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Dal dono dell'impossibile amore, offerto dal Figlio sulla Croce, nasce la Chiesa, la comunità dei figli resi tali dal Figlio, l’Amato. Che la Chiesa sia la Chiesa dell’amore non è un’affermazione retorica, ma ha un fondamento reale, come mostra una parola usata nel Nuovo Testamento soprattutto in Giovanni: "kathòs", "come". "Amatevi come io ho amato voi" (Gv 15,12; cf. 13,34). "Che essi siano uno, come noi siamo uno" (Gv 17,21. 22), sono frasi in cui si evidenzia il triplice senso di questo "kathòs" - "come": la Chiesa viene dalla Trinità, dall’amore che lega il Padre e il Figlio nello Spirito; è immagine della Trinità; e tende verso la Trinità. Il "kathòs" sta a dire che i discepoli vivono nello Spirito uniti al Figlio crocifisso e risorto alla presenza del Padre. Il cristiano non è che il discepolo partecipe dell’amore sofferente di Dio: «Non è l’atto religioso a fare il cristiano, ma il prender parte alla sofferenza di Dio nella vita del mondo»!( D. Bonhoeffer, Resistenza e resa, o. c., 441: lettera del 18 luglio 1944). L’"agape" è la legge fondamentale della comunità di quanti credono nella rivelazione dell’amore sofferente del Padre avvenuta in Gesù.

La grande differenza fra l’atteggiamento religioso, semplicemente pagano, e il cristianesimo si misura precisamente su questa partecipazione alla sofferenza di Dio: lo ha espresso in modo mirabile in una poesia del tempo della prigionia Dietrich Bonhoeffer: «Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione / piangono per aiuto, chiedono felicità e pane, / salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte. / Così fanno tutti, tutti, cristiani e pagani. / Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione, / lo trovano povero, oltraggiato, senza tetto né pane, / lo vedono consunto da peccati, debolezza e morte. / I cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza» (Cristiani e pagani. Poesia, in Resistenza e resa, o.c., 427). Il "kathòs" ci fa dunque comprendere che la Chiesa vive della legge fondamentale dell’accoglienza e del dono: lasciarsi amare dal Padre per Cristo nello Spirito sulla Croce, per amare poi il Padre per Cristo nello Spirito amandoci gli uni gli altri. Fare compagnia al dolore di Dio per l’altro: è questo il senso dell’amore rivelato e donato da Gesù. Perciò, "allelon – allelous" – "gli uni – gli altri" è la formula che nel Vangelo di Giovanni corrisponde al "kathòs": se il "come" dice il rapporto tra noi e la Trinità, "allelon-allelous" dice il rapporto della reciprocità fra di noi. È la carità di Dio a fondare la carità fraterna!

L’interrogativo essenziale, allora, diventa quello di entrare nel cuore del Padre perché il frutto di riconciliazione e di vita nuova che sgorga dal suo amore sofferente si esprima nella nostra esistenza e nella storia e il possibile, impossibile amore ci abiti. La grande tradizione della fede ha una risposta tanto netta, quanto ininterrotta a questo interrogativo, proclamata come un "canto fermo" con la testimonianza vissuta dei santi, prima che con i concetti e con le parole: il luogo dell’incontro, la porta che introduce nel cuore paterno e fa fare esperienza della sofferenza misericordiosa di Dio, è la preghiera e in particolare il suo vertice e la sua fonte, la liturgia. È questa la grande scuola dell’amore, dove il Padre accoglie i Suoi figli e la Sua misericordia li rende creature nuove, libere e liberanti nella storia. Nella liturgia il cristiano non sta davanti a Dio come uno straniero, ma entra nelle profondità di Dio, prega "in Dio", lasciandosi avvolgere dal mistero della Trinità, facendo compagnia alla sofferenza di Dio e partecipando alla Sua vittoria sulla morte e sul male.

Celebrare, pregare, perciò, non significa tanto amare Dio, quanto lasciarsi amare da Lui: in tal senso, la preghiera ci introduce nel cuore del Padre rendendoci capaci anzitutto di ricevere, di attendere il dono dall’alto nella pazienza e nella perseveranza piene dello stupore dell’amore. La preghiera cristiana, personale e liturgica, è perciò esperienza notturna più che solare di Dio: il Padre non lo vedi, né lo catturi; ti lasci piuttosto contemplare da Lui. Celebrare è lasciarsi amare da Dio, è "passio" prima che "actio", accoglienza del mistero, prima e più che impresa umana: "pati divina". Ed è alla scuola della liturgia - "memoria passionis et resurrectionis Domini" - che si comprende come la condivisione dell’umanità del Dio sofferente non ha nulla del dolorismo pessimista, è anzi affermazione decisa della potenza della resurrezione: «La vittoria sul morire rientra nell’ambito delle possibilità umane, la vittoria sulla morte si chiama resurrezione. Non è dall’ars moriendi, ma è dalla resurrezione di Cristo che può spirare nel mondo presente un nuovo vento purificatore... Vivere partendo dalla resurrezione: questo significa Pasqua» (D. Bonhoeffer, Resistenza e resa, o.c., 314: lettera del 27 marzo 1944)).

Chi sta davanti al mistero del Padre nel grembo della Trinità Santa, nascosto con Cristo in Dio (cf. Col 3,3), dimora anche nel seno della storia: è così che nella liturgia la Trinità e la storia giungono ad incontrarsi. La preghiera, personale e liturgica, è il terreno d’avvento della Trinità nella storia, il luogo di alleanza fra la storia eterna di Dio e la storia degli uomini, il pegno della speranza che fa pregustare il giorno in cui il mondo intero sarà la patria di Dio e Dio sarà tutto in tutti. È nella preghiera, personale e liturgica, che la sofferenza del mondo incontra la sofferenza divina e ne viene redenta: è in essa che ciascuno può aprire la porta all’Agnello che bussa (cf. Ap 3,20) e gustare con Lui la Cena delle nozze. Esprime questo incontro dell’amore divino con la passione del mondo e della passione di Dio con la ricerca del cuore umano inquieto, il poeta mistico per eccellenza, San Giovanni della Croce (Cántico espiritual, Strofa 15), con parole che - nel succedersi degli ossimori - evidenziano il paradosso del Dio che viene (Mi Amado…), il paradosso della finitudine e del dolore umani ("la noche… la música callada, la soledad sonora") e il loro abbraccio nell’amore "compassionato", donato dall’alto e accolto dalla fede nella cena che ricrea ed innamora:

«Il mio Amato...

placida la notte

prossima al levarsi dell’aurora,

la musica taciuta,

la solitudine sonora,

la cena che ricrea e innamora».

da una meditazione di Mons. Bruno Forte sull'amore di Cristo per la Chiesa immagine dell'amore che dev'esserci tra i coniugi e anche tra tutti i credenti.