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La "geopolitica dello spirito"

di Giorgio La Pira

Cent'anni fa nasceva Giorgio La Pira:  un siciliano che si è saputo fare fiorentino d'elezione, interpretando con originalità la funzione universale della sua città. Ma sarebbe poco dire che La Pira è stato un grande sindaco. È stato uno dei grandi italiani del Novecento; è stato un convinto europeo (basterebbe vedere come seguiva con partecipazione la crisi francese degli anni Cinquanta) e un uomo del Mediterraneo, che aveva colto come i problemi del futuro sarebbero venuti dai rapporti con l'islam e dall'irrisolta crisi mediorientale. Non si può però tacere il fondo della sua personalità:  il suo animo di cristiano, di un uomo di fede e di preghiera profonda. Credeva nella forza della preghiera come scrive a proposito dei monasteri di clausura:  "Queste forze invisibili e nascoste, di radice, sotterranee - ignorate dal mondo - sono le forze immense della Chiesa..." - così scrive nel 1958 in una delle tante lettere inedite inviate a Pio XII (che saranno pubblicate nel corso del 2004 in Beatissimo Padre..., Lettere a Pio XII, a cura di Isabella Piersanti e di chi scrive, per le edizioni Mondadori).
 
Il sindaco di Firenze pensava che, nella vita spirituale e in quella della Chiesa, ci fosse una capacità di attrazione profonda verso chi è lontano o stretto da una logica materiale. Questa forza di attrazione della Chiesa era talvolta sottovalutata o non compresa dai credenti. Il suo sogno era che la Chiesa fosse un segno di unità e di pace nel mondo:  "Questo vessillo di pace non è, forse, un vessillo che ha sui popoli un'attrazione immensa?" - si chiedeva scrivendo nel 1955 a Pio XII.
Per lui, il mondo comunista aveva fatto della pace un monopolio della propria propaganda. Era un equivoco da sfatare. La pace riguardava la Chiesa ed era uno dei temi del magistero a cominciare da Papa Pacelli. Il sindaco di Firenze sottolinea, amaramente, come il messaggio di pace del Papa non sia seguito o ripreso dai cattolici e dalle loro organizzazioni. La Chiesa aveva invece un grande compito.
 
Il sogno di La Pira (Laico Domenicano) era che la forza attrattiva della Chiesa rinvigorisse le differenti identità nazionali e facesse trovare a ciascuna il suo ruolo nella costruzione della civiltà. In fondo La Pira credeva - come dice - a una "teleologia" delle nazioni, che cioè esse avessero un fine e una funzione storica da perseguire. Aveva una teologia delle nazioni (lo si sente quando parla dell'Italia, della Francia, della Russia...); in questo, per certi aspetti, ricorda quel pensiero che si trova nel magistero di Giovanni Paolo II. La forza di attrazione della Chiesa aveva una funzione decisiva nel ridare anima alle nazioni di tradizione cristiana, nel costruire un rapporto profondo con i paesi musulmani, nel dare identità ai paesi usciti dalla decolonizzazione o sulla soglia di essa, ma anche nel creare un ponte con i popoli sotto dominio sovietico.
Senso della storia, visione spirituale, fine intuito politico, contatto franco con gli uomini, generano una "geopolitica dello spirito" di Giorgio La Pira destinata a vedere lontano. Così avvenne per la crisi mediorientale, per cui predicava il necessario contatto tra israeliani e mondo arabo (in larga parte immerso in un massimalismo antiisrealiano). Per la Francia vedeva in De Gaulle l'uomo che avrebbe potuto salvare il paese dalla decadenza. Era convinto dell'inutilità della guerra francese contro il movimento nazionalista algerino. Per il mondo comunista credeva in una politica di negoziato e nella necessità di attrarre i popoli dell'Est verso l'Europa (in particolare i polacchi e i russi). Bisognava cogliere e orientare le correnti profonde della storia. Era la funzione dei cristiani in politica, della Chiesa e del papato in un modo tutto particolare.
 
La Pira aveva colto l'importanza della decolonizzazione e sentiva la crisi dei paesi europei. Pensava che, riscoprendo il proprio humus cristiano, gli Stati europei potessero ritrovare uno spazio nel mondo. Infatti credeva fermamente nella funzione dell'Europa sulla scena internazionale, verso l'Est dominato dai sovietici, verso il Sud del mondo.
Tra grandi intuizioni geopolitiche, Giorgio La Pira non era però un visionario astratto dalla vita concreta. Lo si incontrava per le vie di Firenze; amava il colloquio personale e anche l'incontro con i giovani. Ma c'era in lui soprattutto una passione cristiana per "la povera gente". L'incontro con i poveri, a partire dalla Messa alla Badia fiorentina, era usuale nella sua vita. E, nel quotidiano, si rendeva conto della disperazioni della povera gente stretta nella vita difficile dell'Italia della ricostruzione.
 
Da qui nasceva l'intervento personale di solidarietà, ma anche una riflessione ambiziosa su come lo sviluppo economico potesse favorire i meno fortunati. Scrive nel 1951:  "A che serve un bilancio in pareggio se non è in pareggio la vita?". Conosciamo bene le riserve di Luigi Einaudi o di don Sturzo nei confronti delle visioni economiche lapiriane. Tuttavia il sindaco di Firenze non fu un economista, ma - come ha scritto Piero Roggi - suscitò e dette un notevole contributo al dibattito di quegli anni nella nuova società che si andava costruendo. Con L'attesa della povera gente si fece carico delle istanze tradizionali della dottrina sociale della Chiesa ma, allo stesso tempo, tentò ragionamenti e politiche in maniera laica, provando ad inserire il problema del lavoro e della disoccupazione come questione centrale nelle scelte economiche.
La Pira, con una visione larga per un politico del suo tempo, ha saputo pensare insieme il locale, il nazionale con l'internazionale. Basterebbe riflettere su come la sua eredità, dopo tanti anni, rappresenti per Firenze uno dei maggiori titoli di notorietà internazionale, almeno per i tempi recenti. Il sindaco, già negli anni Cinquanta, aveva intuito che il mondo della guerra fredda andava verso inediti sviluppi. La politica internazionale doveva percorrere nuove vie:  "L'edificazione della pace fra le nazioni esigerà sempre più strumenti inediti, assolutamente nuovi e luminosi, di azione" - scrive a Fanfani nel 1958 -. Il negoziato e il dialogo sono le strade da percorrere in un mondo bipolare sotto cui si nasconde, in realtà, una comunità internazionale articolata e con spinte diversificate più di quanto sembri, come scrive sempre a Fanfani:  "Questa volontà di trattare, di risolvere, di stare al reale è un dato fondamentale di cui bisogna tener conto come premessa di ogni azione". Il dialogo e il negoziato divengono la base di una società internazionale che, nonostante la guerra fredda, sta allargando inevitabilmente il numero e le categorie dei suoi protagonisti.
La visione internazionale di Giorgio La Pira è stata spesso considerata utopica e da sognatore. Capita innanzi alle grandi visioni; avviene quando si riduce la politica alla gestione del contingente. Già nel 1966, più di vent'anni prima della caduta del Muro di Berlino, il sindaco scriveva che il futuro "conduce alla unità e pacificazione di tutta l'Europa (tutta:  dall'Atlantico agli Urali)...". Quando, più di dieci anni dopo, Giovanni Paolo II, divenuto Papa, avrebbe parlato del suo sogno di una grande Europa unita tra Est ed Ovest, non furono pochi quelli che lo considerano un illuso di fronte alla realtà della guerra fredda. Quella di La Pira non era solo una speranza, ma pure la percezione delle correnti profonde della storia.
Le visioni di La Pira si radicano, non solo in una fede solida, ma anche nella conoscenza appassionata di uomini e di popoli. E, soprattutto, si nutrono di coraggio anche nello sfidare la prepotenza della banalità di tutti i tempi, talvolta così arrogante. In questo senso egli fu un grande democratico anche in tempi difficili in cui è difficile esserlo:  negli anni del fascismo, di fronte al comunismo, nei confronti dei tanti autoritarismi... Eugenio Garin, alcuni anni fa, ricordava un dibattito nel 1943 in cui si discuteva della religione di Gentile, espressione - scrive questo studioso laico - delle "posizioni politiche dominanti, che mentre si dichiaravano religiose, cristiane e cattoliche, accettavano il razzismo, la violenza e la guerra". Allora La Pira, si alzò e, nonostante il conformismo fascista e di non pochi cattolici, definì con tre no "risoluti e equilibrati" la filosofia di Gentile come "non religiosa, non cristiana, non cattolica". Garin conclude a proposito di La Pira:  "Solo chi faccia lo sforzo di ritrovare quei tempi, e quelle sofferenze, potrà anche comprendere quella consapevolezza operosa di umanità comune, quegli incontri fra uomini di tutte le razze e di tutte le fedi, quella ricerca di pace sulla terra, quel bisogno di fraternità e di giustizia che restano punti luminosi dell'opera di La Pira". Non ci si può non ritrovare nelle parole dello studioso fiorentino. Questo è stato La Pira:  un grande laico italiano, apprezzato dai Papi (da Pio XII e in particolare da Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II), che con sguardo cristiano viveva in un mondo che già sentiva globalizzato, almeno nell'unità di destini.

ANDREA RICCARDI