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Apocrifi cristiani antichi

di Enrico Norelli

Che cosa si intende con il termine Apocrifi? Quali sono i più antichi ed importanti, quando sono stati scritti, che cosa contengono?


Già pubblicato in M. SODI - A. M. TRIACCA (a cura di), Dizionario di omiletica, LDC, Leumann, 1998.

Nel secolo II certi scritti diffusi nei circoli gnostici cristiani si presentavano come apókryphoi, letteralmente "nascosti", cioè segreti, celati al pubblico, riservati agli iniziati capaci d'intenderne la dottrina: è il caso dell' Apocrifo di Giovanni, trasmesso in traduzione copta; e la Lettera di Giacomo, ritrovata a Nag Hammadi, allude a due precedenti scritti contenenti rivelazioni ricevute da Giacomo, come ad "apocrifi".
Clemente di Alessandria menziona gnostici, seguaci di Prodico, che si richiamano a bybloi apókryphoi di Zoroastro (Stromati 1,15,69,6). Il termine era inteso positivamente.

Quando nel corso del sec. II si precisò l'opposizione dottrinale tra gli gnostici e quella che si veniva costituendo come "grande Chiesa", si pose anche il problema degli scritti che trasmettevano l'autentica tradizione di e su Gesù e la genuina predicazione apostolica. Circolavano infatti diverse raccolte di detti e fatti di Gesù, come pure numerosi scritti sotto il nome di apostoli o di loro discepoli, e gruppi gnostici si richiamavano a tradizioni trasmesse segretamente a partire da questo o quell'apostolo. Contro di loro si fece valere la tradizione pubblica, portata dalla successione episcopale nelle diverse Chiese, e si definì progressivamente un consenso intorno a una raccolta di libri cristiani ammessi come autentici e ispirati. Le tradizioni e gli scritti segreti portati dai gruppi le cui dottrine venivano respinte come eterodosse furono anch'essi rifiutati, e "apocrifo" divenne sinonimo di falso. Così, secondo Ireneo di Lione, gli gnostici "insinuano una massa indescrivibile di scritti apocrifi e spuri, forgiati da loro stessi" (Contro le eresie 1,20,1); l'autore romano della Confutazione di tutte le eresie attribuita a Ippolito attacca la pretesa di Basilide di possedere discorsi apocrifi (lógous apokryphous) che l'apostolo Mattia avrebbe ricevuto dal Signore (7,20). Questi due casi mostrano chiaramente l'attribuzione ecclesiastica di una connotazione negativa al termine "apocrifo" usato dagli avversari stessi in senso positivo.

Tertulliano accoppia come equivalenti i concetti di apocrifo e falso (De pudicitia, 10,12). Origene può però applicare il termine di apocrifi a scritti giudaici non canonici, senza con ciò condannarli (Lettera a Giulio Africano, 9; Comm. a Mt 10,18; ecc. ), e afferma che non tutto ciò che si trova negli apocrifi è da respingere (Comm. a Mt 23,27-28 = Commentariorum series 28). Origene (citato da Eusebio di Cesarea, St. eccl., 6,25) distingue gli scritti cristiani ammessi da tutti (homologoúmena), quelli unanimemente rifiutati (pseudé) e quelli discussi (amphiballómena); ma non parla in tale contesto di apocrifi, né lo fa Eusebio, che da lui riprende la tripartizione (St. eccl., 3,25).

Viceversa, stabilendo nella sua Lettera festale 39, del 367, il canone degli scritti biblici, Atanasio di Alessandria bolla gli apocrifi come invenzione di eretici, composti tardivamente e spacciati per antichi. Il consolidamento dei canone in Occidente e in Oriente condusse alla definitiva svalutazione dei termine "apocrifo" e alla sua associazione con "eretico", attestata intorno al 400 da Agostino (Contro Fausto, 11,2) e Girolamo (apocryphorum deliramenta: Commentario a Isaia 17, su Is 64,4).

Questa accezione negativa si protrasse nelle liste di libri canonici e non canonici tramandateci da vari manoscritti. Così il cosiddetto Decreto Gelasiano termina con una lista (non riconducibile al papa Gelasio I [492-496], ma composta da un privato nella Gallia meridionale, all'inizio del sec. VI) di libri bollati come apocrifi, e descritti come composti da eretici e scismatici, rifiutati dalla Chiesa cattolica e da evitarsi dai fedeli. La recensione lunga della Cronografia di Niceforo patriarca di Costantinopoli (806-815) contiene un catalogo (detto Sticometria perché indica la lunghezza di ciascun testo in linee; risale probabilmente al sec. IX) di scritti dell'AT e del NT, seguiti da cataloghi separati, rispettivamente di scritti contestati (antilegómena) e "apocrifi", separatamente per ciascun Testamento. Il Catalogo dei 60 libri, probabilmente dei sec. VII, enumera, dopo i 60 canonici, quelli "non inclusi" (i deuterocanonici dell'AT) e gli "apocrifi" (giudaici e cristiani di seguito). In tutti questi casi il criterio determinante è il grado di riconoscimento ecclesiastico, e non la forma letteraria o altro: così appaiono ripetutamente, tra gli apocrifi, la Didaché, le Costituzioni apostoliche, e nel Decreto Gelasiano una lunga lista di autori (Tertulliano, Lattanzio, Clemente Alessandrino...) le cui opere sono indistintamente dichiarate apocrife. Questa accezione del termine è sicuramente troppo ampia e non è seguita in epoca moderna, benché raccolte di apocrifi cristiani fino alla prima edizione di Hennecke (1904) abbiano incluso i "Padri Apostolici", parte dei quali rimase per un certo tempo ai margini del canone.

Di fatto, la storia del termine non è determinante per l'accezione scientifica moderna di esso.