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Dalle creature materiali a Dio

L’intelletto umano può conoscere l’esistenza di Dio avvicinandosi a Lui attraverso un cammino che ha come punto di partenza il mondo creato e come itinerari due versanti, le creature materiali e la persona umana. Sebbene questo cammino sia stato specialmente sviluppato da autori cristiani, gli itinerari che, partendo dalla natura e dalla coscienza umana, conducono fino a Dio, sono stati esposti e percorsi da molti filosofi e spiriti religiosi di diverse epoche e culture.


Le vie verso l’esistenza di Dio vengono chiamate anche “prove”, non nel senso che le scienze matematiche o naturali danno a questo termine, ma nel senso di argomenti filosofici convergenti e convincenti, che il soggetto comprende con maggiore o minore forza a seconda della sua formazione specifica
[6]. Che le prove dell’esistenza di Dio non possano intendersi nel senso delle prove impiegate dalle scienze sperimentali discende con chiarezza dal fatto che Dio non è oggetto della nostra conoscenza empirica.

Ciascuna via verso l’esistenza di Dio perviene soltanto ad uno specifico aspetto o dimensione della realtà assoluta di Dio, quello dello specifico contesto filosofico entro cui la “via” di snoda: «partendo dal movimento e dal divenire, dalla contingenza, dall’ordine e dalla bellezza del mondo si può giungere a conoscere Dio come origine e fine dell’universo»
[7]. La ricchezza e l’incommensurabilità di Dio sono tali che nessuna di queste vie, da sola, possa giungere ad una immagine personale di Dio, ma solo a qualche aspetto di essa: la sua esistenza, intelligenza, provvidenza, ecc.

Fra le vie cosmologiche più note vi sono le celebri “5 vie” elaborate da san Tommaso d’Aquino che riprendono in buona parte le riflessioni di filosofi a lui precedenti, e per la cui comprensione sono necessari alcuni elementi di metafisica
[8]. Le prime due vie propongono l’idea che le catene causali (passaggio dalla potenza all’atto; passaggio dalla causa efficiente all’effetto) che osserviamo in natura non possono risalire nel passato all’infinito, ma devono riposare su un primo motore e su una prima causa; la terza, partendo dall’osservazione che gli enti naturali sono contingenti e limitati deduce che la loro causa deve essere un Ente incondizionato e necessario; la quarta, considerando i gradi di perfezione partecipata che si riscontrano nelle cose, ne deduce l’esistenza di una fonte di tutte queste perfezioni; la quinta via, osservando l’ordine e il finalismo presenti nel mondo, conseguenza della specificità e della stabilità delle sue leggi, ne deduce l’esistenza di una intelligenza ordinatrice che sia anche causa finale di ogni cosa. Questi ed altri itinerari analoghi sono stati proposti da diversi autori con diversi linguaggi e diverse forme, fino ai nostri giorni. Essi mantengono pertanto la loro attualità, sebbene per comprenderli sia necessario impiegare una conoscenza delle cose basata sul realismo (in opposizione a forme di pensiero ideologico), che non riduca la conoscenza della realtà al solo piano empirico-sperimentabile (evitando cioè il riduzionismo ontologico), consentendo infine alla mente umana di ascendere dagli effetti visibili alle cause invisibili (affermazione del pensiero metafisico).

La conoscenza di Dio è anche accessibile al senso comune, cioè al pensiero filosofico spontaneo esercitato da ogni essere umano, come risultato di esperienze esistenziali semplici: la meraviglia di fronte alla bellezza e all’ordine della natura, la gratitudine per il dono della vita, il fondamento e la ragione del bene e dell’amore. Questo tipo di conoscenza è importante anche per cogliere
a quale soggetto si riferiscano le prove filosofiche dell’esistenza di Dio: san Tommaso, ad esempio, termina le sue cinque vie collegandole con l’affermazione: “e questo tutti chiamano Dio”.

La testimonianza della Sacra Scrittura (cfr.
Sap 13,1-9; Rm 1,18-20; At 17,22-27) e gli insegnamenti del Magistero della Chiesa confermano che l’intelletto umano può giungere, partendo dalle creature, fino alla conoscenza dell’esistenza di Dio creatore[9]. Al tempo stesso, sia la Scrittura che il Magistero avvertono che il peccato e le cattive disposizioni morali possono rendere più difficile questo riconoscimento.