CREDENTI

RIFLESSIONI E COMMENTI BIBLICI (Vol.1)

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    Coordin.
    00 18/03/2010 22:47
    Signore, insegnaci a pregare”. Così i discepoli dicevano a Gesù, riconoscendo in tal modo di non saper pregare con le proprie forze. Essi avevano necessità di imparare.

    Imparare a pregare: infatti pregare non significa semplicemente dare sfogo al proprio cuore, ma piuttosto procedere nel cammino verso Dio e parlare con Lui, sia che il nostro cuore sia traboccante oppure vuoto. Ma per trovare questa strada non bastano le risorse umane ed è necessario Gesù Cristo.

    Se infatti Gesù ci coinvolge nella sua preghiera, se ci consente di pregare con Lui, se ci fa percorrere in Sua compagnia il cammino verso Dio, allora avremo finalmente trovato il modo di realizzare questo nostro desiderio. Ed è proprio questo che Gesù Cristo vuole: vuol pregare con noi, e noi partecipiamo alla sua preghiera. Perciò possiamo avere la certezza e la gioia che Dio ci presta ascolto.

    Ed è corretta la nostra preghiera se tutta la nostra volontà, tutto il nostro cuore fa tutt’uno con la preghiera di Cristo. Solo in Gesù Cristo possiamo pregare e con lui saremo esauditi anche noi.

    Un momento di preparazione per disporsi in modo calmo e rilassato in ascolto del Signore è sempre utile prima di iniziare a pregare: diventa indispensabile se ci si vuol predisporre alla contemplazione. Il controllo della propria mente sfuggirà molte volte e torneranno alla memoria ricordi e preoccupazioni: non importa, impariamo a lasciarli andare via uno per uno, come palloncini che, sfuggiti dalle mani, si allontanano verso il cielo…

    “Colui che si esercita progressivamente in questa sospensione mentale sentirà calma attorno a sé e il contatto con il Signore risulterà molto più facile e piacevole di quanto si creda. E così, senza rendersene conto, incontrerà se stesso già entrato in una profonda relazione in quiete e raccoglimento”

    Se è vero che la presenza di Dio è sempre oscura, quando ci si dispone con tutta la propria fede e il proprio amore di fronte al Signore si amplifica la certezza della sua Presenza. E’ come quando stiamo, in una notte oscura, insieme ad una persona: non ci vediamo, non ci tocchiamo, siamo in assoluto silenzio guardando le stelle, ma “sentiamo” vivamente la sua presenza, sappiamo che c’è.

    La recitazione lenta dei Salmi o di qualche versetto delle Scritture può essere utile per “far presente” il Signore: in questo modo prepariamo il terreno, manifestiamo la nostra volontà di fare tutto il possibile per cercare il Volto di Dio, nella consapevolezza che ogni orazione è dono di Dio.

    Ora l’anima è pronta: si è liberata per quanto possibile dei propri pensieri, è imbevuta della Parola di Dio e, confidando nell’azione dello Spirito Santo, attende che il Padre riempia il buio della sua solitudine con la luce della sua presenza. Siamo creati a sua immagine e somiglianza e portiamo dentro di noi, in quella regione di confine fra l’uomo e Dio che è l’anima, il suo Volto: è lì, nella nostra intimità, che dobbiamo andare se vogliamo contemplare il nostro Creatore, se vogliamo metterci in relazione d’affetto con Lui con stupore e gioia:

    Tu, Signore, sei in me e quasi non ci posso credere
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    Coordin.
    00 18/03/2010 22:48
    Forse questo è ciò che Dio ci vuole dire: "Mio figlio Gesù è morto, e non sanno quanto li amò, non comprendono quanto io Amo l'uomo che è stato creato a mia immagine e somiglianza"

    Ma Dio ci dice di più: " Guarda che il finale di questa storia non è la morte del tua carne, ma è l'inizio della tua eternità beata, ma non posso salvarti senza di te, ho bisogno di te, del tuo consenso. Mio Figlio Gesù te lo ha dimostrato, E' VERAMENTE RISORTO! TI PREGO, FIDATI DI ME!"

    È curioso quanto sia semplice per la gente escludere Dio e dopo domandarsi perchè il mondo vada di male in peggio.

    È curioso come noi crediamo tutto quello che leggiamo nel giornale, ma mettiamo in dubbio ciò che dice il Vangelo.

    E' curioso come noi crediamo a tutti i modelli che ci impongono e non prendiamo seriamente quello la Chiesa ci PROPONE.

    È curioso come ognuno vuole andare in cielo argomentando che non deve credere, pensare, dire, o fare niente di ciò che dice il Vangelo.

    È curioso come qualcuno dica "Io credo in Dio", ma con le sue azioni mostra che segue altri dèi.

    È curioso come qualcuno può essere tanto acceso da Cristo di Domenica, ma essere un cristiano invisibile il resto della settimana.
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    Coordin.
    00 18/03/2010 22:49
    UN AMORE FINO ALLO SPASIMO
    Scriveva Isaia:

    Is 1,6 Dalla pianta dei piedi alla testa non c'è in esso una parte illesa, ma ferite e lividure e piaghe aperte, che non sono state ripulite, né fasciate, né curate con olio.

    Proviamo ad immaginare e a contemplare Gesù che è l'oggetto di quella profezia: Egli ci ha amati fino allo STRAZIO.

    Il vero Amore si manifesta e si dimostra con l'accettare di soffrire per l'amato.

    Ecco come ci ha amati dunque il Signore: "fino alla fine", come dice l'evangelista Giovanni, volendo indicare: fino alla fine delle sue forze, fino all'esaurimento totale di se stesso, fino al culmine estremo delle proprie risorse umane e divine, fino allo spasimo.

    Egli non aveva nient'altro da dare perchè ci ha dato tutto. Si è fatto povero dalla nascita, ma ora sulla Croce rinnegava se stesso fin'anche nella vita, addirittura fino a lasciarsi sfibrare ogni centimetro del suo stesso corpo.

    Per me, per te, caro amico che ti trovi a leggere.

    Di fronte a questo Amore che ci vuole con se, come è possibile dire di no?
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    Coordin.
    00 18/03/2010 22:50
    DALL'ENCICLICA "DIO E' AMORE"
    1. « Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui » (1 Gv 4, 16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell'esistenza cristiana: « Noi abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto ».

    Abbiamo creduto all'amore di Dio
    — così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. Nel suo Vangelo Giovanni aveva espresso quest'avvenimento con le seguenti parole: « Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui ... abbia la vita eterna » (3, 16). Con la centralità dell'amore, la fede cristiana ha accolto quello che era il nucleo della fede d'Israele e al contempo ha dato a questo nucleo una nuova profondità e ampiezza. L'Israelita credente, infatti, prega ogni giorno con le parole del Libro del Deuteronomio, nelle quali egli sa che è racchiuso il centro della sua esistenza: « Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze » ( 6, 4-5). Gesù ha unito, facendone un unico precetto, il comandamento dell'amore di Dio con quello dell'amore del prossimo, contenuto nel Libro del Levitico: « Amerai il tuo prossimo come te stesso » (19, 18; cfr Mc 12, 29-31). Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4, 10), l'amore adesso non è più solo un « comandamento », ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro.
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    Coordin.
    00 18/03/2010 22:53
    Se tu sapessi che una persona ti ama immensamente non vorresti sapere chi è e perchè ti ama tanto?

    Ammesso che tu non voglia corrispondere al suo amore, quantomeno sarebbe logico cercare di sapere come mai ti cerca appassionatamente e si interessa a te così tanto!

    Cosa poi non dovremmo fare, se sapessimo addirittura che questa Persona, che ci ama infinitamente e appassionatamente più di quanto si possa umanamente immaginare, è Dio stesso, il nostro stesso Creatore, che per dimostrarci il Suo amore ha rinunciato alla gloria che aveva per farsi povero, prendendo la natura di servo degli uomini?

    Non dovremmo commuoverci, entusiasmarci e gioire indicibilmente per essere stati fatti oggetto di tanta premuroso amore?

    Ebbene, saremmo davvero ciechi e sordi se non cercassimo di conoscere le ragioni del Suo amore per noi e se non volessimo corrispondere a questa sua incessante richiesta, come di chi bussa come mendicante alla porta del nostro cuore.

    Apriamo la porta del cuore e lasciamo entrare il nostro più grande e degno Amico: Gesù.
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    Coordin.
    00 18/03/2010 22:55

     

    Se volessimo fare un paragone desunto dalla natura possiamo dire che l'Amore di Dio

    E’ COME UN VULCANO

    SI :UN VULCANO E DA QUESTO VULCANO GIUNGE A NOI CIO’ DI CUI STIAMO PARLANDO.

    E’ UN VULCANO DI AMORE IN PERENNE ATTIVITA’ INTERNA

    ED IN ETERNA ERUZIONE ESTERNA:

    ALL’INTERNO DELLA TRINITA’ C’E’ UN ETERNO RAPPORTO DI AMORE CHE PRODUCE LE SUE ERUZIONI ALL’ESTERNO E SONO ERUZIONI DI AMORE:

    E NOI A QUESTO RAPPORTO INTERNO DOBBIAMO GUARDARE PERCHE’ ESSO COSTITUISCE IL MODELLO DEL NOSTRO RAPPORTO CON DIO.

     

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    AmarDio
    00 01/04/2010 12:08
    La vita è per i CREDENTI un dono grande da coltivare con passione e assiduità in vista di una Vita più grande che ancora deve essere manifestata e che sarà preparata nel tempo presente, allo stesso modo con cui l'agricoltore prepara con cura la terra che accoglie il seme. Esso muore nella terra ma solo per risorgere sottoforma di nuova pianta.
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    Credente
    00 14/04/2010 11:04
    LETTERA COME QUELLA CHE POTREBBE SCRIVERTI IL PADRE CELESTE:


    Figlio mio, figlia mia,

    Forse non mi conosci ancora molto bene, ma io so tutto di te; Salmo 139:1

    So quando ti siedi e quando ti alzi; Salmo 139:2

    conosco a fondo i tuoi modi di essere; Salmo 139:3

    Perfino ogni capello sul tuo capo è contato; Matteo 10:29-31

    Perché ti ho creato a mia immagine; Genesi 1:27

    In me vivi, ti muovi, ed esisti; Atti 17:28

    Poiché sei la mia progenie; Atti 17,28

    Ti conoscevo ancora prima che fossi concepito; Geremia 1:4-5

    Ho scelto te nel disegno del creato; Efesini 1:11-12

    Tu non sei stato un errore, poiché ogni tuo giorno è scritto nel mio libro; Salmi 139:15-16

    Ho scelto il giorno esatto della tua nascita, e il luogo dove vivi; Atti 17:26

    Sei stato creato in maniera meravigliosa; Salmi 139:14

    Ti ho intessuto nel seno di tua madre; Salmi 139:13

    E ti ho portato alla luce nel giorno della tua nascita; Salmi 71:6

    Coloro che non mi conoscono hanno dato una falsa immagine di me; Giovanni 8:41-44

    Non sono distante, né rabbioso, sono invece l’espressione completa dell’amore; Giovanni 4:16

    E desidero offrirti tutto il mio amore; Giovanni 3:1

    Semplicemente perché sei mio figlio, ed io sono tuo Padre; Giovanni 3:1

    Ti offro più di quanto possa mai darti il tuo padre terreno; Matteo 7:11

    Poiché io sono il padre perfetto; Matteo 5:48

    Ogni dono perfetto che ricevi proviene dalla mia mano; Giacomo 1:17

    Perché provvedo a tutto ciò di cui hai bisogno; Matteo 6:31-33

    I miei piani per il tuo futuro sono sempre stati pieni di speranza; Geremia 29:11

    Perché ti amo di un amore eterno; Geremia 31:3

    I miei pensieri per te sono più numerosi dei granelli di sabbia; Salmi 139:117-118

    Esulterò nel conoscerti, cantando di gioia; Sofonia 3:17

    Non cesserò mai di farti del bene; Geremia 32:40

    Perché tu appartieni a me, e sei il mio tesoro; Esodo 19:5

    Desidero realizzarti con tutto il mio cuore e tutta l’anima mia; Geremia 32:41

    E voglio mostrarti cose grandi e meravigliose; Geremia 33:3

    Se mi cercherai con tutto il tuo cuore, mi troverai; Deuteronomio 4:29

    Dilettati in me ed io ti darò quel che il tuo cuore desidera; Salmi 37:4

    Perché sono io che ti ho dato quei desideri; Filippesi 2:13

    Io posso fare tutto per te, molto più di quanto tu possa domandare o pensare; Efesini 3:20

    lo sono la tua più grande consolazione ;Tessalonicesi 22:16-17

    Sono il padre che ti consola in ogni tribolazione; Corinzì2 1:3-4

    Quando hai il cuore spezzato, io sono vicino a te; Salmi 34:18

    Come un pastore porta un agnello, io ti porto vicino al mio cuore; Isaia 40:1 1

    Un giorno asciugherò ogni lacrima dai tuoi occhi: Apocalisse 21:3-4

    Sono tuo padre, e ti voglio bene come ne voglio a mio figlio Gesù; Giovanni 17:23

    Perché in Gesù si è realizzato il mio amore per te; Giovanni 17:26

    Egli è l’impronta esatta della mia essenza; Ebrei 1:3

    Egli è venuto a mostrare che io sono con te, non contro dite; Romani 8:81

    a dirti che non sto contando i tuoi peccati: 2Corinzt 5:18-19

    Gesù è morto perché noi ci riconciliassimo; 2Corinzi 5:18-19

    La sua morte è stata la massima espressione del mio amore per te; 1Giovanni 4:10

    Ho donato ogni cosa che amavo per guadagnare il tuo amore; Romani 8:31-32

    Hai ricevuto il dono di mio figlio Gesù, hai ricevuto anche me; Giovanni 2:23

    E nulla ti separerà mai più dal mio amore; Romani 8:38-39

    Quando tornerai a casa e darò la più grande fèsta che si sia mai vista in cielo, Luca 15:7

    Sono sempre stato e sempre ti sarò Padre; Efesini 3:14-15

    Ciò che mi chiedo è... vuoi restare mia figlio per sempre? Giovanni 1:12-13

    Ogni giorno ti aspetto e nella preghiera ti voglio incontrare; Luca 15:11-32
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    Coordin.
    00 07/05/2010 19:01
    E VOI NON PERIATE NELLA VOSTRA VIA, PERCHè IMPROVISA L'IRA SUA POTREBBE DIVAMPARE. BEATI TUTTI QUELLI CHE CONFIDANO IN LUI!
    (SALMO 2,12)

    In questo versetto il salmista preavvisa profeticamente il popolo di Dio di onorare il Figlio.
    Il popolo della prima alleanza ha rifiutato il Figlio di Dio. Ed è rimasto isolato e disperso tra le genti, dopo una tragica sventura militare avvenuta nel 70 dopo Cristo.
    Gesù aveva profetizzato che non sarebbe passata quella generazione, senza che prima si fossero adempiute le sue profezia. E un popolo lontano assediò Gerusalemme, deprendandola e uccidendo tutti gli abitanti stremati dopo la resistenza vana.

    Anche per noi, popolo della nuova alleanza si pone il problema di accettare e onorare il Figlio di Dio, posto come segno di contraddizione, di salvezza o di perdizione.
    BEATI QUELLI CHE CONFIDANO IN LUI !!

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    Credente
    00 16/05/2010 22:36
    L’avventura della nostra vita incontra dei divieti permessi dal Decalogo Stampa E-mail

    L’avventura della nostra vita incontra dei divieti permessi dal  DecalogoDio ci supporta attraverso l’intero viaggio della nostra vita,e il suo amore è uno specchio per la nostra crescita.Il divieto di non fare questo o quest’altro ci indica la via per la metamorfosi perché per  ognuno di noi ha un progetto ben definito diverso da l’altro da realizzare  per questo a volte sembra che Dio ci abbandona ma in realtà è sempre presente nel nostro percorso di vita anche se ci lascia il libero arbitrio. Ci segue nel nostro intenso viaggio e dobbiamo ringraziarlo per tutte le esperienze che ci fa vivere perché ci aiutano a crescere e a diventare saggi nella giusta misura.Le nostre esperienze sono perle di saggezza.Gli ultimi cinque comandamenti rivisti in chiave moderna sono un modo per comunicare con la spiritualità e per entrare in contatto con tutti questi divieti che ci giungono come potenzialità non ancora esplorate -

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    Credente
    00 20/05/2010 14:50
    In molte famiglie di credenti non c’è unità, eppure pregano e credono in Dio. Potrebbe voler dire in parecchi casi, che non riescono a vincere il proprio orgoglio e la superbia. Sono due vizi molto penosi, che compromettono la bellezza della vita di un essere umano, fin dal suo concepimento. Due vizi attaccati ad ogni anima che Dio crea, perché il peccato originale ha causato la ferita della natura umana, e il Battesimo libera dal legame, ma rimane la natura piagata.

    L’orgoglio e la superbia sono presenti in tutti, anche se non allo stesso grado, dipende dal cammino spirituale, dalla preghiera e dalle penitenze. Oggi moltissimi ritengono che le penitenze non servono a nulla, calpestando così il Vangelo di Gesù, molto chiaro sui ripetuti inviti alla penitenza.

    Chiaramente se Gesù afferma che il digiuno e la penitenza sono necessari per la nostra vera conversione, non possono essere coloro che non pregano a darci indicazioni spirituali, proprio loro che hanno abbandonato Gesù e il Vangelo.

    L’orgoglio è la stima eccessiva di sé e dei propri meriti. È una forte presunzione, anche amor proprio, fierezza.

    La superbia è una valutazione eccessiva delle proprie qualità e capacità che si manifesta con un comportamento altezzoso e sprezzante. Chi è superbo agisce ritenendosi un piccolo dio che si oppone all’unico Dio. Ma non sempre il superbo è consapevole di agire con questa presunzione. Intanto agisce da superbo…

    L’importanza della preghiera, la pratica costante delle virtù, lo smorzamento dell’orgoglio e della superbia, sono i mezzi indispensabili per vivere nell’armonia con i familiari e tutti quelli che conosciamo. Sono la condizione per trovare sempre convergenza con il proprio coniuge, e affiatamento con gli amici e colleghi.

    Chi si oppone all’unità incoraggiata da Gesù, è il nemico di Dio e di tutti noi. Per la sua capacità di arrecare incomprensioni e nervosismo, il nome diavolo significa divisione dal greco diabàllo. La sua forza si esplica nella discordia, nel rancore, nella separazione di intenti.

    Il diavolo è il nostro avversario, colui che non vuole l’unità in famiglia e in tutti i luoghi. Per vincere le tentazioni che ispira, bisogna fare il contrario di quello che vuole lui. Dobbiamo volere l’armonia con tutti, anche nei momenti di forte abbattimento e nervosismo, questo è quello che ci chiede oggi Gesù.

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    AmarDio
    00 10/07/2010 14:39

    "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima" (Mt 10,28). L'evangelista Matteo, mentre riportava queste parole di Gesù, aveva probabilmente davanti agli occhi l'esperienza della sua comunità sottoposta a forti contestazioni. E voleva rassicurarla. Il Signore non abbandona i suoi discepoli. Anzi, chiunque spende la sua vita per il Vangelo riceve le consolazioni del Signore, soprattutto se deve affrontare difficoltà e prove. Non è mai stato semplice e lineare per la comunità cristiana predicare il Vangelo della croce e della resurrezione. Ma cosa vuol dire per noi questa esortazione evangelica a non aver paura e a non temere gli uomini, dal momento che non viviamo in un tempo di persecuzione? Forse però è proprio qui il problema. E' vero che i cristiani non sono uccisi – sebbene non mancano i martiri anche oggi – ma è facile che vengano indeboliti nel cuore; è facile cioè che non abbiano l'audacia e il coraggio di credere al Vangelo come forza di cambiamento e di salvezza. Un cristianesimo rinunciatario, che non sa sperare per un mondo di pace, è, appunto svilito nella sua forza. Talora è facile pensare che il Vangelo ci chieda una vita in ribasso, fatta solo di rinunzie, senza un reale interesse per noi, e alla fine inefficace per la società. Tutt'altro. Il discepolo che segue la via del Vangelo non si perde, Dio lo sostiene: "Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!". Questa attenzione amorevole del Signore diviene anche compagnia nella battaglia per la comunicazione del Vangelo sino ai confini della terra.

    (Mons.V.Paglia)
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    AmarDio
    00 12/07/2010 22:41
    Spesso noi cristiani veniamo visti dall’esterno come coloro che dovrebbero essere buoni, mansueti, tranquilli come pecore condotte al macello. Oggi dalla bocca di Gesù sentiamo tutt’altro che pace e mansuetudine… Fuoco, guerra, spada, divisione… Sì, i cristiani devono essere pronti anche ad essere come le pecorelle, senza aprire la bocca, ma proprio per questo devono essere inamovibili nell’ascoltare ed eseguire l’insegnamento di Cristo. Con il loro comportamento devono essere la divisione tra il peccato e il bene, devono bruciare, scottare con il loro esempio di vita, tagliare come la spada con il peccato, con coloro che non vogliono tornare alla retta via. Chi ama il padre e la madre… più di me, non è degno di me. Chi non prende la sua croce e non mi segue non è degno di me. Ma la ricompensa è infinitamente sovrabbondante: chi accoglie i Suoi discepoli, chi accoglie coloro che credono in lui, proprio perché credono in lui, vivrà con il Padre, in eterno. E nulla andrà perduto: anche un bicchiere d’acqua dato per amore suo, avrà la sua ricompensa.
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    Coordin.
    00 16/07/2010 18:18
    La nostra riflessione oggi è suggerita dal brano del vangelo che ci presenta una situazione di scandalo da parte degli scrupolosi osservatori della legge, avrebbero scandalizzato gli apostoli il mondo cogliendo spighe e mangiandone il frumento. Non è lecito far questo di sabato, secondo la tradizione ebraica: si manca a riposo del giorno di festa. Gesù prende le difese dei suoi discepoli ai quali aveva fatto notare come certe norme non appartengono alla legge del Signore ma alle tradizioni degli uomini. Porta anche l'esempio di Dàvid che si fa dare da sacerdote Abiàtar i pani dell'offerta per sfamare i suoi uomini o anche il modo di agire dei sacerdoti che in giorno di sabato offrono sacrifici senza mancare alla legge. Ma in particolare Gesù vuol richiamare i suoi contemporanei come tutti noi, così proclivi al giudizio e alla condanna, a sentimenti di misericordia per gli altri almeno nella misura in cui la invochiamo per noi. Ci aiuti il Signore a essere meno spietati verso i nostri simili che giudichiamo troppo frequentemente nella colpa. Gesù si dichiara padrone del sabato, ma anche della vita. Dinanzi alla morte nessuno di noi si può dichiarare coraggioso. Nemmeno il re Ezechia che all'annunzio della imminente morte, si volge alla preghiera ricordando la sua fedeltà alla legge del Signore. Il suo pianto è abbondante. Dio ha misericordia di lui e gli promette ancora quindici anni di vita e la liberazione dai suoi nemici. Dio non solo è padrone del sabato, ma anche della vita.

    (monaci Benedettini Silvestrini)
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    AmarDio
    00 18/07/2010 15:24
    L'amore a Cristo nel prossimo

    Nella prima lettura, Dio si presenta come ospite ad Abramo (la
    tradizione cristiana ha sempre interpretato i tre uomini, o
    angeli, visti da Abramo come simbolo della Trinità); nella
    lettura evangelica Gesù è accolto come ospite nella casa di
    Marta e di Maria. Un tema, questo dell'ospitalità, che nella
    nostra società individualistica e anonima è tutto da riscoprire.
    La Bibbia ci aiuta a capire in profondità che cosa è
    l'ospitalità; essa non è solo un segno di umanità, ma un aspetto
    del comandamento nuovo di Cristo; accogliere l'ospite, cioè il
    forestiero, per noi cristiani significa accogliere Cristo stesso
    che si è identificato con tutti i bisognosi e che, nell'episodio
    dei discepoli di Emmaus, ha preso lui stesso l'aspetto di un
    pellegrino; significa aprire la propria casa - come fecero
    Abramo, Marta e Maria - per far riposare Gesù che passa ancora
    oggi ed è in viaggio per il mondo. Dirà Gesù: «Qualunque cosa
    avrete fatto a uno di questi, lo avete fatto a me». Significa,
    ancora, ricordarci che tutti noi siamo su questa terra ospiti,
    cioè forestieri e di passaggio, in cammino verso il Signore.
    Un secondo aspetto che emerge nella liturgia di oggi è il
    bisogno dell'ascolto della Parola di Dio e il rapporto tra
    azione e contemplazione, tra la vita materiale e vita
    spirituale, tra le tante cose che facciamo in una giornata e il
    posto che diamo a Dio. Gesù è accolto nella casa di Marta e Maria. "Marta si affatica a
    preparare, perché vuole offrire una ospitalità dignitosa; Maria
    invece dimentica tutto e si ferma ad ascoltare Gesù.
    Abbiamo sentito il racconto. Ad un certo punto Gesù dice:
    "Marta, tu ti preoccupi per molte cose, ma una sola è
    necessaria". Cosa vuol dire Gesù? Certamente non vuol condannare il lavoro di
    Marta, non vuol condannare l'impegno. Anzi Gesù è venuto per
    scuotere la pigrizia e per ricordarci che nella vita dobbiamo
    fare il più possibile, che dobbiamo far fruttare in pieno i
    talenti che abbiamo. Ciò che Gesù corregge in Marta è il suo
    lasciarsi travolgere dalle occupazioni, il suo affannarsi
    eccessivo, l'eccessiva importanza che dà alle cose esteriori e
    materiali e al proprio lavoro, fino a perdere il senso delle
    proporzioni e dei valori.
    Gesù condanna l'affanno, l'ansia, la preoccupazione; invita a
    non contare solo sulle nostre forze, ma soprattutto sulla
    potenza di Dio e della sua Parola. Gesù non pone un dilemma: o
    pregare o lavorare, ma vuole ricordare questo cosa: è efficiente
    non chi fa tanto, ma chi fa con Dio". (v. Comastri, Predicate la
    buona notizia, LDC). E chi fa con Dio fa molto di più, perché
    vive nella maniera giusta.
    Anche a noi dunque Gesù dice: "Ti preoccupi e ti agiti per
    troppe cose e trascuri l'unica veramente importante"! Come sono
    vere queste parole del Signore! Egli ha ragione: la nostra vita
    è un correre affannoso dietro a mille cose: sogni, progetti,
    affari, occupazioni; siamo delle «Marte affaccendate» che
    credono di fare le cose più importanti del mondo e invece
    perdiamo tempo, facciamo cose inutili, ci agitiamo per cose che
    sono soltanto urgenti per noi ma non importanti, per cose che
    spesso non accadranno mai.
    Gesù dice: "Non preoccupatevi di ciò che mangerete e di ciò che
    berrete, di ciò che vestirete... Preoccupatevi prima di tutto
    del regno di Dio". Pensiamo alle nostre famiglie: in esse
    veramente ci si preoccupa di tutto (mangiare, bere, vestire,
    aver soldi, divertirsi...). Ma c'è la preoccupazione di dare
    Dio, di costruire la vita con Dio, ascoltando il suo vangelo e
    seguendo i valori che esso ci porta?
    Gesù dice: "Io sono la vite e voi i tralci, come il tralcio non
    può dar frutto se non rimane unito alla vite, così voi rimanete
    uniti a me, perché senza di me non potete fare nulla".
    Ciascuno di noi può chiedersi: Quanto tempo do alla preghiera,
    all'incontro, all'ascolto, al dialogo con Dio nella mia
    giornata? Per la mia vita personale, per la famiglia, per il lavoro, per
    le mie preoccupazioni, devo ricordare quanto è detto nel Salmo:
    "Se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i
    costruttori". Dall'episodio di Marta e Maria ricaviamo anche
    questo insegnamento: che il miglior modo di essere Marta è di
    essere Maria. L'ascolto attento della parola di Dio, il tenere
    l'occhio fisso su Gesù, l'abitudine alla preghiera e alla
    riflessione, se non proprio alla contemplazione, purifica
    l'azione, impedisce di ricercare se stessi anche quando si fa la
    carità ai fratelli; permette di scorgere e rispettare le
    priorità; fa fare tutto con calma che poi è il sistema migliore
    di fare bene le cose e di farne di più.
    Comprendiamo allora che la nostra vita deve essere attiva, che
    dobbiamo compiere i nostri doveri, che dobbiamo far fruttare al
    massimo i nostri talenti, ma nella fede, cioè secondo il
    progetto di Dio, secondo la luce della sua parola, nel desiderio
    di compiere la sua volontà, che vuole la vita e il bene di
    tutti. C'è una bella preghiera che dice così: "Aiutami o
    Signore a vivere le mie giornate con le mani generose di Marta e
    con il cuore pieno di amore di Maria".
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    00 24/07/2010 14:35
    padre Lino Pedron: Commento su Matteo 13, 24-30

    La parabola del grano e della zizzania insegna che nel campo del mondo ci sono i buoni e i cattivi e che esistono in tutti i tempi dei servi impazienti che vorrebbero anticipare il giudizio di Dio. Ma gli uomini non sanno giudicare perché non conoscono né il metro di Dio né il cuore dell'uomo.

    Il bene e il male devono crescere fino alla completa maturazione. Il centro della parabola non sta nella scoperta della zizzania e neppure nel giudizio finale della separazione del grano dalla zizzania, ma più propriamente nell'ordine di non stappare la zizzania. La meraviglia e lo scandalo dei servi sta proprio in questo atteggiamento paziente e lungimirante di Dio.

    La Chiesa di tutti i tempi è sempre stata agitata dagli scandali e dai peccati dei cristiani. Per ogni situazione problematica vale il detto di Paolo: "Non vogliate giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio" (1Cor 4,5).

    Al tempo di Gesù c'erano i farisei che pretendevano di essere santi e perciò si separavano dalla moltitudine dei peccatori. C'era il movimento di Qumran con la sua idea di rigida santità che esigeva il rifiuto di tutti gli impuri. C'era Giovanni il Battista che annunciava il messia che avrebbe separato il grano dalla pula (Mt 3,12).

    Viene Gesù e si mescola con i peccatori, li accoglie e mangia con loro (cfr Lc 15,2). Addirittura ha un traditore nel gruppo dei dodici che si è scelto. Possiamo dunque dire che zeloti, farisei e tanti altri pretendevano che il regno di Dio intervenisse in modo netto, chiaro e definitivo. In questo contesto si capisce la forza polemica della parabola di Gesù: la politica del regno di Dio è divina, fatta di tolleranza e di misericordia.

    L'elemento della sorpresa da parte dei servitori quando scoprono la zizzania fa pensare che la parabola si applichi alla comunità cristiana che scopre nel suo seno imperfezioni e controtestimonianze al vangelo.

    La Chiesa non deve diventare una comunità di puri e di perfetti, estromettendo i deboli e gli inadempienti. Buon grano e zizzania devono crescere insieme fino alla mietitura. Anche perché Dio solo sa chi è buon grano e chi è zizzania.
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    00 28/07/2010 12:47
    padre Lino Pedron Commento su Matteo 13, 44-46

    Le parabole del tesoro e della perla di grande valore ci ricordano che Gesù è il nostro tesoro: per possedere lui bisogna essere disposti a lasciare tutto e tutti. Possiamo rappresentarci questo tesoro come un cassone o un vaso di terracotta pieno di monete d'oro o di argento. Sotterrare tesori nel campo era considerato un deposito sicuro in tempi di guerra o di incertezza. Tesori nascosti potevano essere dimenticati per la morte dei legittimi proprietari che portavano con sé il segreto nella tomba.

    L'unico modo possibile per il lavoratore del campo per giungere a un possesso giuridicamente non impugnabile è l'acquisto del campo. Così egli vende tutto ciò che possiede per acquistare il campo e quindi il tesoro.

    Il regno di Dio è un tesoro già presente, sperimentabile, trasmissibile nella parola e nell'opera di Gesù. Esso viene incontro all'uomo per suscitare la sua gioia. L'uomo vende tutto ciò che ha perché orienta in modo nuovo la sua vita. Ai tesori della terra sostituisce il tesoro del regno dei cieli.

    Il vertice della parabola sta nella decisione dell'uomo davanti alla scoperta del tesoro: egli vende tutto ciò che ha allo scopo di ottenere il campo e di impossessarsi del tesoro.

    Esemplari in questa decisione immediata e senza ripensamenti sono i discepoli che, incontrando Gesù, sono disposti a lasciare tutto per seguirlo (Mt 4,18-22; 8,21-22; 9,9; 19,16-29).

    Si può immaginare con quale affanno si sia messo all'opera e di quanto ridicolo si sia coperto agli occhi dei benpensanti quest'uomo che vende tutto, casa e averi, per acquistare un pezzo di terra di poco o nessun valore, com'è ordinariamente in Palestina, brulla e infruttuosa.

    Alla stessa derisione sono condannati i figli del Regno. Essi hanno sì acquistato un bene di inestimabile valore, ma esteriormente, agli occhi degli altri, appaiono dei falliti, degli illusi. La loro ricchezza è sconfinata ma nascosta, traspare solo dalla grande gioia che trabocca dai loro cuori.

    La gioia, segno di ottimismo e di speranza, è il punto culminante del racconto L'espropriazione dei beni non è stata un sacrificio, ma un guadagno.

    Anche nella parabola della perla preziosa viene evidenziato il valore straordinario del regno dei cieli in rapporto ad ogni altro bene (cfr Mt 6,33). Anche qui il culmine del racconto sta nella decisione presa dal mercante di vendere tutto quello che possiede per comperarla.

    E' da notare che nella parabola del tesoro nascosto l'uomo lo trova casualmente, mentre nella parabola della perla preziosa è l'uomo che va in cerca. Nella vita alcuni hanno incontrato Cristo senza averlo cercato (cfr Mt 4,18-22; At, 9,1-9), altri lo hanno cercato, come Nicodemo (Gv 3,1-15). In ogni caso il cuore dell'uomo è inquieto finché non trova il suo tesoro e la sua perla preziosa che è Cristo.

    Essere cristiano è la grazia più grande. Di conseguenza la gioia dovrebbe essere il dato esistenziale cristiano, affinché non risulti vero l'amaro sarcasmo di Nietzsche: "Dovrebbero rivolgermi uno sguardo più redento, se vogliono che io creda al loro redentore".
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    00 29/07/2010 19:34
    La figura di Marta. È lei che prende l’iniziativa di accogliere Gesù nella sua casa. Nel dedicarsi all’accoglienza del Maestro è presa dall’affanno per le molteplici cose da preparare e dalla tensione di sentirsi sola in questo impegno. È presa dai tanti lavori, è ansiosa, vive una grossa tensione. Pertanto Marta «si fa avanti» e lancia a Gesù una legittima richiesta di aiuto: perché deve essere lasciata sola dalla sorella. Gesù le risponde costatando che lei è solo preoccupata, è divisa nel cuore tra il desiderio di servire Gesù con un pasto degno della sua persona e il desiderio di dedicarsi all’ascolto di Lui. Gesù, quindi, non biasima il servizio di Marta ma l’ansia con cui lo compie. Poco prima Gesù aveva spiegato nella parabola del seminatore che il seme caduto tra le spine evoca la situazione di coloro che ascoltano la Parola, ma si lasciano prendere dalle preoccupazioni (Lc 8,14). Quindi Gesù non contesta all’operosità di Marta il valore di accoglienza riguardo alla sua persona ma mette in guardia la donna dai rischi in cui può incorrere: l’affanno e l’agitazione. Anche su questi rischi Gesù si era già pronunciato: «Cercate il suo regno e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta» (Lc 12,31).
    La figura di Maria. È colei che ascolta la Parola: viene descritta con un imperfetto «ascoltava», azione continuativa nell’ascoltare la Parola di Gesù. L’atteggiamento di Maria contrasta con quello pieno di affanno e tensione della sorella. Gesù dice che Maria ha preferito «la parte buona» che corrisponde all’ascolto della sua parola. Dalle parole di Gesù il lettore apprende che non ci sono due parti di cui una è qualitativamente migliore dell’altra, ma c’è soltanto quella buona: accogliere la sua Parola. Questa attitudine non significa evasione dai propri compiti o responsabilità quotidiane, ma soltanto la consapevolezza che l’ascolto della Parola precede ogni servizio, attività.
    d. Equilibrio tra azione e contemplazione. Luca è particolarmente attento a legare l’ascolto della Parola alla relazione con il Signore. Non si tratta di dividere la giornata in tempi da dedicare alla preghiera e altri al servizio, ma l’attenzione alla Parola precede e accompagna il servizio. Il desiderio di ascoltare Dio non può essere supplito da altre attività: bisogna dedicare un certo tempo e spazio a cercare il Signore. L’impegno per coltivare l’ascolto della Parola nasce dall’attenzione a Dio: tutto può contribuire, l’ambiente il luogo, il tempo. Tuttavia il desiderio di incontrare Dio deve nascere dentro il proprio cuore. Non esistono tecniche che automaticamente ti portano a incontrare Dio. È un problema di amore: bisogna ascoltare Gesù, stare con Lui, e allora il dono viene comunicato, e inizia l’innamoramento. L’equilibrio tra ascolto e servizio coinvolge tutti i credenti: sia nella vita familiare che professionale e sociale: come fare perché i battezzati siano perseveranti e raggiungano la maturità della fede? Educarsi all’ascolto della Parola di Dio. È la via più difficile ma sicura per arrivare alla maturità di fede.

    Dai Padri Carmelitani
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    00 31/07/2010 12:32

    La danza che fa la figlia di Erodìade sicuramente porta sbandamento in lei, agitazione, uno stato di esaltazione e di annebbiamento. Sta di fatto che dopo avere ascoltato l’istigazione della madre, non ha remore nel chiedere la testa del grande Profeta Giovanni Battista.

    La correlazione tra danza e richiesta esaltata mi sembra evidente, forse la stessa richiesta l’avrebbe fatta comunque, ma è certo che quella danza seducente per piacere a Erode e che vuole provocarlo, è sensuale, eccitata, depravata.

    E si compie o si desidera subito dopo qualsiasi delitto.

    Nella vita spirituale si insegna che la prima regola è fuggire l’occasione. Se ti avvicini troppo al fuoco vivo, con molta legna che brucia, è sicuro che ti bruci. La scottatura può variare dal contatto avvenuto, ma è sempre una bruciatura.

    In questo caso, la danza sensuale ha fatto perdere l’autocontrollo ad Erodìade e alla figlia. Durante la danza è venuto in mente il progetto di chiedere l’uccisione del Profeta. Senza quella danza, Erode non avrebbe fatto quella proposta esagerata ed Erodìade non avrebbe chiesto quanto non era opportuno chiedere.

    Molti oggi si comportano come Erodìade, vogliono fare ciò che si vuole.

    Erodìade si è macchiata di un delitto, ha chiesto la morte di un grande uomo, gli ha fatto tagliare la testa. Con quanta facilità si diventa carnefici! Era infastidita dal richiamo che Giovanni Battista ripeteva a chi viveva con dissolutezza, come oggi il richiamo della Chiesa e dei Sacerdoti fedeli a Dio, infastidisce i modernisti e gli anticlericali.

    Dà fastidio essere richiamati da qualcuno nel Nome di Gesù.

    Erodìade si sbarazza, fa eliminare ciò che le dava fastidio: la testa di Giovanni Battista. Non le basta la sua uccisione, vuole distruggere la fonte dell’intelligenza che dava la parola alla voce, quella voce che produceva un suono, ascoltato dalle orecchie dei presenti.

    Una donna spietata, calcolatrice.

    Erode pur avendo paura della morte di Giovanni Battista, accetta la logica del piacere sessuale, in un attimo dimentica la sua promessa e lo fa uccidere. Questo martirio avviene perché si taglia la testa a chi dava fastidio.

     Diffamare qualcuno significa tagliargli la testa, demolire la sua buona reputazione, farlo vivere mentre muore socialmente.

    La testa di Giovanni Battista è simbolo di quanti oggi hanno perduto la testa…
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    00 06/08/2010 09:04
    Vista l'alba, la notte non fa più paura

    Questi è il Figlio mio prediletto.

    Gli eventi che hanno segnato la storia di quest'ultimo decennio sono davvero di portata straordinaria, forse epocale. Chiamati a vivere sulla frontiera di due secoli e sul crinale di due millenni che si passano il testimone, abbiamo tutti respirato l'atmosfera della eccezionalità con accenti di spettacolarità dovuta alla pervasiva diffusione mediatica. Il confine tra virtuale e reale appare sempre più incerto. Questo clima ci raggiunge nella vita delle nostre comunità. Gli stessi appuntamenti ecclesiali sentiti e promossi per la carica di entusiasmo e passione che suscitano, rischiano di trascurare il valore della quotidianità. In passato erano i monaci, i religiosi ed i cristiani più devoti accusati di fuga dal mondo, oggi sono le persone stressate nella corsa quotidiana tra casa, scuola e lavoro a desiderare l'evasione cercando rifugio altrove.
    Anche la vita dietro al rabbi di Nazaret, senza una sua scuola come gli altri maestri, dopo i primi entusiasmi era diventata esigente ed impegnativa. Il continuo camminare per le strade polverose, il lungo sostare nelle piazze assediati dalle folle, i rischi corsi nell'incontrare i lebbrosi, sfidando la legge ed il contagio, aveva spento nel cuore degli apostoli l'illusione di un legittimo successo, dopo tanti sacrifici. In questo laboratorio di umanità autentica anche se debole e spesso abbandonata, i discepoli vengono preavvisati che proprio per essa come per tutta l'umanità il maestro dovrà dare la vita a Gerusalemme. Era davvero tutta in salita e difficile da capire il programma finale del viaggio intrapreso con Gesù, non li convinceva del tutto la sua parola: "chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita a causa del vangelo la salverà" (Mc 8,35).
    A questo punto c'era bisogno di una rassicurazione, di una forte conferma. In qualche maniera Gesù ripropone a tre suoi discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, l'esperienza del suo battesimo dopo la prova delle tentazioni, dove viene riconosciuto dal Padre come il Figlio amato e confermato nella sua missione.
    Al termine della salita "Gesù si trasfigura davanti ai loro occhi e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime e apparve loro Elia con Mosè" (Mc 9,2-3).
    È un istante di beatitudine, di rapimento gioioso, di luminosità avvolgente che riempie di felicità tutta una vita.
    Un'esperienza così esaltante che fa dire a Pietro prima non voleva andare a Gerusalemme per paura: "Maestro, è bello per noi stare qui" (Mc 9,5).
    Che non si trattasse di un sogno o peggio di un'illusione come al battesimo nel Giordano, è la voce del Padre a confermarlo: "Questi è il mio Figlio prediletto, ascoltatelo" (Mc 9,7).
    D'ora in poi vale la pena camminare con uno mite ed umile di cuore che va a donare la vita sulla croce per attrarre tutti a sé, nell'abbraccio del Padre.
    Nell'epifania gloriosa del Messia nascosto, con la Trasfigurazione, non viene meno il tema dominante del vangelo. Questa scena di gloria per quanto passeggera manifesta chiaramente colui che deve conoscere per un certo tempo l'abbassamento del servo sofferente.
    Lo splendore della Trasfigurazione immette anche oggi nella nostra esistenza talvolta opaca e rassegnata, la trasparenza divina di uno sguardo d'amore e di speranza su noi stessi e le persone che incontriamo, energia trasformante della grazia che rinnova il nostro cuore e rianima la volontà per trasformare le piccole scintille di bontà attorno e dentro di noi in fuochi accesi per tutti.
    Il mistero della Trasfigurazione viene a dirci che quando hai visto l'alba puoi affrontare il buio di altre notti. Ce lo ricorda San Pietro dopo aver fatto tesoro dell'esperienza del Tabor e della Pasqua con la sua prima lettera, diventata fonte ispiratrice del recente Convegno ecclesiale di Verona. "Sappiate essere come lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori" (1Pt 1,19).
    Con il linguaggio evocativo della poesia e l'occhio contemplativo del credente, così appare l'attesa dell'alba ad un prete in preghiera con la sua comunità nel cuore:

    Verrà un'alba,
    in cui una vita travagliata e rifiutata, disprezzata e calunniata,
    invece di indurire il cuore si abbandoni alla provvidenza.
    Verrà un alba,
    In cui siano l'umiltà e la mitezza ad accogliere
    E la semplicità a rassicurare.
    Verrà un alba,
    in cui come il sole posa sulla montagna e la montagna sul mare,
    la pace si posi sul cuore e gli occhi sulla speranza.

    (Luigi Verde)

    D'ora in poi la storia orientata verso traguardi di civiltà, non vive solo di lotte sofferte e spesso cruente dovute al mistero del male, ma soprattutto di una trasfigurazione ed epifania continue, perché la "gloria del Padre brilla sul volto dei suoi figli" (Sal 96).

    Commento di don Giuseppe Masiero
    tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C
    Ave, Roma 2009
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    Credente
    00 09/08/2010 17:43
    Monaci Benedettini Silvestrini
    In spirito e verità

    Come la regina Ester anche Santa Teresa Benedetta della Croce, ha cercato e trovato rifugio nel Signore. La preghiera che segue, nei suoi tratti essenziali, sicuramente è stata ripetuta innumerevoli volte come accorata invocazione, particolarmente da coloro che sorretti dalla fede, hanno dovuto sperimentare la dura prova del dolore e della più cocente passione. Nei campi di sterminio o di fronte all'oppressione violenta del dolore in tutte le sua svariate manifestazioni, è bello e confortante pregare così: "Ricordati, Signore; manifèstati nel giorno della nostra afflizione e a me da' coraggio, o re degli dèi e signore di ogni autorità. Quanto a noi, salvaci con la tua mano e vieni in mio aiuto, perché sono sola e non altri che te, Signore!". Fa eco nel brano evangelico il dialogo della Samaritana con Gesù. Lei ha la gioia e l'onore di ascoltare la grande novità che Cristo stesso viene a proclamare: "Credimi, donna... è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità." Si allude alla conversione di Santa Teresa Benedetta, alla sua santità eroica, al suo incontro personale con Gesù Cristo, alla missione che Lei ha dato e sta ancora dando nella chiesa e nel mondo. Adorare Dio in spirito e verità, non è però soltanto un annuncio ecumenico o una rara dote dei santi, vuole essere un monito per tutti noi: dobbiamo esprimere la nostra preghiera e testimoniare con tutta la nostra vita quello spirito che è grazia santificante in noi e quella verità che è Cristo stesso vivo e in perenne comunione con noi.
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    Coordin.
    00 14/08/2010 22:25
    Monaci Benedettini Silvestrini
    La Messa mia

    Una scena conosciuta quella del vangelo, anche se non sempre ben compresa e ben interpretata. Infatti, la predilezione di Gesù per i bambini, così come viene espressa dai sinottici, da qualcuno era fatta risalire ad uno sviato senso della purezza. Niente di tutto ciò! I bambini nelle culture antiche, compresa quella ebraica, erano gli esseri meno considerati, coloro che non godevano di alcun diritto ed è proprio a questa categoria di paria che si rivolge il Signore. È lo stesso discorso di "prostitute e pubblicani vi precederanno nel Regno dei cieli". La predilezione di Gesù è quindi verso gli ultimi, i diseredati che per il solo fatto di essere tali (attenzione! non per la loro fede o per le opere) erediteranno il Regno dei cieli. La prima lettura continua il discorso iniziato ieri, e proprio di discorso si tratta! È una liturgia tutta impostata sul dialogo: e non dovrebbe essere questo il senso della liturgia? Tante nostre celebrazioni paiono più dei riti magici, dove se non si dice il nome del defunto la messa non vale, se non si recitano precisamente quelle parole e non si danno determinate risposte sembra che il Signore non capisca. Ma nella liturgia non è il Signore a dover capire, ma è il senso della nostra fede che si deve chiarificare. Quindi dovremmo cambiare impostazione alle nostre celebrazioni e si potrebbe prendere come riferimento proprio questa pagina del libro di Giosuè, in cui il popolo risponde a determinate domande circa la propria fedeltà, l'alleanza, il servizio. Una partecipazione più cosciente e più "dignitosa" rispetto alla solita frase "la messa mia", potrebbe essere il punto di partenza per una migliore adesione della vita al mistero che si celebra.
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    Coordin.
    00 17/08/2010 12:37

    Riflessione sulla richiesta del giovane ricco a Gesù: cosa devo fare per avere la vita eterna?.

    Alla risposta di Gesù,

    «Il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze». Chi considera le sue ricchezze il bene superiore, non potrà mai entrare in comunione con Gesù.

    Quando il benestante si spoglia di certa ricchezza, si riveste della ricchezza di Dio. Cosa bisogna fare per salvarsi? Questa era la preoccupazione del giovane, ottima valutazione, ma purtroppo per lui, non volle obbedire al comando di Gesù.

    Nel Vangelo di oggi Gesù và oltre, e dà una affermazione forte: È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”. Bisogna avere chiaro che Gesù non è oppositore dei ricchi, anzi desidera che ogni essere umano viva con molta dignità, ma è evidente che il ricco pensa più ai beni materiali che al Bene supremo.

    Se uno possiede molte ricchezze, non può avere l’umiltà per pregare.

    Gesù non condanna l’uomo ricco, sono le sue ricchezze a rovinarlo, ricchezze che occupano il cuore e lo schiavizzano. Le ricchezze trasformano l’uomo in egoista, lo accecano e lo trasformano, trascinandolo anche a litigi pesanti con familiari e parenti per spartire l’eredità.

    È facile accorgersi con quale agitazione vivono molti ricchi, preoccupati solo dalle cose umane, incapaci di alzare il cuore e la mente in alto per ringraziare Dio.

    È un dovere logico ringraziare Dio per le ricchezze ottenute. Chi lo fa?

    Sono i poveri e i semplici a ringraziare Gesù per il poco che hanno.

     Ho letto che la sorella del calciatore inglese supemilionario Beckam, ha chiesto un assegno sociale, un sussidio statale di 200 dollari a settimana, in pratica quelli che lui guadagna in 2 secondi. Una notizia curiosa, lui e la moglie facevano spese folli in Italia, alle volte spendevano in un giorno oltre 30 mila euro in oggetti d’oro e regali superflui. Facevano conoscere ai giornalisti queste spese come se fossero opere eroiche. Immaturità o qualcos’altro? E non aveva alcuna preoccupazione per la sorella.

    E pensare che ci sono moltissime persone che hanno difficoltà a comprare il pane, anche in Italia, o non riescono a pagare le bollette, non possono vivere in modo dignitoso. Chi si preoccupa di loro?


    .Dio ha dotato la terra di risorse e potenzialità produttive in abbondanza per tutti, ma noi uomini abbiamo stravolto il concetto di equa ripartizione di tali beni che sono di tutti, anzi i ricchi continuano ad accaparrarsi le risorse delle terre dei poveri del terzo mondo: una vera ingiustizia mondiale. Dio soffre per l’ingiustizia e tutta la creazione geme in attesa che venga il giorno in cui tutto sarà ricostituito secondo il disegno originario.

    Intanto noi siamo chiamati tutti a dare il nostro contributo personale e sociale. È una grande opera quella svolta da tante associazioni di volontariato cattolico, soprattutto dalle parrocchie, ma bisogna fare di più.

    Ognuno di noi, per quanto è possibile, deve fare di più.
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    Coordin.
    00 19/08/2010 21:19
    Monaci Benedettini Silvestrini
    La figlia data in olocausto e l’invito rifiutato


    Due episodi sconcertanti e strani: l’uno ci presenta Ièfte che, per tenere fede ad un voto fatto, offre in olocausto la propria figlia e l’altro un re il cui invito ad un pranzo di nozze viene rifiutato da tutti. Se il primo è plausibile, il secondo è iperbolico. Mentre nel brano tratto dai Giudici, il sacrificio umano, seppure fa inorridire, ha una sua spiegazione con una certa contaminazione che Israele ha ricevuto in trecento anni di convivenza con le popolazioni indigene e con un perverso senso religioso, che promette ciò che Dio stesso proibisce, nel vangelo c’è una trama surreale che ci fa stare a disagio, che ci fa come compatire e compiangere questo re tanto bistrattato. Fuor di metafora, tutti noi sappiamo qual è il senso di questa parabola: se Israele rifiuta l’invito di Dio, Egli inviterà altri. Alla fine del racconto vi è l’episodio ermetico dell’invitato senza la veste nuziale: anche coloro che accolgono l’invito, possono non dimostrarsi all’altezza di tanto onore. Se la prima parte la rivolgiamo agli Israeliti, la seconda dovremmo cercare di applicarla a ciascuno di noi. Possiamo infatti, benché invitati non essere degni del dono ricevuto. Cerchiamo di riscoprire in questa giornata il nostro Battesimo, non solo la gratuità con cui ci è stato donato, ma la grandezza della dignità che in esso abbiamo ricevuto. Un’ultima annotazione sulla prima lettura: Iefte, si badi bene, riceve lo spirito del Signore (v. 29), ma questo non gli impedisce di fare e di adempiere quel voto empio. La scelta da parte di Dio di una persona, non preserva questa da errori. Nessuno è infallibile, è vero, anche se talvolta dovremmo esercitare il buon senso che ci indurrebbe a non compiere tante idiozie.
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    Coordin.
    00 20/08/2010 12:29

    Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

    Essere una persona giusta, vivere nella giustizia, biblicamente significa che rispetta Dio e il prossimo. Dà a Dio l’adorazione e l’obbedienza dovuta, ad ogni persona l’amore, l’onestà, la verità. Solo così si ama Dio veramente e il prossimo come si rispetta la propria persona.

    Chi commette errori verso gli altri, principalmente non rispetta se stesso, non cura la sua anima, non ha un buon rapporto con Dio. Da qui nascono cattiverie e rancori.

    Gesù ci invita e ci guida verso il pieno rispetto della persona, dice che si può amare e rispettare con sincerità il prossimo, se si rispetta la propria spiritualità. Non curare la vita spirituale è un danno che si riversa sull’intera esistenza, i sette vizi capitali prendono il sopravvento e sarà sempre più difficile stanarli e ridurli a poca cosa.

    L’esercizio dell’amore verso tutti non si improvvisa, non siamo capaci di farlo con le nostre forze, è necessario l’aiuto di Gesù, per questo chi fa l’Adorazione Eucaristica si riveste di abbondante Grazia, lo Spirito Santo trova sempre spazio e porta i suoi ineffabili doni.

    È impossibile amare il prossimo, quindi ogni persona che ci sta accanto o che incontriamo, senza l’Amore di Gesù. Dobbiamo rivestire la nostra debole natura umana con la Grazia divina, questo è il compito che ci chiede Gesù in tutto il Vangelo. Questo è l’esercizio più importante per proseguire il cammino spirituale.

    E si potrà cadere una volta o cento volte, ma ci si rialzerà sempre prontamente e si ricorrerà alla Confessione. Con l’impegno di lottare le cadute.

    L’uomo di per sé è portato naturalmente ad essere cattivo, egoista, bugiardo.

    L’uomo insieme a Gesù e alla Madonna riesce a rinnegare questa inclinazione e a rinascere, con un cuore buono, una mentalità altruista, un linguaggio misericordioso.

    “Ama e fa quel che vuoi”, scriveva Sant’Agostino.

    Ma chi ama rispetta pienamente Dio e ogni prossimo.
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    Coordin.
    00 23/08/2010 09:14
    padre Lino Pedron Commento su Matteo 23, 13-22

    Attraverso i "guai" rivolti agli scribi e ai farisei, Gesù istruisce la folla e i discepoli. Egli mette in guardia i discepoli dai cattivi comportamenti che vengono segnalati, perché anch'essi vi potrebbero incappare.

    Il senso del "guai a voi!" è "ahimè per voi!": non esprime una minaccia, ma il dolore per la situazione dell'altro. E' un'espressione di sincero amore, non di aggressività né tanto meno di cattiveria. E' un lamento.

    L'ipocrisia è la differenza tra l'essere e l'apparire, il non riconoscere l'ordine dei valori, ciò che è più importante e ciò che lo è meno, ciò che è centrale e ciò che è periferico.

    L'immagine del chiudere presuppone che essi siano i detentori del potere delle chiavi, ossia che possiedano l'autorità dell'insegnamento. Essi, servendosi della propria autorità, sbarrano agli uomini loro sottomessi l'accesso al regno dei cieli. Le autorità giudaiche impediscono l'accettazione del vangelo di Gesù.

    Viene messa in discussione anche la loro attività missionaria. Flavio Giuseppe in Ap. 2,10.39 attesta i successi dell'attività missionaria dei giudei della diaspora dopo la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C.

    L'appellativo "guide cieche" evidenzia nuovamente la loro smania di fare proseliti. Probabilmente Matteo si riferisce all'attributo onorifico "guide di ciechi" che si dava ai missionari giudei (cfr Rm 2,19).

    Il "guai" del v. 16 riguarda anche l'abuso del giuramento. La situazione era questa: si usavano diverse formule di giuramento. Questo avveniva per rispetto verso il nome santo di Dio. Per non pronunciarlo si giurava per il cielo, per Gerusalemme o per altro (cfr Mt 5,34-35). Probabilmente ne derivò la triste conseguenza che coloro che giuravano il falso, quando erano scoperti, replicavano di non aver giurato per Dio e quindi non erano tenuti a mantenere il giuramento. Gesù non approva le cautele casuistiche adottate nel giuramento. Esse sono espressione di stoltezza e di cecità.

    I vv.21-22 sottolineano l'unità di tempio, cielo e Dio. Il tempio e il cielo appartengono a Dio, sono la sua casa e il suo trono (cfr 1Re 8,13; Sal 26,8; Is 66,1; Mt 5,34). Ogni giuramento è chiamare Dio come testimone, quindi l'abuso del giuramento è contro Dio.
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    Coordin.
    00 26/08/2010 08:40
    padre Lino Pedron
    Riflettiamo su Matteo 24, 42-51


    La morte arriva imprevedibile per noi, ma al momento esatto previsto da Dio. Perché vigilare? Per essere trovati pronti; per non essere esclusi dalla sala delle nozze eterne.

    Questa ignoranza dell'ora si iscrive nella nostra natura: la nostra vita ci sfugge, siamo un mistero per noi stessi, non ci possediamo, siamo del Signore.

    Vigilare, essere pronti significa porsi davanti al Signore sempre presente (solo apparentemente assente) e vivere coerentemente secondo questa fede.

    Nella parabola del servitore preposto ai servizi del suo padrone, la vigilanza prende la forma di una fedeltà responsabile verso una missione affidata dal Signore.

    Seguendo il tenore del testo, bisogna porre l'accento sulla parusìa. Ci sono delle persone a cui sono state affidate responsabilità particolari nella Chiesa. La funzione dei detentori di cariche è qualificata come servizio. Coloro che sono affidati alle loro cure sono compagni di servizio. I detentori di cariche non sono padroni posti al di sopra degli altri. Tutti hanno un unico Signore sopra di sé. L'abuso della carica merita la massima condanna, come vuol far capire la punizione severissima.

    L'attesa del Cristo deve suscitare l'impulso all'azione morale, a non sprecare il tempo, a comportarsi come servi di tutti e padroni di nessuno.
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    Coordin.
    00 27/08/2010 08:45
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Ecco lo Sposo, andategli incontro


    Alcuni elementi della parabola dello sposo che arriva all'improvviso, ci offrono spunti interessanti di riflessione. Il tema dominante rimane ancora quello della vigilanza nell'attesa dello sposo che viene. Viene ribadito che non ci è dato di conoscere il momento e l'ora della sua venuta. Non possiamo perciò abbandonarci al sonno e ancor meno restare al buio perché privi di olio per alimentare le lampade. Vengono definite con chiarezza stolte o sagge le due categorie di vergini, tutte chiamate ad accogliere con puntualità e con il dovuto onore lo sposo in arrivo nel cuore della notte. Tutte e dieci hanno la lampada, tutte hanno avuto, come noi, il dono della fede. Tutte sono in attesa dello sposo e al grido che annuncia il suo arrivo tutte si destano per andargli incontro e illuminare il suo cammino verso la casa della sposa. Tutte sono consapevoli che la loro attesa non sarà priva di un premio adeguato: c'è per loro un invito ed una partecipazione al banchetto nuziale. La differenza è data da un particolare che però risulterà di fondamentale importanza: l'avere o non con se l'olio per alimentare le lampade. San Giacomo così ammoniva i suoi fedeli: "Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?". E a conclusione del suo discorso affermava categoricamente: "La fede senza le opere è morta". È appunto come una lampada senz'olio. Le conseguenze del ritardo e del mancato appuntamento con lo poso sono davvero tragiche: solo le vergini che erano pronte entrano nel banchetto nuziale, le altre si sentono dire: "In verità vi dico: non vi conosco". Sono escluse dalla festa, restano fuori perché la porta per loro era già chiusa. Dobbiamo riflettere sui nostri ritardi e sulle nostre sprovvedutezze, potrebbero significare per noi l'esclusione dalla festa finale che attendiamo da tutta la vita.
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    Coordin.
    00 28/08/2010 09:01
    padre Lino Pedron
    Riflessione su Matteo, 25, 14-30


    Il regno dei cieli è un capitale che Dio ha messo nelle nostre mani: non possiamo lasciarlo improduttivo. Questo racconto ci insegna la vera natura del rapporto che deve intercorrere tra Dio e l'uomo. E' tutto il contrario di quel timore servile che cerca rifugio e sicurezza contro Dio stesso in una esatta osservanza dei suoi comandamenti. E' invece un rapporto di amore dal quale possono e devono scaturire coraggio, generosità e libertà. Il servo buono e fedele è colui che, superando ogni timore servile e la gretta concezione farisaica del dovere religioso, traduce il vangelo in atti concreti, generosi e coraggiosi. Attendere il Signore significa assumere il rischio della propria responsabilità. A coloro che si muovono nell'amore e si assumono il rischio delle proprie decisioni, si aprono prospettive sempre nuove ( v. 28). Chi invece resta inerte e inoperoso ( v.25) diventa sterile e improduttivo, e gli sarà tolto anche quello che ha ( v.29). Non basta non fare il male, bisogna fare positivamente tutto il bene e a tutti.

    La paralisi operativa del cristiano è provocata dalla paura nei confronti del suo Signore. Il cristiano vero conosce Dio come amore infinito, e questo lo porta ad agire con entusiasmo e dedizione. "Per questo l'amore ha raggiunto in noi la sua perfezione, perché abbiamo fiducia nel giorno del giudizio; perché come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo. Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone il castigo e chi teme non è perfetto nell'amore" (1Gv 4,17-18).

    Il dono dei talenti che Dio ci ha dato è un atto di fiducia nelle nostre reali capacità e nella nostra buona volontà. Egli non vuole che siamo dei semplici dipendenti o esecutori ignari e deresponsabilizzati, ma dei collaboratori coscienti e coscienziosi nella gestione dei suoi beni. L'osservazione maleducata, ingiusta e malvagia che il servo fannullone butta in faccia al suo padrone:" So che sei un uomo duro e mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso" (v.24) contiene una preziosa informazione sul conto di Dio, perché riconosce la laboriosità e la capacità di questo Signore che sa trarre profitto anche dove gli altri non riescono (Dio sa trarre il bene anche dal male, perfino dal peccato!). E vuole che i suoi servi siano come lui.

    Il servo fannullone non è solo pigro, ma anche stolto. Il suo giudizio sul padrone è falso e malevolo. La sua colpa non è solo la pigrizia, l'infingardaggine, la mancanza di capacità di rischio, ma la disistima e la mancanza d'amore verso il suo padrone: non l'ha compreso, non si è fidato della sue proposte.

    Il racconto rappresenta la comunità cristiana impegnata nelle sue varie mansioni. La vocazione cristiana è un capitale a rischio: un dono che bisogna far fruttificare con industriosità, saggezza e amore. Ogni fedele deve dare, con responsabilità e coraggio, la propria prestazione.

    Il premio, espresso nel raddoppiamento dei talenti e nella partecipazione alla gioia del Signore, contiene un richiamo alla comunione di vita con Cristo. La condanna è l'esclusione dal banchetto di questa intimità. Fuori dalla sala delle nozze eterne il servo sarà condannato all'oscurità, al freddo, al pianto.

    Il momento attuale decide la nostra sorte eterna.

    *** Matteo mette in guardia i suoi lettori contro il rischio del disimpegno che sarà condannato come mancanza di fede e di fiducia nel Signore. La paura è il contrario della fede, come la pigrizia è il contrario dell'impegno fruttuoso. L'intenzione di Matteo è questa: motivare un serio impegno dei cristiani nella vita presente con la prospettiva del giudizio finale, della ricompensa e del castigo.

    L'esperienza di fede per Matteo è una relazione personale con il Signore, che si esprime e si concretizza nella fedeltà operosa come risposta alla sua iniziativa gratuita.

    L'immagine di Dio è deformata dalla paura. Essa paralizza l'iniziativa dell'uomo, gli impedisce di essere attivo e di rischiare.

    Il terzo servo, invece di presentare i suoi guadagni, fa leva sulla severità del suo padrone, di cui ha un pessimo concetto, per motivare la sua totale mancanza di intraprendenza nel far fruttare il capitale ricevuto. In altre parole: la colpa è del Signore, non sua ( vv.24-25). La risposta del Signore si apre con due appellativi," malvagio e pigro", che sono l'opposto di quelli usati per i primi due servi laboriosi e intraprendenti," servo buono e fedele". Il Signore risponde riprendendo le stesse parole del servo: "Sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso".

    Il dialogo si conclude con l'ordine di cacciare il servo malvagio e pigro. Con tale conclusione il racconto diventa un avvertimento per tutti coloro che nell'attesa della venuta del Signore non si impegnano con costanza e fedeltà.

    Il terzo servo non ha fatto, apparentemente, nulla di male, ma, in realtà, il non corrispondere alle attese del Signore è il massimo dei mali, se merita tanto castigo. La vita non ci è stata donata per non fare del male, ma per fare il bene, diversamente i cadaveri sarebbero migliori di noi: non uccidono, non commettono adulterio, non rubano, non fanno falsa testimonianza...

    La frase: "A chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha" (v.29) può sembrare un principio ingiusto; in realtà mette in evidenza come nel seguire il Signore ci sia un crescendo di intimità, di senso reciproco di appartenenza, che si intensifica e si approfondisce sempre di più.

    Questo racconto non è una spinta all'imprenditorialismo o all'accumulo di capitali: i talenti sono i "misteri del regno di Dio", non i denari.

    Il seguire Gesù rimane spesso bloccato perché ci si lascia dominare dalla paura, che è esattamente il contrario della fede ardimentosa che sposta le montagne. Per concludere, esemplifichiamo: paura di sposarsi, accettando la definitività di questa unione indissolubile per volontà di Dio; paura di fare i preti a vita; paura di consacrarsi definitivamente a Dio nella vita religiosa; paura, paura e sempre paura... perché abbiamo paura di Dio.
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    Coordin.
    00 30/08/2010 11:06
    don Luciano Sanvito


    LEGGERE LA PAROLA DI DIO E' APPLICARLA SU DI SE' IN SPIRITO

    Gesù legge la Parola dicendo poi: "Oggi si è adempiuta questa Parola".

    La Parola trasforma colui che la legge e lo rende a immagine della stessa Parola.
    Questo atteggiamento slega colui che legge la Parola dai vincoli parentali e famigliari, per renderlo parte della famiglia dell'ascolto.

    Questo strappo dalla parola umana alla Parola di Dio opera anche una frattura e una contrarietà nei rapporti quotidiani: "Non è costui...?".
    La libertà suscitata dalla Parola letta e applicata diventa anche segno di contraddizione non solo per Gesù nella sinagoga dei suoi paesani, ma anche per chi, seguendolo, si applica a una Parola che rende famiglia ogni realtà che in essa si ritrova, sia nelle persone che negli avvenimenti.

    Il dramma della lettura viva e incarnata della Parola di Dio appare maggiormente quando questa Parola discerne gli atteggiamenti della verità e dell'accoglienza verso chi la ascolta.
    Ecco allora che anche chi si ritrovava con quella Parola ormai tradizionalmente "sua", si deve accorgere che il giudizio di verità della Parola lo rende altro e straniero: va a favore proprio di estranei e pagani.

    ALLORA LA PAROLA SUSCITA LA CONTRADDIZIONE DELLA FEDE
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