00 27/02/2010 20:48
ESPERIENZE PERSONALI

Do per scontata l'appartenenza del vescovo d'Ippona al novero dei mistici 1 e passo ad esporne le ragioni. Mi pare che queste possono riassumersi comodamente in tre: Agostino 1) fu un uomo di preghiera; 2) fu un uomo di preghiera contemplativa; 3) della preghiera contemplativa raggiunse i gradi più alti.

Vediamole un po' più attentamente.

1. - Agostino fu un uomo di preghiera

Per provarlo basta spigolare qua e là nelle sue opere, che sono quasi tutte in qualche modo autobiografiche, e aggiungere ad esse la Vita che scrisse Possidio. Ne risulta un uomo che ha fatto della preghiera l'alimento, dirò meglio, la vita della sua vita.

Ci fa sapere che da fanciullo scioglieva i nodi della sua lingua nella preghiera; era una preghiera interessata ma preghiera: " Ti pregavo, piccolino ma non con piccolo affetto, che tu mi evitassi le busse del maestro " 2.

Sulla soglia della giovinezza chiedeva a Dio la castità, anche se, sentendosi schiavo della passione, aggiungeva che non gli venisse data subito 3.

Ma quando cominciò a pregare veramente fu dopo la lettura dell'Ortenzio, che gli scoprì l'immenso orizzonte umano e la relazione costituzionale dell'anima con la sapienza immortale, con il divino. " Quel libro, devo ammetterlo - scrive nelle Confessioni - mutò il mio modo di sentire, mutò le preghiere stesse che rivolgevo a te, Signore, suscitò in me nuove aspirazioni e nuovi desideri, svilì d'un tratto ai miei occhi ogni vana speranza e mi fece bramare la sapienza immortale con incredibile ardore di cuore " 4.

Divenuto, poco dopo, manicheo, prese parte con assiduità ed impegno ai canti e alle celebrazioni solenni di quella setta 5.

Quando, deluso dal manicheismo e riconosciuta ormai l'autorità della Chiesa cattolica, cercava di capire, tra grandi affanni, la natura e la causa del male, elevava al Signore i gemiti profondi della sua preghiera. " Quando, tacito, mi tendevo nello sforzo della ricerca, erano alte le grida che salivano verso la tua misericordia, i silenziosi spasimi del mio spirito. Tu conoscevi la mia sofferenza, degli uomini nessuno " 6. Non v'è poi chi non sappia quanti gemiti, quante lacrime, quante grida supplichevoli abbia sparso ed elevato al Signore, prima di prendere l'estrema decisione di lasciare ogni speranza terrena e consacrarsi a Dio: " Lanciavo grida disperate: fino a quando, fino a quando domani e domani? Perché non ora? Perché non in questa stessa ora la fine della mia vergogna? " 7. Si sa che la risposta divina venne con il Tolle, lege. A quella voce segui la, decisione di Agostino: " Tu mi convertisti a te così a pieno che non cercavo più né moglie né avanzamenti in questo secolo " 8.

Consacratosi a Dio, la sua divenne una vita di assidua e altissima preghiera. Con la scorta dei suoi scritti possiamo seguirlo nel terreno pellegrinaggio da Cassiciaco a Milano, ad Ostia Tiberina, a Roma, a Tagaste, a Ippona; e osservare che la nota dominante della sua vita fu sempre una sola: la preghiera, anche quando le esigenze dell'apostolato o, com'egli diceva, le esigenze dell'amore lo costringevano ad immergersi nelle attività esteriori.

a) Cassiciaco. Come trascorresse la giornata a Cassiciaco, dove si ritirò per prepararsi al battesimo, ce lo dicono gli scritti di quel periodo e, un po' più tardi, le Confessioni. La giornata cominciava e si chiudeva con la preghiera 9; la notte, per metà, trascorreva nella meditazione 10, bagnata spesso dalle lacrime 11; il giorno nella lettura della Scrittura 12 e nella recita dei salmi 13, oltre che nelle dispute di filosofia cristiana (da queste dispute sono nati i primi tre Dialoghi di Cassiciaco) e nelle cure delle cose domestiche 14. Saggio di queste letture e di queste meditazioni è la lunga e splendida preghiera che apre il dialogo dei Soliloqui, della quale ho parlato sopra. Ad essa va aggiunto quanto dicono le Confessioni sulla profonda commozione che produceva nel suo animo la lettura dei salmi.

" Quali grida, Dio mio, non lanciai verso di te leggendo i salmi di Davide, questi canti di fede, gemiti di pietà contrastanti con ogni sentimento d'orgoglio... Ardevo dal desiderio di recitarli, avessi potuto, al mondo intero... " 15.

b) Milano. Tornato a Milano per iscriversi tra i battezzandi, seguì con incredibile commozione le istruzioni, le celebrazioni, la preghiera della Chiesa milanese durante la Quaresima, che in quell'anno terminava con la veglia del Sabato Santo del 24-25 aprile. Ne abbiamo un'eco nelle parole delle Confessioni: " In quei giorni non mi saziavo di considerare con mirabile dolcezza i tuoi profondi disegni sulla salute del genere umano. Quante lacrime versate ascoltando gli accenti dei tuoi "inni e cantici", che risuonavano dolcemente nella tua Chiesa! Una commozione violenta: quegli accenti fluivano nelle mie orecchie e distillavano nel mio cuore la verità, eccitandovi un caldo sentimento di pietà. Le lacrime che scorrevano mi facevano bene " 16.

c) Ostia Tiberina. Ricevuto il battesimo e messosi in viaggio per l'Africa, ad Ostia Tiberina, prima della morte della madre e insieme a lei, ebbe il dono ineffabile della celebre estasi, assistette ad occhi asciutti ai suffragi della Chiesa per sua madre e, rientrato in casa, si abbandonò al pianto e alla preghiera 17. Del resto le ultime parole di Monica morente non furono che queste: " Ricordatevi di me, dovunque siate, innanzi all'altare del Signore " 18.

d) Roma. Del tempo che passò a Roma dopo la morte di sua madre, dieci mesi circa, non sappiamo molto, perché Agostino copre di silenzio quel periodo, pur ricchissimo d'innumerevoli fatti, con le parole: " Tralascio molte cose, perché ho molta fretta " 19.

Sappiamo però che visitò molti monasteri allora sorgenti in Roma e dintorni, ammirando in essi l'assiduità alla preghiera e al lavoro e l'esercizio altissimo della carità 20.

e) Tagaste. Tornato in Africa e raggiunta Tagaste, farà proprio questo ideale. Di quel periodo di circa tre anni dice il primo biografo: " Viveva per Dio nei digiuni, nelle preghiere e nelle buone opere, meditando giorno e notte la legge del Signore; e della verità che Dio rivelava alla sua intelligenza nella meditazione e nell'orazione, egli faceva parte ai presenti e agli assenti ammaestrandoli con discorsi e libri " 21.

f) Ippona. Dopo questi tre anni sereni, anche se solo in parte, arrivò all'improvviso, ad Ippona, non cercato né desiderato ma temuto e fuggito, il sacerdozio 22 e poi, dopo qualche anno, l'episcopato. Questo brusco cambiamento di vita avrebbe potuto significare un cambiamento nell'ideale monastico; invece no: Agostino divenne sacerdote e poi vescovo, ma non rinunciò al monachesimo, solo allargò il suo ideale antico ad un servizio nuovo, quello pastorale. La preghiera restò al primo posto. Tant'è vero che dopo qualche anno di episcopato, sentendo che i gravi compiti episcopali gli impedivano di dedicarsi, come voleva, alla meditazione e alla preghiera, pensò di fuggirsene nella solitudine. " Atterrito dai miei peccati e dalla mole della mia miseria, avevo ventilato in cuor mio e meditato una fuga nella solitudine ". Ma restò, nonostante tutto, sulla breccia, confortato dall'esempio di Cristo che insegnò a tutti a vivere per gli altri. " Ma tu - continua Agostino rivelandoci il suo tormento interiore e la soluzione adottata -, ma tu me lo impedisti, confortandomi con queste parole: Cristo morì per tutti affinché coloro che vivono non vivano più per se stessi, ma per chi morì per loro. Ecco, Signore, lancio in te la mia pena, per vivere: Contemplerò le meraviglie della tua legge " 23.

Così fu per tutta la vita. Chi volesse conoscere quanto intensa fosse la sua vita interiore e assidua la sua preghiera, non ha che da rileggere alcune pagine delle Confessioni, quelle, precisamente, che parlano della lotta contro la vana curiosità che distrae. In esse si accusa perfino di seguire con lo sguardo un cane che insegue una lepre o, stando in casa, una tarantola che cattura le mosche. È vero che prende spunto da questi fatti per lodare " il Creatore mirabile, ordinatore di tutte le cose ", ma, aggiunge, " altro è alzarsi prontamente, altro non cadere ". E conclude: " Il nostro cuore diventa un covo di molti difetti di questo genere, porta dentro di sé fitte caterve di vanità, che spesso interrompono e disturbano le nostre stesse preghiere. Mentre sotto il tuo sguardo tentiamo di far raggiungere fino alle tue orecchie la voce del nostro cuore, l'irruzione, chi sa da dove, di futili pensieri stronca un atto così grande " 24.

Da questa profonda e costante abitudine alla preghiera nacque, se ne può esser certi, l'idea originale di scrivere le Confessioni come una lettera a Dio, e l'uso di chiudere tutti i suoi discorsi, e non poche delle sue opere, con la preghiera. Delle Confessioni ho parlato sopra; dei discorsi è nota la preghiera di chiusura: " Rivolti al Signore... a lui... rendiamo amplissime grazie. Preghiamo con tutta l'anima la sua incomparabile misericordia " 25; per le altre opere basti ricordare la lunga preghiera finale della Trinità, così riccamente autobiografica 26, e quella, così piena di carità verso i manichei, del Due anime 27.

g) Ultima malattia. Ma dove il bisogno di pregare esplose in modo dominante ed esclusivo fu nell'ultima malattia. Lasciamo la parola al primo biografo. Scrive Possidio: " Si fece scrivere i salmi davidici che hanno per argomento la penitenza, e durante la malattia, dal letto in cui giaceva, guardava quei fogli posti sulla parete di rimpetto, leggeva e piangeva continuamente a calde lacrime " 28. Era sua convinzione, infatti, spiega il biografo, e la esprimeva nelle conversazioni familiari, che nessuno, semplice cristiano o vescovo, per quanto esemplare, deve uscire dal corpo senza una degna e adeguata penitenza.

E in quanto alla preghiera in genere, lo stesso biografo ci da questo significativo particolare. Scrive: " Per non essere disturbato da nessuno nel suo raccoglimento (nel suo raccoglimento che era insieme atteggiamento di penitente e di contemplativo), circa dieci giorni prima di uscire dal corpo pregò noi presenti di non lasciare entrare nessuno nella sua camera fuori delle ore in cui i medici venivano a visitarlo o quando gli si portavano i pasti. Il suo volere fu adempiuto esattamente: e in tutto quel tempo egli attendeva all'orazione " 29.

Così moriva Agostino, come, dalla conversione in poi, era vissuto: pregando. Egli attuò in sé quanto tante volte aveva scritto per gli altri sulla necessità e sul bisogno incessante della preghiera.

2. - Agostino fu un uomo di preghiera contemplativa

La preghiera può prendere diverse forme, che si riducono comodamente a cinque: di adorazione, di lode, di ringraziamento, di propiziazione, d'impetrazione. Ognuna di esse determina un atteggiamento particolare dello spirito di fronte a Dio: l'atteggiamento particolare che riconosce il suo Creatore è adorazione, quello dell'amante che ammira la bellezza eterna di Dio è lode, quello del povero che enuncia i benefici del sommo benefattore è ringraziamento, quello del peccatore che implora misericordia per i peccati e offre il sacrificio è propiziazione, infine quello del debole e dell'infermo che sa di non poter evitare il peccato senza l'aiuto della grazia e di non poter ottenere i beni necessari a questa vita senza chiederli a Dio, e li chiede umilmente e fiduciosamente, è implorazione.

Ora, di questi cinque atteggiamenti, i primi tre appartengono alla preghiera che ho chiamato di contemplazione, gli altri due alla preghiera che chiamerò di domanda: i primi cominciano qui in terra e durano in eterno, i secondi durano quanto dura la vita presente soggetta al bisogno e al peccato. Il vescovo d'Ippona, se da una parte ha difeso tenacemente contro i pelagiani la necessità di preghiera di domanda - tanto necessaria quanto è necessaria la grazia adiuvante -, e la fece sua con umile e fiduciosa insistenza, dall'altra raccomandò e praticò come un bisogno istintivo la preghiera che adora, loda, ringrazia, quella sola che fanno i beati nel cielo.

1) Preghiera di adorazione. L'adorazione è l'atteggiamento di colui che conosce e riconosce Dio che adora e sente e confessa di aver ricevuto e di ricevere tutto da lui: la consistenza dell'essere, la luce del conoscere, la fonte dell'amore. Dio infatti è tutto questo, per l'uomo: Agostino lo dice e lo ridice 30.

L'adorazione dunque suppone la trascendenza divina e l'azione creatrice. Il vescovo d'Ippona ha molto meditato e scritto sull'una e sull'altra che costituiscono insieme uno dei temi centrali del suo pensiero; ne ha meditato e scritto filosoficamente, teologicamente e spiritualmente. Per quest'ultimo aspetto basta rileggere gli ultimi libri delle Confessioni, che prendono in esame i primi versetti della Genesi i quali cominciano, com'è noto, con la sublime affermazione: In principio Dio creò il cielo e la terra. Quante pagine ha scritto su queste poche parole! Nel libro 12º, per esempio, proclama alto le tre grandi verità che Dio gli ha fatto risuonare fortemente nel cuore: riguardano l'eternità di Dio, la creazione delle cose dal nulla, l'impossibilità che una creatura sia coeterna al Creatore 31.

Da ciò deriva l'atteggiamento di adorazione, che è il primo ossequio dovuto a Dio e il fondamento dell'umiltà cristiana, un atteggiamento, perciò, che tocca le radici stesse del nostro essere ed è insieme profondo, ammirato e gioioso. Si rilegga la preghiera dei Soliloqui che comincia appunto così: " O Dio, creatore dell'universo... "; descrive gli effetti dell'azione creatrice per cui sono tutte le cose che da sé non sarebbero, riconosce che da Dio, in Dio e per mezzo di Dio sono vere, belle, sapienti e buone tutte le cose che sono tali, cioè vere, belle, sapienti e buone, ed esprime la trascendenza divina e la creazione con queste parole che danno i brividi: " O Dio, sopra del quale non c'è nulla, fuori del quale non c'è nulla, senza del quale non c'è nulla ". Oppure in modo positivo: " O Dio, sotto il quale è il tutto, nel quale è il tutto, col quale è tutto... ascoltami... " 32

Per questo egli cerca solo il suo Dio e a lui solo vuole essere soggetto. Ecco, nella sua preghiera, le parole che suonano come una solenne professione: " Ormai te solo io amo, te solo seguo, te solo cerco e sono disposto ad essere soggetto a te soltanto, poiché tu solo con giustizia eserciti il dominio e io desidero essere di tuo diritto " 33. In esse il lettore noterà, oltre i temi dell'amore e della ricerca, quelli della totale appartenenza e del servizio, così vicini all'adorazione.

Segno visibile dell'adorazione, il sacrificio. Agostino ha parlato a lungo anche di questo, esponendone la nozione, le proprietà, e le relazioni; le relazioni con Dio, a cui solo il sacrificio viene offerto; con Cristo, che è insieme sacerdote e sacrificio, ed è appunto sacerdote perché sacrificio; con la Chiesa, che offre se stessa a Dio per mezzo di Cristo. Ma qui va notata l'insistenza agostiniana nel chiarire che il sacrificio visibile è " sacramento o segno sacro " del sacrificio invisibile che è l'uomo stesso, è la Chiesa universale. Infatti, " tutta la città redenta, cioè l'assemblea comunitaria dei santi, si offre a Dio come sacrificio universale per mezzo del sommo sacerdote " 34. Questo sacrificio invisibile consiste prima di tutto nell'umile atteggiamento d'adorazione verso Dio. Era l'atteggiamento abituale di Agostino.

In spirito di adorazione del volere divino accettò il sacerdozio - " Il servo - disse allora - non deve contraddire al suo padrone " 35- e, diventato vescovo, restò, come si è detto sopra, sulla breccia nonostante tutto 36

Fu sua abitudine scrutare attentamente e compire in tutto, adorando, la volontà di Dio 37. Diceva al suo popolo e teneva egli stesso come programma per sé che " piace a Dio colui al quale piace Dio ", non Dio nella sua infinita bellezza, ché questo è scontato, ma Dio nella sua adorabile volontà, che spesso è contraria alla nostra 38.

2) Preghiera di lode. All'adorazione si aggiunge la lode che ne è come il prolungamento. Se l'adorazione è l'atteggiamento di chi si inchina di fronte alla suprema maestà di Dio creatore e ne riconosce l'ineffabile perfezione, la lode è propria di chi dirigendo lo sguardo a quella maestà, a quella perfezione, tenta scrutarne l'infinita bellezza, e, perché non lo può, l'ammira, la canta, la esalta, la annuncia, la ama. Il grande negotium (impegno, attività) dei santi nel cielo è la lode di Dio. Quante volte lo ripete Agostino commentando i salmi! Sollecitato dal testo dei salmi, di quelli che invitano a lodare Dio, e sono molti, nonché dal suo bisogno interiore, ne parla spesso con emozione, in modo da rivelarci e il senso delle Scritture e le sue esperienze interiori 39. " La somma opera dell'uomo è questa: lodare Dio " 40. Perciò, dice altrove: " Quale sarà la tua occupazione se non lodare colui che ami e far sì che altri lo amino con te? " 41. La lode si trasforma in canto, e il canto, quanto non si può esprimere a parole, diventa giubilo 42.

Il canto nuovo, proprio del popolo nuovo, si esprime, se così si può dire, in due parole: Amen e Alleluia. La prima, che vuol dire "adesione", "accettazione", "riconoscimento", appartiene all'adorazione; la seconda, che è un grido di esortazione, alla lode. Tutta la nostra azione sarà questa: dire Amen e Alleluia. Lo diremo con " insaziabile sazietà ", e diremo Alleluia perché diremo Amen 43.

Si noti quest'ultimo particolare: l'Alleluia dipende dall'Amen, cioè la lode dall'adorazione. Solo infatti chi è un vero adoratore di Dio, cioè ne adora l'eterna maestà e la santa volontà, può intonare il cantico di lode.

Che poi questa fosse la disposizione abituale di Agostino, lo dimostra non solo l'insistenza sull'argomento, che è sempre indice d'interesse e di propensione interiore, ma lo dimostrano soprattutto le sue Confessioni. Queste, rivelando il loro tema fondamentale, cominciano così: " Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode, grande la tua virtù e la tua sapienza incalcolabile. E l'uomo vuole lodarti, una particella del suo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l'uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te " 44.

E all'inizio del libro nono, il libro della liberazione e dell'estasi: " Hai spezzato le mie catene, ti offrirò un sacrificio di lode. Ti lodi il mio cuore, la mia lingua; tutte le mie ossa dicano: "Signore, chi simile a te?". Così dicano, e tu rispondimi, di' all'anima mia: "La salvezza tua io sono" " 45. Terminando poi la sua opera, torna sulla lode di Dio associando ad essa, con un concetto cosmico, tutto l'universo che loda Dio mediante l'uomo: " Le tue opere ti lodano affinché ti amiamo, e noi ti amiamo affinché ti lodino le tue opere... " 46. Non per nulla Agostino, come si è visto, riassume nel tema della lode - lode a Dio per i beni concessi e per i peccati perdonati - tutto il contenuto delle sue Confessioni 47.

3) Preghiera di ringraziamento. All'adorazione e alla lode va unito il ringraziamento. Questo approfondisce sia l'una che l'altra e completa l'atteggiamento contemplativo dell'uomo verso Dio, quello che non dura la breve stagione della nostra vita ma dura in eterno, offrendo materia inesauribile alle vibrazioni dell'anima che ama e vuol cantare le lodi di Dio. Infatti la virtù della gratitudine suppone tre cose: il riconoscimento dei benefici ricevuti, l'atteggiamento di lode e rendimento di grazie, la volontà di retribuire il benefattore per i suoi benefici; non già, trattandosi di Dio, retribuire nel piano del fatto, ché non si può aggiungere nulla alla sua perfezione né offrire alcunché che egli non ci abbia offerto, ma sul piano dell'affetto, dell'adesione, del servizio.

Il primo atto esige uno studio profondo dei benefici di Dio, naturali e soprannaturali. Agostino l'ha fatto: egli è il filosofo della creazione e il teologo della grazia, e perciò il maestro spirituale, il cantore della virtù della gratitudine e della preghiera di ringraziamento. Sarebbe facile dimostrarlo con molti testi. Ne basti uno, ma ricco di contenuto. Lo traggo da una lettera in cui difende l'uso dei monaci di salutarsi, incontrandosi, con le parole Deo gratias. " Per mezzo delle loro lingue la tua carità grida nel cuore dei fedeli: "Sia ringraziato Dio" con voce più potente di quella con cui essi la fanno penetrare nelle orecchie. Poiché, che cosa di meglio potremmo recare nel cuore e pronunciare con la bocca e manifestare con la penna se non: "Sia ringraziato Dio"? Non potrebbe dirsi nulla di più conciso, nulla udirsi di più lieto, nulla comprendersi di più significativo, nulla compiersi di più utile di questa esclamazione. Sì, ringraziamo Dio... " 48.

Nulla dunque è più bello, più caro, più fruttuoso del sentimento interiore espresso con queste semplici parole: " Sia ringraziato Dio ". Di esso restano monumento perenne le Confessioni. Il lettore passi da queste pagine a quelle agostiniane. Rilegga, per esempio, l'inizio del l. 8º, quello della conversione, che comincia: " Dio mio, fa' ch'io ricordi per ringraziartene e ch'io confessi gli atti della tua misericordia nei miei riguardi... " 49, o la fine del l. 10º, dove esclama: " Quanto ci amasti, o Padre buono... " e ricorda l'opera di Cristo, per noi vittorioso e vittima, sacerdote e sacrificio 50. Ricorderò inoltre alcune commosse parole dell'ultimo libro della Città di Dio a proposito dei beati che cantano in cielo le misericordie del Signore: " Non v'è dubbio che di questo cantico in gloria della grazia di Cristo, dal cui sangue siamo stati liberati, nulla sarà più giocondo a quella città " 51.

3. - Agostino fu un uomo che nella preghiera contemplativa raggiunse i gradi più alti.

Non v'è dubbio, dunque, che il vescovo d'Ippona fu un uomo contemplativo; contemplativo, dico, in mezzo alle indefesse attività dell'apostolato. Aveva raggiunto una bella sintesi, anche se non priva di tensioni 52, tra l'otium sanctum (vita contemplativa) e il negotium iustum (apostolato) o, che è lo stesso, tra la caritas veritatis (amore della verità) e la necessitas caritatis (esigenze dell'amore), sintesi che ha il suo epicentro non tanto nella preghiera di petizione quanto nella veritatis delectatio (godimento della verità), che vuol dire ricerca di Dio, adorazione, lode, ringraziamento, amore; un amore non ancora fruente ma sempre siziente, insaziabilmente siziente.

Tutto sta nel sapere ora quale grado di contemplazione abbia conseguito in realtà. È l'aspetto più intimo della sua esperienza. A scrutarlo ci aiutano, come sempre, le Confessioni, le quali, con grande umiltà ma con altrettanta sincerità, ci rendono trasparente il suo animo. I testi non sono molti, ma rivelatori. Essenzialmente tre, dei quali uno descrive un tentativo e uno scacco, un secondo rappresenta un privilegiato successo, il terzo infine rivela lo stato abituale del suo animo e i frequenti doni di Dio.

Il primo, dicevo, descrive un tentativo che finì in uno scacco, il tentativo dell'estasi cosiddetta plotiniana: avvenne infatti dopo aver letto i platonici e sotto la spinta dell'entusiasmo per aver scoperto il volto autentico, quello spirituale o intelligibile, della verità. Ecco come la descrive: " Nel ricercare la ragione per cui apprezzavo la bellezza dei corpi... scoprii al di sopra della mia mente mutabile l'eternità immutabile e vera della verità. E così salii per gradi dai corpi all'anima, che sente attraverso il corpo, dall'anima alla sua potenza interna, cui i sensi del corpo comunicano la realtà esterna, e che è la massima facoltà delle bestie. Di qui poi salii ulteriormente all'attività razionale, al cui giudizio sono sottoposte le percezioni dei sensi corporei; ma poiché anche quest'ultima mia attività si riconobbe mutevole, si sollevò fino all'intelletto. Distolse quindi il pensiero dalle sue abitudini, sottraendosi alle contraddizioni della fantasia turbinosa, per rintracciare sia il lume da cui era pervasa quanto proclamava senza alcun esitazione che è preferibile ciò che non muta a ciò che muta, sia la fonte da cui deriva il concetto stesso dell'immutabilità, concetto che in qualche modo doveva possedere, altrimenti non avrebbe potuto anteporre con certezza ciò che non muta a ciò che muta. Così giunse, in un impeto della visione trepida, all'Essere stesso ". " Ma - aggiunge sconfortato - non fui capace di fissarvi lo sguardo ". Un'esperienza fallita, dunque, che però gli lasciò nell'animo un amoroso ricordo e un grande rimpianto. Continua infatti: " Quando, rintuzzata la mia debolezza, tornai tra gli oggetti consueti, non riportavo con me che un ricordo amoroso e il rimpianto, per così dire, dei profumi di una vivanda che non potevo ancora gustare " 53.

Non è qui il caso di parlare dell'utilità di questo tentativo e di questo fallimento. Essi lo indussero ad approfondire un problema a cui aveva pensato poco o nulla fino allora, un problema centrale nel cristianesimo e centrale poi nel pensiero e nella vita di Agostino: la meditazione di Cristo.

Per ciò che qui ci riguarda, esso dimostrò ad Agostino che non c'è possibilità di godere di Dio se non per mezzo di Cristo. " Cercavo la via per procurarmi forza sufficiente a goderti, ma non l'avrei trovata, finché non mi fossi aggrappato al mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che è soprattutto Dio benedetto nei secoli. Egli ci chiama e ci dice: "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14, 6); egli mescola alla carne il cibo che non avevo forza di prendere, poiché il Verbo si è fatto carne affinché la tua sapienza, con cui creasti l'universo, divenisse latte per la nostra infanzia " 54.

Scoperto il senso genuino del mistero del Verbo incarnato 55 e aggrappatosi ad esso, cioè a Cristo Dio-uomo, Agostino aveva trovato la via per salire in alto, molto in alto nelle vie della contemplazione. Fu il caso di quella che, descritta mirabilmente nelle Confessioni, è rimasta nella storia della pietà cristiana col nome di estasi di Ostia. Non si trattò di un tentativo e di un scacco, ma d'un dono ineffabile della grazia che fece pregustare ad Agostino e a sua madre, per un momento, quasi un battito del cuore, le gioie dei beati nel cielo, dove l'uno e l'altra, ritornando fra le cose usuali, lasciarono avvinta la parte più alta dell'anima 56.

Ecco la parte essenziale del celebre racconto agostiniano. " Conversavamo, dunque, soli con grande dolcezza. Dimentichi delle cose passate e protesi verso quelle che stanno innanzi, cercavamo fra noi, alla presenza della verità, che sei tu, quale sarebbe stata la vita eterna dei santi... Condotto il discorso a questa conclusione: che di fronte alla giocondità di quella vita il piacere dei sensi fisici, per quanto grande e nella più grande luce corporea, non ne sostiene il paragone, anzi neppure la menzione; elevandoci con più ardente impeto d'amore verso l'Essere stesso, percorremmo su tutte le cose corporee e il cielo medesimo, onde il sole, la luna e le stelle brillano sulla terra. E ancora ascendendo in noi stessi con la considerazione, l'esaltazione, l'ammirazione delle tue opere, giungemmo alle nostre anime e anch'esse superammo per attingere la plaga dell'abbondanza inesauribile, ove pasci Israele in eterno col pascolo della verità, ove la vita è la Sapienza, per cui si fanno tutte le cose presenti e che furono e che saranno, mentre essa non si fa, ma tale è oggi quale fu e quale sempre sarà; o meglio, l'essere stato e l'essere futuro non sono in lei, ma solo l'essere, in quanto eterna, poiché l'essere stato e l'essere futuro non è l'eterno. E mentre ne parlavamo e anelavamo verso di lei, la cogliemmo un poco con lo slancio totale della mente e sospirando vi lasciammo avvinte le primizie dello spirito, per ridiscendere al suono vuoto delle nostre bocche, ove la parola ha principio e fine " 57.

Questa sublime esperienza fu per Monica 58 una preparazione all'incontro definitivo con il suo Signore - morì infatti pochi giorni dopo - e per Agostino una luce e una forza che l'accompagnarono per tutta la vita, guidandolo nelle speculazioni teologiche e accendendo in lui il desiderio di "vedere" il volto di Dio.

Sappiamo, poi, che quell'esperienza non restò isolata. C'è un'altra pagina delle Confessioni che apre un varco sulla vita quotidiana di Agostino e ci permette di scorgerne, come per un baleno, le profondità dello spirito. Ci parla dell'abitudine di rifugiarsi, per cercare conforto e per impedire che le occupazioni lo opprimessero, nella meditazione della Scrittura: è la sua gioia. Ecco le sue parole: " Spesso faccio questo, è la mia gioia, e in questo diletto mi rifugio, allorché posso liberarmi dalla stretta delle occupazioni. Ma fra tutte le cose che passo in rassegna consultando te, non trovo un luogo sicuro per la mia anima, se non in te. Soltanto lì si raccolgono tutte le mie dissipazioni, e nulla di mio si stacca da te. Talvolta mi introduci in un sentiero interiore del tutto sconosciuto e indefinibilmente dolce, che, qualora raggiunga dentro di me la sua pienezza, sarà non so cosa, che non sarà questa vita. Invece ricado sotto i pesi tormentosi della terra. Le solite occupazioni mi riassorbono, mi trattengono, e molto piango, ma molto mi trattengono, tanto è considerevole il fardello dell'abitudine " 59.

È difficile dire meglio. Basterebbe questa pagina per iscrivere il vescovo d'Ippona tra i mistici che hanno goduto di doni speciali. È chiaro che qui non si tratta di solo sforzo personale, come in un'ascensione filosofica, ma d'intervento di Dio: " Talvolta m'introduci in un sentimento interiore del tutto sconosciuto... ". È chiaro altresì che questo intervento non è ordinario, ma altissimo, tanto alto che, se fosse cresciuto ancora un poco, questa vita, com'egli dice bellamente, non sarebbe stata più questa vita. C'è anche, quasi conferma della straordinarietà del dono, la ricaduta tra le cose usuali, le cure di quaggiù delle quali sentiva, dopo il godimento sia pure momentaneo di tanta dolcezza, più amaramente il peso: " Ma ricado sotto i pesi tormentosi della terra ".

Il lettore non manchi di osservare i due avverbi: "spesso" e "talvolta". Il primo indica l'abitudine dell'elevazione amorosa della mente di Dio allo scopo di raccogliere o, per dir così, porre in Lui tutto il proprio essere; il secondo l'intervento divino speciale, che è straordinario sia per l'intensità che per la rarità. Non ci vuol molto per applicare a questa esperienza agostiniana il termine di contemplazione infusa usata dagli scolastici. Con ciò non si vuol stabilire un paragone, ma si vuol richiamare un'espressione efficace ed inequivocabile, benché posteriore, per dire che Agostino non fu solo un grande metafisico e un meditativo entusiasta, bensì anche un contemplativo che della contemplazione raggiunse i gradi più alti, chiamati appunto, dagli scrittori di mistica, della contemplazione infusa.

Da questa esperienza nascono tante pagine vibranti del vescovo d'Ippona che trovano ancor oggi, dopo tanti secoli, le vie dell'intelligenza e del cuore. Uno studio attento di esse, allo scopo di ritrovare i frutti di questi doni speciali, rivelerebbe gli aspetti più belli della personalità di Agostino: la profondità metafisica, la sicurezza teologica, l'austerità ascetica, forte e insieme moderata, la luminosità mistica, e, soprattutto, la religiosità commossa del convertito. Si vede bene che chi parla o scrive attinge non solo ai suoi studi, sacri e profani, o alle sue intuizioni, ma anche alle sue esperienze del divino. Ne ho detto qualcosa altrove e rimando a quelle pagine 60. Del resto quel che sono per dire è conferma di quanto si è detto. Dopo l'esperienza, la dottrina; anzi, si può dire, dall'esperienza la dottrina.