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FENOMENI INSPIEGABILI: SEGNI DEL SOPRANNATURALE

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    22/02/2010 19:37
    [Modificato da Credente 29/11/2018 18:02]
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    20/03/2010 17:52
    di Vittorio Messori

    Caro Direttore,

    un docente di letteratura francese non accetta quanto da me scritto sul Corriere del 23 febbraio su Emile Zola. Costui osservò il pellegrinaggio nazionale francese del 1892 e ne trasse un romanzo che, a quanto dichiarò, doveva essere di “storia, di cronaca, di verità“. Un reportage, dunque, travestito da romanzo. In realtà, lo scrittore ebbe la ventura di assistere a due guarigioni clamorose, le constatò nella sede stessa del Bureau medico ma ne scrisse, poi, come se si fosse trattato solo di momentanei miglioramenti dovuti a cause psichiche e seguiti da fatali ricadute. Una delle miracolate, Marie Lebranchu (che Zola chiama “La Grivotte“) non si rassegnò al falso e protestò pubblicamente, tanto che tre anni dopo lo scrittore andò a trovarla e le promise di aiutarla economicamente se si fosse tolta di torno, andando in Belgio da dove veniva il marito.

    Ora,il docente cui accennavo all’inizio, invade il web con un testo dai toni francamente offensivi, chiamando in causa anche il Corriere,“giornale laico e serio“, che avrebbe pubblicato una vecchia calunnia cattolica. Ebbene, ho qui sul tavolo L’Oeuvre de Lourdes (Paris, 1908) di Gustave Boissarie. Non un dottorucolo di provincia ma uno specialista stimato, uscito dalla Università di Parigi, attivo in una clinica della Capitale, che –buon cattolico- accettò a 50 anni di dirigere l’Ufficio medico di Lourdes. Fu lui ad accogliere Zola e ne fu mal ricompensato, ridotto nel romanzo a una macchietta. Ebbene, in questo rigoroso saggio di 400 pagine,Boissarie ricorda (pp. 315 ss.) le sue visite alla Lebranchu guarita, che gli disse: << Ho visto Zola tre anni dopo la mia guarigione. Venne da noi per chiederci di andare in Belgio. Ci assicurò che, se andavamo all’estero, non ci sarebbe mancato niente>>. Il dr Boissarie organizzò celebri incontri pubblici a Parigi,dove la Lebranchu dava la sua testimonianza, ma Zola, sempre invitato, non volle mai partecipare. La stampa, anche non cattolica, fece clamore sulla proposta alla miracolata di espatriare ma lo scrittore, pur attentissimo alla sua immagine sui media, non volle ma replicare, ripetendo solo che dei suoi personaggi faceva quel che voleva. Il libro del medico di Lourdes divenne un clamoroso best seller ma nessuno tra gli amici, i familiari, i critici di Zola, morto da poco, smentì quell’episodio. Un silenzio che seguì un altro best seller, pubblicato nel 1958 (Cent ans de miracles a Lourdes) da Michel Agnellet: non un cronista corrivo, ma uno stimato saggista, responsabile di una delle maggiori agenzie di stampa. La visita alla Lebranchu era ampliata con ancor maggiori particolari, frutto di inchiesta, ma le ristampe si susseguirono senza alcuna precisazione. René Laurentin, il maggior storico di Lourdes, docente in varie università, anche americane mi disse di essere certo del tentativo di Zola presso la donna. François Mauriac (Pèlerins de Lourdes, 1932): “Meglio sarebbe stato, per quell’uomo, non vedere ciò che ha visto“. Da parte “laica“ , tra le ammissioni, significative quella di un devoto di Zola, l’anticlericale Henri Guillemin (Zola, légende ou vérité?, Julliard,1960) che , preso dal dubbio che non si tratti di un ragot, un pettegolezzo, fa un ipotesi: lo scrittore sarebbe andato sì dalla “miracolata“, ma sarebbe stato frainteso, in realtà nel suo buon cuore voleva portare un aiuto economico a questa commessa di grande magazzino. Ma in realtà anche il marito, operaio, guadagnava e non si vede il perché di un’elemosina, per giunta dopo tre anni. In ogni caso, vista la folla di testimonianze da una parte e il silenzio secolare, totale, se non l’imbarazzo dall’altra, non è accettabile l’accusa di aver scritto “sciocchezze“, pubblicate per giunta da un giornale prestigioso. Lo sdegno del docente “zoliano“ andrebbe indirizzato verso altre direzioni.
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    27/03/2010 08:38
    Madre Maria Eletta di Gesù

    Madre Maria Eletta di Gesù, al secolo Caterina Tramazzoli, nasce a Terni il 28 gennaio 1605, terza figlia del nobile Alessandro. All’età di ventun’anni, insieme alla sorella Lucia, entra nel monastero delle Carmelitane Scalze della sua città, da poco fondato.
    Il 5 settembre 1629 lascia Terni insieme a una consorella. E’ infatti destinata alla fondazione del Carmelo di Vienna, del quale – pur giovanissima – sarà priora dal 1638 al 1642, anno in cui le viene affidata la fondazione del monastero di Graz, dove vive i suoi anni più felici e spiritualmente più fecondi.
    Nel 1656 è incaricata di fondare un terzo monastero a Praga. Vera figlia di santa Teresa d’Avila, obbedisce con slancio e contribuisce così a promuovere un vero risveglio spirituale della capitale boema. E’ a Praga che Madre Maria Eletta chiude il suo itinerario terreno, l’11 gennaio 1663, circondata dall’amore e dalla venerazione delle sue figlie spirituali che conservano il suo corpo incorrotto, ancora oggi oggetto di venerazione. Numerose sono le grazie attribuite alla sua intercessione.

    RIESUMAZIONE DEL CORPO



    La forza spirituale di Madre M. Eletta, protagonista di un’ autentica missione, oltrepassa le mura del monastero. Una volta cessato il suo diretto contributo, rimane l’eredità spirituale, perché la forza spirituale di una persona non agisce soltanto con la sua presenza e la sua influenza, ma anche con tutto quello che sopravvive dopo la sua morte.

    Nel monastero in costante sviluppo Madre M. Eletta continua a vivere non solo nella memoria delle consorelle più strettamente legate a lei; nei documenti del monastero di Praga, successivi al 1663, si incontrano spesso riferimenti che la riguardano. Dopo la sua morte ella rimase presente; sr. Geltrude la incontra mentre cammina per il corridoio con un volto splendente come il sole, ad altre monache appare in sogno. Questa sua presenza non cessa neppure dopo diversi anni dalla morte. La sua tomba, nel giardino del monastero, diventa rifugio nei momenti di sconforto e di difficoltà.

    Le eminenti virtù di questa Madre hanno lasciato una traccia profonda nel cuore delle figlie nelle quali, ad un certo punto, nasce il desiderio di aprire la tomba per rivedere quella figura discreta che tanto di sé riempiva ogni angolo del monastero, come viene affermato da Cecilia Teresa e da altre testimonianze.

    Una notte Madre M .Eletta rivela ad una monaca, durante il sonno, che il suo corpo è rimasto intatto e le suggerisce di riferirlo alla Priora, Sr. Eufrasia.

    Nel terzo anniversario della sua morte Sr. Eufrasia decide di far aprire segretamente la tomba dalla quale proviene uno strano profumo, come di violette. Ottenuto il permesso dal P. Provinciale, vengono scelte cinque monache: la Priora Sr. Eufrasia di Gesù Maria, la sottopriora Cecilia Teresa di Gesù e tre monache anziane, Giuseppa Maria di Gesù, Teresa Maria di Gesù B. e Maria di S. Giuseppe. Tutte, con la preghiera, si preparano a compiere quel lavoro.

    La tomba deve essere aperta il 14 gennaio 1666 con assoluta discrezione. Nel giorno stabilito possono dare inizio all’opera soltanto tre monache, perché Priora e sottopriora non sono in grado di sottrarsi, senza essere notate, ai doveri comunitari. Le sorelle Giuseppa M. di Gesù, Teresa M. di Gesù Bambino e Maria di S. Giuseppe si recano, all’ora stabilita, presso la tomba e iniziano a scoperchiarla, pregando con fervore.

    Il lavoro, a prima vista, non sembra pesante dato che la volta, ormai poco stabile, è quasi pericolante: pietre e tegole si staccano facilmente e ben presto le monache aprono la parete. Quando l’apertura è sufficientemente grande, le tre sorelle guardano dentro, ma la visuale non sembra promettere niente di buono. La tomba, fino al coperchio della bara, è completamente piena di acqua nera e puzzolente e i teli che escono dalla bara sono ricoperti da uno strato di muffa abbastanza spesso. Benché costernate da questo primo rilievo, tuttavia non si scoraggiano. Velocemente demoliscono tutta la parete, staccano la bara dalla tomba e si affrettano a portarla in una vicina stanza del monastero; a malapena riescono a trascinare la bara che, essendo piena d’acqua, è molto pesante. Quindi richiudono subito la tomba perché nessuno si accorga che qualcosa è stato modificato.

    Tornate nella stanza cominciano nuovamente a pregare e sollevano il coperchio. Si sente un odore insopportabile e un’esalazione così nauseante che devono aprire le finestre, ma la salma giace completamente incorrotta nella bara. Le monache cadono in ginocchio per ringraziare Dio di tutto cuore. Il corpo, molto enfiato, affonda quasi completamente nell’acqua puzzolente. L’abito e gli altri teli sono talmente ammuffiti e marciti che si decompongono appena toccati.

    Inizia il lavoro più pesante e importante: estrarre la salma senza danneggiare il corpo. Sicure della protezione divina, le monache impiegano senza scrnpoli tutte le loro forze per estrarre il corpo dalla bara e lo depongono su un piano di legno. Ricoperto completamente da uno strato fitto di muffa e di marciume, è necessario ripulirlo usando coltellini taglienti e acqua.

    Terminata la pulizia, le monache non possono credere ai loro occhi: il corpo si presenta intatto, pulito e bianco, la pelle morbida come quella di una persona morta da poco.

    Gli occhi sono appena un po’ infossati, si può distinguere la pupilla dalla cornea. Sul piede sinistro c’è una piccola apertura da cui scorre acqua; questa perdita d’acqua durerà circa quattro anni dal giorno dell’esumazione finché il corpo non si prosciugherà completamente.

    Raggiunto brillantemente il loro scopo, le monache vengono prese da una certa presunzione e vogliono rendere Madre M. Eletta più bella di come in realtà sia. Avendo visto alcune macchie scure sul corpo della Madre, dove questo rimase incastrato per l’esiguità della bara, tentano di toglierle. Bollono rosmarino con foglie di rose e incominciano a lavare la salma con questo decotto: un grandissimo errore di cui non si rendono conto. Le macchie non solo non scompaiono, ma tutto il corpo diventa marrone scuro. Spaventate, tentano di rimediare lavando il corpo per ben due giorni consecutivi, ma è tutto inutile, non riacquisterà più il primitivo colore. Immergono degli asciugamani nell’aceto e con questi avvolgono la testa e le mani della defunta, sperando che tornino bianche, ma anche questo procedimento non ha successo. Da allora il corpo di Madre M. Eletta è rimasto scuro fino ai nostri giorni.

    Le cinque monache visitano molto spesso la Madre e pregano dinanzi alla salma, ma lo devono fare di nascosto, per non suscitare sospetti nelle altre. Superate le preoccupazioni iniziali, la Priora invia una relazione dettagliata al P. Provinciale e al P. Generale. Si pensa di mettere Madre M. Eletta in posizione seduta perché più dignitosa, ma il corpo oppone una forte resistenza; nel tentativo di rimuoverlo si sarebbe sicuramente spezzato.

    Una delle tre sorelle corre dalla Madre Priora, riunita con la Comunità, e le espone la questione. La Madre risponde: “Andate da Madre M. Eletta e pregatela, poiché è stata sempre obbediente in vita, di esserlo anche adesso e di mettersi seduta.”

    La monaca torna indietro, insieme alle sorelle solleva il corpo, lo mette davanti alla poltrona e riferisce le parole testuali della Priora. Subito il corpo diviene pieghevole e la Madre viene messa seduta senza difficoltà. Ma si accorgono che in quella posizione sembra molto sfigurata, perché la testa pende sul petto a motivo dell’osso del collo spezzato nel tentativo di far entrare il corpo nella bara. Provano ad alzarle la testa, ma invano. Nuovamente Sr. Teresa corre dalla Priora per consigliarsi e questa le suggerisce di dire a Madre M. Eletta di dar loro la consolazione di alzare la testa. Di ritorno, la sorella si mette in ginocchio davanti alla Madre e riferisce il messaggio della Priora. Pone un dito sotto il mento della Madre e le solleva la testa che non oppone alcuna resistenza, restando nella posizione richiesta.

    Poiché il corpo è molto umido, viene portato in una stanzetta sotto il tetto perché si prosciughi del tutto. Frattanto, dal corpo comincia ad uscire un liquido oleoso che emana un gradevole profumo. Le monache pensano di impregnare alcuni pannolini per poi distribuirli come preziose reliquie. Il corpo di Madre M. Eletta rimane nella piccola stanza, sotto il tetto, per circa due anni. Ma giunge l’ora che l’incorruzione venga riconosciuta dagli esperti. La Priora, con il permesso del Generale dell’Ordine, chiama uno dei più famosi medici di Praga, docente universitario, che ha curato Madre M .Eletta e l’ha assistita in punto di morte. Egli sa meglio di tutti gli altri di quale malattia è morta la Madre ed in quale stato si trovava il suo corpo al momento della sepoltura.

    Il Dr. Franchimont è non solo un medico dotto, ma anche molto scrupoloso, pio e sincero. Prima della perizia, Madre M. Eletta viene vestita con gli abiti dell’Ordine. Quando il medico la vede seduta non crede ai suoi occhi. Si fa narrare tutto dettagliatamente, poi esamina il corpo della Madre con grande coscienziosità e scrupolosità scientifica. Terminata la perizia dichiara che l’incorruttibilità del corpo non si può spiegare scientificamente, ma si deve attribuire all’onnipotenza di Dio.

    Il miracolo viene annunciato a tutte le sorelle solo nel 1670, in occasione della visita del Padre Generale P. Filippo della SS. Trinità. Non appena le sorelle entrano nella cella dove si trova Madre M. Eletta seduta su una poltrona rivestita degli abiti religiosi, si inginocchiano e le baciano le mani e i piedi. Il corpo incorrotto viene nuovamente esaminato dal famoso medico Franchimont e dal chirurgo Cassini de Bagella, poi il prodigio viene annunciato a tutta la popolazione. Da allora il corpo di Madre M. Eletta è oggetto di venerazione e molti sono stati i miracoli e le guarigioni ottenute tramite la sua intercessione.



    Dopo la soppressione del Monastero di S. Giuseppe da parte dell’Imperatore Giuseppe II, il corpo della Madre viene trasferito a Pohled dove si erano ritirate temporaneamente le Carmelitane praghesi. Ora si trova nuovamente a Praga, nel convento di S. Giuseppe. Sta lì, custodita dalle Scalze praghesi, le ha seguite nelle traversie della storia, nascosta durante il dominio del laicismo di stato, seduta adesso nel Carmelo, in cima al castello di Praga. E’ visibile dietro una finestra dell’inferriata, a destra dell’altare maggiore, seduta sulla poltrona e nessuno sfugge all’ enorme emozione, constatando che, pur essendo morta da tre secoli, si conserva ancora perfettamente.

    Sta lì per dire a tutti che il valore intramontabile dell’obbedienza è sorgente di pace e di prodigi. Forse, nell’ attuale contesto storico, in cui si è promosso fino all’esasperazione il culto della personalità, è bene riscoprire e riflettere su questa figura, su questa “beata” che ha fatto dell’incondizionata obbedienza alla volontà di Dio, attraverso le mediazioni umane, il leit motiv della sua vita. Servirebbe, se non altro, a sottolineare due importanti verità: che Cristo ha compiuto l’opera della Redenzione, il piano della salvezza, proprio attraverso l’obbedienza al Padre e che l’obbedienza, virtù così difficile, contrastata e discussa oggi, resta sempre tanto preziosa agli occhi di Dio. Tutti i Santi hanno vissuto radicalmente questa virtù, a imitazione di Cristo, ma è pur vero che ogni Santo l’ha incantata con sfumature diverse perché l’inesauribile fantasia dello Spirito, quando scolpisce nei cuori l’immagine di Cristo, si diverte a inventare una straordinaria varietà di espressioni.
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    24/04/2010 01:11
    Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle... Luca 21,25

    [Modificato da Credente 29/11/2018 18:05]
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    11/05/2010 12:20
    Il liquido fuoriesce dalla gamba destra della statua del Cristo Risorto a Medjugorje, asciugato dal fazzoletto di un pellegrino (che, analizzato, è risultato essere lacrime umane).



    [Modificato da Credente 29/11/2018 18:09]
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    11/05/2010 12:40
    FENOMENO LUMINOSO NEL SOLE A MEDJUGORJE

    [Modificato da Credente 29/11/2018 18:12]
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    16/05/2010 20:42
    [Modificato da Credente 29/11/2018 18:13]
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    09/07/2010 15:05




    [Modificato da Credente 29/11/2018 18:17]
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    10/09/2010 14:43
    A Santa Fe, nel Nuovo Messico, la scala "miracolosa" di Nostra Signora della Luce
     
    Nel settembre 1852, alcune Suore di Lorette (Loreto?) andarono ad installarsi nel Sud-Ovest degli Stati Uniti, tra il Kentucky, il Missouri ed il Kansas. Un viaggio difficile ed ad alto rischio nel corso del quale la superiora, Madre Mathilde, morì di  colera. Esse si fermarono a Santa Fe, nel Nuovo Messico (altra terra strappata al Messico dagli ameri-cani). Suor Madeleine (nominata superiora da Mons. Lamy), Suor Catherine, Suor Hilaire e Suor Robert si installarono in una casetta, in mezzo ad una popolazione composta principalmente da messicani e da indiani.

     La loro prima preoccupazione fu quella di costruire un convento e una cappella. Esse fecero dunque venire alcuni carpentieri messicani e, ben presto, una scuola venne edificata: il Collegio di Lorette. La costruzione della cappella iniziò il 25 luglio 1873, secondo il progetto dell'architetto Mouly, che aveva disegnato la cattedrale di Santa Fe. Mons. Lamy, che era francese, nutriva l'idea di costruire "qualcosa di simile" alla Saint-Chapelle di Parigi! Questa cappella fu dunque la prima costruzione gotica ad Ovest del Mississippi. L'edificio doveva essere di 8 metri di larghezza, 23 metri di lunghezza e 26 metri di altezza. Essa venne posta sotto il patronato di San Giuseppe.

    A cappella finita, le Suore si accorsero che se da un lato la realizzazione era notevole, tuttavia era stato fatto un errore grossolano: nessun collegamento era stato previsto tra la tribuna ed il coro. Nessuna tromba di scale e, tenuto conto dell'altezza della tribuna, era impossibile installarne una! Suor Madeleine fece venire numerosi carpentieri per provare a risolvere il problema. Invano. Certi proposero di mettere una scala, altri di radere al suolo l'intero edificio per ricostruirlo. Le Suore preferirono fare una novena.
    E di stare a vedere.

    L'ultimo giorno della novena, un uomo anziano, che spingeva un asino carico di attrezzi, propose di costruire una scala, cosa che gli venne accordata, naturalamente. In fatto di attrezzi, l'uomo ne possedeva solamente tre: una sega, un martello e una squadra a T. Dopo sei mesi, il lavoro fu finito. E l'uomo sparì dall'oggi al domani. Senza lasciare tracce. E senza aver chiesto nemmeno un soldo.
     
                                                 

    Madre Madeleine, preoccupata di assolvere il suo debito, andò alla segheria per pagare il discreto carpentiere e il legno. Ma ecco la sorpresa: nessuno conosceva l'uomo e nessun documento riguardava un acquisto di legno per la cappella. Primo mistero. Il secondo, non certamente da meno, riguarda la scala. È un vero capolavoro composto da due spirali complete (2 x 360°), su sé stesse. A differenza della maggior parte delle scale a chiocciola, essa non ha nessun pilastro centrale per sostenerla. Il che vuol dire che è sospesa senza nessun supporto. Tutto il suo peso grava sul primo scalino. Suor Florian OSF, che ha lasciato un racconto di questa storia "miracolosa" (cfr. rivista Saint-Joseph, aprile 1960), scrive: "Parecchi architetti hanno affermato che questa scala avrebbe dovuto crollare al suolo nel momento stesso in cui la prima persona si fosse azzardata sul primo scalino. E tuttavia essa è stata utilizzata quotidianamente per oltre cento anni.

    La scala è stata assemblata esclusivamente con perni di legno: non c'è un solo chiodo. Attualmente, la parte localizzata sotto gli scalini tra il montante e la cremagliera assomiglia al legno leggero. In realtà, si tratta di gesso mescolato al crine di cavallo, destinato a dare rigidità. Troppo numerosi sono i visitatori che si sono lasciati prendere dalla tentazione di portarsi a casa un souvenir, e che perciò hanno strappato dalla scala dei pezzi di gesso. Nel 1952, quando le Suore hanno festeggiato il centenario del loro arrivo a Santa Fe, hanno sostituito il gesso, e l'hanno dipinto in modo da dargli l'aspetto di smalto color legno". All'epoca della sua costruzione, la scala non aveva ringhiere. Esse furono aggiunte cinque anni più tardi. Una delle ragazze che si trovava allora nel collegio aveva 13 anni.


                                               

    Più tardi, divenne Suor Marie presso le Suore di Lorette. Essa ha spiegato come lei e le sue compagne furono probabilmente le prima ad utilizzare la scala: "Avevamo talmente paura a salire sulla tribuna che ne ridiscendevamo sulle mani e sulle ginocchia". Migliaia di visitatori sono venuti - dal mondo intero - per esaminare questa scala misteriosa. Tra essi, numerosissimi architetti. Tutti hanno ammesso che non comprendevano assolutamente come la scala sia stata costruita. Né come abbia potuto rimanere in buono stato dopo decine di anni di utilizzo.

    Spiega ancora Suor Florian: "Ho parlato della scala con Urban C. Weidner, architetto della regione di Santa Fe e perito di rivestimenti in legno. Mi ha detto che non aveva visto mai una scala a chiocciola su 360° che non fosse sostenuta da un pilastro centrale. Una delle cose più sorprendenti a proposito di questa scala, secondo Weidner, è la perfezione delle curve dei montanti. Egli mi ha spiegato che il legno è raccordato (nel gergo della falegnameria si dice "innestato") sui lati dei montanti da nove spacchi di innesto sull'esterno, e da sette sull'interno.

    La curvatura di ogni pezzo è perfetta. Come puo essere stata realizzata una scala simile nel 1870, da un uomo che ha lavorato da solo, in un luogo isolato, con degli attrezzi più che rudimentali? Questo fatto non è mai stato spiegato". Numeroso periti del legno hanno tentato di identificare il tipo di legname utilizzato, in modo da individuare la sua origine. Senza trovare risposte. Gli scalini, instancabilmente utilizzati per più di un secolo, non presentano segni di usura che sul bordo. Uno di questi periti pensa di avere identificato questo legno come "un tipo di pino granuloso sui bordi". Resta il fatto che questo legno duro non viene dal Nuovo Messico. "Nostra Madre, la Santa Chiesa è sempre molto circospetta quando si tratta di giudicare sulle cose soprannaturali.

    Ecco perché le Suore e i sacerdoti della regione di Santa Fé hanno evitato, nello stesso spirito, di dire qualcosa di definitivo a proposito della scala. Le Suore del Collegio di Nostro Signora di Lorette sanno oggi, come dicevano già Suor Madeleine e la sua comunità, che la scala era stata la risposta di San Giuseppe alle loro preghiere. Molti amano pensare che il carpentiere era San Giuseppe stesso. Tuttavia, gli annali della comunità, come gli archivi diocesani, sono silenziosi sull'argomento: gli annali ci dicono solamente che la cappella di Nostra Signora della Luce è stata dedicata a San Giuseppe il 25 aprile 1878", ricorda Suor Florian.

                                            


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    IlTimone ha pubblicato, sul numero di giugno, un articolo analogo.... divulghiamo queste notizie.
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    16/09/2010 09:04

    [Modificato da Credente 29/11/2018 18:21]
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    18/09/2010 12:24

    L'immagine del Volto Santo di Manoppello, caso unico al mondo, si mostra uguale ad entrambe le facce del telo: naturalmente l'immagine che si vede da un lato è speculare all'altra.


    Immagine del Volto Santo di ManoppelloI diversi aspetti olografici dei traumi che si osservano a seconda della luminosità e dell'angolo visuale, si ritrovano in egual modo all'altro verso del telo con le medesime condizioni d'illuminazione e questo fatto non è assolutamente spiegabile dalla scienza. Non esiste al mondo nessuna raffigurazione uguale a questa. Se ad esempio osserviamo le lesioni, la visione olografica mostra  addirittura le fasi che vanno dalle  ferite insanguinate fino alle rimarginazioni delle stesse con croste (la sequenza di queste immagini sarebbe allora un' altra testimonianza dell'onnipotenza del Signore e quindi della sua vittoria sulla morte). 


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    17/10/2010 23:01

    San Giuseppe da Copertino e il fenomeno della levitazione

    Si definiva fratel Asino, per la sua mancanza di diplomazia nel trattare gli altri uomini, per la sua incapacità di svolgere un ragionamento coerente, per il non sapere maneggiare gli oggetti, ciò nonostante nel corso della sua vita ebbe tanti incontri con persone di elevata cultura, con le quali parlava e rispondeva con una teologia semplice ed efficace.
    Un professore dell’Università francescana di S. Bonaventura di Roma, disse: “L’ho sentito parlare così profondamente dei misteri di teologia, che non lo potrebbero fare i migliori teologi del mondo”.
    Ad un grande teologo francescano che chiedeva come conciliare gli studi con la semplicità del francescanesimo, rispose: “Quando ti metti a studiare o a scrivere ripeti: Signor, tu lo Spirito sei / et io la tromba. / Ma senza il fiato tuo / nulla rimbomba”.
    Possedeva il dono della scienza infusa, nonostante che si definisse “il frate più ignorante dell’Ordine Francescano”; amava i poveri, alzava la voce contro gli abusi dei potenti, ai compiti propri del sacerdote, univa i lavori manuali, aiutava il cuoco, faceva le pulizie del convento, coltivava l’orto e usciva umilmente per la questua.
    Amabile, sapeva essere sapiente nel dare consigli ed era molto ricercato dentro e fuori del suo Ordine.


    Dopo due anni di terribile aridità spirituale, che per tutti i mistici è la prova più difficile a superare, a frate Giuseppe si accentuarono i fenomeni delle estasi con levitazioni; dava improvvisamente un grido e si elevava da terra quando si pronunciavano i nomi di Gesù o di Maria, nel contemplare un quadro della Madonna, mentre pregava davanti al Tabernacolo; una volta volando andò a posarsi in ginocchio in cima ad un olivo, rimanendovi per una mezz’ora finché durò l’estasi.
    In effetti volava nell’aria come un uccello, fenomeni che ancora oggi gli studiosi cercano di capire se erano di natura parapsicologica o mistica; il fatto storico è che questi fenomeni sono avvenuti e in presenza di tanta gente stupefatta, che s. Giuseppe da Copertino non era un ciarlatano né un mago, ma semplicemente un uomo di Dio, il quale opera prodigi e si rivela ai più umili e semplici.

    Comunque frate Giuseppe costituì un problema per i suoi Superiori, che lo mandarono in vari conventi dell’Italia Centrale, per distogliere da lui l’attenzione del popolo, che sempre più numeroso accorreva a vedere il santo francescano.


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    17/10/2010 23:45
    Nella vita di Padre Pio, sono innumerevoli le testimonianze di fatti ed eventi che vanno al di là delle leggi naturali.
    Rimandiamo al seguente sito che riferisce parecchi casi:


    foto.jpg (2803 byte)

    Cenni biografici

    Miracoli

    Guarigioni 

    Bilocazione Profumi  Levitazione
    Apparizioni L'Angelo Custode Il Diavolo

    Chiaroveggenza

    La Confessione
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    12/12/2010 12:52
    NATUZZA EVOLO





    [Modificato da Credente 05/11/2018 22:09]
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    18/12/2010 19:34
    [Modificato da Credente 05/11/2018 22:01]
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    26/02/2011 20:40
    DOCUMENTARIO SULLA LACRIMAZIONE DELLA STATUINA DI SIRACUSA



    [Modificato da Credente 05/11/2018 21:58]
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    18/03/2011 08:51
    La gamba amputata di Miguel Juan Pellicer tornò com'era prima.

    [Modificato da Credente 05/11/2018 21:55]
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    18/03/2011 13:50
    TERESA MUSCO

    [Modificato da Credente 05/11/2018 21:52]
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    19/03/2011 13:46
    MARTA ROBIN ALIMENTATA DA SOLA EUCARESTIA PER BEN 50 ANNI

    [Modificato da Credente 05/11/2018 21:48]
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    28/06/2011 13:24
    [Modificato da Credente 05/11/2018 21:46]
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    Coordin.
    21/09/2011 22:53

    Il miracolo di san Gennaro alla prova della scienza

    Riceviamo dal blog Ragione e Fede e pubblichiamo con piacere (ovviamente la pagina è in continua aggiornamento a seconda degli sviluppi). Ricordiamo che per i cattolici non c’è alcun problema ad affermare l’eventualità di un falso prodigio, a patto che lo si dimostri con chiarezza. La fede non è basata certo su questo, può essere aiutata, ma non sostenuta. La questione di San Gennaro rimane comunque tuttora inspiegata e misteriosa, con buona pace di chi ha deciso preventivamente come deve andare il mondo. Ieri si è liquefatto (o fuso) nuovamente il sangue di San Gennaro nel Duomo di Napoli. Facciamo il punto sulla situazione scientifica rispetto a questo avvenimento.



    IN COSA CONSISTE?
    Il sangue di san Gennaro è conservato nel Duomo di Napoli (assieme al busto aureo ed argenteo del Santo e al suo cranio) in una boccetta di vetro sigillata, con volume stimato di circa 60 millilitri, riempita per metà dal liquido. Questa bottiglietta, accanto ad un’altra più piccola e vuota, è contenuta tra due pareti di vetro in un reliquiario portatile d’argento. Durante la cerimonia del miracolo di San Gennaro, il reliquiario è più volte mosso, agitato e capovolto al fine di evidenziare l’avvenuta liquefazione, che diviene visibile senza difficoltà: in certi casi quasi immediatamente, in altri dopo alcuni giorni, sebbene solidificatosi nell’arco dei secoli. Si dice, su basi non comprovate dalla scienza, che in qualche circostanza il sangue “ribolla”, cambi di peso e di colore, ma non vi sono prove certe che confermino questi fenomeni. L’evento è quasi sempre avvenuto in date precise durante l’anno da circa 700 anni.



    PERCHE’ SI PARLA DI MIRACOLO?
    Si parla di miracolo quando si è difronte ad un fatto oggettivamente inspiegabile a qualunque disamina, a qualunque procedimento indagativo della ragione. La scienza ci dimostra come il sangue umano, se sigillato in vitro per un certo periodo, solitamente si coaguli, senza più tornare al proprio stato liquido. Ma anche quando dovesse rompersi il coagulo (con conseguente liquefazione), ciò potrebbe avvenire una tantum: senza alcuna possibilità, dunque, di ulteriore ritorno alla coagulazione iniziale. Il liquido conservato nel Duomo di Napoli, invece, sta misteriosamente continuando, nel corso dei secoli, a solidificare ed a liquefarsi più volte, senza entrare mai a contatto con l’aria.



    STORIA.
    Tradizionalmente si racconta che il 19 settembre del 305, durante la persecuzione di Diocleziano, Gennaro, vescovo di Benevento, fu decapitato con altri compagni nella Solfatara di Pozzuoli. In altre fonti, è detto che Gennaro fu destinato ai leoni. Qualunque sia la versione ufficiale, sappiamo che la sua nutrice raccolse il suo sangue e il suo corpo, secondo i canoni di una tradizione molto diffusa e caratterizzante l’atteggiamento dei fedeli nei confronti dei martiri. Le cerimonie in onore di san Gennaro furono istituite nel 1337 dall’arcivescovo di Napoli. Bisogna attendere il 1389 quando, il 17 agosto, il fenomeno della liquefazione venne documentato per la prima volta: «fu fatta una grandissima processione per il miracolo che Gesù mostrò mediante il sangue del beato Gennaro conservato e che allora era liquefatto come se quel giorno fosse uscito dal capo del beato Gennaro». Da allora si sono verificate circa 11.000 liquefazioni in condizioni ambientali e culturali molto diverse. L’evento si è ripetuto – quasi sempre – a date regolari, scandendo la storia di Napoli. Il 19 settembre (giorno della decapitazione del santo); il sabato che precede la prima domenica di maggio (anniversario della traslazione delle reliquie del martire nelle catacombe di Capodimonte) e il 16 dicembre (in relazione ad una terribile eruzione del Vesuvio che nel 1631 causò molti lutti e distruzione. Il popolo durante quell’evento si affidò totalmente al Santo). Sono inoltre avvenute altre liquefazioni in giorni diversi e interpretate simbolicamente dai napoletani.



    POSIZIONE DELLA CHIESA CATTOLICA.
    La Chiesa cattolica non ha mai riconosciuto ufficialmente come “miracolo” il fenomeno della liquefazione. Qualche autorità ecclesiale lo ha definito “prodigio”.



    IPOTESI E STUDI SCIENTIFICI
    Le possibilità attuali proposte: miracolo (non ci sono prove sufficienti ed esaurienti); trucco (non ci sono prove e qualcuno se ne sarebbe già accorto, inoltre occorre implicare la malafede delle autorità ecclesiali che però paradossalmente dimostrano molta più prudenza dei fedeli); “energia psichica” prodotta dalle aspettative della folla (da escludere); effetto di microrganismi (da esclludere poiché il contenuto è sigillato e isolato dall’ambiente esterno da secoli); cause naturali (non ci sono prove sufficienti ed esaurienti).

    L’antropologo e studioso di miti popolari Massimo Centini ha affermato nel 2006: “Malgrado le tesi scientifiche, il miracolo di san Gennaro continua ad essere un fenomeno che resiste agli assalti del tempo e delle critiche” (Massimo Centini, Misteri d’Italia, Newton & Compton 2006 – pag. 55 e seguenti)”.

    CICAP e tissotropia. Occorre premettere che il CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) non ha spirito scientifico neutrale poiché è un’associazione che difficilmente intende andare contro il suo spirito di sopravvivenza (ammettendo qualcosa di misterioso negli avvenimenti che studia). Nel 1991 ha proposto l’ipotesi della tissotropia (ricordiamo che non ha però mai studiato il liquido direttamente): proprietà di alcuni gel di diventare più fluidi, fino a passare dallo stato solido a quello liquido, se scossi o fatti vibrare, comunque turbando il loro stato con sollecitazioni meccaniche. A dichiararlo è stato il suo responsabile scientifico, il chimico Luigi Garlaschelli dell’Università di Pavia (che ha fatto fortuna, non solo economica, grazie a questa vicenda), il quale tornò agli onori della cronoca anni dopo per aver voluto far credere di aver creato una seconda Sindone (senza aver mai studiato l’originale), rivelatasi però una bufala.

    Il CICAP ricrea il “miracolo”. Lo scienziato ritenne che il liquido fosse frutto di una manipolazione da parte di qualche abile alchimista e ha riprodotto il “miracolo” (cioè i cambiamenti di stato da solido a liquido) utilizzando una sostanza ottenuta tramite il miscuglio di elementi abitualmente adoperati dagli antichi alchimisti (per la Sindone invece ha usato il colore ocra, ignorando che sul Lino non c’è segno di alcun pigmento o di alcuna direzione). Le sostanze tissotropiche hanno la caratteristica di mutare, se agitate, il proprio stato.

    Errori del CICAP. Purtroppo il gel tissotropico creato dal chimico ha mantenuto le sue proprietà tissotropiche per soli 2 anni (come riportato da Antonio Ruggeri), al contrario del liquido di San Gennaro che dura ininterrottamente da quasi 7 secoli. Il CICAP presentò i lavori durante l’inaugurazine della sezione campana del CICAP. Il Corriere della Sera riporta che in sala era presente anche il professor Geraci, docente di Biologia molecolare e studioso di fama internazionale, che dopo aver precisato che ai miracoli non crede, “smantellò pezzo a pezzo le tesi del Cicap”. La «tissotropia» non c’entra nulla e gli scienziati del CICAP hanno utilizzato la stessa metodologia che spesso viene adottata dai loro «nemici». Il quotidiano continua: “Lo stesso Garlaschelli ha dovuto riconoscere i suoi limiti e con onestà intellettuale ha poi raggiunto il professore, al termine dell’incontro, per chiedergli lumi e la possibilità di leggere i suoi studi. Ed è a questo punto che Geraci rivela: «Il sangue c’è, il miracolo no, tutto nasce dalla degradazione chimica dei prodotti, che crea delle reazioni e delle variazioni anche con il mutare delle condizioni ambientali». Su quest’ultima frase, l’accademico, cambierà idea nel 2010 (è raccontato dopo).

    Nella teca c’è sangue umano. Già Baima Bollone, ordinario di Medicina legale nell’Università di Torino, dichiarò nel 1989: “secondo il parere di alcuni insigni biologi, sembrerebbe ragionevole – sulla base delle conoscenze via via raccolte – presumere che nelle ampolline sia contenuto del sangue certamente antico. Sangue con «metaemoglobina scura e stabile, il che bene corrisponde all’aspetto cupo del materiale contenuto nelle ampolle al momento della fase solida. Nella fase di liquefazione il contenuto delle ampolle diviene invece rosso vivo, quasi che si fosse realizzato l’impossibile ripristino della ossiemoglobina. Inoltre, le conoscenze sulla coagulazione tendono a condurre gli studiosi verso la conclusione che la liquefazione ricorrente contrasta con le conoscenze scientifiche biochimiche e fisiologiche naturali.” (P.L. Baima Bollone, San Gennaro e la scienza, pag. 204). Giuseppe Geraci ha confermato tutto questo di recente, dopo 4 anni di studio.

    Ultimi test scientifici. A Febbraio 2010, il dipartimento di Biologia Molecolare dell’Universita’ Federico II di Napoli, guidato appunto dal professor Geraci, ha dimostrato che nell’ampolla di San Gennaro è contenuto sangue umano e che esso può mutare stadio per eventi meccanici, fisici o chimici. Geraci afferma: “Ho applicato il massimo del rigore scientifico a un evento ritenuto assolutamente metafisico, inspiegabile”. Dopo centinaia di osservazioni e rilevazioni non si è rilevata alcuna misteriosa variazione di peso, anche quando ci sono i mutamenti di stato. L’analisi però ha portato a una sostanziale conferma dei dati emersi nel 1989 con l’analisi spettroscopica, i quali rivelarono lo spettro dell’emoglobina. A confermare ulteriormente questo dato per il professor Geraci ha contribuito un evento assolutamente imprevisto. «Nelle disponibilità della Delegazione c’era una teca con ampolla, in tutto simile a quella di San Gennaro. Una reliquia – afferma Geraci – proveniente dall’Eremo dei Camaldoli», ritrovata dieci anni fa. L’ampolla, che è identica a quella di San Gennaro ma è di datazione diversa (risale al XVIII secolo mentre quella di San Gennaro è del 1300) è stata sottoposta a numerosi test. Geraci racconta: «abbiamo riprodotto una serie di condizioni per verificare le reazioni del liquido, rossastro e schiumoso, in tutto simile a quello di San Gennaro. Poi abbiamo potuto aprire l’ampolla e, durante l’operazione, abbiamo verificato un elemento che ci ha convinto che all’interno ci fosse sangue ancor prima di poterlo verificare direttamente. Il sangue umano, in particolare condizioni, sprigiona una sostanza che, di fatto, è un vero e proprio mastice naturale. Il tappo, così come quello dell’ampolla di San Gennaro, era praticamente incollato al vetro. Impossibile da aprire senza romperlo». Nell’ampolla dei Camaldoli quindi è stato trovato del sangue umano. «Ma l’evento particolare fu all’atto dell’apertura. Si sprigionò un odore tremendo, un autentico odore di morte che si diffuse per l’intero dipartimento. Poi il liquido rossastro si coagulò in una gelatina. Test, con movimento e sostanze naturali, hanno poi riportato il sangue da solido a liquido. Così come per San Gennaro, non c’è dato scientifico univoco che spieghi perché avvengano questi mutamenti. Non basta attribuire al movimento la capacità di sciogliere il sangue, il liquido cambia stato per motivi ancora tutti da individuare” (da Il Mattino di Napoli, 5/2/10).

    Conclusioni. I lavori del dipartimento di Biologia molecolare dell’università di Napoli, sono sono stati esposti il 5/2/10 all’Accademia nazionale di Scienze fisiche e matematiche presieduta a Napoli dal rettore Guido Trombetti e rappresentata dal segretario nazionale Carlo Sbordone, titolare della cattedra di Analisi matematica alla federiciana, nel corso del convegno ‘Il miracolo di san Gennaro: esperimenti e considerazioni di un biologo molecolare’, in cui “sono stati riportati gli eventi che hanno portato ad eseguire misure sulla reliquia di sangue di San Gennaro, i loro risultati e le conseguenti considerazioni sulla autenticità della reliquia”.

    Geraci ha aperto il convegno mostrando ai presenti un campione del proprio sangue solidificato e agitandolo ne ha provocato la liquefazione. E’ quindi tornato a parlare di tissotropia (ipotesi già avanzata dal CICAP).

    Unicità e misteriosità dell’evento. Lo scienziato ha però poi sottolineato l’incredibilità e unicità dell’ampolla studiata e di quella di San Gennaro: «non basta l’evento meccanico, uno scossone, a far cambiare stato. Quando ho aperto l’ampolla dei Camaldoli [quindi a contatto con l'aria] il sangue contenuto da liquido è divenuto gelatinoso, ho sottratto del calcio per riportarlo allo stadio fluido. Per l’ampolla con il mio sangue è bastato uno scossone. Quello che non sappiamo è in base a quali circostanze il sangue dell’ampolla di San Gennaro passa da solido a liquido e viceversa». (da Il Levante, 9/5/10).
    La liquefazione del sangue di San Gennaro non avviene per contatto con l’aria ed è accaduto che nonostante numerosi giorni di “agitazioni” dell’ampolla, il sangue è rimasto solido.

    Conferme. Guido Trombetti, accademico di prestigio internazionale, già Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane e titolare del corso di Analisi Matematica I e II per il corso di laurea in Fisica, ha confermato il lavoro di Geraci dicendo: “”nella teca custodita in cattedrale vi è certamente sangue umano. Perché il 19 settembre di ogni anno, agitando la teca, il sangue ivi racchiuso possa sciogliersi nessuno sa dirlo. Neanche gli esperimenti di Geraci.”. Conclude dicendo: “Bisogna smetterla con la pretesa superiorità intellettuale della posizione dei non credenti rispetto a quella dei credenti. Si tratta in entrambi i casi di una posizione dogmatica. O, se vi piace di più, si tratta della scommessa di Pascal”.

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    Coordin.
    05/10/2011 10:27
    TERESA NEUMANN



    [Modificato da Coordin. 05/10/2011 11:30]
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    27/01/2012 00:00

    Parla il medico di Lourdes: una seria analisi scientifica dietro ad ogni miracolo

    E’ il 25 marzo 1858. A Lourdes, Bernadette Soubirous, appena quattordicenne, conosce finalmente l’identità della misteriosa “Signora” che le appare nella Grotta di Massabielle. Da allora milioni di storie periclitanti fra la sofferenza ed il balsamo della speranza. Una fede affettiva, calda, materna. E poi i miracoli. E’ il capitolo che fa più notizia.

    Sono talmente numerosi i casi di miracoli, veri o presunti tali, a Lourdes che già verso la fine dell’Ottocento il vescovo diocesano istituì un Bureau Médical, deputato alla raccolta e ad un primo esame delle segnalazioni di guarigioni ritenute inspiegabili. Oggi, a capo di questo “ufficio scientifico” c’è un italiano: Alessandro De Franciscis. Laureato in Medicina e Chirurgia, specializzatosi in pediatria a Boston e diploma di Master of Science in Epidemiology presso la Harvard University, School of Public Health. Ricercatore presso il Dipartimento di Pediatria del Policlinico universitario Federico II di Napoli e ha portato avanti anche una carriera politica fino al 2008, quando il vescovo di Tarbes-Lourdes gli ha chiesto di assumere l’incarico di “medico permanente” a Lourdes.

    Il suo compito è quello di istruire i casi di “guarigioni inspiegabili”, avviando una valutazione seria e scientificamente rigorosa, confrontandosi con gli altri medici presenti a Lourdes (qui un elenco). Per confermare “l’autenticità” del miracolo, si segue una griglia di sette criteri -ancora quella indicata dal cardinale Lambertini alla fine del Seicento che ha un forte fondamento razionale-: malattia grave; diagnosi certa; malattia organica; guarigione avvenuta senza l’aiuto di alcuna terapia; guarigione istantanea e completa e senza reliquati; guarigione durevole nel tempo. Si segue la persona, si consultano le cartelle cliniche, la si sottopone eventualmente, ad altri esami specialistici. Se tutti i criteri sono rispettati, continua De Franciscis, si invia il tutto al Comitato Medico Internazionale di Parigi composto da specialisti di ogni parte del mondo, fra cui tre italiani. Uno di loro viene proposto come relatore. E l’ultima parola spetta poi al vescovo diocesano. Finora, spiega, le dichiarazioni che attestano il “miracolo” sono 68. Nove sono i “miracolati” ancora viventi. «Sul piano professionale», conclude, «sono l’unico medico al mondo che si occupa di guariti non di malati»

    Di fronte a questo livello di professionalità e serietà scientifica è davvero difficile continuare a mettere in dubbio che a Lourdes accada davvero qualcosa di incredibile. Non è possibile negare l’evidenza oggettiva. Lo ha riconosciuto anche il premio Nobel per la Medicina Luc Montagnier: «Riguardo ai miracoli di Lourdes che ho studiato, credo effettivamente che si tratti di qualcosa non spiegabile. […] Io non mi spiego questi miracoli, ma riconosco che vi sono guarigioni non comprese allo stato attuale della scienza». Sappiamo poi che un altro premio Nobel, Alexis Carrelsi è convertitoproprio assistendo in prima persona ad un miracolo verso una sua paziente sotto la grotta dell’apparizione. Di guarigioni concrete dunque si tratta e tuttavia può rimanere questa obiezione: come mai, di tanti figli che si rivolgono bisognosi a Lei, non tutti ricevano la grazia della guarigione? “I miei pensieri non sono i vostri pensieri”, dice Dio nell’Antico Testamento. Per ognuno di noi c’è un progetto d’amore diverso, anche se umanamente non è cosi facile da accettare, soprattutto quando lo si vive in prima persona.

    Emiliano Amico

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    31/01/2012 13:10
    COREA: Julia di Naju mentre prende l'Ostia consacrata
    [Modificato da Credente 03/12/2018 22:42]
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    01/04/2012 13:17
    COLLEVALENZA E MADRE SPERANZA
    [Modificato da Credente 03/12/2018 22:44]
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    11/04/2012 13:29
    TERESA MUSCO: IMPRESSIONANTI LE LACRIMAZIONI DI SANGUE
    [Modificato da Credente 03/12/2018 22:46]
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    06/06/2012 23:47
    Il miracolo eucaristico di Siena sarebbe avvenuto a partire dal 1730 nell'omonima cittadina: 351 Ostie consacrate, rubate da ignoti ladri sacrileghi, furono successivamente ritrovate integre, e si conservano tuttora intatte dopo quasi tre secoli, nella basilica di San Francesco.[1]
    Il numero delle Particole è attualmente di 223, mentre le altre sarebbero state utilizzate nelle ricognizioni, controlli ed esami effettuati.

    Il 14 agosto 1730, vigilia della solennità dell'Assunzione di Maria, ignoti ladri sacrileghi rubarono, dalla chiesa di San Francesco a Siena, la pisside d'argento, contenente 351 Ostie consacrate, così numerose in vista dell'imminente festività.
    Dopo tre giorni di ricerche, il 17 agosto le ostie rubate furono ritrovate integre nella chiesa senese di Santa Maria di Provenzano, in una cassetta per le elemosine, e furono riportate il giorno seguente, con una solenne processione, nella chiesa di San Francesco, dove si trovano ancor oggi, integre come al momento del ritrovamento.
    Dopo il controllo fatto al momento del recupero, eseguito per assicurarsi che le ostie rinvenute fossero proprio quelle rubate, vennero effettuate in seguito diverse ricognizioni ufficiali, la prima delle quali avvenne il 14 aprile 1780 per iniziativa di padre Giovanni Carlo Vipera, ministro generale dei Frati Minori, il quale concluse: "Abbiamo riconosciuto come una specie di vero prodigio che si siano conservate incorrotte senza veruna alterazione per il tratto lunghissimo di cinquant'anni".[2]
    Altre ricognizioni vennero effettuate nel 1789, voluta dall'arcivescovo Tiberio Borghese, nel 1889, nel 1815, nel 1854 e il 10 giugno 1914, quest'ultima per iniziativa di papa Pio X: la relazione conclusiva afferma che: "(Le particole) erano di apparenza ben conservate e senza alcun segno di alterazione o ammuffimento, né guaste per alterazione di tarli o di altri parassiti, propri dei prodotti farinacei".[3]
    Nella stessa relazione, il professor Siro Grimaldi dell'Università di Siena dichiara: "(Le particole costituiscono) un fenomeno singolare, palpitante di attualità, che inverte le leggi naturali della conservazione della materia organica. È un fatto unico conservato negli annali della scienza".[4]
    Attualmente si conservano 223 ostie delle 351 originali, essendo state in parte utilizzate, nel corso delle ricognizioni, per analisi chimiche ed esami vari, volti anche a valutarne commestibilità e gusto
    Tra i fedeli è possibile annoverare i papi Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.[4]
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    06/06/2012 23:57
    Miracolo eucaristico di Bolsena
    Da Wikipedia,
    Il miracolo eucaristico di Bolsena secondo la tradizione sarebbe avvenuto nel 1263 o 1264 nell'omonima cittadina in provincia di Viterbo: mentre un sacerdote celebrava la messa, l'ostia consacrata avrebbe sanguinato.
    La Chiesa cattolica ha riconosciuto ufficialmente il miracolo e da tale avvenimento ha avuto origine la festa cattolica del Corpus Domini. Ad esso è legata anche la costruzione del Duomo di Orvieto, dove è conservato il corporale, intriso di sangue, utilizzato durante la celebrazione in cui avvenne il miracolo.


    A Bolsena, nella chiesa di Santa Cristina, è conservata l'epigrafe in marmo, attribuita a Ippolito Scalza, realizzata nel 1573, con la descrizione dell'episodio.[1]. Secondo la tradizione nella tarda estate dell'anno 1263 (o 1264) un sacerdote boemo, Pietro da Praga, fu assalito dal dubbio sulla reale presenza di Cristo nel pane e nel vino consacrati.
    In un periodo di controversie teologiche sul mistero eucaristico, il sacerdote intraprese un pellegrinaggio verso Roma, per pregare sulla tomba di Pietro e placare nel suo animo i dubbi di fede che, in quel momento, stavano mettendo in crisi la sua vocazione. La preghiera, la penitenza e la meditazione nella basilica di San Pietro rinfrancarono l'animo del sacerdote, che riprese quindi il viaggio di ritorno verso la sua terra.

    Percorrendo la via Cassia, si fermò a pernottare nella chiesa di Santa Cristina a Bolsena.
    Il ricordo della martire Cristina, la cui fede non aveva vacillato di fronte all'estremo sacrificio del martirio, turbò nuovamente il sacerdote e, il giorno dopo, chiese di celebrare messa nella chiesa. Di nuovo tornò l'incertezza di quello che stava facendo; pregò intensamente la santa perché intercedesse presso Dio affinché anche lui potesse avere «quella fortezza d'animo e quell'estremo abbandono che Dio dona a chi si affida a lui».
    Durante la celebrazione, dopo la consacrazione, alla frazione dell'Ostia, è apparso ai suoi occhi un "prodigio" al quale da principio non voleva credere: l'Ostia che teneva tra le mani sarebbe diventata carne da cui stillava "miracolosamente" abbondante sangue. Impaurito e confuso ma, nello stesso tempo, pieno di gioia, cercò di nascondere ai presenti quello che stava avvenendo: concluse la celebrazione, avvolse tutto nel corporale di lino usato per la purificazione del calice che si macchiò immediatamente di sangue e fuggì verso la sacrestia. Durante il tragitto alcune gocce di sangue sarebbero cadute anche sul marmo del pavimento e sui gradini dell'altare.
    Il culto [modifica]
    Il sacerdote andò subito da papa Urbano IV, che si trovava ad Orvieto, per riferirgli l'accaduto. Il papa inviò a Bolsena Giacomo, vescovo di Orvieto, per verificare la veridicità del fatto e riportare le reliquie. Secondo la leggenda, il presule fu accompagnato dai teologi Tommaso d'Aquino e Bonaventura da Bagnoregio. Tra la commozione e l'esultanza di tutti, il vescovo di Orvieto tornò dal Papa con le reliquie del "miracolo". Urbano IV ricevette l'ostia e i lini che si supponeva fossero intrisi di sangue, li mostrò al popolo dei fedeli e li depose nel sacrario della cattedrale orvietana di Santa Maria.

    Corpus Domini
    A seguito di ciò e delle rivelazioni della liegina Beata Giuliana di Cornillon, che aveva già proposto al suo Vescovo una solennità in onore del Ss. Sacramento, nel 1264, con la bolla Transiturus de hoc mundo, Urbano IV istituì la solennità del Corpus Domini, e fu affidato a Tommaso d'Aquino il compito di preparare i testi per la liturgia delle ore e per la Messa della nuova festività, stabilendo che questa venisse celebrata il giovedì dopo l'ottava di Pentecoste.
    Per custodire il corporale fu innalzato a Orvieto, sul luogo più alto e a partire dal 1290, il Duomo, al quale si aggiunse la cappella del Corporale (1350-1364) e la Cappella Nuova (1408-1504). Il Duomo venne disegnato da Arnolfo di Cambio (1290) in forme tardo romaniche. I lavori proseguirono in stile gotico sotto la guida di Lorenzo Maitani a partire dai primi anni del 1300 e terminarono solo alla fine del 1500.

    Le reliquie
    Le reliquie che testimonierebbero l'evento ritenuto prodigioso sono conservate ancora oggi:
    nella Cappella del Corporale nel Duomo di Orvieto sono custoditi oggi l'Ostia, il corporale e i purificatoi; l'ostia e il corporale vennero trasferiti nello stesso anno del miracolo (1263 o 1264), o poco dopo, a Orvieto, entro un contenitore ignoto. Nel 1338 vennero collocati nel reliquiario di Ugolino di Vieri, capolavoro dell'oreficeria senese del Trecento che si trova ancora oggi nella stessa Cappella del Corporale. Le reliquie vennero quindi trasferite, a partire dal 1363 circa, nel Tabernacolo in marmo di Nicola da Siena e dell'Orcagna, che si trova nella stessa cappella e dove le reliquie si trovano ancora oggi.
    l'altare dove sarebbe avvenuto il prodigio fu collocato fin dalla prima metà del XVI secolo nel vestibolo della Basilichetta Ipogea di Santa Cristina a Bolsena;
    quattro lastre di marmo macchiate del cosiddetto "sangue prodigioso" sono venerate dal 1704 nella Cappella Nuova del Miracolo a Bolsena, costruita come dimora delle reliquie rimaste nell'omonima città. Una quinta, nel 1574, fu donata alla parrocchia di Porchiano del Monte.

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