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La questione del CANONE nell'ambito della cosiddetta "Riforma" di Lutero

Il problema dei “criteri di canonicità” si pose espressamente all’epoca della Riforma, quando i riformatori sostituirono ai criteri esterni, legati all’autorità della Chiesa Magisteriale e della Tradizione, dei criteri interni che a loro parere avrebbero dovuto imporsi ad ogni credente e alla stessa Chiesa.

Lutero si appellava alla testimonianza resa dalla Scrittura a Cristo distinguendo così diversi gradi di autorità nei libri sacri, fino a squalificarne alcuni del tutto.

Calvino invece, parlava di una sovrana decisione di Dio che ha causato un consenso pubblico nella Chiesa primitiva circa i libri sacri.

Le successive confessioni riformate accentuarono ancora di più l’azione garante dello Spirito Santo nel soggetto.

Però a partire dal XIX secolo d. C. si ritornò a dare peso ai criteri oggettivi; i vari: T. Zahn, A. Von Harnack, K. Barth, O. Culmann, M. Lods, non fanno altro che riconsiderare la Chiesa visto che non considerarla sarebbe affrontare superficialmente e aprioristicamente il criterio della canonicità.

E’, in ultima istanza, la concezione della Chiesa che divide i cattolici e i protestanti, molto più di quanto non li divida il problema del canone. Anzi, è proprio la nozione della Chiesa nelle varie confessioni riformate, per noi insufficiente e incompleta, che rende loro problematica a tutt’oggi la questione del canone, tanto da poterla (o doverla!) ritenere una questione ancora aperta, nei termini di “un Canone nel Canone”. (vd cap. 14)

Vediamo ora di chiarire l’affermazione del Concilio Vaticano II in D.V. 8.

Nei manuali di teologia, prima del Vaticano II, Sacra Scrittura e Tradizione erano presentate come 2 forme materialmente distinte della Rivelazione, e la Tradizione costituiva fonte più ampia: alcune verità rivelate a cominciare dalla Verità del Canone di libri ispirati, sarebbero contenute nella Tradizione e non nella Scrittura.

Se invece leggiamo la D.V. 9 vediamo che il Concilio ha parlato della Sacra Scrittura e della Sacra Tradizione come due modi diversi, ma anche tra loro congiunti e comunicanti, di trasmettere l’unico e medesimo oggetto che la Divina Rivelazione; in altri termini, non ha parlato di due fonti materialmente distinte come facevano alcuni teologi. Anzi, le dimensioni e gli altri atti del Concilio dimostrano che i Padri conciliari non hanno voluto dirimere la questione della distinzione solo formale o anche materiale, ma semmai si sono orientati - è la Spirito del capitolo II della D.V. - verso la soluzione della distinzione soltanto formale, in armonia con la costante prassi della Chiesa, la quale, nel definire le Verità di fede nel suo Magistero solenne, le ha sempre giustificate con un richiamo più o meno diretto alla Scrittura

Dunque criteri obiettivi dell’uso di uno scritto apostolico diretto ad una Chiesa ufficiale e l’origine o l’approvazione apostolica di uno scritto sono importanti ma non sufficienti a risolvere la questione.

Fa bene la teologia protestante ad affermare l’azione di discernimento per opera dello Spirito Santo, tuttavia bisogna vedere qual è il destinatario, il soggetto di questo dono soprannaturale; di fatti la concezione che dà la teologia protestante è troppo povera per essere accettabile; come può il singolo credente avere in sé il parametro del Canone se tale parametro non l’aveva con assoluta precisione la Chiesa del II sec. d. C. e fu in discussione fino al quarto secolo?

E’ proprio l’assistenza dello Spirito Santo che continuò e continua ad assistere la Chiesa perchè conservi con integrità ciò che le è stato donato nel deposito apostolico. In questo campo, come in qualsiasi altro, il suo Magistero gode dell’infallibilità soltanto per conservare (non per modificare e ampliare) il dato originale.

Infatti, tutte le variazioni che presenta la Tradizione ecclesiastica sul Canone sono da imputarsi a:

* Appello ai criteri interni (autenticità etc...)

* Ricorso all’autorità del Canone ebraico

Per Grelot, dunque, la definizione del Canone costituisce il primo (in senso logico) atto solenne del Magistero della Chiesa post - apostolica nei confronti della Rivelazione, che essa è chiamata a conservare e custodire per proclamarla agli uomini di tutti i tempi; nel custodire e proclamare è guidata con assoluta infallibilità dallo Spirito Santo che l’aiuta anche nell’attualizzazione fedele.

Per Rahner, le Scritture, quando nascono come genuina autorappresentazione della Chiesa Apostolica, e solo quelle, sono per ciò stesse ISPIRATE e CANONICHE, anche se il definitivo esplicito riconoscimento dell’ispirazione e della canonicità avverrà più tardi, distinguono dunque tra:

* Rivelazione * Percezione riflessa e formulata.

Due momenti tra i quali può correre benissimo un buon lasso di tempo.

La definizione di Canone è un atto, il primo in senso vero, di autocoscienza da parte della Chiesa che ha per oggetto un aspetto fondamentale del suo essere, appunto le Sacre Scritture. Ciò vale anche per l’Antico Testamento, il cui Canone viene stabilito soltanto dalla Chiesa Cristiana.

5 - Possono esistere libri ispirati ma non canonici?

Quando un testo deriva da un Apostolo, possiede già in sé stesso il carattere ispirato e normativo, tuttavia, se andato perso, non aggiungerebbe nulla di nuovo alla Rivelazione e dunque la Chiesa non sarebbe costretta a riaprire il Canone pur riconoscendolo ispirato . (come ad esempio la lettera ai Laodicesi che è andata persa: Col 4,16 E quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi.

Se in un libro canonicamente riconosciuto (vedi per es. Gd) viene citato un libro apocrifo, non vi è però nessuna affermazione della quale si possa dire che Dio abbia voluto insegnarla agli uomini attraverso questa lettera, ma solo come mezzo epocale con cui Dio ha voluto trasmettere la Verità Infallibile

L’ispirazione biblica riguarda soltanto gli scrittori sacri e oggetto dell’ispirazione sono i testi usciti dalle loro mani; non è dunque attendibile una dichiarazione di ispirazione nel senso sopraddetto per la Versione greca dei LXX:

a) E’ vero che tale versione dei LXX è stata nella storia provvidenziale, ma ciò non è necessario per affermare l’ispirazione

b) Certamente non è mancata l’assistenza dello Spirito Santo nel concetto “articolato di ispirazione”, ma non si può concludere che gli scrittori della LXX sono stati ispirati alla maniera degli scrittori sacri

c) L’uso che ne fanno gli autori del Nuovo Testamento non prescinde da ciò che è sopraddetto; l’ispirazione del Nuovo Testamento può prescindere dall’ispirazione dei LXX.

d) L’argomento più probativo per l’ispirazione dei LXX è quello sostenuto da P. Grelot, e cioè, che i libri deuterocanonici accolti nel Canone e facenti parte dell’Antico Testamento, provengono (più o meno) tutti dalla versione greca dei LXX, infatti se ne è perso l’originale ebraico o aramaico; il Manucci tuttavia non accoglie con totalità questa opinione poiché la Chiesa ha accolto nel Canone l’Antico Testamento ispirato e canonico con quella estensione greca (e poi latina) facente parte di una tradizione giudaica; comunque il caso sembra da risolvere più con la critica testuale che con criteri teologici.

Cap. 14 Il Canone della Bibbia nel protestantesimo odierno

Finora il dialogo tra cattolici e protestanti interessa soprattutto due problemi di fondo, preliminari ad ogni altra discussione:

a) RAPPORTO SCRITTURA e TRADIZIONE

b) ESTENSIONE DEL CANONE NELL’ANTICO E NEL NUOVO TESTAMENTO

Tuttavia oggi il problema si pone in termini diversi perchè tutte le confessioni nella riflessione teologica hanno compreso che SCRITTURA e TRADIZIONE non sono due realtà dissociabili tra di loro; la Tradizione precede la Scrittura, la Scrittura è il momento privilegiato della Tradizione; la Tradizione continua anche dopo la Scrittura.

Per il secondo problema, si è visto recentemente nella riflessione teologica protestante che si possono distinguere nel Nuovo Testamento già i segni tipici del Cattolicesimo, che l’esegesi protestante chiama Protocattolici.

Questi due punti pongono i protestanti al bivio:

* Accettare tutto il Nuovo Testamento * Rimanere fedeli alla Riforma optando per un Canone nel Canone

1 - Le bibbie protestanti oggi

Portano in appendice i deuterocanonici dell’Antico Testamento (che Lutero considerava apocrifi), corredati da una prefazione speciale che li specifica come libri esclusi dal Canone degli Ebrei.

Contengono nel Nuovo Testamento anche i deuterocanonici nel loro ordine tradizionale; anche se Lutero ne aveva eliminati alcuni (Eb, Gc, Gd, Ap) anticipando in qualche modo la questione odierna del Canone nel Canone .

2 - Il Canone nel Canone. Il protocattolicesimo del Nuovo Testamento

Anche la Dei Verbum. riconosce particolare dignità ai Vangeli del Nuovo Testamento (D.V. 18), ciò non toglie che bisogna operare un Canone nel Canone, riconoscendo alcuni libri come più ispirati e altri meno, o alcuni come ispirati e altri no; anche sul piano dottrinale, le varie correnti teologiche del Nuovo Testamento non sono mai totalmente in antitesi, ma presentano alcune diversità nel piano proposto in base al soggetto a cui erano indirizzate.

L’espressione Protocattolicesimo fu coniata da A. Von Harnack (1851-1930) e designa in questi autori gli stadi iniziali del sacramentalismo, della gerarchia, dei ministeri ordinati, del dogma:

I padri della Riforma erano particolarmente influenzati dalla situazione ecclesiale del loro tempo, tanto che, per essi, il cattolicesimo aveva preso una identità solo nel Medioevo.

A. Von Harnack, invece, considerava che la cosiddetta “degenerazione cattolica” aveva preso corpo nel II secolo quando si consumò il “peccato originale” tra Ellenismo e Cristianesimo che poneva fine al periodo apostolico e introduceva quello del protocattolicesimo o cattolicesimo primitivo.

Per R. Bultmann il cattolicesimo inizia ancora prima: è già in essere nel Nuovo Testamento moderno, con i vari elementi riconoscibili, per esempio nelle lettere pastorali (1 e2 Tm; Tt) di passaggio dall’ “Ufficio carismatico” a quello “Istituzionale”.

E. Kasemann, H. Conzelmann, H Braun e W. Marxsen portano all’ultima conseguenza il discorso bultmaniano, trovando tali elementi protocattolici nel Vangelo di Luca e negli Atti oltre che nelle sopracitate lettere pastorali.

Dunque, là dove si riscontrano nei libri o nelle sezioni del Nuovo Testamento:

a) Il passaggio dal Carisma alla Istituzione

b) La diminuzione della tensione escatologica

c) L’evoluzione della presentazione della morale cristiana

Ivi gli autori parlano di penetrazione spuria del Protocattolicesimo e quindi di “contaminazione” dell’Evangelo puro, con nuove e gravi conseguenze per il problema del Canone. L’attuale Nuovo Testamento è troppo vasto e comprende elementi che non sono più puri: si dovrebbe ridurlo per ritrovare, dentro il Canone attuale e tradizionale, la purezza dell’Evangelo. Ma con quale criterio si può individuare il centro del Nuovo Testamento? Per Lutero è “ciò che spinge a Cristo” Per E. Kasemann e H. Conzelmann è “la giustificazione del peccatore in virtù della fede”; Kasemann poggia le sue tesi su tre argomenti:

  1. La variabilità dello stesso Kerigma neotestamentario nei Vangeli (4)

    2) La straordinaria quantità di posizioni teologiche

3) L’incompatibilità delle varie teologie del Nuovo Testamento

Da questi argomenti, Kasemann trae una conclusione per lui inequivocabile: “Il Canone del Nuovo Testamento non stabilisce, in sé e per sé, la base dell’unità della Chiesa. Al contrario, nella sua struttura, cioè negli elementi compositivi che lo storico vi può rilevare, esso costituisce il fondamento della pluralità delle confessioni cristiane”

Si deve applicare al Nuovo Testamento, secondo Kasemann, il paolino “discernimento degli spiriti”: “gli spiriti buoni “ del Nuovo Testamento sono soltanto quelle testimonianze che sono è possono diventare “Vangelo”, cioè che annunciano “la giustificazione per fede”; gli altri scritti sono “Spiriti cattivi”.

Kasemann, il quale inizialmente non vorrebbe eliminare dal Canone del Nuovo Testamento certi libri o certi testi, conclude con una scelta di un Canone nel Canone, un nuovo e parziale e riduttivo Nuovo Testamento.

3 - Una risposta al problema del “Canone nel Canone”

La maggioranza dei teologi ed esegeti del Protestantesimo odierno accetta l’intero canone tradizionale e rimprovera a Kasemann ed Amici di aver esagerato fino all’estremo le diversità che esistono all’interno del nuovo Testamento.

In conclusione accetta il Canone, riconosciuto, conservato e difeso dalla Chiesa Cattolica, sulla base di quanto veniva tramandato (tradizione) come scritti di sicura origine apostolica e quindi ispirati, e non come scritti falsamente attribuiti ad apostoli, quali erano ad esempio i testi gnostici. Di tutto il Nuovo Testamento vi sono citazioni sparse in tanti padri della Chiesa che attestavano la considerazione sacra che quegli specifici scritti, e non altri, avevano presso le comunità cristiane.

Contro tradizioni ritenute infondate e contro l'esclusivismo dell'interpretazione magisteriale della Scrittura, Lutero aveva affermato il principio della Sola Scriptura. Solo la scrittura trasmette la fede (principio materiale) e da sola la scrittura sa illuminare il lettore (principio ermeneutico). Ora, nel corso del dibattito con i controversisti cattolici, Lutero precisò ulteriormente la sua posizione dichiarandosi pronto ad opporsi alla stessa Scrittura qualora questa risultasse opposta a Cristo. "E qualora gli avversari facciano valere (urgere) la Scrittura contro Cristo, noi facciamo valere (urgere) Cristo contro la scrittura". In conseguenza del principio dell'urgere Christum (che per Lutero è il contenuto dell'apostolicità) Lutero definì il proprio canone assumendo, per quanto riguarda l'AT, il canone ebraico; rifiutando, per quanto riguarda il NT, quei testi incapaci di proporre energicamente Cristo: Eb, Gc, Gd, Ap. Contro questa posizione, il concilio di Trento afferma che occorre accogliere "tutti i libri dell'AT e del NT", "integri e in tutte le loro parti" (DZ 1501; 1504), e, riportandone l'elenco (DZ 1502-1503), definisce il canone.

Osserviamo che con questa definizione Trento aveva inteso affermare l'oggettività delle Scritture sulla soggettiva interpretazione del lettore. Assumere un criterio (soggettivo) di lettura a partire dal quale selezionare il testo non è corretto! Espone all'arbitrio e al pericolo di confondere il mistero di Cristo con quanto si pensa o si crede di comprendere. Il significato della definizione dogmatica di Trento intende propriamente scongiurare questo pericolo: definendo il canone, il concilio afferma il primato della Scrittura sull'interpretazione del lettore. Nel caso specifico, il primato della Scrittura definita nel canone sull'interpretazione luterana.