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L’affidabilità storica dei Vangeli,
risposta alle obiezioni più comuni

nuovo testamento attendibilitàDurante il 2016 l’associazione americana The Best Schools ha messo a confronto per diversi mesi due importanti studiosi del Nuovo Testamento, Bart D. Ehrman, docente di Religious Studies presso l’University of North Carolina, e Michael R. Licona, docente di Teologia presso la Houston Baptist University.

Ehrman è forse il principale studioso di livello con un punto di vista scettico sull’attendibilità storica del Nuovo Testamento, grazie a questo confronto abbiamo anche scoperto che è stato tra gli allievi preferiti di Bruce Metzger, uno dei più importanti biblisti cristiani del secolo scorso. Licona, invece, anch’egli molto noto e apprezzato nell’ambito accademico, sostiene il punto di vista contrario. In questo articolo abbiamo raccolto ampie sintesi dei loro interventi.

Innanzitutto andremo a smontare un mito su B.D. Ehrman: leggenda vuole che si sia allontanato dalla fede cristiana evangelica a causa dei suoi studi biblici. Lui stesso tuttavia ha chiarito le cose nella sua intervista iniziale«Quando ho iniziato ad insegnare alla Rutgers University a metà degli anni 1980 mi è stato chiesto di preparare una lezione sul problema della sofferenza, così come presentata in diverse parti della Bibbia […]. Allora ero un cristiano profondamente impegnato. E ho continuato ad esserlo per anni dopo. Ma ho cominciato a lottare a fondo con il problema della sofferenza […] e sono arrivato ad un punto in cui non credevo avesse più senso. Non potevo più credere che ci fosse un Dio che si preoccupava del suo popolo ed era attivo nel mondo, intervenendo e rispondendo alle preghiere, e contemporaneamente l’esistenza di un bambino innocente che muore di fame ogni cinque secondi. Ad un certo punto ho smesso di credere».

Per quanto riguarda M. Licona, nella sua intervista iniziale appare chiaro l’opposizione all‘infallibilità delle Scritture, ovvero all’errato convincimento (sostenuto da diversi evangelici, protestanti e dai Testimoni di Geova) che tutto ciò che afferma la Bibbia sia privo di errore. Non è così, «l’infallibilità biblica non è il fondamento della fede cristiana; Gesù lo è. Se Gesù è risorto, il cristianesimo è vero, anche se dovesse risultare che la Bibbia non è accurata in ogni dettaglio».

 

Entriamo ora nel merito delle tre grandi obiezioni avanzate da B.D. Ehrman e dalle tre risposte date da M. Licona.

1) OBIEZIONE: DISCREPANZE TRA I QUATTRO EVANGELISTI.
Prima di affrontare la prima obiezione, Ehrman ha tenuto a premettere che «i Vangeli, le loro storie e le azioni di Gesù sono sempre state e sempre saranno a me cari. Tra le altre cose, ho sempre cercato di rendere i valori che promuovono e l’etica che insegnano il centro della mia vita morale, e io incoraggio a fare altrettanto. Senza dubbio sono i libri più importanti che siano mai stati scritti, per me sono i libri più importanti della nostra civiltà e per la mia vita. Ciò non significa però li ritenga sempre storicamente accurati. Al contrario, anche se contengono preziose informazioni storiche sulla vita e la morte di Gesù, essi contengono anche una buona dose di materiale che non è storico». Rispetto a questo materiale non storico, Ehrman ha comunque precisato che «solo perché non è accaduto nella storia, non significa che non possa essere “vero” in qualche altro senso. Potrebbe essere un tentativo da parte dell’autore di trasmettere una “verità” su Gesù che è importante per la sua comprensione di lui».

«I Vangeli certamente contengono informazioni di importanza storica su Gesù», ha proseguito lo studioso scettico americano, citando come esempio le «ottime ragione storiche sul suo arrivo a Gerusalemme per celebrare la cena pasquale, sull’aver fatto arrabbiare i leader ebraici e romani, sull’essere stato arrestato e processato da Ponzio Pilato, essere stato trovato colpevole di tradimento contro lo Stato, ed essere stato crocefisso». Ma, «molti dettagli dei racconti evangelici non possono essere corretti». In particolare, Ehrman cita le contraddizioni sull’ultima cena contenute nel racconto di Marco (per il quale era la cena pasquale) e nel vangelo di Giovanni (per il quale il pasto si è svolto a mezzogiorno ed era il giorno di preparazione alla Pasqua). «Giovanni ha cambiato un dato storico trasmettere una verità», è stato il commento dello studioso. «E’ l’unico che parla di Gesù come “l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”, cioè come l’agnello pasquale tanto che nel vangelo di Giovanni egli muore lo stesso giorno in cui gli agnelli pasquali vengono massacrati nel tempio, nel giorno di preparazione per la Pasqua». Il problema, secondo Ehrman, è che «questo genere di cose succede dappertutto nei Vangeli», creando il materiale non storico di cui parlava.

Ehrman elenca quelle che ritiene essere le discrepanze tra i diversi vangeli, anche rispettive ai racconti della resurrezione (quante donne c’erano al sepolcro? La pietra era già rotolata via o la fanno spostare loro? Gesù appare ai discepoli a Gerusalemme come si legge nel vangelo di Luca, o in Galilea, come scrive Matteo? ecc.), concludendo così: «se i testimoni sono in contrasto gli uni con gli altri di volta in volta, non possono essere ritenuti affidabili». Forse la discrepanza più significativa riguarda la cacciata dei mercanti dal Tempio che avviene, per Marco alla fine della vita di Gesù, per Giovanni all’inizio. Ma lui stesso precisa che si tratta in gran parte di dettagli, «piccole, piccole differenze […]. So che alcuni di voi stanno leggendo queste istanze di discrepanze e non sono affatto impressionati».

RISPOSTA: DETTAGLI CHE NON ALTERANO L’ATTENDIBILITA’ STORICA.
Prima di entrare nel dettaglio della risposta, Licona ha premesso che «se consideriamo “storicamente affidabile” un documento solo se è privo di errori, allora dobbiamo considerare inaffidabile tutta la letteratura antica». Gli storici romani Sallustio e Tacito, ad esempio, hanno «spostato gli eventi dal loro contesto originario, trapiantandoli in un altro al fine di evidenziare un particolare aspetto», ma senza «distorcere intenzionalmente “verità”». Licona è d’accordo sul fatto che Giovanni abbia modificato la data e l’ora della crocifissione per enfatizzare il punto teologico che Gesù è il nostro agnello pasquale, definendolo un espediente letterario «utilizzato anche da storici greci, romani ed ebrei», aggiungendo che solo perché un testo utilizza dei dispositivi letterari «non significa che deve essere automaticamente classificato come letteratura piuttosto che come storia». Non è solo il genere biografico di quel tempo che permetteva queste piccole modifiche per comunicare meglio la verità, anche nel film Apollo 13 (1995), ad esempio, elogiato per la sua accuratezza storica, il regista ha reso molto più difficile la vita degli astronauti di quanto realmente accaduto, mettendo in bocca ai protagonisti parole mai dette realmente (come la famosa frase: “Il fallimento non è contemplato!”).

Inoltre, ha proseguito lo studioso cristiano, dato che «tra 1000 anni ci sarà un diverso modo di scrivere e raccontare, sarebbe ingiusto se gli storici del futuro considerassero inaffidabile la storia dei primi anni del ventunesimo secolo, solo perché oggi non abbiamo gli stessi standard di scrittura che avranno loro». Per questo occorre «pensare all’attendibilità storica alla luce delle convenzioni letterarie appartenenti al genere storico dell’epoca in cui è stato scritto», e non attraverso «le moderne convenzioni che richiedono una precisione quasi forense». Ovviamente, questo non significa «che l’autore non avrebbe potuto includere un piccolo numero di storie leggendarie, ma che una larga maggioranza di ciò che viene riportato è vero. Ad esempio, Svetonio è considerato uno dei migliori storici di Roma e consideriamo la sua “Vita dei Cesari” storicamente affidabile nonostante abbia usato in modo a volte indiscriminato le fonti e inserito, di tanto in tanto, storie leggendarie». Naturalmente, ha voluto precisare, «la “licenza artistica” ha i suoi limiti e alcuni autori sono andati così lontani che riteniamo inaffidabile ciò che hanno scritto».

Secondo Licona, «se leggiamo i Vangeli dal punto di vista dei dispositivi compositivi utilizzati da alcuni dei più fini biografi storici di quel periodo, la maggior parte delle contraddizioni tra i vangeli si scioglie, tra cui la maggior parte di quelle citate da Ehrman». Si, «ci sono alcune differenze che rimangono per le quali non ho alcuna spiegazione, ma anche queste non alterano la sostanza complessiva delle storie in cui appaiono». Tutti sanno, ad esempio, che il Titanic è affondato, ma i sopravvissuti si sono contraddetti l’un l’altro: alcuni hanno detto di aver visto la nave rompersi in due prima di affondare, altri giurarono che è affondata intatta. «Come avrebbero potuto sbagliarsi?», si è chiesto lo studioso. «E’ stata la notte più terrificante della loro vita, guardavano intensamente una nave lunga 800 piedi e sentivano le urla di chi era ancora a bordo, amici, familiari e colleghi. Non so come hanno fatto a sbagliarsi, ma nessuno ha citato le testimonianze contraddittorie concludendo che il Titanic non è affondato! La differenza riguardava un dettaglio periferico che non cambia l’essenza della storia e coloro che hanno ascoltato le loro testimonianze apprendevano il nocciolo accurato di ciò che era accaduto nel suo complesso. Allo stesso modo, praticamente tutte le differenze nei Vangeli riguardano dettagli periferici. Non ci sono vangeli che riferiscono che Gesù non è stato crocifisso o che la tomba era occupata dal cadavere di Gesù o che non è risorto».

Se andiamo oltre ai dettagli controversi, ha spiegato il prof. Licona, e considerando che gran parte di quanto descrivono riceve conferma dalle fonti non cristiane e dalle lettere di Paolo, «abbiamo ragione di credere che gli evangelisti non erano né troppo indiscriminati nell’uso delle loro fonti né troppo creduloni». Certo, «non possiamo escludere che alcune storie dei Vangeli contengono leggende o abbellimenti», ma certamente tutti e quattro «presentano un ritratto simile di Gesù come Figlio unico e divino di Dio, che è venuto a portare il regno di Dio, offrire la salvezza, che fu crocifisso, e sconfisse la morte». Infatti, chi è abituato a studiare «come gli storici più antichi riportano gli stessi eventi e li confronta a come vengono riportate le storie su Gesù, osserva chiaramente che le somiglianze tra i quattro vangeli sono a dir poco notevoli rispetto a come altri storici antichi riportano gli stessi eventi». Eppure «Ehrman vorrebbe che i racconti siano privi di qualsiasi licenza compositiva che alteri i dettagli. Questo requisito esclude non solo i Vangeli, ma tutta l’antica letteratura storica e rende il termine “storicamente affidabile” privo di significato»Perciò, concludendo, «la domanda non è se i Vangeli sono di “ispirazione divina”, “infallibili” o “senza alcun errore.”, ma se risultano storicamente affidabili sulla vita, gli insegnamenti e la risurrezione di Gesù. L’attendibilità storica ​​non richiede che tutto quanto riportato dagli autori si è verificato esattamente come descritto, né che gli autori non debbano aver incluso un piccolo numero di storie leggendarie, abbellimenti, o errori. “Attendibilità storica” ​​significa che una grande maggioranza di ciò che viene riportato è vero nella misura in cui i lettori ottengono il nocciolo accurato di ciò che si è verificato. I Vangeli, essendo conformi a questo, sono storicamente affidabili».

 

2) OBIEZIONE: TRADIZIONE ORALE POCO ATTENDIBILE, SI MODIFICA NEL TEMPO.
Nella seconda grande obiezione, il prof. Ehrman ha sostenuto che «i Vangeli sono stati scritti da cristiani altamente alfabetizzati, di lingua greca e che vissero 40-65 anni dopo la morte di Gesù. Non erano testimoni oculari degli eventi, perché essi appartenevano per la maggior parte alle classi inferiori, erano analfabeti e contadini della Galilea rurale di lingua aramaica» e «gli studiosi si sono resi conto che gli autori evangelici hanno acquisito le loro storie di Gesù dalla “tradizione orale”, cioè, dai racconti su Gesù che erano entrati in circolazione con il passaparola dal momento della sua morte. I Vangeli sono stati scritti tra il 70-95 d.C., da 40 a 65 anni dopo gli eventi che raccontano, e ciò significa che gli scrittori evangelici stanno riportando storie che sono state raccontate mese dopo mese, anno dopo anno, decennio dopo decennio, tra i cristiani di tutto l’impero romano, in luoghi diversi, in tempi diversi, anche in lingue diverse. Le storie quasi certamente sono cambiate nel corso del tempo. Ecco perché ci sono così tante differenze tra di loro».

RISPOSTA: LE FONTI DEGLI EVANGELISTI ERANO DIRETTE.
Secondo Licona, la tradizione orale era in realtà ben sottoposta al vaglio della chiesa primitiva. Infatti, ha spiegato«un numero significativo di studiosi moderni del Nuovo Testamento, forse anche una maggioranza risicata, afferma che la fonte utilizzata da Marco è stato uno dei discepoli più vicini a Gesù, Pietro, mentre Luca si è rifatto a Paolo (con il quale aveva viaggiato) e la fonte primaria di Giovanni era un testimone oculare, uno dei discepoli di Gesù». Quindi, ha avvertito, «non è affatto vero che Marco, Luca e Giovanni sono i destinatari di storie su Gesù che erano state tramandate da qualche centinaio di persone prima di arrivare a loro». Inoltre, mentre Plutarco scrisse le sue Vite parallele (raccolta di biografie) a circa 150-200 anni dalla morte dei protagonisti, «con le date più ampiamente accettate dagli studiosi moderni, i Vangeli sono stati scritti nel giro di soli 35-65 anni dagli eventi che pretendono di descrivere. Quando i Vangeli sono stati scritti, in particolare i Sinottici, la gente che sapeva cosa era realmente accaduto era ancora in vita».

Inoltre, anche accettando l’analfabetismo di gran parte dei dodici apostoli, «gli autori evangelici avrebbero potuto essere aiutati da uno scriba che scriveva sotto la loro supervisione. Paolo ne ha fatto spesso uso, così come hanno fatto Cicerone e Bruto, anche se erano altamente istruiti». Bisogna anche considerare, aggiungiamo noi, che il substrato aramaico è «riflesso nei quattro Vangeli», tanto che diversi detti «sono proprio estranei all’ebraico e al greco» (cfr. J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 1, Queriniana 2006, p. 261-263): bisogna quindi ricontestualizzare l’obiezione di Ehrman sulla lingua utilizzata e parlata dagli autori degli scritti evangelici, che sembra essere la stessa utilizzata da Gesù e dai testimoni oculari degli eventi.

Per quanto riguarda la tradizione orale, essa è risultata essere abbastanza affidabile dai lavori sulla conservazione delle antiche tradizioni su Gesù trovate nei Vangeli, realizzati da diversi studiosi: Birger Gerhardsson, Samuel Byrskog, Kenneth Bailey, James DG Dunn, Werner Kelber ed Eric Eve. Noi stessi, ha aggiunto Licona, ricordiamo perfettamente eventi accaduti decine di anni fa, «sopratutto quando quei fatti si sono svolti in un contesto ricco di emozione e/o importanza personale, venendo fissati nella memoria in modo vivido». I primi cristiani, che oltretutto apparteneva ad una cultura orale, vennero sconvolti dall’insegnamento inedito di Gesù (ne siamo stupiti noi ancora oggi), lo osservarono «guarire i paralitici, i ciechi, i lebbrosi, gli indemoniati, lo videro camminare sull’acqua, confrontarsi con i leader ebrei, essendo crocifisso e poi risorgere. Una tale esperienza con Gesù avrebbe influenzato chiunque, tanto da rimanere fissata nella memoria per tutta la vita». Essi, inoltre, viaggiarono con lui di città in città, sentendolo predicare quotidianamente e, ovviamente, «non ci si aspetta che Gesù predicasse un sermone inedito in ogni villaggio, ma che utilizzasse una decide di prediche da adattare al tipo di pubblico, esponendo i suoi insegnamenti attraverso parabole e linguaggio iperbolico, facile da ricordare. I discepoli avranno ascoltato questi insegnamenti molte volte, correggendosi tra loro quando vennero inviati a predicare da Gesù. Si può capire come tale processo potrebbe aver facilitato la capacità dei discepoli di Gesù di ricordare ciò che egli insegnava, anche a distanza di molti anni».

 

3) OBIEZIONE: GESU’ NON HA MAI DETTO DI ESSERE DIO.
La terza obiezione di Ehrman si è basata sull’identità di Gesù, ha infatti affermato«Se il Gesù storico davvero non predicò dicendo di essere Dio in terra, c’è qualcos’altro che poteva forse dire di più significativo? Questa sarebbe la cosa più sorprendente che, concettualmente, avrebbe potuto dire. Eppure, come si spiega il fatto che tali parole non si trovano in nessuna delle nostre fonti precedenti a Giovanni? La spiegazione più probabile è che Gesù in realtà non ha detto queste cose. Si può certamente pensare che le parole di Gesù riportate da Giovanni siano teologicamente vere, cioè che in realtà Gesù era Dio in terra. Ma, storicamente, queste non sono probabilmente le cose che Gesù ha effettivamente detto di se stesso».

Inoltre, Ehrman ha accennato ad una tesi che ripete spesso nei suoi libri: «La mia opinione è che i primi seguaci di Gesù lo ritenevano un uomo, venendo poi a credere che era stato risuscitato dai morti. Col passare del tempo, altri cristiani cominciarono a pensare che Gesù non era originariamente un essere umano, ma che era stato un essere divino per tutta la vita, e hanno quindi sviluppato una teologia dell’incarnazione. Sto dicendo che il cristianesimo è iniziato con un’esaltazione cristologia e poi ha sviluppato una incarnazione cristologia».

RISPOSTA: GESU’ HA SCELTO DI RIVELARSI IN MODO PROGRESSIVO.
L’errore di Ehrman, secondo Licona, è non aver considerato che «la prima letteratura cristiana conosciuta è stata scritta da Paolo, il quale certamente ha creduto che Gesù era Dio in modo non diverso da quanto lo si attesta nel Vangelo di Giovanni». I racconti evangelici mostrano che Gesù svela la sua divinità in modo lento e progressivo, quasi pedagogico ed enigmatico. Un caso è esemplificativo: «In Marco 2,1-12, i capi ebrei accusano Gesù di blasfemia per aver perdonato i peccati di un paralitico, poiché solo Dio può perdonare i peccati. La risposta di Gesù si può riassumere in questo modo: “Questo è corretto. Solo Dio può perdonare i peccati!”». Allo stesso modo, Gesù compie miracoli che tutti sapevano essere possibili solo a Dio, «quando viene riconosciuto il genere biografico del Vangelo di Marco, è del tutto evidente che il ritratto che fa Marco di Gesù è quello di un essere che è, in un certo senso, Dio. E questo è il punto di vista anche di Paolo, che scrisse prima di Marco e di Giovanni».

Tornando a ciò che scrive Paolo e confrontandolo con Giovanni, Licona ha sintetizzato così: «Paolo predicò che Gesù preesisteva in forma di Dio, ancor prima di assumere un corpo umano (Fil 2, 6-11; cfr Gv 1, 1-2, 9,14); Paolo predicò che Gesù è il creatore dell’universo (1 Corinzi 8,6; Col 1,16 cfr. Giovanni 1,3,10). Paolo predicò che Gesù ha ricevuto lo stesso titolo e l’onore di Dio, il quale ha condiviso con il Figlio la gloria (Fil 2,9-11; cfr Is 45,23; Gv 17,5)». Concludendo, «si nota che questi insegnamenti sono chiari paralleli nel vangelo di Giovanni. E quando si aggiunge che allo stesso modo Marco ha a sua volta presentato Gesù come Dio in un certo senso, si osserva un ritratto coerente di Gesù, presentato da tutti loro, anche se con differente enfasi».

 

Sia il prof. Ehrman che il prof. Licona hanno parlato di molte altre cose nel loro confronto, ma per un maggior ordine abbiamo estratto soltanto gli argomenti più importanti di entrambi. Un dibattito ad alto livello, come ci auguriamo possa accadere prima o poi anche in Italia.