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 Anselmo d’Aosta

 La posizione di Anselmo d’Aosta, precedente di due secoli quella di Tommaso, è articolata in dimostrazioni “a priori” e “a posteriori” relativamente all’esistenza di Dio, ma è celebre soprattutto la prova “ontologica”  contenuta nel Proslogion, composto tra il 1077-78.

Inizialmente intitolato “la fede alla ricerca dell’intelletto” (fides quaerens intellectum), segue due direzioni suggerite già da Agostino “credo ut intelligam” e “intelligo ut credam”, ma per Agostino vi era circolarità tra le due: sia il credere può essere presupposto dell’intelligenza (presupposto, dunque che è a fondamento) e viceversa, sia l’intelligenza è rafforzatrice per la fede (presupposto per capire la propria fede). Per Anselmo d’Aosta è sul presupposto della fede che l’intero compito si svolge: nella fede è già inscritta la ricerca, essendo essa il fondamento dell’indagare, del ricercare.

In questo, Agostino e Anselmo non fanno che approfondire Isaia, il quale afferma “se non crederò, non intenderò” (nisi credidero, non intelligam).

E’ dalla fede, quale presupposto non scontato, che Anselmo inizia il suo cammino di ricerca e giunge a formulare la propria argomentazione relativamente alla esistenza di Dio, provabile senza il ricorso all’esperienza esteriore. Nel secondo capitolo del Proslogion, giunge a definire Dio come ens perfectum, ossia come quell’ente che accoglie in sé tutte le perfezioni, inclusa quella perfezione che è l’esistenza: l’essere intellettualmente comprensibile di Dio include in sé la sua stessa esistenza. Se noi pensassimo a Dio senza pensarlo esistente, ecco che non avremmo pensato veramente a Dio, perché potremmo pensare a un’idea ancora più grande: quella pensata prima più quella della sua esistenza.

Un conto è pensare alla perfezione di Dio come essere perfettissimo e altro la conseguenza logica che non possiamo pensarlo non esistente. Inoltre Anselmo esprime così la sua idea di Dio: “non Sei solo ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore, ma Sei anche alcunché di maggiore di quanto possa essere pensato”; le due affermazioni vanno tenute assieme, infatti la prima è il contenuto della argomentazione ontologica, mentre la seconda vuole evidenziare il ruolo della fede, in quanto  si vuole esprimere che Dio è anche più perfetto, più grande di ogni pensiero che si possa formulare su di lui.

Solo nella contemplazione di questi apparenti contrasti, quindi nella comprensione simultanea di queste due tesi, possiamo davvero affermare la perfezione di Dio, senza ridurlo a ente razionale, cioè a prodotto semplicemente della nostra speculazione,garantendogli la indicibilità, la superiorità, la differenza qualitativa tra Lui e l’uomo. Tuttavia in questo modo non rinunceremo così al tentativo di intuirne l’essenza.

Ecco che, così compreso il pensiero anselmiano, potremo comprendere la motivazione, da parte dell’ultimo Schelling, di riprendere l’argomento ontologico di Anselmo d’Aosta e nel              riapprofondirne la portata. Filosofia negativa e filosofia positiva non sono che le due facce del tentativo di comprensione dell’esistenza di Dio, Dio vivente capace di porsi in relazione con la conoscenza umana, la quale è capace a sua volta, almeno in parte, di cercare di comprendere Dio nelle sue relazioni storiche con la finitezza umana.