00 19/08/2010 21:19
Monaci Benedettini Silvestrini
La figlia data in olocausto e l’invito rifiutato


Due episodi sconcertanti e strani: l’uno ci presenta Ièfte che, per tenere fede ad un voto fatto, offre in olocausto la propria figlia e l’altro un re il cui invito ad un pranzo di nozze viene rifiutato da tutti. Se il primo è plausibile, il secondo è iperbolico. Mentre nel brano tratto dai Giudici, il sacrificio umano, seppure fa inorridire, ha una sua spiegazione con una certa contaminazione che Israele ha ricevuto in trecento anni di convivenza con le popolazioni indigene e con un perverso senso religioso, che promette ciò che Dio stesso proibisce, nel vangelo c’è una trama surreale che ci fa stare a disagio, che ci fa come compatire e compiangere questo re tanto bistrattato. Fuor di metafora, tutti noi sappiamo qual è il senso di questa parabola: se Israele rifiuta l’invito di Dio, Egli inviterà altri. Alla fine del racconto vi è l’episodio ermetico dell’invitato senza la veste nuziale: anche coloro che accolgono l’invito, possono non dimostrarsi all’altezza di tanto onore. Se la prima parte la rivolgiamo agli Israeliti, la seconda dovremmo cercare di applicarla a ciascuno di noi. Possiamo infatti, benché invitati non essere degni del dono ricevuto. Cerchiamo di riscoprire in questa giornata il nostro Battesimo, non solo la gratuità con cui ci è stato donato, ma la grandezza della dignità che in esso abbiamo ricevuto. Un’ultima annotazione sulla prima lettura: Iefte, si badi bene, riceve lo spirito del Signore (v. 29), ma questo non gli impedisce di fare e di adempiere quel voto empio. La scelta da parte di Dio di una persona, non preserva questa da errori. Nessuno è infallibile, è vero, anche se talvolta dovremmo esercitare il buon senso che ci indurrebbe a non compiere tante idiozie.