza, dolore sopportato nella pazienza, sete della giustizia, misericordia, purezza di cuore, volontà di pace, persecuzione sofferta per la giustizia. Egli ha patito sotto Ponzio Pilato, Agnello di Dio che porta sopra di sé i peccati del mondo, ed è morto per noi sulla Croce, salvandoci col suo sangue redentore. Egli è stato sepolto e, per suo proprio potere, è risorto nel terzo giorno, elevandoci con la sua Risurrezione alla partecipazione della vita divina, che è la vita della grazia. Egli è salito al cielo, e verrà nuovamente, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, ciascuno secondo i propri meriti; sicché andranno alla vita eterna coloro che hanno risposto all'Amore e alla Misericordia di Dio, e andranno nel fuoco inestinguibile coloro che fino all'ultimo vi hanno opposto il loro rifiuto. E il suo Regno non avrà fine.


    Noi crediamo nello Spirito Santo, che è Signore e dona la vita; che è adorato e glorificato col Padre e col Figlio. Egli ci ha parlato per mezzo dei Profeti, ci è stato inviato da Cristo dopo la sua Risurrezione e la sua Ascensione al Padre; egli illumina, vivifica, protegge e guida la Chiesa, ne purifica i membri, purché non si sottraggano alla sua grazia. La sua azione, che penetra nell'intimo dell'anima, rende l'uomo capace di rispondere all'invito di Gesù: Siate perfetti com'è perfetto il Padre vostro celeste.


    Noi crediamo che Maria è la Madre, rimasta sempre Vergine, del Verbo Incarnato, nostro Dio e Salvatore Gesù Crist?, e che, a motivo di questa singolare elezione, essa, in considerazione dei meriti di suo Figlio, è stata redenta in modo più eminente, preservata da ogni macchia del peccato originale e colmata del dono della grazia più che tutte le altre creature.


    Associata ai misteri della Incarnazione e della Redenzione con un vincolo stretto e indissolubile, la Vergine Santissima, l'Immacolata, al termine della sua vita terrena è stata elevata in corpo e anima alla gloria celeste e configurata a suo Figlio risorto, anticipando la sorte futura di tutti i giusti; e noi crediamo che la Madre Santissima di Dio, nuova Eva, Madre della Chiesa, continua in cielo il suo ufficio materno riguardo ai membri di Cristo, cooperando alla nascita e allo sviluppo della vita divina nelle anime dei redenti.


    crediamo che in Adamo tutti hanno peccato: il che significa che la colpa originale da lui commessa ha fatto cadere la natura umana, comune a tutti gli uomini, in uno stato in cui essa porta le conseguenze di quella colpa, e che non è più lo stato in cui si trovava all'inizio nei nostri progenitori, costituiti nella santità e nella giustizia, e in cui l'uomo non conosceva né il male né la morte. È la natura umana così decaduta, spogliata della grazia che la rivestiva, ferita nelle sue proprie forze naturali e sottomessa al dominio della morte, che viene trasmessa a tutti gli uomini; ed è in tal senso che ciascun uomo nasce nel peccato. ??i dunque professiamo, col Concilio di Trento, che il peccato originale viene trasmesso con la natura umana, non per imitazione, ma per propagazione, e che esso è proprio a ciascuno.


    crediamo che Nostro Signor Gesù Cristo mediante il Sacrificio della Croce ci ha riscattati dal peccato originale e da tutti i peccati personali commessi da ciascuno di noi, in maniera tale che, secondo la parola dell'Apostolo, là dove aveva abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia.


    Noi crediamo in un solo battesimo, istituito da Nostro Signor Gesù Cristo per la remissione dei peccati. Il battesimo deve essere amministrato anche ai bambini che n?n hanno ancor potuto rendersi colpevoli di alcun peccato personale, affinché essi, nati privi della grazia soprannaturale, rinascano dall'acqua e dallo Spirito santo alla vita divina in Gesù Cristo.


    crediamo nella Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, edificata da Gesù Cristo sopra questa pietra, che è Pietro. Essa è il Corpo mistico di Cristo, insieme società visibile, costituita di organi gerarchici, e comunità spirituale; essa è la Chiesa terrestre, Popolo di Dio pellegrinante quaggiù, e la Chiesa ricolma dei beni celesti; essa è il germe e la primizia del Regno di Dio, per mezzo del quale continuano, nella trama della storia umana, l'opera e i dolori della Redenzione, e che aspira al suo compimento perfetto al di là del tempo, nella gloria. Nel corso del tempo, il Signore Gesù forma la sua Chiesa mediante i Sacramenti, che emanano dalla sua pienezza. E con essi che la Chiesa rende i propri membri partecipi del mistero della Morte e della Risurrezione di Cristo, nella grazia dello Spirito Santo, che le dona vita e azione. Essa è dunque santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia: appunto vivendo della sua vita, i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini, che impediscono l'irradiazione della Sua Santità. Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui ha il potere di guarire i suoi figli con il Sangue di Cristo ed il dono dello Spirito Santo.


    Erede delle promesse divine e figlia di Abramo secondo lo Spirito, per mezzo di quell'Israele di cui custodisce con amore le sacre Scritture e venera i Patriarchi e i Profeti; fondata sugli Apostoli e trasmettitrice, di secolo in secolo, della loro parola sempre viva e dei loro poteri di Pastori nel Successore di Pietro e nei Vescovi in comunione con lui; costantemente assistita dallo Spirito Santo, la Chiesa ha la missione di custodire, insegnare, spiegare e diffondere la verità, che Dio ha manifestato in una maniera ancora velata per mezzo dei Profeti e pienamente per mezzo del Signore Gesù. Noi crediamo tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio, scritta o tramandata, e che la Chiesa propone a credere come divinamente rivelata sia con un giudizio solenne, sia con il magistero ordinarlo e universale.

     crediamo nell'infallibilità, di cui fruisce il Successore di Pietro, quando insegna ex cathedra come Pastore e Dottore di tutti i fedeli, e di cui è dotato altresì il Collegio dei Vescovi, quando esercita con lui il magistero supremo.


    Noi crediamo che la Chiesa, che Gesù ha fondato e per la quale ha pregato, è indefettibilmente una nella fede, nel culto e nel vincolo della comunione gerarchica. Nel seno di questa Chiesa, sia la ricca varietà dei riti liturgici, sia la legittima diversità dei patrimoni teologici e spirituali e delle discipline particolari lungi dal nuocere alla sua unità, la mettono in maggiore evidenza.


    Riconoscendo poi, al di fuori dell'organismo della Chiesa di Cristo, l'esistenza di numerosi elementi di verità e di santificazione che le appartengono in proprio e tendono all'unità cattolica, e credendo all'azione dello Spirito Santo che nel cuore dei discepoli di Cristo suscita l'amore per tale unità, noi nutriamo speranza che i cristiani, i quali non sono ancora nella piena comunione con l'unica Chiesa, si riuniranno un giorno in un solo gregge con un solo Pastore.


    Noi crediamo che la Chiesa è necessaria alla salvezza, perché Cristo, che è il solo Mediatore e la sola via di salvezza, si rende presente per noi nel suo Corpo, che è la Chiesa. Ma il disegno divino della salvezza abbraccia tutti gli uomini: e coloro che, senza propria colpa, ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, ma cercano sinceramente Dio e sotto l'influsso della sua grazia si sforzano di compiere la sua volontà riconosciuta nei dettami della loro coscienza, anch'essi, in un numero che Dio solo conosce, possono conseguire la salvezza.


    crediamo che la Messa, celebrata dal sacerdote che rappresenta la persona di Cristo in virtù del potere ricevuto nel sacramento dell'Ordine, e da lui offerta nel nome di Cristo e di membri del suo Corpo Mistico, è il Sacrificio del Calvario reso sacramentalmente presente sui nostri altari. Noi crediamo che, come il pane e il vino consacrati dal Signore nell'ultima Cena sono stati convertiti nel suo Corpo e nel suo Sangue che di lì a poco sarebbero stati offerti per noi sulla Croce, allo stesso modo il pane e il vino consacrati dal sacerdote sono convertiti nel Corpo e nel Sangue di Cristo gloriosamente regnante nel cielo; e crediamo che la misteriosa presenza del Signore, sotto quello che continua ad apparire come prima ai nostri sensi, è una presenza vera, reale e sostanziale.


    Pertanto Cristo non può essere presente in questo Sacramento se non mediante la conversione nel suo Corpo della realtà stessa del pane e mediante la conversione nel suo Sangue della realtà stessa del vino, mentre rimangono immutate soltanto le proprietà del pane e del vino percepite dai nostri sensi. Tale conversione misteriosa è chiamata dalla Chiesa, in maniera assai appropriata, transustanziazione. Ogni spiegazione teologica, che tenti di penetrare in qualche modo questo mistero, per essere in accordo con la fede cattolica deve mantenere fermo che nella realtà obiettiva, indipendentemente dal nostro spirito, il pane e il vino han cessato di esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento sono il Corpo e il Sangue adorabili del Signore Gesù ad esser realmente dinanzi a noi sotto le specie sacramentali del pane e del vino, proprio come il Signore ha voluto, per donarsi a noi in nutri-mento e per associarci all'unità del suo Corpo Mistico.


    L'unica ed indivisibile esistenza del Signore glorioso nel cielo non è moltiplicata, ma è resa presente dal sacramento nei numerosi luoghi della terra dove si celebra la Messa. Dopo il sacrificio, tale esistenza rimane presente nel Santo Sacramento, che è, nel tabernacolo, il cuore vivente di ciascuna delle nostre chiese. Ed è per noi un dovere dolcissimo onorare e adorare nell'Ostia Santa, che vedono i nostri occhi, il Verbo incarnato, che essi non posso no vedere e che, senza lasciare il cielo, si è reso presente dinanzi a noi.


    Noi confessiamo che il Regno di Dio, cominciato quaggiù nella Chiesa di Cristo, non è di questo mondo, la cui figura passa; e che la sua vera crescita non può esser confusa con il progresso della civiltà, della scienza e della tecnica umane, ma consiste nel conoscere sempre più profondamente le imperscrutabili ricchezze di Cristo, nello sperare sempre più fortemente i beni eterni, nel rispondere sempre più ardentemente all'amore di Dio, e nel dispensare sempre più abbondantemente la grazia e la santità tra gli uomini. Ma è questo stesso amore che porta la Chiesa a preoccuparsi costantemente del vero bene temporale degli uomini. Mentre non cessa di ricordare ai suoi figli che essi non hanno quaggiù stabile dimora, essa li spinge anche a contribuire – ciascuno secondo la propria vocazione ed i propri mezzi – al bene della loro città terrena, a promuovere la giustizia, la pace e la fratellanza tra gli uomini, a prodigare il loro aiuto ai propri fratelli, soprattutto ai più poveri e ai più bisognosi. L'intensa sollecitudine della Chiesa, Sposa di Cristo, per le necessità degli uomini, per le loro gioie e le loro speranze, i loro sforzi e i loro travagli, non è quindi altra cosa che il suo grande desiderio di esser loro presente per illuminarli con la luce di Cristo e adunarli tutti in lui, unico loro Salvatore. Tale sollecitudine non può mai significare che la Chiesa conformi se stessa alle cose di questo mondo, o che diminuisca l'ardore dell'attesa del suo Signore e del Regno eterno.


    Noi crediamo nella vita eterna. Noi crediamo che le anime dl tutti coloro che muoiono nella grazia di Cristo, sia che debbano ancora esser purificate nel purgatorio, sia che dal momento in cui lasciano il proprio corpo siano accolte da Gesù in Paradiso, come egli fece per il Buon Ladrone, costituiscono il Popolo di Dio nell'aldilà della morte, la quale sarà definitivamente sconfitta nel giorno della risurrezione, quando queste anime saranno riunite ai propri corpi.


    crediamo che la moltitudine delle anime, che sono riunite intorno a Gesù ed a Maria in Paradiso, forma la Chiesa del cielo, dove esse nella beatitudine eterna vedono Dio così com'è e dove sono anche associate, in diversi gradi, con i santi Angeli al governo divino esercitato da Cristo glorioso, intercedendo per noi ed aiutando la nostra debolezza con la loro fraterna sollecitudine.


    Noi crediamo alla comunione tra tutti i Fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la propria purificazione e dei beati del cielo, i quali tutti insieme formano una sola Chiesa; noi crediamo che in questa comunione l'amore misericordioso di Dio e dei suoi Santi ascolta costantemente le nostre preghiere, secondo la parola di Gesù: Chiedete e riceverete. E con la fede e nella speranza, noi attendiamo la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà.


    Sia benedetto Dio santo, santo, santo. Amen.



    Pronunciato davanti alla Basilica di San Pietro, il 30 giugno dell'anno 1968, sesto del Nostro Pontificato.


    PAOLO PP. VI

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    Coordin.
    00 29/04/2010 09:51
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    Coordin.
    00 29/04/2010 09:54
    Le considerazioni che seguono hanno lo scopo di metterci a contatto con quella che chiamiamo
    professione di fede, comunemente detta "Il Credo".

    Una serie di affermazioni sintetiche che costituiscono il fondamento dell’essere cristiani.
    Fin dai primissimi tempi i discepoli di Gesù si sono serviti di alcune brevi frasi per cercare
    di sintetizzare la realtà del loro maestro. In genere erano formule brevi che con il tempo la
    chiesa ha ampliato sia per esigenze di completezza e sia per prendere le distanze dalle
    deviazioni (eresie) che cominciavano a manifestarsi riguardo al mistero di Gesù Cristo.
    Inoltre si è sentita la necessità di raccogliere l’essenziale della fede in sintesi articolate e
    complete destinate in particolare a coloro che intendevano entrare a far parte della
    comunità mediante il Battesimo.
    Per questa ragione tali sintesi vengono chiamate Simboli della fede e costituiscono
    anche oggi il primo e fondamentale riferimento di ogni catechesi di iniziazione alla vita
    cristiana.

    Fra tutti i simboli della fede, due hanno un posto speciale nella Chiesa di oggi:
    - Il Simbolo Apostolico, così chiamato perché ritenuto il più antico riassunto della
    fede degli apostoli. La sua autorità deriva dal fatto che è il simbolo accolto dalla
    Chiesa di Roma, dove ebbe la sua sede Pietro, il primo degli apostoli, e dove egli
    portò l’espressione della fede comune.
    - Il Simbolo detto di Nicea-Costantinopoli, il quale trae la sua autorità dal fatto di
    essere frutto dei primi due concili ecumenici (Nicea 325; Costantinopoli 381).
    Attualmente questo simbolo viene usato sia dalle chiese dell’Occidente che da
    quelle dell’Oriente.

    La Chiesa per conferire il Battesimo a coloro che intendono farne parte propone dunque
    una serie di affermazioni a cui occorre prestare l’assenso (credo). Da qui la consuetudine
    di chiamare Credo l’insieme di queste affermazioni.
    Prima di esaminare le singole affermazioni occorre chiarire il significato dell’assenso che
    ad esse viene chiesto. In altre parole si tratta di comprendere il significato del verbo
    credere.

    CREDERE: UN VERBO DAI MOLTI SIGNIFICATI

    Credere è uno strano verbo in italiano perché contiene sia l'idea di sicurezza e sia quella
    di insicurezza. Infatti "credere" viene usato nei seguenti modi
    1. "Credo che..." = penso che..., ma non ne sono sicuro.
    Es.: "Credo che domani faccia bello" = non ne sono ben sicuro ma non mi meraviglierei
    troppo qualora capitasse il contrario.
    2. "Credo a... (qualcuno)" = mi fido di qualcuno e perciò accetto quanto mi dice.
    Es.: "Credo al medico che mi propone una certa cura" = mi fido del medico e perciò
    accetto come valido per guarire qualcosa che per me non è verificabile e perciò mi rimane
    sempre, fino a guarigione avvenuta, un margine più o meno grande di dubbio.
    In questo caso "credere" è accettare come vero qualcosa che non mi è evidente e che
    tuttavia accetto sulla parola di persone in cui ho fiducia, non in base a prove di tipo
    razionale, ma in base ad "indizi" o "garanzie". Prima mi fido della persona e poi accetto
    per vero quello che la persona dice.
    Però, dato che non c'è l'evidenza soggettiva di ciò in cui credo, rimane sempre un margine
    di dubbio sul "valore" delle persone che mi propongono l'inevidente.
    3. "Credo a ... (qualcosa)" = sono assolutamente sicuro della verità di un'affermazione.
    Es.: "Quello è uno che crede a ciò che fa" = è assolutamente sicuro di ciò che fa e si butta
    con convinzione, entusiasmo e rischio in ciò che fa.
    In questo caso però, se voglio essere chiaro, devo precisare da dove nasce questa mia
    sicurezza. Una certa affermazione è vera perché
    a) la constato vera, oppure ho esperienza della realtà espressa da quell'affermazione;
    b) l'ho dimostrata razionalmente;
    c) mi fido di qualcuno che me la garantisce, perché lo ritengo degno di fiducia.
    In quest'ultimo caso ricado nel 2° significato del verbo "credere".
    Proviamo ad applicare quanto detto alla prima affermazione che troviamo nel Credo:
    Credo in Dio.

    Che senso può avere la frase: "Credo in Dio?"
    In quale dei significati del verbo "credere" analizzati precedentemente si usa la frase?
    1. Non sono ben sicuro dell'esistenza di Dio.
    Normalmente chi dice "Credo in Dio" non usa "credo" in questo senso. Qualora lo usasse
    così, occorre notare che questo atteggiamento non può reggere una vita. Ci sarà una
    continua oscillazione fra il sì e il no a seconda dei fatti che succedono, belli o brutti.
    2. Accetto l'esistenza di Dio, perché mi fido .
    Questa affermazione può essere però intesa in due sensi:
    a) Mi fido di Dio e perciò mi lascio guidare da Lui.
    Ma chi dice così come fa a fidarsi di una persona che non conosce? Dio l'ha visto? Come
    fa ad essere sicuro che c'è? (v. sotto, punto 3.)
    b) Mi fido di qualcuno che mi dice che Dio c'è.
    In questo caso accetto l'esistenza di Dio sulla parola di qualcuno che me l'ha detto e mi
    porta "garanzie" (non "prove") che io ritengo sufficienti perché mi fidi di lui.
    Questo "intermediario" fra me e Dio non può portare "prove". Se infatti mi portasse prove
    di tipo razionale che io ritengo valide, io non crederei a lui, ma esclusivamente al mio
    cervello.

    In questo caso occorre però precisare chi è questo "intermediario" e quali garanzie offre
    per essere creduto quando afferma che Dio c'è.
    Per ciò che riguarda Dio, Mosè, o Gesù, o Maometto, o vari altri lungo i secoli si sono
    presentati come "testimoni" di Dio. Il problema è: "A chi credere?"
    E tutto sta nel valutare le "garanzie" che ognuno di essi porta per essere creduto.
    Secondo i cristiani il modo valido per arrivare a Dio è: "Credo a Gesù di Nazareth il quale,
    proclamandosi Figlio di Dio, mi rivela Dio come suo Padre". Garanzia unica che Gesù
    porta per essere creduto è la sua risurrezione.
    3. Sono sicuro che Dio c'è e affido a Lui la mia vita .
    In questo caso però occorre precisare da dove nasce questa sicurezza.
    Le risposte date storicamente sono state
    a) perché l'ho visto, lo vedo, lo constato, lo scopro... fuori di me! oppure perché lo intuisco
    in me!
    A chi risponde così si può domandare: "Sei sicuro che quello che hai visto o intuito sia Dio
    o non piuttosto una proiezione dei tuoi desideri, una tua costruzione psicologica per
    bisogno di sicurezza?
    b) perché lo dimostro!
    A chi risponde così si può domandare ancora: "Come? Con quali prove?".
    Egli porterà le prove. Io le valuterò e se le troverò convincenti, "crederò" all'esistenza di
    Dio, ma solo fidandomi del mio cervello. Ringrazio lui di avermi aiutato a capire, ma Dio
    c'è non perché l'ha detto lui, bensì perché sono arrivato io a dimostrarne l'esistenza.
    E anche qui "credere" non è usato in senso tecnico teologico. Crea confusione.
    I cattolici accettano come valida per arrivare a dire che Dio c'è anche la ragione umana
    Ma per dire questo si basano su un dato di fede, perché citano un'affermazione definita
    dal Concilio Vaticano I, la quale si basa su un testo di Paolo, lettera ai Romani 1,20:
    - il testo del Vaticano I: "È possibile dalle cose create arrivare a conoscere con certezza
    che Dio c’è".
    - il testo di Rom 1,18-20: "Si rivela infatti (l’)ira di Dio dal cielo contro ogni empietà e
    ingiustizia di uomini che tengono avvinta la verità in ingiustizia, perché ciò che è
    conoscibile del Dio è manifesto in essi: il Dio infatti ad essi (lo) manifestò. Infatti le cose
    invisibili di lui dalla creazione del mondo appaiono intelligibili per mezzo delle opere, sia
    l’eterna sua potenza, sia la divinità, ...". (ma qualcuno qui direbbe "inventato").
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    Coordin.
    00 29/04/2010 09:59
    CREDERE È CREDERE IN QUALCUNO (PUNTO 2)

    E’ l’esperienza del fidarsi senza avere prove certe, sorretti dalla sola garanzia della nostra
    fiducia in lui.
    Ricordiamo la fede di Pietro: “Signore fino ad ora non abbiamo pescato nulla ma sulla tua
    parola getterò le reti”.
    Ma c’è una difficoltà ulteriore: noi non abbiamo la possibilità di relazionarci in modo diretto
    con Gesù, il quale è venuto 2000 anni fa, per cui la nostra fiducia in lui può avvenire
    soltanto grazie alla mediazione di altri soggetti.


    L'atto di fede oggi si sviluppa attraverso i seguenti passaggi:
    1) atto di fiducia nella Chiesa, che abbia conservato bene l'insegnamento degli apostoli,
    selezionando e tramandando senza manipolazioni i libri che lo contenevano e
    interpretandoli secondo quanto gli autori volevano dire;
    2) atto di fiducia (attraverso la Chiesa) negli apostoli che abbiano tramandato bene quanto
    Gesù ha fatto e detto, in particolare la risurrezione di Gesù;
    3) atto di fiducia (attraverso gli apostoli) in Gesù che sia veramente quello che ha detto di
    essere, cioè il Figlio di Dio, il Cristo, poiché l'ha garantito con la risurrezione;
    4) atto di fiducia (attraverso Gesù) in Dio, Padre di Gesù e Padre di tutti gli uomini, che
    abbia risposto al problema del senso della vita umana.
    Questo è lo schema teorico di un corretto atto di fede cristiano.

    SIMBOLO APOSTOLICO


    Io credo in Dio, Padre onnipotente
    creatore del cielo e della terra;
    e in Gesù Cristo,
    suo unico Figlio, nostro Signore,
    il quale fu concepito di Spirito Santo,
    nacque da Maria Vergine,
    patì sotto Ponzio Pilato,
    fu crocifisso, morì e fu sepolto;
    discese agli inferi;
    il terzo giorno risuscitò da morte;
    salì al cielo,
    siede alla destra di Dio Padre onnipotente;
    di là verrà a giudicare i vivi e i morti.
    Credo nello Spirito Santo,
    la santa Chiesa cattolica,
    la comunione dei santi,
    la remissione dei peccati,
    la resurrezione della carne,
    la vita eterna.
    Amen


    APPENDICE
    Riferimenti bibliografici:
    - Catechismo della Chiesa cattolica.
    In particolare per questa introduzione si possono leggere i nn.166-167-170-171-172-
    173-174-175-185-186-187-188-189-190-191-192-193-194-195-196-197.
    Per la meditazione:
    Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
    (Catech. 5 sulla fede e il simbolo, 12-13; PG 33, 519-523)
    Il simbolo della fede
    Nell'apprendere e professare la fede, abbraccia e ritieni soltanto quella che ora ti viene proposta
    dalla Chiesa ed è garantita da tutte le Scritture. Ma non tutti sono in grado di leggere le
    Scritture. Alcuni ne sono impediti da incapacità, altri da occupazioni varie. Ecco perché, ad
    impedire che l'anima riceva danno da questa ignoranza, tutto il dogma della nostra fede viene
    sintetizzato in poche frasi.
    Io ti consiglio di portare questa fede con te come provvista da viaggio per tutti i giorni di tua
    vita e non prenderne mai altra fuori di essa, anche se noi stessi, cambiando idea, dovessimo
    insegnare il contrario di quel che insegniamo ora, oppure anche se un angelo del male,
    cambiandosi in angelo di luce, tentasse di indurti in errore. Così «se anche noi stessi o un
    angelo dal cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che abbiamo predicato, sia
    anàtema!» (Gal 1, 8).
    Cerca di ritenere bene a memoria il simbolo della fede. Esso non è stato fatto secondo capricci
    umani, ma è il risultato di una scelta dei punti più importanti di tutta la Scrittura. Essi
    compongono e formano l'unica dottrina della fede. E come un granellino di senapa, pur nella
    sua piccolezza, contiene in germe tutti i ramoscelli, così il simbolo della fede contiene, nelle sue
    brevi formule, tutta la somma di dottrina che si trova tanto nell'Antico quanto nel Nuovo
    Testamento.
    Perciò, fratelli, conservate con ogni impegno la tradizione che vi viene trasmessa e scrivetene
    gli insegnamenti nel più profondo del cuore.
    Vigilate attentamente perché il nemico non vi trovi indolenti e pigri e così vi derubi di questo
    tesoro. State in guardia perché nessun eretico stravolga le verità che vi sono state insegnate.
    Ricordate che aver fede significa far fruttare la moneta che è stata posta nelle vostre mani. E
    non dimenticate che Dio vi chiederà conto di Ciò che vi è stato donato.
    «Vi scongiuro», come dice l'Apostolo, «al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose, e di Cristo
    Gesù, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato» (1 Tm 6, 13), conservare
    intatta fino al ritorno del Signore nostro Gesù Cristo questa fede che vi è stata insegnata.
    Ti è stato affidato il tesoro della vita, e il Signore ti richiederà questo deposito nel giorno della
    sua venuta «che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico sovrano, il re dei regnanti e Signore dei signori; il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere» (1 Tm 6, 15-16). Al quale sia gloria, onore ed impero per i secoli eterni. Amen
    .
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    00 29/04/2010 10:00
    “Io credo in un solo Dio”. Inizia così la professione di fede di Nicea-Costantinopoli,
    evidenziando l’unicità di Dio.
    Già nell’Antico Testamento essa è chiaramente attestata: “Ascolta, Israele: il Signore è il
    nostro Dio, il Signore è Uno solo” (Dt 6,4).
    “Volgetevi a me e sarete salvi, paesi tutti della terra, perché io sono Dio; non ce n'è altri”
    (Is 45,22).
    L’anagrafe di Dio
    “Mosè disse a Dio: < mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?>>.
    Dio disse a Mosè: <>. Poi disse: < mi ha mandato a voi>>. Dio aggiunse a Mosè: < vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi.
    Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in
    generazione” (Es 3,13-15).
    Questo nome che Dio dice di se stesso è assai misterioso: dice ma allo stesso tempo non
    dice. “Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio di Israele, salvatore” (Is 45,15).
    Dio non vuole giocare a nascondino con l’uomo, ma la sua identità è così al di sopra di
    qualunque categoria comprensibile all’uomo che non può dire altro, l’uomo non capirebbe.
    Tuttavia le espressioni usate nel dialogo con Mosè sono di per sé molto significative e
    ricche: io sono colui che sono equivale ad affermare: io esisto, io vivo, io sono il vivente.
    Tutta la storia dell’Antica Alleanza è impregnata di questa esistenza-presenza di Dio in
    mezzo al suo popolo.
    Rivelando il suo nome, Dio rivela al tempo stesso la sua fedeltà che è da sempre, valida
    per il passato (“Io sono il Dio dei tuoi padri” – Es 3,6); come per il futuro (“Io sarò con te” –
    Es 3,12).
    La promessa della prossimità di Dio con l’umanità ha il suo vertice con l’incarnazione,
    dove si da’ all’umanità attraverso il suo Figlio, il quale rivelerà che anch’egli porta il nome
    divino: “Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io-Sono e non
    faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo” (Gv 8,28)
    Nel nostro linguaggio l’espressione io sono è incompleta: io sono bravo, io sono
    intelligente, io sono obeso, ecc. Invece come nel caso di Dio la cosa può funzionare, nel
    senso che, lasciando la frase incompleta, possiamo e dobbiamo immaginare l’attributo
    positivo più grandioso che possa esistere: ma poiché nessun linguaggio umano lo
    conosce, non è lecito cercare di inventarlo, per non impoverire la realtà di Dio.
    Tuttavia il Dio di cui parliamo si è rivelato più che con la carta d’identità, con il suo essere
    presente e operante nella storia degli uomini a partire dal popolo d’Israele. E lo stesso
    Israele ha potuto, poco per volta, scoprire che il motivo per cui Dio si era rivelato proprio a
    lui e non ad altri popoli era uno solo: il suo amore gratuito1. I profeti hanno ravvivato poi la
    1 Cf. Dt 7,8”Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli siete infatti il
    più piccolo di tutti i popoli , ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri
    6
    coscienza che Dio non si è mai stancato di amare nonostante le ripetute infedeltà del suo
    popolo2.
    I passi che evidenziano questa dimensione di Dio e la ‘raccontano’ sono molti: è
    consigliabile rileggerli3.
    Ma è con il suo Figlio Gesù che l’immagine di Dio si svela in tutta la sua chiarezza, al
    punto che attingendo soprattutto (ma non solo) alle opere dell’evangelista Giovanni
    (vangelo e lettere) scopriamo un linguaggio che ci permette di completare l’espressione
    rimasta in sospeso riguardo l’identità di Dio.
    Io sono …, può ora diventare: io sono l’Amore
    “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato
    da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1Gv
    4,7-8).
    Queste dense espressioni della prima lettera di Giovanni indicano con chiarezza come per
    il cristiano credere in Dio non significa semplicemente ‘pensare’ che Dio esista, ma molto
    più: confessare (proclamare) con le labbra e con il cuore che Dio è amore.
    Una prima conseguenza porta a riconoscere che Dio non può essere solitudine: per amare
    bisogna essere almeno in due. La Scrittura parla del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
    Il Padre è l’Amante; il Figlio l’Amato; lo Spirito Santo l’Amore scambiato, ricevuto e
    donato.
    Allora credere in Dio amore significa credere che Dio è Uno in Tre Persone, in una
    comunione perfetta, intessuta di relazioni reali di reciproco scambio di incontro e di amore.
    In rapporto alla nostra vita e alle nostre storie personali, credere in Dio Amore significa
    avere la certezza che nessun uomo davanti a Lui è semplicemente un numero, ma un
    essere unico e irripetibile.
    Ma concretamente cosa significa affermare che Dio è Amore? Proseguiamo il brano della
    1Gv: “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito
    Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l’amore: non siamo stati
    noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di
    espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,9-10).
    Siamo così rimandati ai piedi della croce dove l’amore di Dio si spinge fino al limite
    massimo, ben lontani dall’immagine, purtroppo ancora molto diffusa, di un Dio
    inaccessibile, solitario, giudice e giustiziere implacabile.
    Il vero volto di Dio è il volto della vergogna,dell’insuccesso, dell’umiltà, della sofferenza,
    dell’assurdo. E’ chiaramente un’immagine capovolta rispetto tutte le concezioni di Dio che
    certa storia e certa cultura ci hanno consegnato.
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    00 29/04/2010 10:02
    Il Padre: l’Amante
    In quanto Amore, Dio è anzitutto il Padre di Gesù, che l’ha consegnato alla morte per noi:
    “non ha risparmiato suo Figlio” (Rm 8,32).
    Dio non può non amare. Cosa potrebbe farebbe d’altro? C’ è una bella espressione di
    Lutero: “Dio non ci ama perché siamo buoni e belli; Dio ci rende buoni e belli perché ci
    padri..”
    2 Cf. Is49,14-15 “ Sion ha detto: <<Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato>>. Si dimentica forse
    una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si
    dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”.
    3 Le citazioni sono reperibili nel CCC in nota ai nn. 218, 219, 220, 221.
    7
    ama”. Dio non si stancherà mai di amarci, perché non ci ama per i nostri meriti, ma perché
    da sempre ha iniziato ad amare e per sempre continuerà ad amare.
    La conseguenza dell’essere amati produce amore.
    Amandoci, Egli ci rende capaci di amare. Amati possiamo anche noi cominciare ad amare.
    Il Padre si presenta come l’eterno Amante, che da sempre ha iniziato ad amare e che
    suscita noi la storia dell’amore, comunicandoci la Sua gratuità4.
    Il Figlio: l’Amato
    E’ colui che da sempre si è lasciato amare. Da sottolineare la passività del lasciarsi amare.
    Non è divino soltanto l’amare: lo è anche il lasciarsi amare, il ricevere amore. Non è divina
    soltanto la gratuità: è divina anche la gratitudine. Il Figlio, l’Amato, sa dire grazie all’Amore,
    si fa accoglienza eterna.
    Questo dinamismo si innesta nella nostra vita quando sappiamo dire grazie, cioè
    accogliamo l’amore degli altri. Non è sufficiente cominciare ad amare: occorre lasciarsi
    amare, diventare umili di fronte all’amore degli altri, riuscire a fare spazio alla vita degli
    altri. Come il Padre (l’Amante) ci contagia la gratuità, il Figlio (l’Amato) ci contagia la
    gratitudine, l’accoglienza.
    Lo Spirito: l’Amore
    Nella relazione tra il Padre e il Figlio lo Spirito è Colui che unisce e libera. Nella tradizione
    occidentale, da s.Agostino in poi, lo Spirito è contemplato come il vincolo dell’Amore
    eterno fra l’Amante e l’Amato. Pertanto quando lo Spirito entra in noi ci ricompone, ci
    riconcilia, ci unifica e ci unisce a Dio e agli altri. Ci rende capaci del linguaggio della
    comunione, della pace, di unità, in quanto vincolo della carità eterna.
    La tradizione delle chiese orientali ci consegna una sfumatura diversa dello Spirito Santo.
    Viene chiamato l’estasi di Dio, in quanto apre il cerchio dell’Amore e realizza all’interno
    della divinità la verità che amare non significa stare a guardarsi negli occhi, ma guardare
    insieme verso la stessa meta. In altre parole lo Spirito non solo unisce Il Padre e il Figlio,
    ma fa uscire Dio da sé per comunicarsi a noi. E noi quando ci lasciamo raggiungere e
    trasformare dallo Spirito, non possiamo più accontentarci di guardarci negli occhi, perché
    sentiremo il bisogno di uscire, di portare agli altri il dono dell’amore con cui siamo stati
    amati.

    APPENDICE
    Riferimenti bibliografici:
    - Catechismo della Chiesa cattolica.
    Per approfondire si possono leggere dal cap. I i paragrafi 1 e 2 (nn. da 198 a 267)
    4 “Quando ami non devi dire: ho Dio nel cuore; ma piuttosto: sono nel cuore di Dio” (K.Gibran).
    8
    Per la meditazione:
    Abbiamo cercato di conoscere e sapere qualcosa su Dio.
    Facciamo attenzione al pericolo che corse quell’uomo assetato di sapere sempre meglio chi fosse
    Dio: era un teologo, uno studioso delle cose di Dio.
    Siamo nei primi secoli del cristianesimo in cui fiorisce la spiritualità dei padri del deserto. Poimen è
    un vecchio eremita, saggio e sapiente nelle cose di Dio. Il nostro cercatore di Dio si reca da lui per
    incontrarlo e incomincia a parlargli delle realtà celesti e della Trinità. Poimen lo sta pazientemente
    ad ascoltare senza dargli una sola risposta. L’uomo, stizzito, si accinge a lasciare l’eremita.
    Il discepolo che viveva con l’eremita si avvicina a Poimen e gli dice: “Padre, questo grande uomo,
    che è tanto considerato e stimato nel suo paese, è venuto qui per te. Perché non gli hai parlato?”. Il
    vecchio rispose: “Lui abita lassù in alto e dice cose celesti, mentre io appartengo alla schiera di
    quelli che stanno sotto e dico cose terrene. Se avesse parlato delle passioni dell’anima, gli avrei
    risposto volentieri. Ma se parla di cose spirituali non le capisco”.
    L’incontro del teologo con Poimen finisce qui per il momento.
    Il discepolo raggiunge il teologo che si stava allontanando e gli dice: “Il vecchio non ama parlare
    della Scrittura, ma se qualcuno parla con lui delle passioni dell’anima, gli da’ risposta”. Il teologo
    riflette, ritorna da Poimen e gli dice: “Che devo fare quando in me prendono il sopravvento le
    passioni dell’anima?”. Il vecchio allora lo guarda con il volto pieno di gioia e riprende: “Adesso sei
    venuto a me nel modo giusto, ora apri la tua bocca per queste cose e io la riempirò di cose buone”.
    Il teologo ne ricavò grande vantaggio ed esclamò: “E’ proprio questa la strada giusta”. Da quel
    momento il loro colloquio diventò sincero ed essi si incontrano nel loro cuore, e assieme entrano in
    contatto con Dio.
    *****************
    Dio tre volte Santo, Trinità d’amore,
    fa’ che io confessi con le labbra e con il cuore
    l’infinita bellezza dell’eterna storia del Tuo divino amare.
    Ti riconoscerò Padre, eterno Amante, da cui proviene ogni dono perfetto.
    Ti confesserò Figlio, Amato che tutto riceve e tutto dona.
    Ti adorerò Spirito Santo, insieme con l’Amante e con l’Amato,
    come Amore ricevuto e donato,
    vincolo della carità eterna ed estasi dell’eterno Amore.
    In Te vorrò nascondermi,
    per essere per sempre perdutamente amato
    e alla Tua scuola imparare ad amare.
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    00 29/04/2010 10:03
    PADRE ONNIPOTENTE
    Onnipotente nell’amore
    In base a quanto detto riguardo la definizione di Dio indissolubilmente legata alla realtà
    dell’amore, possiamo ora inoltrarci ad esaminare il primo attributo che la professione di
    fede riconosce a Dio: l’onnipotenza. Parola che in passato, ma ancora oggi può creare
    degli equivoci. “L’onnipotenza di Dio viene chiamata in causa nella natura e nella storia là
    dove si arrestano la scienza e la tecnica, l’economia e la politica o quando non siamo più
    in grado di fronteggiare i nostri problemi personali… Ma dopo i massacri del nazismo e del
    comunismo, non è più possibile parlare di un Dio onnipotente, assoluto, che tutto potrebbe
    fare, ma di fronte a enormi catastrofi su naturali e crimini contro l’umanità, non interviene,
    ma tace, tace e tace …” (H.Kung, Il Credo, Milano, 1994, p.23).
    Ma l’onnipotenza di Dio è altro: Dio, il Padre di Gesù, è Colui ha cominciato una volta e
    per sempre ad amare e che non è mai stanco di cominciare ad amare: è il Padre
    onnipotente.
    Possiamo domandarci dove nasce in Lui questo coraggio di amare, tanto più
    sorprendente quanto più pensiamo alla storia d’ingiustizia, di peccato e di morte che è la
    storia del mondo in cui viviamo. Come fa questo Dio-della-vita a non stancarsi dei nostri
    rifiuti, delle nostre indifferenze, dei nostri tradimenti, che ci rendono uomini deboli, idolatri
    e sanguinari?
    Questi interrogativi non hanno risposta se non si contempla il mistero della gratuità del
    Suo amore: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che amato
    noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati … Noi
    abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore: chi sta
    nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4,10.16).
    Il Padre è l’eterno Amante, Colui cui appartiene in assoluto l’iniziativa dell’amore: senza
    essere costretto o motivato da qualche causa esterna. Egli ha iniziato nell’eterno ad amare
    e continuerà per sempre ad amare.
    “Uomo, dice il Signore, considera ch’io sono stato il primo ad amarti. Tu non eri ancora al il
    mondo, il mondo neppur v’era ed io già ti amavo” (S.Alfonso Maria de Liguori).
    Quest’amore che un ‘dare gratuitamente’, è all’origine dell’atto della creazione: “E’ l’amore
    che fa esistere” (M.Blondel).
    Lo stesso amore è alla radice dell’atteggiamento che il Padre ha nei confronti degli uomini.
    Ama le pecore smarrite5, i peccatori e i malati6, i perduti7: in una parola gli ultimi, quelli che
    nessuno ama.
    Un brano di S.Paolo riassume bene questo orientamento di Dio: “Ma Dio ha scelto ciò che
    nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per
    confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è
    nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,27-28).
    5 Cfr. Lc 15,4-7: “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a
    quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i
    vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in
    cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”.
    6 Cfr. Lc 5,31s: “Gesù rispose: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati;
    [32]io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi”.
    7 Cfr. Lc 19,10: “il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”
    10
    Se dunque Dio è Padre è Amore non ci sarà nessun motivo o colpa per cui possa
    dimenticarsi dell’uomo e voltargli le spalle. Dio continua e continuerà ad amare gli uomini
    perché diversamente smentirebbe se stesso in quanto Amore incondizionato.
    Le provocazioni
    Di fronte al Padre di infinita misericordia si leva la domanda che viene dal dolore del
    mondo: perché il dolore se Dio ci ama? Perché il suo silenzio davanti ai dolori del mondo?
    Dov’è il Padre onnipotente nell’amore? Dio muore nell’innocente che muore8.
    Il primo senso di questa risposta tragica in cui si afferma la morte di Dio nell’innocente che
    muore porta a risolvere il senso della vita dell’uomo in un puro esistere per la morte, dove
    tutto è destinato al nulla. Tutte le risposte atee conducono a guardare la morte negli occhi
    e perdersi in essa, confessando che nulla ha veramente senso. Anche il ‘carpe diem’ non
    può che trascinarsi in una tristezza invincibile e una protesta contro Dio.
    Alla protesta contro Dio si oppone l’atteggiamento opposto: la resa, la rinuncia alla
    domanda dell’uomo sofferente. Il grido del deportato di Auschwitz rivela qui il suo secondo
    senso: nell’innocente che muore si presenta la morte di un Dio senza cuore, dl Dio dei pii
    e di coloro che si ritengono giusti e sono convinti della giustizia divina ripristinata con le
    pene del mondo. Quasi una celebrazione della gloria di Dio a prezzo della morte
    dell’uomo.
    La risposta di un Dio com-passionato
    Accanto all’innocente che muore, solidale con lui ed in lui c’è il Dio della Croce: non un
    giudice lontano, impassibile spettatore della sofferenza umana; ma il Dio vicino, il Dio
    ‘compassionato’, il Dio che ha fatto suo il dolore del mondo per dare ad esso senso e
    conforto.
    Il Vangelo del dolore di Dio è il Vangelo dl Crocifisso che si consegna alla morte per amor
    nostro. In questo modo si annuncia non la morte di Dio ma la morte in Dio, in senso
    trinitario. La passione del Crocifisso, e in essa la passione del mondo, toccano
    profondamente il mistero della divinità, coinvolgendo ciascuna delle Persone divine e
    inserendo la storia del dolore del mondo nell’eterna storia dell’amore divino.
    Al patire umano viene così riconosciuta una dignità infinita: così grande da essere assunta
    dal Figlio e al contempo rivelativi della vicinanza di Dio Padre ad ogni sofferenza degli
    uomini, per redimerla e dare ad essa consolazione e speranza.
    Il Vangelo della Croce non pretende essere la risposta al problema del silenzio di Dio: la
    domanda viene superata nella certezza della prossimità del Dio vicino, che offre a tutti, per
    vie misteriose, che Lui solo conosce, la possibilità di trasformare il dolore in amore, la
    bestemmia in invocazione, la storia della sofferenza in storia dell’amore del mondo.
    “Se vogliamo sapere chi è Dio, dobbiamo inginocchiarci ai piedi della Croce” (J.Moltmann).
    CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA
    8 Dinanzi ai poveri impiccati nel luogo dell’Olocausto, l’Auschwitz di ogni miseria umana, mentre il condannato più
    giovane si dibatte lottando con la morte, la voce di un prigioniero domanda: “Dov’è dunque Dio?”. E il grido di un
    altro racchiude tutte le possibili risposte: “Eccolo: è appeso lì, a quella forca”. (cfr.E.Wiesel, La notte, Firenze, 1980,
    p.67)
    11
    A partire dalla redenzione
    A questa domanda la fede cristiana sin dalle sue origini ha dato risposta collegando fra
    loro creazione e redenzione. Come aveva fatto il popolo d’Israele, così la Chiesa alla
    confessione del Dio creatore passando attraverso l’esperienza del Dio Salvatore.
    E’ alla luce dell’evento pasquale che la storia delle origini è letta come storia trinitaria.
    La creazione viene anzitutto riferita al Padre in quanto principio di ogni vita: dalla sorgente
    inesauribile della divinità ha origine tutto quanto esiste; dal Padre è “ogni paternità in cielo
    e in terra” (Ef 3,15). Riprendendo la formulazione niceno-costantinopolitana confessiamo
    che Dio Padre è onnipotente, creatore e signore del cielo e della terra, di tutte le cose
    visibili e invisibili.
    Dalla distinzione fra il Padre e il Figlio deriva la comunione all’interno dell’infinità alterità fra
    il Creatore e ogni creatura: “tutto è stato creato per mezzo di Cristo e in vita di Lui (…)
    “per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle
    visibili e quelle invisibili ..” (cfr.Col 1,16).
    Come nella vita divina trinitaria lo Spirito, in quanto amore unificante unisce il Padre al
    Figlio, così lo stesso Spirito unisce la creatura al Creatore.
    Tutto è stato creato dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito. E nello stesso Spirito,
    per mezzo del Figlio unico mediatore, tutto ritornerà al Padre.
    L’orizzonte creaturale
    Pertanto, tutto quanto esiste, in qualunque forma o spazio o tempo esista, in quanto ha
    ricevuto essenza ed esistenza, va riconosciuto come creatura dell’unico e solo Dio.
    Ammettendo che esistano altri mondi a noi ignoti il Padre estende la sua signoria anche su
    di essi.
    E’ chiamata in causa l’onnipotenza creatrice di Dio che non può essere misurata secondo i
    criteri valutativi della conoscenza umana, e neppure limitata nelle sue infinite possibilità
    dall’uomo. Dio è Dio e la creatura non è Dio.
    Un richiamo alla vastità e profondità dell’azione creatrice di Dio è rappresentato dalla fede
    nell’esistenza di un universo angelico. Gli angeli esprimono la memoria permanente di un
    orizzonte oltre l’umano, che sfugge alle pretese della ragione. In un mondo adulto ed
    emancipato così come si presenta il mondo d’oggi, si sta riscoprendo fortemente il bisogno
    di un orizzonte più ampio, capace di oltrepassare le ristrettezze della ragione
    orgogliosamente sicura di sé e di un’umanità pensata e programmata a partire soltanto
    dall’uomo.
    Anche l’angelo decaduto, Satana, esprime le possibilità radicali della creatura di fronte al
    Creatore, fino ad arrivare al tragico rifiuto di Dio, nella consapevole volontà di voler
    operare contro di Lui, pur rimanendo sotto il suo indiscusso primato.
    Il peccato dell’origine: rifiuto del progetto creaturale di Dio
    All’inizio Dio offre all’uomo la propria amicizia insieme ad una condizione di vita
    paradisiaca. L’uomo si ribella con il primo peccato, stravolgendo così la sua esistenza, e
    affondando in una moltitudine di peccati.
    12
    Questa dinamica della storia viene rappresentata simbolicamente in Gn 1-11, a partire al
    peccato originale di Adamo e di Eva.9
    L’uomo cede alle seducenti tentazioni del serpente che incarna l’idolatria satanica. Non si
    fida più di Dio, rifiutando di riconoscerne la signoria sulla sua vita e norma dl suo agire.
    Cibandosi del frutto dell’albero della scienza dl bene e del male si autodetermina,
    facendosi legge a se stesso. Vuole sperimentare tutto e decidere da sé ciò che è bene e
    ciò che è male. Pretende di realizzare, senza Dio e la sua grazia, il proprio desiderio
    illimitato di vivere. Detto in sintesi, vuole essere praticamente un dio, autosufficiente e
    onnipotente.
    Il peccato si estende e si moltiplica
    Il rifiuto della comunione con Dio porta l’uomo a vivere in una terra diventata ormai ostile.
    Si sente umiliato dalla vergogna, minacciato e impaurito dalla morte, incapace di
    controllare i propri istinti. Gli uomini sperimentano la divisione tra di essi. L’armonia
    originaria con Dio, con se stessi, con gli altri e con la natura non esiste più.
    L’umanità è trascinata dalla legge del peccato, precipitando nella confusione e nella
    disgregazione10.
    La riflessione del magistero della Chiesa sul peccato
    Nel tentativo di conciliare il pelagianesimo e il protestantesimo, due visioni estreme
    maturate riguardo al problema del peccato e della salvezza, il magistero si è espresso
    secondo questi enunciati dottrinali11.
    - Il peccato primordiale dei progenitori ha causato la perdita della giustizia originale
    per loro e per tutti i discendenti;
    - Il peccato originale ereditario è in ogni uomo per il solo fatto di nascere, in quanto
    riceve una sua natura umana privata della giustizia originale, ferita e inclinata al
    peccato;
    - La corruzione non è totale e la libertà può e deve cooperare con la grazia;
    - La redenzione e la grazia di Cristo sono assolutamente necessarie a tutti per la
    giustificazione e la salvezza;
    - Il peccato originale è soppresso mediante il battesimo;
    - Rimane la concupiscenza che deriva dal peccato e dispone al peccato, ma
    propriamente non è peccato.
    9 Cfr. CdA n.390
    10 Cfr. Gn 6,11; 11,1-9; CdA n.391-392
    11 Cfr. Sinodo di Orange (DS 371-372); Concilio di Trento (DS 1511-1515-1551-1552-1554-1555)
    13
    APPENDICE
    Riferimenti bibliografici:
    - Catechismo della Chiesa cattolica.
    Per approfondire si possono leggere dal cap. I - paragrafo 3 (nn. da 268 a 274);
    paragrafo 4 (nn. da 279 a 314)
    Note esplicative sul peccato originale e redenzione
    Ogni uomo è plasmato dalla solidarietà con gli altri, con chi lo ha preceduto e con chi lo
    accompagna. Non si parte mai da zero. Viviamo inseriti in un intreccio di doni naturali, culturali
    e spirituali. La nostra libertà si attua sempre in una situazione storica oggettiva, da cui viene
    condizionata. La comunicazione della vita divina avviene in modo da valorizzare le mediazioni
    umane.
    I nostri peccati indeboliscono la comunicazione del bene e alimentano il contagio del male.
    Tendono a deformare la società con una mentalità e con strutture di peccato, che gravano sulle
    decisioni personali. Si sviluppa così una storia separata da Dio, avversa a Cristo, che ostacola
    fino a bloccare l’iniziativa divina.
    Ogni uomo, senza alcuna responsabilità personale, viene al mondo in questo contesto inquinato.
    Privato della grazia santificante, è incapace di entrare in dialogo filiale con il Padre e di amarlo
    sopra ogni cosa,; incline a chiudersi nell’esperienza terrena e di assolutizzare i beni temporali.
    Così la sua libertà, indebolita interiormente e condizionata negativamente dall’esterno, non
    riuscirà ad osservare la Legge di Dio e arriverà prima o poi, a commettere gravi peccati
    personali, incamminandosi verso la perdizione eterna.
    La condizione in cui l’uomo nasce è uno stato soggettivo della natura umana, trasmesso insieme
    ad essa, non un atto delle persone. Viene chiamata peccato originale non perché sia una colpa,
    ma perché deriva da una colpa altrui e fruttifica in successive colpe personali. E’ analoga alle
    situazioni di peccati grave e permanenti.
    Nessun uomo da solo potrebbe con le sue sole forze uscire da questa situazione chiamata regno
    del peccato e della morte. Il Signore Gesù, crocifisso e risorto, ci comunica la potenza del suo
    Spirito e spezza le catene che ci tengono prigionieri, rigenerandoci a nuova vita.
    Certamente, anche dopo questa rigenerazione, permangono sia le inclinazioni interiori
    disordinate che le seduzioni negative esterne, ma non sono più irresistibili. Occorre ancora
    combattere, ma si può vincere.
    Anche la sofferenza e la morte rimangono, ma assumono un altro senso e diventano occasione
    di crescita spirituale. La vita divina elimina il peccato e ne trasfigura le conseguenze. Ci
    introduce nella vita pasquale che è superiore alla stessa vita paradisiaca originale.
    “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20).12
    12 Cfr.CdA nn.396-397-398-399
    14
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    00 29/04/2010 10:05
    E IN GESU’ CRISTO, SUO UNICO FIGLIO, NOSTRO SIGNORE
    La fede cristiana confessa che Gesù di Nazaret, il profeta della Galilea, morto crocifisso e
    risuscitato da Dio, è anche veramente Dio, nell’unità della Sua persona di Figlio eterno del
    Padre.
    In passato c’è stata una tendenza ad accentuare talmente la divinità di Gesù Cristo da
    mettere in ombra la sua umanità: se nella vicenda terrena del Nazareno è il Figlio di Dio
    ad agire, sembrava necessario escludere da lui ogni imperfezione. Ne risultava l’immagine
    di un Dio impegnato a recitare la parte dell’uomo’ (J.Maritain).
    Contro questa immagine di un Gesù troppo divino c’è stata la reazione, spesso eccessiva,
    che ha fatto sua l’esigenza di scoprire un Cristo umano, compagno di strada e amico degli
    uomini. Soltanto ‘questo’ Gesù sarebbe capace di parlare e relazionarsi con l’uomo
    contemporaneo: profeta di libertà, testimone contagioso di un amore spinto fino alla morte,
    individuo scomodo e inquietante per gli uomini di potere, povero e vicino ai poveri. Questo
    Gesù avrebbe avuto il merito di svelare all’uomo la possibilità di essere ‘soltanto’ uomo,
    senza cercare rifugio in un mondo divino alienante.
    La sua morte di Croce sarebbe stata l’ora decisiva in cui sarebbe morta la figura di Dio,
    per far nascere quella dell’uomo adulto e sovrano.
    Conseguenza di questa maturità dell’uomo sarebbe l’emancipazione da ogni forma di
    dipendenza, di affrancamento da ogni mediazione sacrale. Gesù avrebbe liberato l’uomo
    da ogni Chiesa. Il tutto si riassume nello slogan “Gesù sì, Chiesa no”.
    Queste proposte pur essendo inaccettabili nelle loro conclusioni, sollecitano la presa di
    coscienza dei valori pertinenti alla fede nel Gesù Cristo Dio-uomo.
    Se Dio si è fatto uomo, l’umanità di Gesù non è in concorrenza alla sua divinità, ma è,
    anzi, il luogo concreto in cui il volto di Dio si è rivelato per noi. Proprio in questa umanità
    umile e profonda, così come ci è data conoscere dai Vangeli, e che è stata oggetto di
    grande amore da parte dei santi13, in questa vicenda umana di Gesù di Nazaret, ci è dato
    conoscere quanto grande sia la vicinanza del Dio trinitario alla nostra umanità, che così
    acquista una dignità senza pari.
    Insieme a questa riscoperta dell’umanità di Dio, è necessario ribadire la divinità di Cristo: il
    messaggio scandaloso ed esaltante che il crocifisso dai potenti e risuscitato il terzo giorno,
    è il Figlio di Dio.
    Senza questo annuncio, non avrebbe valore né la riscoperta della nostra dignità di
    persone umane a partire da Gesù Cristo, né la fiducia nella liberazione dal peso della
    colpa di origine, né la speranza della gloria che in lui ci è rivelata.
    Se Gesù fosse soltanto un uomo, sia pure il più grande tra i figli dell’uomo, egli non ci
    avrebbe salvati, non ci avrebbe dato la vita che viene dall’alto e che è eterna: la morte non
    sarebbe vinta, né lo sarebbe il peccato.
    Nel Figlio di Dio che muore per noi abbiamo la garanzia che è possibile vincere l’egoismo
    e il peccato, che è possibile amare e superare nell’amore la morte, che l’ultima parola
    della vita e della storia non sarà l’ingiustizia e il dolore, ma la pace fatta di giustizia e di
    gioia senza fine.
    13 Cfr. Dizionario Francescano, Padova, 1995, voce: Gesù Cristo (pp.742 sgg.); Voce Passione in I Cappuccini- fonti
    documentarie del primo secolo, Roma 1994.
    15
    Ci si può domandare perché ci sono tante resistenze a credere nell’Uomo-Dio. E quali
    sono le difficoltà principali a confessare Gesù Messia e allo stesso tempo Figlio di Dio?
    Scorrendo la storia è possibile individuarne quattro che muovono da presupposti diversi.
    1. A partire dalla concezione di Dio che ci si è fatti prima di affrontare il problema e la
    realtà di Gesù Cristo.
    Pensarlo e ritenerlo Dio-Uomo risulta scandaloso perché così viene perso il senso e il
    valore della trascendenza divina. Ritenere l’uomo di Nazaret, umiliato nella vergogna della
    Croce, il Figlio di Dio, non può che cozzare contro l’immagine di un Dio Assoluto, separato
    e straniero rispetto le miserie del vivere umano.
    A questa obiezione la fede risponde con l’annuncio, sempre scandaloso, della buona
    novella: Dio si è fatto uomo, mettendosi per amore dalla parte degli uomini, dei peccatori,
    dei senza diritti della storia.
    Il Dio cristiano rivela la follia del suo amore per noi proprio in ciò che sconcerta i presunti
    esperti del divino14.
    2. A partire dalla concezione di uomo che si ha.
    Se Dio si è fatto veramente uomo perché non ha risolto i problemi fondamentali
    dell’umanità, le ingiustizie, le malattie, ecc.?
    Di fronte a questa protesta sta ancora l’umile silenzio del Crocifisso immolato per amore: il
    Dio cristiano non sta dalla parte dei vincitori, né dalla parte di chi pretende di avere in
    mano le chiavi del destino degli altri. E’ un Dio dei poveri, che si è fatto vicino e compagno
    al vivere e al soffrire umano, il Dio-con-noi che non è venuto per condannare, ma per
    servire e salvare.
    Nella fede questa debolezza di Dio risulta più potente della forza dei potenti, e il silenzio
    della passione più convincente delle proteste di coloro che si dibattono nella non
    speranza.
    3. A partire dalla concezione della Chiesa.
    La Chiesa, che dovrebbe essere custode e trasmettitrice del dono infinito del suo amore,
    troppe volte si è macchiata e presentata sotto il segno del peccato dei suoi figli. Dove sta
    l’autenticità del Vangelo nel silenzio complice di tanti cristiani di fronte ad esempio
    all’iniquo potere del mondo e delle sue atrocità?
    Eppure di questa Chiesa Dio si è fidato, affidandogli il suo messaggio e l’opera della sua
    salvezza. Se non si fosse fidato a tal punto degli uomini, sia pure fragili e peccatori, come
    avrebbe potuto essere davvero il Dio vicino per raggiungere le tante e varie miserie
    umane? In fondo, quest’audacia dell’amore divino risulta più provocante di una Chiesa di
    perfetti, ristretta a una cerchia di eletti ma in realtà abbandonata alle sole capacità umane.
    4. Infine la difficoltà che viene alla fede cristiana dal vissuto dell’amore.
    E’ quella di chi, pur ammirando la bellezza delle urgenze espresse dal Vangelo e la
    testimonianza dei martiri e dei santi di tutti i tempi, non se la sente di far propria la
    proposta di perdere la propria vita per salvarla, di rischiare tutto per amore. E’ l’obiezione
    del giovane ricco, che abbandona Gesù, dopo che questi lo ha messo di fronte alle radicali
    esigenze della sequela15. A questa difficoltà di compromettersi per il regno, Dio offre la
    consolante certezza che non chiede mai nulla a nessuno, senza prima avergli dato la forza
    e la gioia per compiere quanto viene richiesto. Il Dio cristiano non è il Dio delle cose
    14 Cfr. 1Cor 1,22-23 “E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo
    crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani”
    15 Mc.10,17-22
    16
    impossibili, ma il Dio di tenerezza e di misericordia, che offre al peccatore la grazia del
    perdono, al debole la forza di ricominciare sempre da capo. Chi ha compreso questa sfida
    del Dio-umano non ha che una possibilità significativa: arrendersi al suo amore.
    Cosa comporta questa incondizionata accoglienza? Confessare che Gesù è il Signore
    annulla ogni altro modo di accedere alla salvezza? La fede in lui è una delle tante fedi
    possibili? Se sì, perché allora credere così perdutamente in lui? Se no, che cosa distingue
    il Cristianesimo dalle altre religioni storiche?
    A queste domande decisive si può rispondere partendo da quell’interrogativo che in un
    modo o nell’altro esiste in ogni uomo: la nostalgia del Totalmente Altro, come nostalgia di
    giustizia e di pace assolute che nessuna capacità umana sa realizzare. Ne consegue un
    atteggiamento di rispetto profondo da nutrire nei confronti di tutte le credenze e delle loro
    concretizzazioni storiche. Questo però non significa che tutto, in tutte le religioni storiche,
    promuova l’uomo e dia veramente gloria a Dio. E’ necessario un discernimento poiché non
    di rado la dimensione religiosa è stata ed è sorgente di alienazione o strumento di
    manipolazione di uomini, di popoli.
    A questo proposito emerge l’esigenza di evidenziare un’altra prospettiva risolutiva: è solo
    la rivelazione storica di Dio che offre all’uomo i criteri capaci di discernere i valori presenti
    nel cuore degli uomini.
    La fede cristiana riconosce questo criterio nella persona e nell’opera di Gesù di Nazaret,
    Signore e Cristo: è in lui che Dio ci ha parlato in pienezza; è in lui che ci ha raccontato la
    sua storia di Padre che ama, di Figlio che è amato e in cui noi siamo amati, di Spirito che è
    vita dell’amore; è in lui che ci è dato accesso a questa storia divina dell’amore, perché
    anche noi diventassimo capaci di amare.
    Cristo si offre come la risposta alla nostalgia di Assoluto che ogni religione storica porta
    con sé, fondata come luogo d’incontro fra il cielo e la terra, fra gli uomini e Dio. Ma è un
    incontro realizzato nella Pasqua di morte e risurrezione, laddove le domande umane
    vengono anch’esse crocifisse per essere purificate e risolte nella resurrezione.
    Cristo diventa allora luce per chi accetta di camminare nelle tenebre e accetta lo scandalo
    del morire con lui. In questo modo si spiega anche perché il Vangelo non è un’evidenza,
    non si impone mai, ma interpella e per essere significativo ha bisogno della libertà e
    decisione coraggiosa dell’uomo.
    La novità cristiana è dunque la storia dell’amore di Dio e degli uomini che si aprono a lui
    credendo in Gesù Cristo. Ma questa novità apre al Cristianesimo un orizzonte missionario
    pur nella chiara consapevolezza ch’esso non può essere imposta a nessuno, anche se
    proposta a tutti.
    Riferimenti bibliografici:
    - Catechismo della Chiesa cattolica.
    Per approfondire si possono leggere dal cap. II - nn. da 422 a 451.
    - Dizionario Francescano, Padova, 1995, voce: Gesù Cristo (pp.742 sgg.)
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    00 29/04/2010 10:06
    FU CONCEPITO DI SPIRITO SANTO
    NAQUE DA MARIA VERGINE
    17
    Fu concepito di Spirito Santo
    L'annunciazione a Maria inaugura la « pienezza del tempo » (Gal 4,4), cioè il compimento
    delle promesse e delle preparazioni. Maria è chiamata a concepire colui nel quale abiterà
    « corporalmente tutta la pienezza della divinità » (Col 2,9). La risposta divina al suo: «
    Come è possibile? Non conosco uomo » (Lc 1,34) è data mediante la potenza dello
    Spirito: « Lo Spirito Santo scenderà su di te » (Lc 1,35).
    Lo Spirito Santo, che è « Signore e dà la vita »16, è mandato a santificare il grembo della
    Vergine Maria e a fecondarla divinamente.
    Il Figlio unigenito del Padre, essendo concepito come uomo nel seno della Vergine Maria,
    è « Cristo », cioè unto dallo Spirito Santo, sin dall'inizio della sua esistenza umana, anche
    se la sua manifestazione avviene progressivamente: ai pastori, ai magi, a Giovanni
    Battista, ai discepoli. L'intera vita di Gesù Cristo manifesterà dunque « come Dio [lo]
    consacrò in Spirito Santo e potenza » (At 10,38).
    Nacque da Maria Vergine
    Ciò che la fede cattolica crede riguardo a Maria si fonda su ciò che essa crede riguardo a
    Cristo, ma quanto insegna su Maria illumina, a sua volta, la sua fede in Cristo.
    L'Immacolata concezione
    Per essere la Madre del Salvatore, Maria « da Dio è stata arricchita di doni degni di una
    così grande missione ». (137) L'angelo Gabriele, al momento dell'annunciazione, la saluta
    come « piena di grazia » (Lc 1,28). In realtà, per poter dare il libero assenso della sua fede
    all'annunzio della sua vocazione, era necessario che fosse tutta sorretta dalla grazia di
    Dio.
    Nel corso dei secoli la Chiesa ha preso coscienza che Maria, « colmata di grazia » da Dio,
    (138) era stata redenta fin dal suo concepimento. È quanto afferma il dogma
    dell'immacolata concezione, proclamato da papa Pio IX nel 1854:
    « La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una
    grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù
    Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del
    peccato originale ».17
    Questi « splendori di una santità del tutto singolare » di cui Maria è « adornata fin dal
    primo istante della sua concezione »18 le vengono interamente da Cristo: ella è « redenta
    in modo così sublime in vista dei meriti del Figlio suo »19. Più di ogni altra persona creata,
    il Padre l'ha « benedetta con ogni benedizione spirituale, nei cieli, in Cristo » (Ef 1,3). In lui
    l'ha scelta « prima della creazione del mondo, per essere » santa e immacolata « al suo
    cospetto nella carità » (Ef 1,4).
    I Padri della Tradizione orientale chiamano la Madre di Dio « la Tutta Santa »
    16 Cfr. Gn 3,20
    17 Pio IX, Bolla Ineffabilis Deus
    18 LG 56
    19 LG 53
    18
    (“Panaghia”), la onorano come « immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito Santo
    quasi plasmata e resa una nuova creatura »20. Maria, per la grazia di Dio, è rimasta pura
    da ogni peccato personale durante tutta la sua esistenza.
    La maternità divina di Maria
    Maria, chiamata nei Vangeli « la Madre di Gesù » (Gv 2,1; 19,25), prima della nascita del Figlio
    suo è acclamata, sotto la mozione dello Spirito, « la Madre del mio Signore » (Lc 1,43). Infatti,
    colui che Maria ha concepito come uomo per opera dello Spirito Santo e che è diventato
    veramente suo Figlio secondo la carne, è il Figlio eterno del Padre, la seconda Persona della
    Santissima Trinità. La Chiesa confessa che Maria è veramente Madre di Dio (“Theotokos”).
    La verginità di Maria
    Fin dalle prime formulazioni della fede, la Chiesa ha confessato che Gesù è stato
    concepito nel seno della Vergine Maria per la sola potenza dello Spirito Santo, ed ha
    affermato anche l'aspetto corporeo di tale avvenimento: Gesù è stato concepito « senza
    seme [...], per opera dello Spirito Santo ».21 Nel concepimento verginale i Padri ravvisano il
    segno che si tratta veramente del Figlio di Dio, il quale è venuto in una umanità come la
    nostra:
    Così, sant'Ignazio di Antiochia (inizio II secolo): « Voi siete pienamente convinti
    riguardo a nostro Signore che è veramente della stirpe di Davide secondo la carne,
    (152) Figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio, (153) veramente nato da
    una Vergine; [...] veramente è stato inchiodato [alla croce] per noi, nella sua carne,
    sotto Ponzio Pilato. [...] Veramente ha sofferto, così come veramente è risorto ».
    I racconti evangelici considerano la concezione verginale un'opera divina che supera ogni
    comprensione e ogni possibilità umana: « Quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo »,
    dice l'angelo a Giuseppe riguardo a Maria, sua sposa (Mt 1,20).
    Il silenzio del Vangelo secondo Marco e delle lettere del Nuovo Testamento sul concepimento
    verginale di Maria è stato talvolta causa di perplessità. Ci si è potuto anche chiedere se non si
    trattasse di leggende o di elaborazioni teologiche senza pretese di storicità. Pertanto la fede nel
    concepimento verginale di Gesù ha incontrato, e incontra ancora oggi, vivace opposizione,
    sarcasmi o incomprensione da parte dei non-credenti.
    Il senso di questo avvenimento è accessibile soltanto alla fede, la quale lo vede in rapporto ai
    misteri di Cristo, dalla sua incarnazione alla sua pasqua. Sant'Ignazio di Antiochia già testimonia
    tale legame: « Rimase nascosta al principe di questo mondo la verginità di Maria e il suo parto,
    come pure la morte del Signore: tre misteri sublimi che si compirono nel silenzio di Dio».
    Maria «sempre Vergine»
    20 LG 56
    21 Concilio Lateranense , 649
    19
    L'approfondimento della fede nella maternità verginale ha condotto la Chiesa a confessare
    la verginità reale e perpetua di Maria anche nel parto del Figlio di Dio fatto uomo. Infatti la
    nascita di Cristo « non ha diminuito la sua verginale integrità, ma l'ha consacrata ».22 La
    liturgia della Chiesa celebra Maria come la “Aeipartheos”, « sempre Vergine ».23
    A ciò si obietta talvolta che la Scrittura parla di fratelli e di sorelle di Gesù. La Chiesa ha sempre
    ritenuto che tali passi non indichino altri figli della Vergine Maria: infatti Giacomo e Giuseppe, «
    fratelli di Gesù » (Mt 13,55), sono i figli di una Maria discepola di Cristo24, la quale è designata in
    modo significativo come « l'altra Maria » (Mt 28,1). Si tratta di parenti prossimi di Gesù.
    Gesù è l'unico Figlio di Maria. Ma la maternità spirituale di Maria si estende a tutti gli
    uomini che egli è venuto a salvare: « Ella ha dato alla luce un Figlio, che Dio ha fatto "il
    primogenito di una moltitudine di fratelli" (Rm 8,29), cioè dei fedeli, alla cui nascita e
    formazione ella coopera con amore di madre ».
    La maternità verginale di Maria nel disegno di Dio
    Lo sguardo della fede può scoprire, in connessione con l'insieme della Rivelazione, le
    ragioni misteriose per le quali Dio, nel suo progetto salvifico, ha voluto che suo Figlio
    nascesse da una Vergine. Queste ragioni riguardano tanto la persona e la missione
    redentrice di Cristo, quanto l'accettazione di tale missione da parte di Maria in favore di
    tutti gli uomini.
    La verginità di Maria manifesta l'iniziativa assoluta di Dio nell'incarnazione. Gesù come Padre non
    ha che Dio. « La natura umana che egli ha assunto non l'ha mai separato dal Padre. [...] Per
    natura Figlio del Padre secondo la divinità, per natura Figlio della Madre secondo l'umanità, ma
    propriamente Figlio di Dio nelle sue due nature ».25
    Gesù, il nuovo Adamo, inaugura con il suo concepimento verginale la nuova nascita dei figli di
    adozione nello Spirito Santo per la fede. « Come è possibile? » (Lc 1,34). La partecipazione alla
    vita divina non proviene « da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio »
    (Gv 1,13). L'accoglienza di questa vita è verginale perché è interamente donata all'uomo dallo
    Spirito.
    Maria è Vergine perché la sua verginità è il segno della sua fede che non era alterata da nessun
    dubbio e del suo totale abbandono alla volontà di Dio.
    Maria è ad un tempo Vergine e Madre perché è la figura e la realizzazione più perfetta della
    Chiesa: « La Chiesa [...] per mezzo della Parola di Dio accolta con fedeltà diventa essa pure
    Madre, poiché con la predicazione e il Battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli,
    concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio. Essa è pure la vergine che custodisce integra
    e pura la fede data allo Sposo ».26
    _______________________
    22 LG 57
    23 LG 52
    24 Mt 27,56
    25 Concilio del Friuli, 796
    26 LG 64
    20
    APPENDICE
    Lettura del dogma nell’iconografia della chiesa ortodossa russa
    L’annunciazione
    “La fonte dell’incorruttibilità,
    nostro Signore Gesù Cristo,
    non è entrato nel mondo
    attraverso un matrimonio, al
    fine di mostrare tramite la
    modalità della sua
    incarnazione questo grande
    mistero e cioè che unicamente
    la purezza è capace di
    accogliere Dio quando si
    presenta per entrare. Infatti,
    ciò che si è compiuto nel corpo
    dell’inviolata vergine Maria a causa della perfetta divinità di Cristo la quale è rifulsa nella Vergine
    stessa, si compie anche in ogni anima che rimane vergine secondo lo spirito; non che il Signore si
    renda più presente corporalmente, ma viene ad abitare spiritualmente, introducendo con sé il Padre”
    (San Gregorio di Nissa, De Virginitate)
    Prendiamo in considerazione un’antichissima icona dell’Annunciazione del XII secolo proveniente
    da un monastero della regione di Novgorod (estremo nord della Russia).
    I due personaggi si presentano come monumentali su un fondo d’oro che rappresenta il mondo del
    divino. Ma che la scena si svolge sulla terra è indicato dalla pedana su cui sta Maria. L’angelo si
    presenta messaggero della divinità: si vede dalla postura; il viso e lo sguardo si impongono; infine
    le vesti rosse, bianche e dorate fanno riferimento al mondo di Dio.
    Per netto contrasto la Vergine appare racchiusa in un atteggiamento di calma, avvolta nel manto
    rosso che ricopre l’abito blu. La testa inclinata esprime accoglienza ed ascolto. Gli occhi, molto
    grandi con gli angoli esterni leggermente reclinati verso il basso ne accentuano l’espressione di
    dolcezza, non guardano l’angelo ma sono fermi sulla visione interiore del mistero compiutosi. La
    mano destra, prima che arrivasse l’angelo era occupata a tessere (tiene in mano la spola). Ma l'atto
    del tessere ha anche significato simbolico: sta tessendo la storia della salvezza. All’arrivo
    dell’angelo ha cessato di lavorare e si è sollevata all’altezza del cuore, dove appare il Verbo
    incarnato. Ma il filo secondo i vangeli apocrifi ha anche un altro significato: serviva a Maria per
    tessere il velo color porpora che ricopriva l’Arca dell’Alleanza, prefigurando così l’umanità che la
    Madre avrebbe tessuto al Figlio.
    La figura di Cristo fanciullo si presenta ieratica, in atto benedicente, chiaramente impregnata di
    divinità in modo da fugare ogni sospetto di una generazione secondo la carne. Maria, Vergine
    Madre, è divenuta la dimora del suo Signore concepito per opera dello Spirito.
    La dimensione divina, o meglio trinitaria dell’avvenimento è rafforzata dalla presenza in alto,
    nella lunetta, della figura di Dio Padre su un trono sorretto dai serafini. Dalla sua mano parte un
    raggio, simbolo dello Spirito Santo, che si dirige verso il seno della Vergine.
    21
    Un testo liturgico di Andrea di Creta composto per i Vespri solenni dell’Annunciazione può aver
    ispirato la composizione di quest’icona: Ineffabile è la natura di questo annientamento; ineffabile è
    il modo di questa concezione. “Un angelo fa da servitore a questa meraviglia: il seno di una
    Vergine riceve il Figlio; lo Spirito Santo la ricopre della sua ombra; il Padre dall’alto dei cieli si
    compiace e questa unione si compie secondo una comune volontà”.
    La Natività
    In questo capolavoro appartenente alla scuola di A.Rublev (XV sec.) si fondono in unità vari
    elementi narrativi: il modello principale riguarda la coppia madre-bambino. Fino al VI secolo Maria
    era raffigurata con il Bambino sulle ginocchia secondo l’insegnamento autorevole di S.Giovanni
    Crisostomo: “Lei stessa posò il Bambino nella mangiatoia, poi lo prese sulle ginocchia”.
    Atteggiamento che indicava ch’ella non aveva sofferto le doglie del parto riflettendo così la
    preoccupazione molto viva in quel periodo di affermarne la verginità perenne. Quando invece la
    verginità fisica non fu più oggetto di dubbio, Maria fu raffigurata distesa come le puerpere a
    sottolineare la concretezza umana dell’evento.
    La scena del bagno del Bambino indica un duplice influsso: dal vangelo apocrifo di Matteo viene
    la figura della levatrice, quale testimone del parto verginale; il bagno del neonato era un elemento
    classico dell’iconografia pagana. Non essendovi però motivo di purificazione per il Verbo
    incarnato, il bagno prese il significato di prefigurazione del battesimo, e di conseguenza la vasca
    assume la forma di un fonte battesimale.
    L’icona si presenta suddivisa in tre fasce orizzontali dove al centro sta la scena della Natività.
    In quella inferiore sono raffigurati gli aspetti terreni dell’evento. A destra aspetti della realtà
    concreta: il bagno e la nutrice; a sinistra aspetti della sua estraneità alle leggi della generazione
    naturale: S.Giuseppe completamente staccato dalla coppia madre-bambino indica la sua non
    partecipazione alla concezione del bambino. Può anche esprimere la difficoltà del pensiero umano a
    entrare nel Mistero. Il personaggio che gli sta di fronte non si sa chi sia con certezza: potrebbe
    essere un personaggio della mitologia pagana oppure una personificazione del diavolo tentatore
    incaricato appunto di rendere difficile a Giuseppe l’abbandono al Mistero.
    Nella fascia centrale compare la prima manifestazione del Verbo incarnato: agli angeli e ai pastori.
    Maria è al centro dell’icona e si presenta distesa nel riposo come ogni donna che ha da poco
    partorito. Allo stesso tempo si presenta come Madre di Dio, che il tappeto rosso intessuto d’oro
    incornicia in una mandorla di gloria. Il Bambino avvolto in fasce anticipa l’Uomo stretto nelle
    22
    bende funerarie e deposto nel sepolcro. Infatti più che in una culla sembra essere deposto in una
    piccola bara. Il suo capo si trova sull’asse verticale dell’icona indicato dal Raggio divino. Proprio
    attorno a questo piccolo Figlio dell’uomo si scatenerà la grande battaglia che s’intravede alle sue
    spalle: la grotta tenebrosa. Però essendo posto sull’Asse del mondo ne è la realtà salvifica
    decisiva.
    Le figure tradizionali del bue e dell’asino (che qui è un cavallo perché in Russia l’asino era
    sconosciuto), illuminate, simboleggiano quella “creazione che attende con impazienza la
    rivelazione dei figli di Dio” (Rm 8,19) e che già ha riconosciuto nel Bambino il Creatore e
    Salvatore.
    Infine nella fascia superiore è rappresentata la manifestazione (epifania) del Signore ai Magi, che in
    Oriente è celebrata insieme alla festa della Natività. La Stella è il segno della presenza di Dio. Gli
    angeli sono in adorazione mentre i Magi che rappresentano coloro che si recano a Betlemme,
    sembrano invece dirigersi verso l’alto, fuori dal tempo, verso il raggio divino, attirati dalla sua luce.
    La terra da cui si eleva la montagna si protende verso la Stella. Il movimento abbraccia la grotta
    oscura ed è potenziato dalla diagonale rosso fuoco della Madre che, in forte contrasto con il nero
    della grotta, sembra ardere dall’interno come una grande fiamma tranquilla.
    Dall’alto la luce rimbalza sulle rocce in cascate trasparenti; fa scintillare tronchi e rami: è il
    preludio della nuova creazione trasfigurata dal Verbo incarnato.
    23
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    00 29/04/2010 10:07
    PATI’ SOTTO PONZIO PILATO
    FU CROCIFISSO, MORI’ E FU SEPOLTO
    DISCESE AGLI INFERI
    PATI’ SOTTO PONZIO PILATO, FU CROCIFISSO …
    La Chiesa resta fedele all'“interpretazione di tutte le Scritture” data da Gesù stesso sia
    prima, sia dopo la sua Pasqua: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste
    sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26-27; Lc 24,44-45). Le sofferenze di Gesù
    hanno preso la loro forma storica concreta dal fatto che egli è stato “riprovato dagli
    anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi” (Mc 8,31), i quali lo hanno consegnato “ai
    pagani” perché fosse “schernito e flagellato e crocifisso” (Mt 20,19).
    La fede può dunque cercare di indagare le circostanze della morte di Gesù, fedelmente
    riferite dai Vangeli e illuminate da altre fonti storiche, al fine di una migliore comprensione
    del senso della Redenzione.
    Gli Ebrei non sono collettivamente responsabili della morte di Gesù.
    Tenendo conto della complessità storica del processo di Gesù espressa nei racconti
    evangelici, e quale possa essere il peccato personale dei protagonisti del processo
    (Giuda, il Sinedrio, Pilato), che Dio solo conosce, non si può attribuirne la responsabilità
    all'insieme degli Ebrei di Gerusalemme, malgrado le grida di una folla manipolata [Cf Mc
    15,11] e i rimproveri collettivi contenuti negli appelli alla conversione dopo la Pentecoste
    [Cf At 2,36; At 3,13-14; At 4,10; 597 At 5,30; At 7,52; At 10,39; At 13,27-28; 1Ts 2,14-
    15 ]. Pietro, sull’esempio di Gesù che sulla croce chiede al Padre il perdono dei suoi
    assassini ‘perché non sanno quello che fanno’, riconosce l'“ignoranza” (At 3,17) degli
    Ebrei di Gerusalemme ed anche dei loro capi.
    Nel Concilio Vaticano II la Chiesa ha dichiarato: “Quanto è stato commesso durante la
    Passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli
    Ebrei del nostro tempo. . . Gli Ebrei non devono essere presentati né come rigettati da Dio,
    né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura” [Conc. Ecum. Vat. II,
    Nostra aetate, 4].
    Tutti i peccatori furono gli autori della Passione di Cristo
    La Chiesa, nel magistero della sua fede e nella testimonianza dei suoi santi, non ha mai
    dimenticato che “ogni singolo peccatore è realmente causa e strumento delle. sofferenze”
    del divino Redentore [Catechismo Romano, 1, 5, 11; cf Eb 12,3 ]. Tenendo conto del fatto
    che i nostri peccati offendono Cristo stesso, [Cf Mt 25,45; At 9,4-5 ] la Chiesa non esita ad
    imputare ai cristiani la responsabilità più grave nel supplizio di Gesù, responsabilità che
    troppo spesso essi hanno fatto ricadere unicamente sugli Ebrei.
    È chiaro che più gravemente colpevoli sono coloro che più spesso ricadono nel peccato.
    Se infatti le nostre colpe hanno tratto Cristo al supplizio della croce, coloro che si
    immergono nell'iniquità crocifiggono nuovamente, per quanto sta in loro, il Figlio di Dio e lo
    scherniscono [Cf Eb 6,6 ] con un delitto ben più grave in loro che non negli Ebrei. Questi
    infatti - afferma san Paolo non avrebbero crocifisso Gesù se lo avessero conosciuto come
    re divino [Cf 1Cor 2,8 ].
    ”E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo
    crocifiggi, quando ti diletti nei vizi e nei peccati” [San Francesco d'Assisi, Admonitio, 5, 3].
    24
    MORI’ …
    La morte redentrice di Cristo nel disegno divino della salvezza
    “Gesù consegnato secondo il disegno prestabilito di Dio”
    La morte violenta di Gesù non è stata frutto del caso in un concorso sfavorevole di
    circostanze. Essa appartiene al mistero del disegno di Dio, come spiega san Pietro agli
    Ebrei di Gerusalemme fin dal suo primo discorso di Pentecoste: “Egli fu consegnato a voi
    secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio” (At 2,23). Questo linguaggio biblico
    non significa che quelli che hanno “consegnato” Gesù (At 3,13) siano stati solo esecutori
    passivi di una vicenda scritta in precedenza da Dio. Egli stabilì dunque il suo disegno
    eterno di “predestinazione” includendovi la risposta libera di ogni uomo alla sua grazia.
    Dio ha permesso che Erode, Ponzio Pilato, con le genti e i popoli d'Israele commettessero
    quegli atti derivati dal loro accecamento [Cf Mt 26,54; Gv 18,36; Gv 19,11 ] al fine di
    compiere il suo disegno di salvezza [Cf At 3,17-18 ].
    “Dio l'ha fatto peccato per noi”
    I peccati degli uomini, conseguenti al peccato originale, sono sanzionati dalla morte [Cf
    Rm 5,12; 1Cor 15,56 ]. Inviando il suo proprio Figlio nella condizione di servo, [Cf Fil 2,7 ]
    quella di una umanità decaduta e votata alla morte a causa del peccato, [Cf Rm 8,3 ]
    “colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché
    noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21).
    Gesù non ha conosciuto la riprovazione come se egli stesso avesse peccato [Cf Gv 8,46 ],
    ma nell'amore redentore che sempre lo univa al Padre, [Cf Gv 8,29 ] egli ci ha assunto
    nella nostra separazione da Dio a causa del peccato al punto da poter dire a nome nostro
    sulla croce: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34; 603 Sal 22,2).
    Dio ha l'iniziativa dell'amore redentore universale
    Nel consegnare suo Figlio per i nostri peccati, Dio manifesta che il suo disegno su di noi è
    un disegno di amore benevolo che precede ogni merito da parte nostra. “In questo sta
    l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo
    Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10) [Cf 1Gv 4,19 ]. “Dio
    dimostra il suo amore verso di noi, perché mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è
    morto per noi” (Rm 5,8).
    Questo amore è senza esclusioni. La Chiesa, seguendo gli Apostoli, [Cf 2Cor 5,15; 1Gv
    2,2) insegna che Cristo è morto per tutti senza eccezioni: “Non vi è, non vi è stato, non vi
    sarà alcun uomo per il quale Cristo non abbia sofferto” (Concilio di Quierzy (853)).
    Questo desiderio di abbracciare il disegno di amore redentore del Padre suo anima tutta la
    vita di Gesù [Cf Lc 12,50; Lc 22,15; Mt 16,21-23] perché la sua Passione redentrice è la
    ragion d'essere della sua Incarnazione: “Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono
    giunto a quest'ora!” (Gv 12,27). “Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?”
    (Gv 18,11).
    25
    Gesù sostituisce la sua obbedienza alla nostra disobbedienza
    “Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per
    l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti” ( Rm 5,19). Con la sua obbedienza
    fino alla morte, Gesù ha compiuto la sostituzione del Servo sofferente che offre “se stesso
    in espiazione ”, mentre porta “il peccato di molti”, e li giustifica addossandosi “la loro
    iniquità” [Cf Is 53,10-12 ]. Gesù ha riparato per i nostri errori e dato soddisfazione al Padre
    per i nostri peccati [Cf. Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1529].
    “Sua sanctissima passione in ligno crucis nobis justificationem meruit - La sua santissima
    passione sul legno della croce ci meritò la giustificazione”, insegna il Concilio di Trento,
    [Denz.1529] sottolineando il carattere unico del sacrificio di Cristo come “causa di
    salvezza eterna” (Eb 5,9). E la Chiesa venera la croce cantando: “O crux, ave, spes unica
    - Ave, o croce, unica speranza”.
    La nostra partecipazione al sacrificio di Cristo
    La croce è l'unico sacrificio di Cristo, che è il solo “mediatore tra Dio e gli uomini” (1Tm
    2,5). Ma, poiché nella sua Persona divina incarnata, “si è unito in certo modo ad ogni
    uomo”, egli offre “a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, con
    il mistero pasquale” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22]. Egli chiama i suoi
    discepoli a prendere la loro croce e a seguirlo. Infatti egli vuole associare al suo sacrificio
    redentore quelli stessi che ne sono i primi beneficiari [Cf Mc 10,39; Gv 21,18-19; Col
    1,24].
    … E FU SEPOLTO.
    Nel suo disegno di salvezza, Dio ha disposto che il Figlio suo non solamente morisse “per
    i nostri peccati” (1Cor 15,3) ma anche “provasse la morte”, ossia conoscesse lo stato di
    morte, lo stato di separazione tra la sua anima e il suo Corpo per il tempo compreso tra il
    momento in cui egli è spirato sulla croce e il momento in cui è risuscitato. Questo stato di
    Cristo morto è il Mistero del sepolcro e della discesa agli inferi. È il Mistero del Sabato
    Santo in cui Cristo deposto nel sepolcro [Cf Gv 19,42 ] manifesta il grande riposo
    sabbatico di Dio [Cf Eb 4,4-9 ].
    Cristo nel sepolcro con il suo Corpo
    Dio [il Figlio] non ha impedito che la morte separasse l'anima dal corpo, come
    naturalmente avviene, ma egli li ha di nuovo ricongiunti l'uno all'altra con la Risurrezione,
    al fine di essere lui stesso, nella sua Persona, il punto d'incontro della morte e della vita
    arrestando in sé la decomposizione della natura causata dalla morte e divenendo lui
    stesso principio di riunione per le parti separate [San Gregorio di Nissa, Oratio
    catechetica, 16: PG 45, 52B].
    La morte di Cristo è stata una vera morte in quanto ha messo fine alla sua esistenza
    umana terrena. Ma a causa dell'unione che la Persona del Figlio ha mantenuto con il suo
    26
    Corpo, non si è trattato di uno spogliamento mortale come gli altri, perché “non era
    possibile che” la morte “lo tenesse in suo potere” [At 2,24].
    DISCESE AGLI INFERI
    Le frequenti affermazioni del Nuovo Testamento secondo le quali Gesù “è risuscitato dai
    morti” (At 3,15; Rm 8,11; 1Cor 15,20) presuppongono che, preliminarmente alla
    Risurrezione, egli abbia dimorato nel soggiorno dei morti [Cf Eb 13,20 ]. È il senso primo
    che la predicazione apostolica ha dato alla discesa di Gesù agli inferi: Gesù ha conosciuto
    la morte come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la sua anima nella dimora dei morti. Ma
    egli vi è disceso come Salvatore, proclamando la Buona Novella agli spiriti che vi si
    trovavano prigionieri [Cf 1Pt 3,18-19 ].
    La Scrittura chiama inferi, shéol o ade [Cf Fil 2,10; At 2,24; Ap 1,18; Ef 4,9 ] il soggiorno
    dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si trovano sono privati della
    visione di Dio [Cf Sal 6,6; Sal 88,11-13 ]. Tale infatti è, nell'attesa del Redentore, la sorte
    di tutti i morti, cattivi o giusti; [Cf Sal 89,49; 633 1Sam 28,19; Ez 32,17-32 ]. “Furono
    appunto le anime di questi giusti in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù disceso
    all'inferno” [Catechismo Romano, 1, 6, 3]. Gesù non è disceso agli inferi per liberare i
    dannati [Cf Concilio di Roma (745),ma per liberare i giusti che l'avevano preceduto.
    La discesa agli inferi è il pieno compimento dell'annunzio evangelico della salvezza. È la
    fase ultima della missione messianica di Gesù, fase condensata nel tempo ma
    immensamente ampia nel suo reale significato di estensione dell'opera redentrice a tutti gli
    uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, perché tutti coloro i quali sono salvati sono stati resi
    partecipi della Redenzione.
    Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re
    dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato ed ha
    svegliato coloro che da secoli dormivano. . . Egli va a cercare il primo padre, come la pecora
    smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di
    morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva, che si trovano in
    prigione. . . “Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio. Svegliati, tu che dormi!
    Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la
    Vita dei morti” .
    [Da un'antica “Omelia sul Sabato Santo”: PG 43, 440A. 452C, cf Liturgia delle Ore, II, Ufficio
    delle letture del Sabato Santo].
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    00 29/04/2010 10:09
    IL TERZO GIORNO RISUSCITÒ DA MORTE;
    SALÌ AL CIELO, SIEDE ALLA DESTRA DI DIO PADRE ONNIPOTENTE;
    DI LÀ VERRÀ A GIUDICARE I VIVI E I MORTI.
    27
    IL TERZO GIORNO RISUSCITO' DAI MORTI
    Noi vi annunziamo la Buona Novella che la promessa fatta ai padri si è compiuta, poiché
    Dio l'ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù” (At 13,32-33). La Risurrezione di
    Gesù è la verità culminante della nostra fede in Cristo, creduta e vissuta come verità
    centrale dalla prima comunità cristiana, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione,
    stabilita dai documenti del Nuovo Testamento, predicata come parte essenziale del
    Mistero pasquale insieme con la croce:
    Cristo è risuscitato dai morti. Con la sua morte ha vinto la morte, Ai morti ha dato la vita [Liturgia
    bizantina, Tropario di Pasqua].
    L'avvenimento storico e trascendente
    Il mistero della Risurrezione di Cristo è un avvenimento reale che ha avuto manifestazioni
    storicamente constatate, come attesta il Nuovo Testamento. Già verso l'anno 56 san
    Paolo può scrivere ai cristiani di Corinto: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che
    anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu
    sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi
    ai Dodici” (1Cor 15,3-4).
    Il sepolcro vuoto
    “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato” (Lc 24,5-6). Nel
    quadro degli avvenimenti di Pasqua, il primo elemento che si incontra è il sepolcro vuoto.
    Non è in sé una prova diretta. L'assenza del corpo di Cristo nella tomba potrebbe
    spiegarsi altrimenti [Cf .Gv 20,13; Mt 28,11-15]. Malgrado ciò, il sepolcro vuoto ha
    costituito per tutti un segno essenziale. La sua scoperta da parte dei discepoli è stato il
    primo passo verso il riconoscimento dell'evento della Risurrezione. Dapprima è il caso
    delle pie donne, [Cf. Lc 24,3; Lc 24,22-23 ] poi di Pietro [Cf. Lc 24,12]. “Il discepolo... che
    Gesù amava” (Gv 20,2) afferma che, entrando nella tomba vuota e scorgendo “le bende
    per terra” (Gv 20,6), “vide e credette” (Gv 20,8). Ciò suppone che egli abbia constatato,
    dallo stato in cui si trovava il sepolcro vuoto, [Cf. Gv 20,5-7 ] che l'assenza del corpo di
    Gesù non poteva essere opera umana e che Gesù non era semplicemente ritornato ad
    una vita terrena come era avvenuto per Lazzaro [Cf. Gv 11,44 ].
    Le apparizioni del Risorto
    Maria di Magdala e le pie donne che andavano a completare l'imbalsamazione del Corpo
    di Gesù, sepolto in fretta la sera del Venerdì Santo a causa del sopraggiungere del
    Sabato, [Cf .Gv 19,31; Gv 19,42] sono state le prime ad incontrare il Risorto [Cf. Mt 28,9-
    10; Gv 20,11-18]. Le donne furono così le prime messaggere della Risurrezione di Cristo
    per gli stessi Apostoli [Cf. Lc 24,9-10]. A loro Gesù appare in seguito: prima a Pietro, poi ai
    Dodici [Cf.1Cor 15,5 ]. Pietro, chiamato a confermare la fede dei suoi fratelli, [Cf. Lc 22,31-
    28
    32] vede dunque il Risorto prima di loro ed è sulla sua testimonianza che la comunità
    esclama: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone” (Lc 24,34).
    Tutto ciò che è accaduto in quelle giornate pasquali impegna ciascuno degli Apostoli - e
    Pietro in modo del tutto particolare - nella costruzione dell'era nuova che ha inizio con il
    mattino di Pasqua. Come testimoni del Risorto essi rimangono le pietre di fondazione della
    sua Chiesa. La fede della prima comunità dei credenti è fondata quindi sulla testimonianza
    di uomini concreti, conosciuti dai cristiani e, nella maggior parte, ancora vivi in mezzo a
    loro. Questi testimoni della Risurrezione di Cristo [Cf.At 1,22] sono prima di tutto Pietro e i
    Dodici, ma non solamente loro: Paolo riferisce chiaramente di più di cinquecento persone
    alle quali Gesù è apparso in una sola volta, oltre che a Giacomo e a tutti gli Apostoli
    [Cf.Cor 15,4-8].
    Davanti a queste testimonianze è impossibile interpretare la Risurrezione di Cristo senza
    riconoscerla come un avvenimento storico. Risulta dai fatti che la fede dei discepoli è stata
    sottoposta alla prova radicale della passione e della morte in croce del loro Maestro che
    aveva lui stesso preannunziata [Cf. Lc 22,31-32]. Lo sconcerto provocato dalla passione fu
    così grande che i discepoli (almeno alcuni di loro) non credettero subito alla notizia della
    Risurrezione. I Vangeli non ci presentano una comunità presa da una esaltazione mistica,
    quanto piuttosto i discepoli in preda ad un evidente smarrimento [Avevano il “volto
    triste”:Lc 24,17 ] e spaventati, [Cf.Gv 20,19]. Si sono rifiutati di credere alle pie donne che
    tornavano dal sepolcro, tanto che “quelle parole parvero loro come un vaneggiamento” (Lc
    24,11; Cf. Mc 16,11; Mc 16,13). Ed è Gesù stesso quando si manifesta agli Undici la sera
    di Pasqua che li rimprovera “per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano
    creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato” (Mc 16,14). Tuttavia, anche messi davanti
    alla realtà di Gesù risuscitato, i discepoli dubitano ancora, [Cf. Lc 24,38] tanto la cosa
    appare loro impossibile: credono di vedere un fantasma [Cf. Lc 24,39]. “Per la grande gioia
    ancora non credevano ed erano stupefatti” (Lc 24,41). Tommaso conobbe la medesima
    prova del dubbio [Cf.Gv 20,24-27] e, quando vi fu l'ultima apparizione in Galilea riferita da
    Matteo, “alcuni dubitavano” (Mt 28,17). Per tutte queste numerose testimonianze, l'ipotesi
    secondo cui la Risurrezione sarebbe stata un “prodotto” della fede (o della credulità) degli
    Apostoli, non ha fondamento. Al contrario, la loro fede nella Risurrezione è nata - sotto
    l'azione della grazia divina - dall'esperienza diretta della realtà di Gesù Risorto.
    Lo stato dell'umanità di Cristo risuscitata
    Gesù risorto stabilisce con i suoi discepoli rapporti diretti, attraverso il contatto [Cf. Lc
    24,39; Gv 20,27] e la condivisione del pasto [Cf. Lc 24,30; Lc 24,41-43; Gv 21,9; Gv
    21,13-15]. Li invita a riconoscere da questi contatti che egli non è un fantasma, [Cf. Lc
    24,39] ma soprattutto a constatare che il corpo risuscitato con il quale si presenta a loro è
    il medesimo che è stato martoriato e crocifisso, poiché porta ancora i segni della passione
    [Cf. Lc 24,40; Gv 20,20; Gv 20,27 ]. Questo corpo autentico e reale possiede però al
    tempo stesso le proprietà nuove di un corpo glorioso; esso non è più situato nello spazio e
    nel tempo, ma può rendersi presente a suo modo dove e quando vuole, [Cf. Mt 28,9; Mt
    28,16-17; Lc 24,15; Lc 24,36; Gv 20,14; Gv 20,19; Gv 20,26; Gv 21,4] poiché la sua
    umanità non può più essere trattenuta sulla terra essendo ormai appartenente alla sfera
    divina del Padre [Cf.Gv 20,17]. Anche per questa ragione Gesù risorto è libero di apparire
    come vuole: sotto l'aspetto di un giardiniere [Cf.Gv 20,14-15] o sotto altre sembianze, [Cf.
    29
    Mc 16,12] che erano familiari ai discepoli, e ciò per suscitare la loro fede [Cf. Gv 20,14; Gv
    20,16; Gv 21,4; Gv 20,7].
    La Risurrezione come evento trascendente
    “O notte - canta l'“Exultet” di Pasqua - tu solo hai meritato di conoscere il tempo e l'ora in
    cui Cristo è risorto dagli inferi”. Infatti, nessuno è stato testimone oculare dell'avvenimento
    stesso della Risurrezione e nessun evangelista lo descrive. Nessuno ha potuto dire come
    essa sia avvenuta fisicamente. Ancor meno fu percettibile ai sensi la sua essenza più
    intima, il passaggio ad un'altra vita. Avvenimento storico constatabile attraverso il segno
    del sepolcro vuoto e la realtà degli incontri degli Apostoli con Cristo risorto, la Risurrezione
    resta in ciò in cui trascende e supera la storia, al cuore del Mistero della fede. Per questo
    motivo Cristo risorto non si manifesta al mondo, ma ai suoi discepoli, [Cf. Gv 14,22] “a
    quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme”, i quali “ora sono i suoi
    testimoni davanti al popolo” (At 13,31).
    Senso e portata salvifica della Risurrezione
    “Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione e vana anche la vostra
    fede” (Cor 15,14). La Risurrezione costituisce anzitutto la conferma di tutto ciò che Cristo
    stesso ha fatto e insegnato. Tutte le verità, anche le più inaccessibili allo spirito umano,
    trovano la loro giustificazione se, risorgendo, Cristo ha dato la prova definitiva, che aveva
    promesso, della sua autorità divina.
    La verità della divinità di Gesù è confermata dalla sua Risurrezione. Egli aveva detto:
    “Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono” (Gv 8,28). La
    Risurrezione del Crocifisso dimostrò che egli era veramente “Io Sono”, il Figlio di Dio e Dio
    egli stesso.
    Vi è un duplice aspetto nel Mistero pasquale: con la sua morte Cristo ci libera dal peccato,
    con la sua Risurrezione ci dà accesso ad una nuova vita. Questa è dapprima la
    giustificazione che ci mette nuovamente nella grazia di Dio [Cf. Rm 4,25] “perché, come
    Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo
    camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). Essa consiste nella vittoria sulla morte del
    peccato e nella nuova partecipazione alla grazia [Cf. Ef 2,4-5; 1Pt 1,3]. Essa poi compie
    l'adozione filiale poiché gli uomini diventano fratelli di Cristo, come Gesù stesso chiama i
    suoi discepoli dopo la sua Risurrezione: “Andate ad annunziare ai miei fratelli” (Mt.28,10;
    Gv 20,17). Fratelli non per natura, ma per dono della grazia, perché questa filiazione
    adottiva procura una reale partecipazione alla vita del Figlio unico, la quale si è
    pienamente rivelata nella sua Risurrezione.
    Infine, la Risurrezione di Cristo - e lo stesso Cristo risorto - è principio e sorgente della
    nostra risurrezione futura: “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. .
    . e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo” (1Cor 15,20-22).
    Nell'attesa di questo compimento, Cristo risuscitato vive nel cuore dei suoi fedeli. “Egli è
    morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è
    morto e risuscitato per loro” (2Cor 5,15).
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    00 29/04/2010 10:10
    GESU' SALI' AL CIELO, SIEDE ALLA DESTRA DI DIO PADRE ONNIPOTENTE
    Salì al Cielo
    “Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di
    Dio” (Mc 16,19). Il Corpo di Cristo è stato glorificato fin dall'istante della sua Risurrezione,
    come lo provano le proprietà nuove e soprannaturali di cui ormai gode in modo
    permanente [Cf. Lc 24,31; Gv 20,19; Gv 20,26]. Ma durante i quaranta giorni nei quali egli
    mangia e beve familiarmente con i suoi discepoli [Cf. At 10,41] e li istruisce sul Regno, [Cf.
    At 1,3] la sua gloria resta ancora velata sotto i tratti di una umanità ordinaria [Cf. Mc 16,12;
    Lc 24,15; Gv 20,14-15; Gv 21,4 ]. L'ultima apparizione di Gesù termina con l'entrata
    irreversibile della sua umanità nella gloria divina simbolizzata dalla nube [Cf.At 1,9; cf.
    anche Lc 9,34-35] e dal cielo [Cf. Lc 24,51] ove egli siede ormai alla destra di Dio [Cf. Mc
    16,19; At 2,33; At 7,56].
    Quest'ultima tappa rimane strettamente unita alla prima, cioè alla discesa dal cielo
    realizzata nell'Incarnazione. Solo colui che è “uscito dal Padre” può far ritorno al Padre:
    Cristo [Cf. Gv 16,28]. “Nessuno è mai salito al cielo fuorché il Figlio dell'uomo che è
    disceso dal cielo” (Gv 3,13) [Cf. Ef 4,8-10].
    Siede alla destra del Padre
    Cristo, ormai, siede alla destra del Padre. “Per destra del Padre si intende la gloria e
    l'onore della divinità, ove colui che esisteva come Figlio di Dio prima di tutti i secoli come
    Dio e della stessa sostanza del Padre, s'è assiso corporalmente dopo che si è incarnato e
    la sua carne è stata glorificata” [San Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, 4, 2, 2: PG
    94, 1104D].
    L'essere assiso alla destra del Padre significa l'inaugurazione del regno del Messia,
    compimento della visione del profeta Daniele riguardante il Figlio dell'uomo: “ [Il Vegliardo]
    gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è
    un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto”
    (Dn 7,14).
    DI LA' VERRA' A GIUDICARE I VIVI E I MORTI
    In linea con i profeti [Cf. Mt 3] e Giovanni Battista, [Cf. Mc 12,38-40] Gesù ha annunziato
    nella sua predicazione il Giudizio dell'ultimo Giorno. Allora saranno messi in luce la
    condotta di ciascuno [Cf. Lc 12,1-3; Gv 3,20-21; Rm 2,16; 1Cor 4,5 ] e il segreto dei cuori
    31
    [Cf. Mt 11,20-24; Mt 12,41-42 ]. Allora verrà condannata l'incredulità colpevole, che non ha
    tenuto in alcun conto la grazia offerta da Dio. Sarà l'atteggiamento verso il prossimo a
    rivelare l'accoglienza o il rifiuto della grazia e dell'amore divino [Cf. Mt 5,22; Mt 7,1-5].
    Gesù dirà nell'ultimo giorno: “Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi
    miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Mt 25,40).
    Cristo è Signore della vita eterna. Il pieno diritto di giudicare definitivamente le opere e i
    cuori degli uomini appartiene a lui in quanto Redentore del mondo. Egli ha “acquisito”
    questo diritto con la sua croce. Anche il Padre “ha rimesso ogni giudizio al Figlio” (Gv
    5,22) [Cf. Gv 5,27; Mt 25,31; At 10,42; At 17,31; 2Tm 4,1]. Ora, il Figlio non è venuto per
    giudicare, ma per salvare [Cf. Gv 3,17] e per donare la vita che è in lui [Cf. Gv 5,26]. È per
    il rifiuto della grazia nella vita presente che ognuno si giudica già da se stesso, [Cf. Gv
    3,18; Gv 12,48] riceve secondo le sue opere [Cf. 1Cor 3,12-15] e può anche condannarsi
    per l'eternità rifiutando lo Spirito d'amore [Cf. Mt 12,32; Eb 6,4-6; Eb 10,26-31].
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    00 29/04/2010 10:12
    CREDO NELLO SPIRITO SANTO

    Conduce e ridesta alla fede

    “Nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo” (1Cor 12,3).
    “Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!” (Gal 4,6).
    Questa conoscenza di fede è possibile solo nello Spirito Santo. Per essere in contatto con
    Cristo, bisogna dapprima essere stati toccati dallo Spirito Santo. È lui che ci precede e
    suscita in noi la fede. In forza del nostro Battesimo, primo sacramento della fede, la Vita,
    che ha la sua sorgente nel Padre e ci è offerta nel Figlio, ci viene comunicata intimamente
    e personalmente dallo Spirito Santo nella Chiesa.
    Lo Spirito Santo con la sua grazia è il primo nel destare la nostra fede e nel suscitare la
    vita nuova che consiste nel conoscere il Padre e colui che ha mandato, Gesù Cristo [Cf.
    Gv 17,3]. Tuttavia è l'ultimo nella rivelazione delle Persone della Santa Trinità.
    San Gregorio Nazianzeno, spiega questa progressione introducendo l’espressione
    “pedagogia della condiscendenza” divina:
    ”L'Antico Testamento proclamava chiaramente il Padre, più oscuramente il Figlio. Il Nuovo
    ha manifestato il Figlio, ha fatto intravvedere la divinità dello Spirito. Ora lo Spirito ha diritto
    di cittadinanza in mezzo a noi e ci accorda una visione più chiara di se stesso. Infatti non
    era prudente, quando non si professava ancora la divinità del Padre, proclamare
    apertamente il Figlio e, quando non era ancora ammessa la divinità del Figlio, aggiungere
    lo Spirito Santo come un fardello supplementare, per usare un'espressione un po' ardita. . .
    Solo attraverso un cammino di avanzamento e di progressso di gloria in gloria”, la luce
    della Trinità sfolgorerà in più brillante trasparenza ”27
    “I segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio” (1Cor 2,11).
    Ora, il suo Spirito, che lo rivela, ci fa conoscere Cristo, suo Verbo, sua Parola vivente.
    Colui che “ha parlato per mezzo dei profeti” ci fa udire la Parola del Padre. Lui, però, non
    lo sentiamo in modo diretto. Lo possiamo conoscere nel movimento in cui ci rivela il Verbo
    (Parola) e ci dispone ad accoglierlo nella fede. Lo Spirito di Verità che ci svela Cristo non
    parla da sé [Cf. Gv 16,13]. Questo chiarisce il motivo per cui “il mondo non può ricevere” lo
    Spirito, “perché non lo vede e non lo conosce”, mentre coloro che credono in Cristo lo
    conoscono perché “dimora” presso di loro [Cf. Gv 14,17].
    Si fa conoscere nella Chiesa
    La Chiesa, comunione vivente nella fede degli Apostoli che essa trasmette, è il luogo della
    nostra conoscenza dello Spirito Santo:
    - nelle Scritture, che egli ha ispirato;
    - nella Tradizione di cui i Padri della Chiesa sono sono i testimoni sempre attuali;
    - nel Magistero della Chiesa che egli assiste;
    - nella Liturgia sacramentale, attraverso le sue parole e i suoi simboli, in cui lo
    27 San Gregorio Nazianzeno, Orationes theologicae, 5, 26: PG 36, 161C
    33
    Spirito Santo ci mette in comunione con Cristo;
    - nella preghiera, nella quale intercede per noi;
    - nei carismi e nei ministeri che edificano la Chiesa;
    - nei segni di vita apostolica e missionaria;
    - nella testimonianza dei santi, in cui egli manifesta la sua santità e continua l'opera
    della salvezza.
    Gli appellativi dello Spirito Santo
    Gesù, quando annunzia e promette la venuta dello Spirito Santo, lo chiama “Paraclito”,
    letteralmente: “Colui che è chiamato vicino”, “ad-vocatus” (Gv 14,16; Gv 14,26; Gv 15,26;
    Gv 16,7). “Paraclito” che viene abitualmente tradotto “Consolatore”, essendo Gesù il primo
    consolatore [Cf. 1Gv 2,1 ].
    Il Signore stesso chiama lo Spirito Santo anche “Spirito di verità” (Gv 16,13).28
    I simboli dello Spirito Santo
    L'acqua. Il simbolismo dell'acqua significa l'azione dello Spirito Santo nel Battesimo,
    poiché dopo l'invocazione dello Spirito Santo, essa diviene il segno sacramentale efficace
    della nuova nascita: come la gestazione della nostra prima nascita si è operata nell'acqua,
    allo stesso modo l'acqua battesimale significa realmente che la nostra nascita alla vita
    divina ci è donata nello Spirito Santo. Maoltre che “battezzati in un solo Spirito”, noi “ci
    siamo” anche “abbeverati a un solo Spirito” (1Cor 12,13). Lo Spirito, dunque, è anche
    l'acqua viva che scaturisce da Cristo crocifisso come dalla sua sorgente [Cf. Gv 19,34;
    1Gv 5,8] e che in noi zampilla per la Vita eterna [Cf. Gv 4,10-14; Gv 7,38; Es 17,1-6; Is
    55,1; 1Cor 10,4; Ap 21,6; Ap 22,17].
    L'unzione. Il simbolismo dell'unzione con l'olio è talmente significativa dello Spirito Santo
    da divenirne addirittura il sinonimo [Cf. 1Gv 2,20; 1Gv 2,27; 2Cor 1,21]. Nell'iniziazione
    cristiana essa è il segno sacramentale della Confermazione, chiamata giustamente nelle
    Chiese d'Oriente “Crismazione”. Ma per coglierne tutta la forza, bisogna rifarsi sempre alla
    prima unzione compiuta dallo Spirito Santo: quella di Gesù.
    Cristo [“Messia”, in ebraico] significa “Unto” dallo Spirito di Dio.
    Il fuoco. Mentre l'acqua significava la nascita e la fecondità della Vita donata nello Spirito
    Santo, il fuoco simbolizza l'energia trasformante degli atti dello Spirito Santo. Il profeta
    Elia, che “sorse simile al fuoco” e la cui “parola bruciava come fiaccola” (Sir 48,1), con la
    sua preghiera attira il fuoco del cielo sul sacrificio del monte Carmelo, [Cf. 1Re 18,38-39]
    pre-figura del fuoco dello Spirito Santo che trasforma ciò che tocca. Giovanni Battista, che
    cammina innanzi al Signore “con lo spirito e la forza di Elia” (Lc 1,17) annunzia Cristo
    come colui che “battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Lc 3,16), quello Spirito di cui Gesù
    dirà: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc
    12,49). È sotto la forma di “lingue come di fuoco” che lo Spirito Santo si posa sui discepoli
    il mattino di Pentecoste e li riempie di sé (At 2,3-4). La tradizione spirituale riterrà il
    simbolismo del fuoco come uno dei più espressivi dell'azione dello Spirito Santo [Cf. San
    Giovanni della Croce, Fiamma viva d'amore].
    28 Vedi anche CCC n.693
    34
    La nube e la luce. Questi due simboli sono inseparabili nelle manifestazioni dello Spirito
    Santo. Fin dalle teofanie dell'Antico Testamento, la Nube, ora oscura, ora luminosa, rivela
    il Dio vivente e salvatore, velando la trascendenza della sua Gloria: con Mosè sul monte
    Sinai, [Cf. Es 24,15-18] e durante il cammino nel deserto; [Cf. Es 40,36-38].
    Queste figure sono portate a compimento da Cristo nello Spirito Santo. È questi che
    scende sulla Vergine Maria e su di lei stende la “sua ombra”, affinché ella concepisca e
    dia alla luce Gesù [Cf. Lc 1,35]. Sulla montagna della Trasfigurazione è lui che viene nella
    nube che avvolge Gesù, Mosè e Elia, Pietro, Giacomo e Giovanni, e “dalla nube” esce una
    voce che dice: “Questi è il mio Figlio, l'eletto; ascoltatelo” (Lc 9,34-35). Infine, è la stessa
    Nube che sottrae Gesù allo sguardo dei discepoli il giorno dell'Ascensione [Cf. At 1,9 ] e
    che lo rivelerà Figlio dell'uomo nella sua gloria il giorno della sua venuta [Cf. Lc 21,27 ].
    La mano. Imponendo le mani Gesù guarisce i malati [Cf. Mc 6,5; Mc 8,23 ] e benedice i
    bambini [Cf. Mc 10,16 ]. Nel suo Nome, gli Apostoli compiranno gli stessi gesti [Cf. Mc
    16,18; At 5,12; At 14,3]. Ancor di più, è mediante l'imposizione delle mani da parte degli
    Apostoli che viene donato lo Spirito Santo [Cf. At 8,17-19; At 13,3; At 19,6 ].
    La Chiesa ha conservato questo segno dell'effusione onnipotente dello Spirito Santo nelle
    epiclesi sacramentali.
    Il dito. “Con il dito di Dio” Gesù scaccia “i demoni” (Lc 11,20). Se la Legge di Dio è stata
    scritta su tavole di pietra “dal dito di Dio” (Es 31,18), “la lettera di Cristo”, affidata alle cure
    degli Apostoli, è “scritta con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle
    tavole di carne dei cuori” (2Cor 3,3). L'inno “Veni, Creator Spiritus” invoca lo Spirito Santo
    come “digitus paternae dexterae - dito della destra del Padre”.
    La colomba. Quando Cristo risale dall'acqua del suo battesimo, lo Spirito Santo, sotto
    forma di colomba, scende su di lui e in lui rimane [Cf. Mt 3,16]. Per analogia lo Spirito
    scende e prende dimora nel cuore purificato dei battezzati.
    In alcune chiese, la santa Riserva eucaristica è conservata in una custodia metallica a
    forma di colomba (il columbarium) appeso al di sopra dell'altare. Il simbolo della colomba
    per indicare lo Spirito Santo è tradizionale nell'iconografia cristiana.
    Lo Spirito e la Parola di Dio nel tempo delle promesse (Primo Testamento)
    Dalle origini fino alla “pienezza del tempo” (Gal 4,4), la missione congiunta del Verbo e
    dello Spirito del Padre rimane nascosta, ma è all'opera. Lo Spirito di Dio va preparando il
    tempo del Messia, e l'uno e l'altro, pur non essendo ancora pienamente rivelati, vi sono già
    promessi, affinché siano attesi e accolti al momento della loro manifestazione. Per questo,
    quando la Chiesa legge l'Antico Testamento, [Cf. 2Cor 3,14] vi cerca [Cf. Gv 5,39; Gv
    5,46] ciò che lo Spirito, “che ha parlato per mezzo dei profeti”, vuole dirci di Cristo.
    Lo Spirito di Cristo nella pienezza del tempo (Nuovo Testamento)
    Tutta la missione del Figlio e dello Spirito Santo nella pienezza del tempo è racchiusa nel
    fatto che il Figlio è l'Unto dello Spirito del Padre dal momento dell'Incarnazione: Gesù è
    Cristo, il Messia.
    Tutto il secondo articolo del Simbolo della fede deve essere letto in questa luce. L'intera
    opera di Cristo è missione congiunta del Figlio e dello Spirito Santo. Qui si menzionerà
    soltanto ciò che concerne la promessa dello Spirito Santo da parte di Gesù e il dono dello
    35
    Spirito da parte del Signore glorificato.
    Gesù rivela in pienezza lo Spirito Santo solo dopo che è stato egli stesso glorificato con la
    sua Morte e Risurrezione. Tuttavia, lo lascia gradualmente intravvedere anche nel suo
    insegnamento alle folle, quando ad esempio rivela che la sua carne sarà cibo per la vita
    del mondo [Cf. Gv 6,27; Gv 6,51; Gv 6,62-63], alla donna samaritana (cfr. Gv 4,7-24).
    Ai suoi discepoli invece ne parla apertamente a proposito della preghiera [Cf. Lc 11,13 ] e
    della testimonianza che dovranno dare [Cf.Mt 10,19-20].
    Tuttavia è solo quando giunge l'Ora in cui sarà glorificato, che Gesù promette la venuta
    dello Spirito Santo, poiché la sua Morte e la sua Risurrezione saranno il compimento della
    Promessa fatta ai Padri: [Cf. Gv 14,16-17; Gv 14,26; Gv 15,26; Gv 16,7-15;] lo Spirito di
    verità, l'altro Paraclito, sarà donato dal Padre per la preghiera di Gesù; sarà mandato dal
    Padre nel nome di Gesù; Gesù lo invierà quando sarà presso il Padre, perché è uscito dal
    Padre. Lo Spirito Santo verrà, noi lo conosceremo, sarà con noi per sempre, dimorerà con
    noi; ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Cristo ci ha detto e gli renderà
    testimonianza; ci condurrà alla verità tutta intera e glorificherà Cristo; convincerà il mondo
    quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.
    Infine viene l'Ora di Gesù: [Cf.Gv 13,1; Gv 17,1] Gesù consegna il suo spirito nelle mani
    del Padre [Cf. Lc 23,46; Gv 19,30] nel momento in cui con la sua morte vince la morte, in
    modo che, “risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre”, egli dona subito lo
    Spirito Santo “alitando” sui suoi discepoli [Cf. Gv 20,22 ]. A partire da questa Ora, la
    missione di Cristo e dello Spirito diviene la missione della Chiesa: “Come il Padre ha
    mandato me, anch'io mando voi” (Gv 20,21)29
    Lo Spirito nella Pentecoste
    Il giorno di Pentecoste (al termine delle sette settimane pasquali), la Pasqua di Cristo si
    compie nell'effusione dello Spirito Santo, che è manifestato, donato e comunicato come
    Persona divina: dalla sua pienezza, Cristo, Signore, effonde a profusione lo Spirito [Cf. At
    2,33-36]. In questo giorno è pienamente rivelata la Trinità Santa. Da questo giorno, il
    Regno annunziato da Cristo è aperto a coloro che credono in lui: nell'umiltà della carne e
    nella fede, essi partecipano già alla comunione della Trinità Santa. Con la sua venuta, che
    non ha fine, lo Spirito Santo introduce il mondo negli “ultimi tempi”, il tempo della Chiesa, il
    Regno già ereditato, ma non ancora compiuto.30
    Abbiamo visto la vera Luce, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste, abbiamo trovato la vera fede:
    adoriamo la Trinità indivisibile, perché ci ha salvati [Liturgia bizantina, Tropario dei Vespri di
    Pentecoste].
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    00 29/04/2010 10:13
    CREDO LA CHIESA CATTOLICA
    Dono di Dio
    La Chiesa – popolo di Dio in cammino – non nasce da interessi umani o dallo slancio di
    qualche cuore generoso, ma è dono dall’alto, frutto quindi dell’iniziativa divina. E’ stata
    pensata da sempre all’interno del disegno del Padre, il quale l’ha preparata attraverso la
    29 Cf.Mt 28,19; Lc 24,47-48; At 1,8
    30 Per approfondire gli aspetti dello Spirito Santo nella vita del crede si può leggere il CCC dal n. 733 al 741
    36
    lunga storia dell’Alleanza con il popolo d’Israele, perché fosse compiuta e realizzata
    pienamente grazie alla missione del Figlio e all’effusione dello Spirito santo.
    Opera di Dio, e non dell’uomo, la Chiesa è nella sua natura più profonda, inaccessibile a
    uno sguardo puramente umano: è un mistero. Racchiude in se elementi divini ed elementi
    umani.
    Immagine della vita Trinitaria – Sacramento di salvezza
    Originata dalla Trinità, si presenta come immagine, icona della Trinità stessa, cioè
    immagine vivente della comunione del Dio Amore. E’ sacramento di salvezza del Dio
    amore. La categoria di sacramento, che precede quella di sacramenti (al plurale),
    significa una realtà invisibile, divina, che agisce attraverso dei segni visibili: i sacramenti
    della Chiesa appunto.
    Mediante il Battesimo nel nome della Trinità lo Spirito unisce a Cristo nuovi figli e li
    arricchisce dei doni (o carismi), che il Padre ha preparato per ciascuno di loro. La varietà
    dei carismi esprime l’unità, fondata nell’unico Spirito, e vive nella corresponsabilità a
    immagine del dialogo tra Padre, Figlio e Spirito.
    La crescita di questa vita trinitaria e la piena realizzazione della comunione trovano
    alimento:
    - nell’ascolto fedele, non occasionale, della Parola di Dio; dalla partecipazione
    all’Eucarestia;
    - dal sacramento della Confermazione, che sigilla la maturità del battezzatotestimone;
    - dal sacramento del Perdono, che rimette i peccati commessi dopo il battesimo;
    - dal sacramento dell’Ordine, che configura a Cristo Sacerdote e Pastore;
    - da quello del Matrimonio, che fai dei due il sacramento vivente delle nozze tra
    Cristo e la Chiesa;
    - e dal sacramento dell’Unzione degli infermi, che li sostiene e li aiuta a rendersi
    partecipi della sofferenza di Cristo Redentore.
    La Chiesa, in quanto segno e strumento privilegiato dell’opera dello Spirito nella storia, è il
    sacramento di Cristo, così come Cristo è il sacramento di Dio.
    Culmine e fonte della vita ecclesiale
    l’Eucarestia fa la Chiesa
    Questa totale sacramentalità della Chiesa si esprime nella forma più alta nella
    celebrazione dell’eucarestia.: culmine e fonte di tutta la vita ecclesiale: memoriale della
    Pasqua, cioè riattualizzazione di essa nella diversità dei luoghi. Attraverso di essa gli
    uomini si riconciliano con Dio e fra di loro: fanno la Chiesa.
    Chiesa locale
    La Chiesa eucaristica è anzitutto Chiesa locale, cioè un’assemblea che celebra in uno
    spazio e in un tempo definiti; sotto la presidenza del Vescovo. Questa Chiesa locale è già
    Chiesa in pienezza, cattolica (kath’olou=in pienezza), perché è una e santa nell’unico
    Corpo di Cristo eucaristico e nell’unico Spirito, ed apostolica nella fedeltà al mandato da
    Gesù affidato ai suoi: “Fate questo in memoria di me”.
    37
    Chiesa universale
    Lo stesso Cristo e lo stesso Spirito fondano poi la comunione di ciascuna Chiesa locale
    con tutte le altre nella comunione universale delle Chiese. Così nell’unica Chiesa
    universale ogni Chiesa locale riconosce ogni altra Chiesa eucaristica come se stessa,
    perché riconosce in essa l’unico Signore presente nel suo Spirito e nel Suo Corpo .
    La Chiesa fa l’eucarestia
    La celebrazione è possibile soltanto attraverso una dimensione ministeriale pluriforme.
    Infatti la parola non può essere proclamata se non c’è chi l’annunci; il memoriale della
    Pasqua non è celebrato se non c’è chi lo faccia in obbedienza al mandato del Signore. La
    Chiesa tutta è impegnata nel triplice compito: profetico – sacerdotale – regale. Compito
    che deriva dal medesimo e uno battesimo.
    La Chiesa espressione di carismi diversi: ministerialità
    L’esercizio battesimale, secondo i doni diversi che lo Spirito elargisce ad ognuno, si attua
    nei diversi ministeri, che sono carismi legati ad un incarico, configurati in forma di un
    servizio reso nella e per la Chiesa.
    La ministerialità della Chiesa si esprime anzitutto nei ministeri ordinati: questi derivano
    dal sacramento dell’ordine - sono stati tramandati dagli Apostoli e dai loro successori
    (successione apostolica) – e costituiscono la gerarchia ecclesiastica (vescovi, presbiteri,
    diaconi).
    La gerarchia ecclesiastica
    Si tratta del ministero di chi, in forza del carisma ricevuto con l’ordinazione: annuncia la
    Parola, celebra “nella persona di Cristo Capo” il sacrificio, discerne e coordina i
    carismi, esprimendo e servendo l’unità del Corpo che è la Chiesa. Il carisma del ministero
    ordinato è pertanto anzitutto quello di discernere e coordinare i carismi, e viene esercitato
    mediante l’azione profetica, sacerdotale e pastorale, dal Vescovo per tutta la Chiesa
    locale, dal presbitero per il campo d’azione che il Vescovo gli affida. Egli infine è il segno
    e il servo dell’unità della Chiesa locale, realizzata dallo Spirito nell’eucarestia: lo è
    all’interno della Chiesa locale, e lo è nel rapporto con le altre Chiese, a loro volta espresse
    dai rispettivi Vescovi. In un grado inferiore stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani
    non per il sacerdozio ma il servizio. Loro specifica competenza è l’assistenza dei Vescovi
    e dei presbiteri nelle celebrazioni liturgiche, specialmente nell’Eucarestia. Possono
    assistere e benedire il matrimonio, proclamare il vangelo e predicare; presiedere ai
    funerali e dedicarsi ai vari servizi della carità.
    La comunione delle Chiese è così manifestata e servita dalla collegialità dei loro Vescovi,
    ed è strutturata intorno al ministero di unità del Vescovo di Roma; la Chiesa che presiede
    nell’amore. Il Vescovo romano, il Papa, è nella Chiesa universale il servo dell’unità di tutti
    i fratelli. Essere in comunione con il Vescovo della Chiesa di Roma è, per i singoli cristiani
    e per le Chiese, criterio ultimo alla comunione cattolica
    Ministerialità laicale
    I ministeri ordinati non esauriscono però la ministerialità della Chiesa: dal momento che
    tutti hanno ricevuto lo Spirito, tutti hanno il dovere di donarlo. Ciò avviene mediante una
    molteplicità di servizi, che possono essere temporanei o prolungati nel tempo; tutti
    esercitati mettendo a disposizione degli altri i doni ricevuti. Qualche esempio concreto: i
    38
    teologi, i catechisti, i genitori-educatori primi alla fede. Il servizio all’altare, l’offerta delle
    proprie sofferenze da parte degli ammalati. Chi assume una responsabilità nell’ambito
    pastorale, chi si impegna nella politica, chi nel sociale, ecc.
    Chiesa Santa e peccatrice
    La comunione ecclesiale, che deriva dal Padre, per Cristo, nello Spirito, e costituita nella
    sua unità e diversità dei doni e dei servizi ad immagine della comunione trinitaria (santità),
    tende a sua volta verso l’origine da cui è venuta: nello Spirito, per Cristo, essa è in
    cammino verso il Padre.
    Ogni presunzione di essere arrivati va sempre posta in discussione: la Chiesa è sempre
    chiamata a continua purificazione (peccatrice) e ad incessante rinnovamento, inappagata
    da qualsiasi conquista umana.
    Ed è in nome della sua meta più grande, che essa dovrà essere ‘sovversiva’ e critica
    verso tutte le parziali realizzazioni di questo mondo: presente in ogni situazione umana,
    solidale con il povero e con l’oppresso, non si identificherà mai con una delle speranze
    della storia. Si tratta di assumere contemporaneamente le speranze umane e di verificarle
    al vaglio della Risurrezione, che da una parte sostiene ogni impegno autentico di
    liberazione dell’uomo, dall’altra contesta ogni assolutizzazione di mete terrene.
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    00 29/04/2010 10:14
    LA COMUNIONE DEI SANTI,
    LA REMISSIONE DEI PECCATI,
    LA RESURREZIONE DELLA CARNE,
    LA VITA ETERNA
    LA COMUNIONE DEI SANTI
    Nella sua espressione storica la comunione dei santi si esprime nel popolo dei battezzati, i
    quali, in forza del sacramento sono configurati a Cristo, nello Spirito, a gloria del Padre;
    ricevono ed accolgono i doni che il Signore fa loro, per viverli nel servizio e nella
    comunione. Tuttavia, la Chiesa esprime la comunione dei santi non solo nel senso di
    coloro che al presente sono santificati nel battesimo e continuamente ricorrono alle
    sorgenti della grazia per divenire ciò che sono divenuti nell’acqua della salvezza, ma
    anche di quelli che hanno già compiuto il loro esodo e vivono ora nella gioia della luce
    intramontabile di Dio. Essi sono per i pellegrini ancora in viaggio un modello e un aiuto. I
    santi sono i compagni di strada che rendono bello il cammino, perché pur essendo esperti
    in umanità come noi, sono anche esperti della pace futura, e sanno meglio guidarci a Dio.
    Dio è glorificato nei suoi santi perché in essi risplende la bellezza dell’Altissimo che si
    esprime come amore. E poiché è infinita la ricchezza della carità eterna, infiniti sono
    anche i suoi possibili riflessi. La fantasia e la creatività della santità è davvero senza limiti,
    al punto che ogni santo dà un accento nuovo e particolare nella sinfonia di lode della
    Chiesa.
    Per questo la Chiesa non cessa di proclamare santi e beati coloro la cui vita si presenta
    come lode vivente della gloria di Dio. La santità manifesta le infinite possibilità a cui Dio
    chiama l’uomo: e se la Chiesa non si stanca di proclamare i santi, lo fa anche per ricordare
    all’uomo le sue potenzialità nascoste ed inesauribili. Infine i santi sono le figure della
    nostra speranza: in essi è già compiuto ciò che per noi non è ancora realizzato.
    Ogni santo è un messaggio, che parla in modo particolare a situazioni storiche differenti.
    L’ascolto del loro messaggio sempre nuovo, sebbene possa essere storicamente antico,
    richiede un cuore disponibile, che sappia avere il desiderio e il gusto delle cose di Dio.
    La preghiera ‘per’ e ‘con’ i santi
    E’ il luogo in cui si fa esperienza in modo particolare della comunione dei santi nel tempo e
    nell’eternità. Essa ci fa sperimentare il vincolo profondo che lega, nella Trinità, non solo la
    Chiesa pellegrina a quella celeste, ma anche nel tempo presente l’intercessione degli uni
    alla sofferenza e al cammino degli altri: l’affidarsi all’intercessione della Vergine Maria, il
    rivolgersi ai Santi, il chiedere l’aiuto della loro preghiera, e l’offrire con generosità la
    povertà della propria preghiera e la propria sofferenza per gli altri, non ci distrae dalla
    contemplazione di Dio. Chi si rivolge alla Vergine Madre e ai Santi, chi fa appello alla
    carità della preghiera altrui e prega con umiltà per gli altri, lo fa sempre in Dio.
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    LA REMISSIONE DEI PECCATI
    La remissione dei peccati nella Chiesa avviene innanzitutto quando viene professata per
    la prima volta la fede. Con l’acqua battesimale, infatti, viene concesso un perdono
    talmente ampio che non rimane più alcuna colpa -né originale né ogni altra contratta
    posteriormente - e viene rimessa ogni pena da scontare.
    Tuttavia, la grazia del Battesimo, non libera la nostra natura dalla sua debolezza, e
    pertanto occorre sempre fare i conti con la seduzione del male. In tale combattimento
    contro l’inclinazione al male, chi potrebbe resistere con tanta energia e con tanta vigilanza
    da riuscire ad evitare ogni ferita del peccato? Fu quindi necessario che nella Chiesa vi
    fosse la possibilità di rimettere i peccati anche in modo diverso dal sacramento del
    Battesimo. Per questa ragione Cristo consegnò alla Chiesa le chiavi del Regno dei cieli, in
    virtù delle quali potesse perdonare a qualsiasi peccatore pentito i peccati commessi dopo
    il Battesimo, fino all’ultimo giorno della vita.
    È per mezzo del sacramento della Penitenza che il battezzato può essere riconciliato con
    Dio e con la Chiesa.
    Non c’è nessuna colpa, per grave che sia, che non possa essere perdonata dalla santa
    Chiesa. Non si può ammettere che ci sia un uomo, per quanto infame e scellerato, che
    non possa avere con il pentimento la certezza del perdono. Cristo, che è morto per tutti gli
    uomini, vuole che, nella sua Chiesa, le porte del perdono siano sempre aperte a chiunque
    si allontana dal peccato.
    CREDO LA RISURREZIONE DELLA CARNE
    Il termine «carne» designa l’uomo nella sua condizione di debolezza e di mortalità. La
    «risurrezione della carne» significa che, dopo la morte, non ci sarà soltanto la vita
    dell’anima immortale, ma che anche i nostri «corpi mortali» (Cfr. Rm 8, 11) riprenderanno
    vita.
    Credere nella risurrezione dei morti è stato un elemento essenziale della fede cristiana fin
    dalle sue origini.
    ”Come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste
    risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è
    vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede... Ora, invece, Cristo e
    resuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (Cfr.1 Cor 15, 12-14.20).
    Tuttavia, fin dagli inizi, la fede cristiana nella risurrezione ha incontrato incomprensioni ed
    opposizioni. Si accetta abbastanza facilmente che, dopo la morte, la vita della persona
    umana continui in un modo spirituale. Ma come credere che questo corpo, la cui mortalità
    è tanto evidente, possa risorgere per la vita eterna?
    Come risuscitano i morti?
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    Che cosa significa «risuscitare»? Con la morte, separazione dell’anima e del corpo, il
    corpo dell’uomo cade nella corruzione, mentre l’anima va incontro a Dio, pur restando in
    attesa di essere riunita al suo corpo glorificato. Dio nella sua onnipotenza restituirà
    definitivamente la vita incorruttibile ai nostri corpi riunendoli alle nostre anime, in forza
    della Risurrezione di Gesù.
    Chi risusciterà? Tutti gli uomini che sono morti: “quanti fecero il bene per una risurrezione
    di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna”, (Cfr. Gv 3, 29).
    Come si risusciterà? Cristo è risorto con il suo proprio corpo; ma egli non è ritornato ad
    una vita terrena. Allo stesso modo, in lui, “tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono
    rivestiti”, ma questo corpo sarà trasfigurato in corpo , in «corpo spirituale» (Cfr.1 Cor 15,
    44).
    Il «come» supera comunque le possibilità della nostra immaginazione e del nostro
    intelletto; è accessibile solo nella fede.
    Quando si risusciterà? Definitivamente «nell’ultimo giorno» (Cfr.Gv 6, 39-40.44.54); «alla
    fine del mondo». Infatti, la risurrezione dei morti è intimamente associata alla parusia
    (ritorno glorioso) di Cristo (Cfr.1Ts 4,16-17): “Perché il Signore stesso, a un ordine, alla
    voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima
    risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro
    tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell'aria, e così saremo sempre con il
    Signore”.
    CREDO LA VITA ETERNA
    “Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel
    nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito
    Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con
    la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. . . Tu possa tornare
    al tuo Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa vita, ti venga
    incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. . . Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e
    possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno “[Rituale romano, Rito delle esequie,
    Raccomandazione dell'anima].
    Il giudizio particolare
    Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell'incontro finale
    con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l'immediata
    retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua
    fede. La parabola del povero Lazzaro [Cf. Lc 16,22] e la parola detta da Cristo in croce al
    buon ladrone [Cf. Lc 23,43].31
    Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la
    retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per
    31 Vedi anche 2Cor 5,8; Fil 1,23; Eb 9,27; 12,23
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    cui o passerà attraverso una purificazione32, o entrerà immediatamente nella beatitudine
    del cielo33, oppure si dannerà immediatamente per sempre34.
    Il Cielo
    Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati,
    vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono “così come
    egli è” (1Gv 3,2), faccia a faccia: (Cf.1Cor 13,12; Ap 22,4).
    Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la
    Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata “il cielo”. Il cielo è il fine ultimo dell'uomo
    e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e
    definitiva.
    Vivere in cielo è “essere con Cristo” [Cf.Gv 14,3; Fil 1,23; 1Ts 4,17].
    Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera
    ogni possibilità di comprensione e di descrizione. La Scrittura ce ne parla con immagini:
    vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme
    celeste,
    La purificazione finale o Purgatorio
    Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati,
    sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro
    morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia
    del cielo.
    La Chiesa chiama Purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt'altra cosa
    dal castigo dei dannati. La Chiesa ha formulato la dottrina della fede relativa al Purgatorio
    soprattutto nei Concilii di Firenze [Cf Denz. -Schönm., 1304f ibid. , 1820; 1580]. La
    Tradizione della Chiesa, rifacendosi a certi passi della Scrittura, [Cf. ad esempio, 1Cor
    3,15; 1Pt 1,7] parla di un fuoco purificatore.
    Questo insegnamento poggia anche sulla pratica della preghiera per i defunti di cui la
    Sacra Scrittura già parla: “Perciò [Giuda Maccabeo] fece offrire il sacrificio espiatorio per i
    morti, perché fossero assolti dal peccato” (2Mac 12,45). Fin dai primi tempi, la Chiesa ha
    onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio
    eucaristico, [Cf Concilio di Lione II: Denz. -Schönm., 856] affinché, purificati, possano
    giungere alla visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le
    indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti.


    32 Cf. Concilio di Lione II: Denz.-Schönm., 857-858; Concilio di Firenze II: ibid., 1304-1306; Concilio di Trento: ibid.,
    1820
    33 Cf. Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz.-Schönm., 1000-1001; Giovanni XXII, Bolla Ne super his: ibid.,
    990]
    34 Cf. Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz.-Schönm., 1002
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