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La «patria» dell’Amore è entrata nell’«esilio» del peccato, del dolore e della morte, per farlo suo e riconciliare la storia con sé: Dio ha fatto sua la morte, perché il mondo facesse sua la vita. «Qui sta la differenza decisiva rispetto a qualsiasi religione. La religiosità umana rinvia l’uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo, Dio è il deus ex machina. La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare. In questo senso si può dire che l’evoluzione verso la maggiore età del mondo, con la quale si fa piazza pulita di una falsa immagine di Dio, apre lo sguardo verso il Dio della Bibbia, che ottiene potenza e spazio nel mondo grazie alla sua impotenza» (D. Bonhoeffer, Resistenza e resa, a cura di A. Gallas, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1988, 440: lettera del 16 luglio 1944). Il Dio biblico non è l’occulta controparte contro cui lanciare le bestemmie del dolore umano, ma è in un senso più profondo «il Dio umano, che grida nel sofferente e con lui e interviene a suo favore con la sua croce quando egli nei suoi tormenti ammutolisce» (J. Moltmann).