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Origine dell'anima.

L'anima mia da chi ha avuto origine? Forse dal nulla? È assurdo il pensarlo! Forse dai miei genitori? Neppure! Essen­do l'anima spirituale, non ha parti come la materia e perciò non è divisibile. I miei genitori dunque, pur cooperando per il mio corpo, non potevano darmi una par­te della loro anima, essendo questa uno spirito. Ed allora l'anima mia deve trar­re origine direttamente da uno spirito supremo, onnipotente, increato ... cioè da Dio.

L'anima mia morrà? Non è possibile. Morte vuol dire dissoluzione di un essere nei suoi elementi costitutivi. Un bicchie­re, ridotto in frantumi, non è più un bic­chiere; ha subito una specie di morte. Il corpo umano che può ridursi in pezzi ... e poi ... in cenere, è soggetto alla morte. Ma il mio spirito, non avendo parti, come può dissolversi? È impossibile! Qua­le forza fisica può distruggere l'anima spirituale? Nessuna.

Solamente il Creatore potrebbe an­nientarla; ma ciò, quantunque possa av­venire, pur tuttavia non avverrà giam­mai, poiché se Dio ha creato l'anima mia indissolubile, è segno che non l'ha desti­nata alla morte. Gesù Cristo, Dio-Uomo, parla continuamente di un'altra vita, e di vita eterna! Al ladrone crocifisso, pros­simo a morire, dice: « Oggi sarai con me in Paradiso! ».

Tutto il Vangelo è una continua atte­stazione che l'anima umana è destinata, dopo la separazione dal corpo, a soprav­vivere nel regno spirituale.

Ed io credo fermamente che la morte non mi distruggerà del tutto; andrà alla tomba il mio corpo; ma il mio « io », con tutte le sue facoltà, memoria intelletti­va, intelligenza e volontà, continuerà ad esistere. Il culto che ovunque si presta ai morti, dimostra che l'umanità ammette il regno di oltre tomba.



Rimorso.

Un tale è in aperta campagna. Vede il suo nemico e sente l'istinto della ven­detta. Determina di ucciderlo. Difatti si avvicina con precauzione all'avversario, lo colpisce alla testa e lo lascia cadavere. Nessuno è presente alla scena orribile.

L'assassino istintivamente fugge per evitare la punizione umana; va a nascon­dersi; ma, quantunque nessuno lo veda e gli dica: Hai fatto male! - l'infelice sente internamente questa voce: Non do­vevi fare questo male. Perché hai com­messo l'omicidio? - Questa voce, rimor­so della coscienza, sarà per lungo tempo e forse per tutta la vita il più crudele tormento dell'assassino. Questi vorrebbe non pensare al male fatto, non sentire il rimorso, cerca di distrarsi, ma la voce interna lo perseguita.

Tale voce è un effetto e richiede una causa. E’ forse la voce di un uomo che rimprovera l'assassino? No! È l'omicida stesso che produce questo effetto? Nep­pure! Difatti egli non vorrebbe sentire il rimorso. Dunque, bisogna cercare la cau­sa fuori dall'assassino. Il rimorso viene per l'infrazione di una legge. Esiste una legge naturale, misteriosamente impres­sa nell'anima umana; questa legge è la volontà del legislatore. Chi volontaria­mente la trasgredisce, voglia o non vo­glia, sente il rimorso, cioè il rimprovero del Supremo Legislatore, Dio. Chi può addurre ragioni in contrario?



Il bene.

Un povero chiede l'elemosina; gli do del pane. Un operaio è disoccupato e gli procuro il lavoro. Un tale è afflitto e rie­sco a consolarlo. Facendo tutto ciò, pro­vo internamente una grande gioia, diffe­rente e superiore ad un piacere materia­le. Sento di aver fatto bene e di avere ubbidito alla legge naturale che dice: Ama il prossimo. Anche questa interna soddisfazione è prova del controllo del Supremo Legislatore sulla mia condotta.



Giustizia.

Ogni legge ha la sua sanzione. Gli uo­mini, quantunque spesso ingiusti, am­mettono che si dia un premio a chi fa il bene e una punizione a chi opera il male. Iddio ha dato la sua legge. La impri­me naturalmente, nelle linee generali, nel cuore di ognuno. Specificò la sua vo­lontà nel Decalogo, quando parlò sul monte Sinai a Mosè, condottiero del po­polo Ebreo. Gesù Cristo insegnò anche la perfezione della legge divina.

C'è chi osserva gli ordini di Dio e c'è chi li calpesta. E’ assurdo ammettere che il Creatore, dopo aver data una legge, pur essendo infinitamente giusto, abbia a lasciare impunita la colpa e senza ri­compensa le buone opere. Gesù Cristo nel suo Vangelo parla sempre del grande castigo riservato ai malvagi: « Andate, maledetti, nel fuoco eterno! » - e del premio preparato ai buoni: « Venite, benedetti dal Padre mio, a possedere il regno che vi è stato preparato! ».

La ragione esige che ci sia questa giu­stizia suprema, poiché la vita presente non è tale che possa dare l'adeguato ca­stigo ed il dovuto premio. Infatti, se il rimorso della coscienza fosse l'unico ca­stigo del delinquente, per tanti sarebbe piccola punizione, in quanto col ripetere spesso il male non pochi riescono a non sentire più il rimorso.

Il bene che si opera in questa vita, può essere sconosciuto, poco apprezzato, mal ripagato. È necessaria dunque un'al­tra vita che completi la giustizia della vita presente.



L'aereo.

Appoggiato al davanzale della finestra leggo le « Lettere dal fronte » di Giosuè Borsi. Da giovane gaudente, brancolante nelle tenebre della irreligiosità, il Borsi si rivolse a Dio nei giorni del dolore e trovò luce per la mente e pace per il cuore.

Mentre ammiro l'ingegno e la virtù del convertito... vengo distratto da un rumore cupo e prolungato. Vedo avvici­narsi dodici aeroplani. Li contemplo.

Ecco il frutto dell'intelligenza dell'uo­mo! Non esistono più barriere nel mon­do; le distanze sono accorciate. Che cosa è che dà all'apparecchio la forza? Il mo­tore. Come mantiene l'equilibrio nello spazio? Con le ali. Togliamo il motore, oppure tronchiamo un'ala ... l'aereo precipita.

Io mi trovo in questo mondo; devo compiere una traversata morale. Osser­vo però me stesso e mi riconosco un de­bole, perché avverto nel mio corpo una legge contraria alla legge della mia men­te. Vedo il bene e mi sento spinto al ma­le. La mia natura umana è ferita, in con­seguenza della colpa dei miei progenitori, Adamo ed Eva.

Osservo le persone che mi circondano e la società tutta ed ovunque constato miserie morali. Quanti maledicono il gior­no della loro nascita, quanti altri vivono brutalmente e quanti ancora vivono nel­la incoscienza, senza sapersi dare ragio­ne della loro esistenza e senza preoccu­pazione della loro finalità!

Io voglio sollevarmi moralmente; non voglio lasciarmi abbattere dalle miserie umane. Ho bisogno di un forte motore e di due ali per librarmi in alto. Li ho tro­vati e sento di stare in un'atmosfera di purezza e di pace.

Il mio motore è la credenza in Dio. Vedo in Dio il padre amoroso che mi ha creato e mi mantiene nell'esistenza; le sofferenze della vita le abbraccio con for­tezza, pensando che sono una prova del­la mia virtù, prova che il Creatore esige per darmi il premio eterno.

Questo motore mi ha sorretto sempre; senza di esso mi stimerei il più infelice degli esseri; invece con la credenza in Dio ... provo nel cuore ciò che non sarei capace di esprimere ... sento la gran­dezza della mia personalità davanti al creato tutto.

Ho trovato anche le due ali, due grandi mezzi che il Cristo mi ha lasciato, due fonti di grazia: la Confessione e la Comunione.

I cinque soliti intellettuali (?) ... qui farebbero una bella risata! - Il profes­sore sacrestano! Il dotto fra gl'idioti! La donnicciuola in calzoni! ... Crede alla Confessione dei Preti ed alla Comunio­ne! -

Adesso sarebbe il caso di bollare di « macrocefali » questi signori. Se io cre­do, ne ho la forte ragione. Se loro non credono a questi due mezzi spirituali, hanno anche la propria ragione: l'igno­ranza crassa in cui sono vissuti e vi­vono...!

Approfittando dell'amicizia del diret­tore di una Casa Penale, potei un giorno visitare i detenuti. Gl'infelici erano cir­ca cinquecento.

Poveri carcerati! Com'erano afflitti! Sospiravano la libertà; ma invano. Mi fu concesso di entrare nelle celle ed intrat­tenermi a colloquio con tanti. - Voi ave­te lunga condanna? - Trent'anni! - E voi? - A vita. Da più di quarant'anni sono in carcere. - Misere creature! Un detenuto entrò subito in intimi­tà: La mia vita è stata amara. Da giova­notto sono sempre uscito e rientrato nel carcere. Fui latitante; ma scoperto, i ca­rabinieri, per prendermi, con una pallot­tola di mitra mi colpirono alla gamba. Ed ora sono qua. Devo scontare ancora. - Ma voi non dovevate fare tanto male. È così bello vivere onestamente, nella osservanza della legge di Dio. - Dio, Dio ... Per questo mi trovo qua dentro. Non pensavo che esistesse Dio; ma ora però mi convinco che Dio c'è. - E piangeva.

Mentre parlavo, si aprirono i cancelli e altri quattro detenuti facevano il loro ingresso. Che pena provai!

Cari detenuti, non vi affliggete! Avete fatto male, abusando della vostra liber­tà. Volete voi essere perdonati ... uscire subito ... ed andare a riabbracciare i vostri cari? ... Dite con tutto il cuore: Siamo pentiti e chiediamo perdono. - Poveri detenuti, questa soluzione per voi non ci sarà mai. La giustizia umana non si può contentare delle lacrime o di una parola di pentimento. Bisogna scontare. Ciò è richiesto dalle necessità della vita sociale.

Con Dio le cose stanno diversamente. Tutti possiamo peccare, non osservando la legge del Creatore; la volontà umana è così volubile. Ma Dio perdona, e gene­rosamente, perché bontà infinita. E chi ci assicura di questo perdono? Il Cristo! Basta leggere il re dei libri, il Vangelo, e subito appare la magnanimità del Som­mo Iddio. Il Cristo perdonava i peccati; ne aveva l'autorità. Volle che questo ge­neroso perdono si perpetuasse nel corso dei secoli, per mezzo della sua Chiesa.

- Simone, disse al capo degli Apo­stoli, tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. Ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che tu avrai sciolto in terra, sarà sciolto anche in Cielo. - Maestro, e quante volte per­donerò al mio fratello? Sette volte? - Non sette, ma settanta volte sette.

Il Cristo, dopo la sua risurrezione, prima di lasciare questa terra, raccolse tutti gli Apostoli e li rivestì dei supremi poteri spirituali. - Come il Padre ha mandato me nel mondo, così io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo. A coloro ai quali voi perdonerete i peccati, saranno perdonati. -

Dunque, se io vado di tanto in tanto a confessarmi, se mi presento al ministro di Dio, al Prete cattolico, e gli chiedo il perdono dei miei mancamenti, sono un credulone? Io credo di essere coerente ai miei principi, poiché come non posso du­bitare della autenticità del Vangelo, così non posso mettere in dubbio il mezzo in­fallibile, cioè l'assoluzione sacramentale, che il Vangelo proclama così chiara­mente.

Mi presento al Prete per confessar­mi. Non scorgo in lui l'uomo, ma l'auto­rità spirituale, di cui è rivestito. Questo Prete sarà meno istruito di me, forse sarà moralmente più debole di me .... ma ciò non m'importa, come non importa all'imputato se il presidente del tribunale sia meno intelligente di lui o forse più colpevole di lui.

Dalla confessione, oltre al perdono dei peccati, ricevo altri vantaggi morali: la mia volontà si rafforza sempre più nel bene ed il mio cuore sente una dolcezza particolare.

Ho voluto assicurarmi se altri provino ciò che provo io quando mi confesso. Do­mandai ad un giovanotto: Che cosa av­verti quando vai a confessarti? - Subi­to mi sento come alleggerito da un peso e godo una pace che non saprei esprime­re. - Vidi un giorno un gruppo di gio­vani a Mazara del Vallo. Com'erano al­legri! Non potevano contenere la gioia. Uno di essi piangeva per la contentezza. - Giovanotti, che cosa vi è capitato? - Ci siamo confessati! Avvertiamo una gioia così forte ed intima, da non potere star fermi.

Domandai ad un uomo maturo, che vidi piangere in chiesa: E perché piange­te? - Dopo venticinque anni sono ritor­nato a confessarmi. Oh, come son feli­ce! ... Quanta contentezza provo nel cuore! ... Neppure quando sposai ebbi tanta gioia.

Dunque, non sono io solo che riscon­tro questo fenomeno spirituale dopo la confessione; credo che chiunque si con­fessi bene, provi la stessa cosa. Sarà frutto di autosuggestione? Non credo. È invece - la fede nella parola del Cristo: « Tutto ciò che voi avrete perdonato in terra, sarà perdonato in cielo!

Godo dell'amicizia di parecchi Onore­voli, deputati al Parlamento; di costoro, chi insegna al liceo, chi è preside, chi fa­moso avvocato, e qualcuno insegna al­l'università. Qualche volta c'intrattenia­mo in conversazione intima. - Onore­voli, loro si confessano come mi confes­so io? - Certamente; ne attingiamo tan­ta forza! - Per carità, se venissero al mio paese, non dicano che loro credono alla confessione. - Perché? – Alcuni intellettuali, miei concittadini, tra cui due maestri di classe elementare ... sarebbero capaci di criticarli. Secondo costoro, chi è istruito non deve credere alla confes­sione ... è da ignoranti abbassarsi a tan­to. - Dica ... a queste cime (?) che tanti professori d'università si confessano e che umiliarsi davanti al Cristo è gloria, non abbassamento.

Tutta Palermo era in movimento: per dieci giorni si svolgeva la Missione Pao­lina. Erano centodieci oratori, dissemi­nati nei vari rioni della città, i quali istruivano il popolo. Tra gli oratori non mancavano degli Onorevoli, quale il Pro­fessore Medi. Chiese, piazze, teatri, offi­cine ... ovunque penetrava la parola del Cristo. La chiusura solenne, l'ultima se­ra, ebbe luogo in piazza Castelnuovo, centro della città. Si celebrava all'aperto la Messa. Undicimíla persone ricevevano la Comunione in questa piazza; non era­no troppi i comunicandi per Palermo; si pensi però che la chiusura si compì an­che in altri rioni e che un grande nume­ro di fedeli preferirono comunicarsi al mattino. Anch'io, oratore della Missione, mi comunicai.

Quella sera, quanto entusiasmo e quan­ta fede ... attorno alla piccola Ostia, pro­cessionalmente portata dal Cardinale Ruf­fini!

La manifestazione di Palermo è ben piccola cosa, in confronto di ciò che av­viene nei grandi Congressi Eucaristici. Buenos Aires, Chicago, Filadelfia ... hanno visto milioni di partecipanti al congresso e milioni di comunicandi.

'Tutto ciò manifesta la fede in Gesù Eucaristico!

I benemeriti... cinque intellettuali... (? ) davanti a simili dimostrazioni, gridereb­bero: Pazzi, tutti coloro che credono alla Comunione! Noi, da grandi menti, non crediamo a queste corbellerie religiose. - Voi non credete ... per la vostra ignoranza! Voi conoscete la verità, come io posso conoscere la lingua cinese, che mai ho studiata. Io invece credo in Gesù Eucaristico, vivo la vita eucaristica, anzi la Comunione è stata sempre l'ala subli­me che mi ha sollevato dalle bassezze morali.

Sono a Torino, in piazza Municipio. Sotto i portici vedo una lapide di mar­mo. Leggo lo scritto. Un torinese mi spie­ga il significato.

- Professore, questa lapide ricorda un miracolo eucaristico, avvenuto a Tori­no. Avevano rubato un vaso sacro, conte­nente un'Ostia Consacrata. Il ladro, so­pra un giumento, portava la refurtiva. Vicino a via San Silvestro il giumento cadde ed il vaso sacro uscì da se stesso dal sacco e s'innalzò ad una certa altez­za. L'Ostia divenne luminosissima. Circa venti mila persone videro il prodigio, tra cui Monsignor Ferdinando dei Borgo­gnoni e le autorità civili e militari. A ri­cordo del miracolo, si costruì sul luogo un tempio; nel centro della navata, ove cad­de il giumento, si mise una lapide ripara­ta da una piccola cancellata. Nel Muni­cipio ci sono le firme delle persone più autorevoli, che furono presenti al pro­digio. È un fatto storico, con molti docu­menti. -

Quel medico condotto e quel profes­sore di storia e filosofia, (?) se venissero a Torino, farebbero un'inchiesta gene­rale ... sperando, nella loro sciocca ce­cità, di annullare ogni pubblica documen­tazione!

Secondo loro, questi fatti non potreb­bero giammai verificarsi... perché non esiste Dio né il soprannaturale.

Esorto costoro a leggere l'opuscolo « L'Ostia Consacrata », edito dalla Li­breria S. Cuore - Via Lenzi - Messina. Vi troveranno registrato non solo il mira­colo di Torino, ma numerosi miracoli, dei quali parecchi sono permanenti e so­no ancora studiati e controllati da com­petenti commissioni di professori. Tra i miracoli permanenti ricordo quello di Lanciano, di Alatri, di Bolsena, di Trani e di Siena.

Scendo dal treno a Roma e prima di sbrigare i miei affari, voglio ricevere la Comunione. Entro nel primo Tempio, vicino alla stazione Termini, e precisa­mente nella Chiesa del Sacro Cuore, in via Marsala. Quanti fedeli in preghiera! Vicino a me sta inginocchiato un negro. Uomini e donne, civili e militari, operai ed eleganti signori ... tutti vanno a rice­vere la Comunione.

Un giovane sui venticinque anni, mio conoscente e dimorante a Roma, si distin­gue nella schiera dei comunicandi. Fuori di Chiesa gli chiedo: Lei va spesso a co­municarsi? - Tutti i giorni! Non saprei vivere senza Gesù. Sono al quarto anno d'Università, ma trovo sempre il modo di comunicarmi ogni mattina. Oh, come sentirei l'assenza di Dio nella mia vita!

Anch'io come quel giovane, sento di non poter vivere senza una piccola Ostia, senza Gesù. I momenti più soavi della mia vita sono quelli che trascorro duran­te la Comunione. Non vedo Gesù cogli occhi materiali, ma lo sento in me. Il grande mistero eucaristico lo credo for­temente; la fede mia nella parola del Cristo è viva.

La parola del Signore è verità! Leg­go nel Vangelo: « Affaticatevi non per avere il cibo che perisce, ma quello che resta per la vita eterna e che vi darà il Figlio dell'uomo... In verità vi dico: Mosè non vi ha dato il pane del cielo, ma il Padre mio vi darà il Pane vivo ve­nuto dal cielo. Se alcuno mangerà di que­sto Pane, vivrà in eterno; e questo Pane che darò è la mia carne, che verrà offer­ta per la vita del mondo. In verità vi di­co: Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non ne berrete il sangue, non avrete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno; perché la mia carne è veramen­te cibo ed il mio sangue è veramente be­vanda ». Nell'ultima Cena, prima della passione, Gesù Cristo consacrò il pane ed il vino e comunicò gli Apostoli. Dopo diede loro il potere di fare altrettanto e di perpetuare nella sua Chiesa il pro­digio eucaristico.

Teresa Neumann, come ho detto so­pra, fu un portento vivente. Per vari decenni non mangiò e non bevve; la piccola Ostia che riceveva ogni giorno era il suo sostegno corporale e spirituale. Come non credere alla Comunio­ne?... Il grande genio filosofico di Tom­maso d'Aquino si umilia davanti all'Ostia Consacrata e gli fanno corona le più bel­le figure dell'umanità, assieme a migliaia di milioni di credenti. Ma quei cinque intellettuali (? ), che ignorando storia e morale e che non vedono un palmo al di là del loro ventre ... vedono me pro­fessore andare a ricevere la Comunione e ne fanno le beffe... mi compiango­no ... Mi sembrano delle oche, piene di grasso, che pur avendo le ali non san­no sollevarsi un palmo da terra e beffano le aquile che vagano negli spazi.