00 27/02/2010 20:46
Carità e prudenza. Umiltà e confidenza in Dio

27. 1. Nel visitare seguiva la norma stabilita dall'Apostolo (Giac. 1, 27), di non visitare se non gli orfani e le vedove che si trovavano in strettezze.
27. 2. Se poi veniva richiesto dai malati di pregare per loro il Signore in loro presenza e di imporre loro le mani, si recava senza indugio.
27. 3. Non visitava monasteri femminili se non in caso di urgente necessità.
27. 4. Diceva che nella vita e nei costumi dell'uomo di Dio si dovevano seguire i consigli che egli aveva appreso da Ambrogio di santa memoria: non cercare moglie per nessuno, non raccomandare chi vuole fare la carriera militare, stando al proprio paese non accettare inviti a pranzo.
27. 5. Spiegava così i motivi di ognuno di questi consigli: per evitare che i coniugi, venuti a lite, maledicessero colui per la cui opera si erano uniti (perciò il sacerdote doveva limitarsi ad intervenire richiesto dai due che erano già d'accordo, per confermare e benedire il loro accordo); per evitare che, comportandosi male colui che era stato raccomandato al servizio militare, la colpa ricadesse su chi l'aveva raccomandato; per evitare infine che uno, frequentando troppo i banchetti nel suo paese, smarrisse la misura della temperanza.
27. 6. Ci disse anche di aver udito una risposta quanto mai sapiente e pia di quell'uomo di beata memoria che si trovava alla fine della vita, e molto la lodava e magnificava.
27. 7. Quell'uomo venerabile giaceva nella sua ultima malattia e alcuni fedeli di alta condizione, che stavano intorno al suo letto e lo vedevano sul punto di passare dal mondo al Signore, si lamentavano che la chiesa restasse priva dell'opera di un tale vescovo sia nella predicazione sia nell'amministrazione dei sacramenti e lo pregavano fra le lacrime che chiedesse al Signore un prolungamento della vita. Ma quello rispose loro: « Non ho vissuto in maniera tale da dovermi vergognare di vivere fra voi: ma neppure temo di morire, perché abbiamo un buon Signore ».
27. 8. In tale risposta il nostro Agostino ormai vecchio ammirava ed approvava la ponderatezza e l'equilibrio delle parole. Infatti le parole di Ambrogio « ma neppure temo di morire, perché abbiamo un buon Signore » dovevano essere intese nel senso che non si doveva credere che egli, perché fiducioso nella sua purezza di costumi, prima aveva detto: « Non ho vissuto in maniera tale da dovermi vergognare di vivere fra voi ». Aveva detto così in riferimento a ciò che gli uomini possono conoscere di un uomo; ma in riferimento all'esame della giustizia divina confidava soprattutto nel buon Signore, al quale anche nella orazione quotidiana da lui insegnata diceva: Rimettici i nostri debiti (Mt. 6, 12).
27. 9. Riferiva anche di frequente una risposta su questo argomento, data da un suo collega di episcopato a lui molto amico: mentre quello era sul punto di morire, Agostino era andato a visitarlo; quello con la mano aveva fatto un gesto per indicare che stava per uscire dal mondo ed Agostino gli aveva risposto che per la chiesa era necessario che egli potesse ancora vivere: allora quello, perché non si credesse che era trattenuto dal desiderio di questa vita, aveva replicato: « Se mai, bene. Ma se una volta, perché non ora? ».
27. 10. E Agostino ammirava e lodava questa risposta, che era stata data da un uomo certo timorato di Dio ma nato e cresciuto in campagna e che non aveva fatto molte letture.
27. 11. Certo costui era in contrasto con i sentimenti di quel vescovo, di cui riferisce così il santo martire Cipriano nella lettera che scrisse sulla pestilenza: « Poiché uno dei nostri colleghi di episcopato, prostrato dalla malattia e turbato dall'avvicinarsi della morte, chiedeva per sé un prolungamento della vita, mentre pregava così ed era quasi morto gli si presentò un giovane venerabile per dignità e maestà, di alta statura e di aspetto splendente. Era tale che vista umana a stento poteva osservarlo con gli occhi carnali mentre stava vicino a colui che stava per uscire dal mondo; ma invece proprio costui lo poteva scorgere. E quel giovane con voce che fremeva per l'indignazione dell'animo disse: "Avete paura di soffrire, non ve ne volete andare: che cosa farò per voi?" » (Cipr., Mort., 19).


Ultime vicende e morte (cc. 28-31)
Revisione dei libri. Orrori dell'invasione vandalica e assedio d'Ippona

28. 1. Poco tempo prima della morte fece una revisione dei libri che aveva composto e pubblicato, sia quelli che aveva scritto ancora da laico appena si era convertito, sia quelli che aveva composto quando era prete e vescovo: tutto quello che in essi notò che era stato scritto in difformità della regola di fede, quando egli non era ancora bene al corrente delle norme della chiesa, tutto ciò fu da lui rivisto e corretto. Perciò egli scrisse anche due libri, che si intitolano Revisione dei libri.
28. 2. Si lamentava anche che alcuni libri gli erano stati portati via da certi fratelli prima che egli li avesse accuratamente corretti, anche se poi li aveva corretti in un secondo tempo. Sorpreso dalla morte, lasciò incomplete alcune opere.
28. 3. Poiché voleva essere utile a tutti, a quelli che possono leggere molti libri e a quelli che non possono, dal Vecchio e dal Nuovo Testamento estrasse passi contenenti precetti e divieti e, premessa una prefazione, li raccolse in un volume: così chi volesse leggerlo, vi avrebbe riconosciuto quanto fosse obbediente a Dio o disobbediente. Volle intitolare questa opera Specchio.
28. 4. Poco tempo dopo, per volontà e disposizione divina avvenne che un grande esercito, armato con armi svariate ed esercitato alla guerra, composto dai crudeli nemici Vandali e Alani, cui s'erano uniti Goti e gente di altra stirpe, con le navi fece irruzione dalle parti trasmarine della Spagna in Africa.
28. 5. Gli invasori attraverso tutta la Mauretania passarono anche nelle altre nostre province e regioni, e imperversando con ogni atrocità e crudeltà saccheggiarono tutto ciò che potettero fra spogliazioni, stragi, svariati tormenti, incendi e altri innumerevoli e nefandi disastri. Non risparmiarono né sesso né età, neppure i sacerdoti e i ministri di Dio, neppure gli ornamenti, le suppellettili e gli edifici delle chiese.
28. 6. Tali crudelissime violenze e devastazioni quell'uomo di Dio vedeva e pensava che esse fossero avvenute ed avvenissero non come pensavano gli altri uomini: ma poiché le considerava in modo più profondo e vi ravvisava soprattutto il pericolo e la morte delle anime (infatti sta scritto: Chi aggiunge scienza aggiunge dolore, e un cuore intelligente è un tarlo per le ossa [Eccli. 1, 18; Prov. 14, 30; 25, 20]), ancor più del solito le lacrime furono il suo pane giorno e notte ed egli ormai nella estrema vecchiaia conduceva e sopportava una vita amara e luttuosa più degli altri.
28. 7. Infatti l'uomo di Dio vedeva le città distrutte, e nelle campagne insieme con gli edifici gli abitanti o uccisi dal ferro nemico o fuggiti e dispersi, le chiese prive di sacerdoti e ministri, le vergini consacrate e i continenti dispersi da ogni parte: di costoro alcuni eran venuti meno fra le torture; altri erano stati uccisi con la spada; altri ridotti in schiavitù, persa ormai l'integrità e la fede dell'anima e del corpo, servivano i nemici con trattamento duro e cattivo.
28. 8. Nelle chiese non si cantavano più inni e lodi a Dio; in molti luoghi le chiese erano state bruciate; erano venuti meno nei luoghi a ciò consacrati i sacrifici solenni dovuti a Dio; i sacramenti divini o non venivano richiesti oppure non potevano essere amministrati a chi li richiedeva, perché non si trovava facilmente il ministro.
28. 9. Coloro che si erano rifugiati nelle selve montane e in grotte e caverne o in altro riparo erano stati alcuni sopraffatti e catturati, altri erano privi di mezzi di sostentamento a punto tale da morire di fame. 1 vescovi e i chierici che per grazia di Dio o non avevano incontrato gl'invasori o erano riusciti a sfuggir loro, spogliati di ogni cosa mendicavano nella miseria più nera, né era possibile aiutarli tutti in tutto ciò di cui abbisognavano.
28. 10. Di innumerevoli chiese a mala pena solo tre per grazia di Dio non sono state distrutte, quelle di Cartagine, Cirta e Ippona, e restano in piedi le loro città, protette dal presidio divino e umano (ma dopo la morte di Agostino anche Ippona, abbandonata dagli abitanti, fu incendiata dai nemici).
28. 11. E Agostino, in mezzo a tali sciagure, si consolava con la sentenza di un sapiente che dice: « Non sarà grande colui che ritiene gran cosa il fatto che cadono alberi e pietre e muoiono i mortali ».
28. 12. Era molto saggio, e perciò piangeva ogni giorno a calde lacrime tutte queste sciagure. Si aggiunse ai suoi dolori e ai suoi lamenti il fatto che i nemici vennero ad assediare Ippona, che fino allora era rimasta indenne, poiché si era occupato della sua difesa l'allora conte Bonifacio con un esercito di Goti alleati. I nemici l'assediarono strettamente per quasi 14 mesi e le chiusero anche la via del mare.
28. 13. Qui mi ero rifugiato anch'io insieme con altri colleghi d'episcopato e fummo insieme con lui per tutto il tempo dell'assedio. Molto spesso parlavamo fra noi e consideravamo che davanti ai nostri occhi Dio poneva i suoi tremendi giudizi, e dicevamo: Sei giusto, Signore, e retto è il tuo giudizio (Sal. 118, 137). Tutti insieme addolorati, gemendo e piangendo, pregavamo il Padre della misericordia e Dio di ogni consolazione (2 Cor. 1, 3) perché si degnasse confortarci in quella tribolazione.


Ultima malattia e ultime opere buone

29. 1. Un giorno, mentre pranzavamo con lui e parlavamo di questi argomenti, egli ci disse: « Sappiate che in questi giorni della nostra disgrazia ho chiesto a Dio questo: o che si degni di liberare la nostra città dall'assedio dei nemici; o, se la sua volontà è diversa, che renda forti i suoi servi per poter sopportare questa volontà; ovvero che mi accolga presso di sé, uscito dal mondo».
29. 2. Così diceva e ci istruiva, e quindi, insieme con lui, noi tutti e tutti quelli che stavano in città pregavamo allo stesso modo il sommo Dio.
29. 3. Ed ecco, durante il terzo mese dell'assedio si mise a letto con la febbre e questa fu l'ultima malattia che l'afflisse. Né il Signore negò al suo servo il frutto della sua preghiera: infatti egli ottenne a suo tempo ciò che con preghiere miste a lacrime aveva chiesto per sé e per la città.
29. 4. Venni anche a sapere che, quando era prete e vescovo, egli era stato richiesto di pregare per alcuni energumeni che soffrivano, ed egli fra le lacrime aveva pregato Dio, e i demoni si erano allontanati da quegli uomini.
29. 5. Parimenti, mentre era malato e stava a letto, venne da lui un tale con un suo parente malato e lo pregò di imporre a quello la mano perché potesse guarire. Agostino gli rispose che, se avesse avuto qualche potere per tali cose, in primo luogo ne avrebbe fatto uso per sé. Ma quello replicò che in sonno aveva avuto un'apparizione e gli era stato detto: « Va' dal vescovo Agostino perché imponga a costui la sua mano, e sarà salvo ». Appreso ciò egli non indugiò a fare quel che si chiedeva, e il Signore subito fece andar via guarito quel malato dal suo letto.


Consigli al vescovo Onorato sulla condotta del clero di fronte agli invasori

30. 1. A tal proposito non debbo passare sotto silenzio che, mentre sovrastava la minaccia dei nemici, Onorato, santo uomo nostro collega di episcopato nella chiesa di Tiabe, per lettera chiese ad Agostino se, quando i Vandali si avvicinavano, i vescovi e i chierici dovessero allontanarsi dalle loro chiese oppure no. E con la sua risposta Agostino mise in evidenza ciò che si dovesse soprattutto temere da quei distruttori del mondo romano.
30. 2. Ho voluto inserire questa lettera nel mio scritto: infatti è molto utile e necessaria perché i sacerdoti e i ministri di Dio sappiano come comportarsi.
30. 3. «Al santo fratello e collega nell'episcopato Onorato, Agostino augura salute nel Signore. Avendo mandato alla tua carità una copia della lettera che avevo scritto al fratello Quodvultdeus, nostro collega nell'episcopato, credevo di aver soddisfatto alla richiesta che mi avevi fatto col chiedermi consiglio su che cosa dobbiate fare in questi pericoli che sono sopraggiunti ai nostri giorni.
30. 4. Infatti, anche se quella lettera che scrissi era breve, ritengo di non aver omesso alcunché, che possa essere sufficiente scrivere da parte di chi risponde e leggere da parte di chi chiede. Dissi infatti che non si doveva imporre divieto a coloro che, se possono, desiderano trasferirsi in luoghi fortificati, ma che non si dovevano spezzare i legami del nostro ministero, con i quali ci ha legati l'amore di Cristo, sì che non dovevamo abbandonare le chiese, alle quali dobbiamo prestare servizio.
30. 5. Ecco come scrissi in quella lettera: " Poiché il nostro ministero è così necessario al popolo di Dio che esso non deve rimanerne privo, nel caso che una parte anche piccola di esso rimanga dove siamo noi, a noi non resta che dire al Signore: Sia Dio il nostro protettore e la nostra difesa (Sal. 30, 3) ".
30. 6. Ma questo consiglio non ti soddisfa, se - come scrivi - tu temi di operare in contrasto col comando del Signore che ci dice che bisogna fuggire di città in città; ricordiamo infatti le sue parole: Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra (Mt. 10, 23).
30. 7. Ma chi può credere che con questo consiglio il Signore abbia inteso che restasse privo del necessario servizio, senza il quale non può vivere, il gregge che egli si è acquistato col suo sangue?
30. 8. Non ha fatto così egli stesso quando ancor fanciullo, portato dai genitori, fuggì in Egitto? Ma egli non aveva ancora radunato chiese che noi possiamo dire essere state da lui abbandonate.
30. 9. Che forse l'apostolo Paolo non fu calato attraverso una finestra in una cesta, per non essere preso dal nemico, e così riuscì a sfuggirgli? Ma rimase forse priva del necessario servizio la chiesa che stava lì e non fu fatto quanto era necessario dai fratelli che lì rimanevano? Infatti l'Apostolo agì così proprio perché lo volevano i fratelli, per conservare alla chiesa se stesso, che il persecutore cercava specificamente.
30. 10. Perciò i servi di Cristo, ministri della sua parola e del suo sacramento, agiscano come egli ha comandato o permesso. Fuggano senz'altro di città in città, quando qualcuno di loro è cercato nominativamente dai persecutori, in maniera tale che la chiesa non sia abbandonata dagli altri che non sono ricercati allo stesso modo, ma questi somministrino nutrimento ai loro conservi, che essi sanno non poter vivere altrimenti.
30. 11. Ma quando il pericolo è comune per tutti, vescovi chierici e laici, coloro che hanno bisogno degli altri non siano abbandonati da quelli di cui essi hanno bisogno. Perciò o si trasferiscano tutti insieme in luoghi fortificati, ovvero coloro che debbono necessariamente rimanere non siano abbandonati da coloro che debbono loro fornire quanto è necessario alla vita religiosa: sopravvivano allo stesso modo o patiscano allo stesso modo ciò che il Padre di famiglia avrà voluto ch'essi patiscano.
30. 12. Se poi alcuni soffrono di più e altri meno, ovvero tutti allo stesso modo, sempre si potrà vedere chi sono coloro che soffrono per gli altri, quelli cioè che, pur potendosi sottrarre con la fuga a questi mali, hanno preferito restare per non abbandonare gli altri nelle necessità. In tal modo si dà soprattutto prova di quell'amore che l'apostolo Giovanni raccomanda con queste parole: Come Cristo ha dato per noi la sua vita, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli (1 Gv. 3, 16).
30. 13. Infatti coloro che fuggono ovvero non possono fuggire perché impediti da qualche loro necessità, se sono presi e soffrono, soffrono per sé stessi, non per i loro fratelli. Invece coloro che soffrono perché non hanno voluto abbandonare i fratelli che avevano bisogno di loro per la salvezza in Cristo, questi senza dubbio danno la loro vita per i fratelli.
30. 14. Quanto poi alle parole che abbiamo udito da un vescovo: "Se il Signore ci ha comandato di fuggire in quelle persecuzioni in cui si può ottenere il frutto del martirio, non dobbiamo tanto più fuggire i patimenti che non danno frutto, quando c'è un'incursione di barbari ostili": consiglio vero e accettabile, ma solo da parte di chi non è vincolato da un ufficio della chiesa.
30. 15. Infatti se uno, pur potendo fuggire, non fugge dinanzi alle stragi dei nemici per non abbandonare il ministero di Cristo senza il quale gli uomini non possono né diventare cristiani né vivere come tali, questo mette in pratica l'amore, più di colui che fugge pensando a sé e non ai fratelli e che pur poi preso non nega Cristo e ottiene il martirio.
30. 16. Che cosa è poi quel che hai scritto nella tua prima lettera? Dici infatti: "Se poi dobbiamo rimanere nelle chiese, non vedo in che cosa gioveremo a noi o al popolo nel vedere gli uomini cadere davanti ai nostri occhi, le donne violentate, le chiese incendiate, noi stessi venir meno sotto i tormenti, quando cercano da noi ciò che non abbiamo".
30. 17. Dio può prestare ascolto alle preghiere della sua famiglia e tener lontani i mali che noi temiamo: ma a causa di questi mali, che sono incerti, non deve esser certo l'abbandono del nostro ministero, senza il quale è certa la rovina del popolo nelle cose non di questa vita ma di quell'altra, di cui ci dobbiamo prender cura in maniera incomparabilmente più attenta e sollecita.
30. 18. Infatti se fosse cosa certa che questi mali che temiamo sopravvengono nei luoghi nei quali ci troviamo, di qui fuggirebbero prima tutti coloro a causa dei quali noi dobbiamo rimanere e così ci libererebbero dalla necessità di rimanere. Nessuno infatti sostiene che i ministri di Dio debbono rimanere là dove non c'è nessuno cui prestare la propria opera.
30. 19. In tal senso alcuni vescovi sono fuggiti dalla Spagna, poiché il popolo in parte si era disperso nella fuga, in parte era stato ucciso, in parte era morto durante l'assedio, in parte era stato disperso in servitù. Ma molti di più sono stati i vescovi che, poiché rimanevano nelle loro sedi coloro a causa dei quali essi pure dovevano rimanere, sono restati anch'essi esposti agli stessi innumerevoli pericoli. E se alcuni hanno abbandonato i loro fedeli, proprio questo noi diciamo che non si deve fare. infatti costoro non sono stati ispirati dall'autorità divina ma sono stati o tratti in inganno da errore umano o sopraffatti da umano timore.
30. 20. Come mai infatti essi ritengono che si debba ubbidire fedelmente al comando divino, quando leggono che si deve fuggire da una città nell'altra, ma invece non hanno in orrore il mercenario che vede venire il lupo e fugge, perché non si preoccupa delle pecore (Gv. 10, 12) ? Perché mai queste due sentenze, che sono proprio del Signore, quella che permette e comanda la fuga, e quella che la rimprovera e la condanna, essi non cercano di interpretarle in modo che non risultino fra loro in contraddizione, come effettivamente non lo sono?
30. 21. E in che modo questo può farsi se non facendo attenzione a ciò che ho già detto sopra? Cioè che, se la persecuzione minaccia i luoghi nei quali siamo, i ministri di Dio debbono fuggire, quando o lì non ci siano più fedeli, cui prestar servizio, ovvero il necessario servizio può essere espletato da altri che non hanno lo stesso motivo per fuggire.
30. 22. Così fuggì l'Apostolo, come sopra ho ricordato, calato in una cesta, perché proprio lui era ricercato dal persecutore, mentre non si trovavano in tale necessità gli altri, che perciò si guardarono bene dall'abbandonare il servizio della chiesa. Così fuggì il santo Atanasio, vescovo di Alessandria, poiché l'imperatore Costanzo desiderava catturare proprio lui e la comunità cattolica che rimaneva ad Alessandria non veniva abbandonata dagli altri ministri.
30. 23. Ma quando il popolo resta e invece fuggono i ministri e finisce il servizio, che cosa sarà quest'azione se non la riprovevole fuga dei mercenari, che non si danno cura delle pecore? Infatti verrà il lupo, non un uomo ma il diavolo, che spesso ha persuaso ad apostatare i fedeli cui mancava la quotidiana amministrazione del corpo del Signore. Così, a causa non della tua scienza ma della tua ignoranza, fratello, perirà il debole per il quale è morto Cristo.
30. 24. Per quanto poi riguarda coloro che in tale distretta non sono tratti in fallo dall'errore ma sono vinti dalla paura, perché piuttosto essi, con l'aiuto del Signore misericordioso, non combattono coraggiosamente contro il loro timore? Così eviteranno che tocchino loro mali incomparabilmente più gravi, che perciò sono molto più da temere.
30. 25. Ciò avviene dove arde l'amore di Dio e la cupidigia del mondo non esala il suo fumo. Dice infatti l'amore: Chi è debole ed io non son debole? Chi viene scandalizzato ed io non brucio? (2 Cor. 11, 29). Ma l'amore viene da Dio: preghiamo che ci sia concesso da colui da cui viene comandato. Perciò temiamo che le pecore di Cristo siano colpite nell'animo dalla spada dello spirito del male più che siano uccise dal ferro nel corpo, che - quando che sia e come che sia - dovrà morire.
30. 26. Temiamo che, corrotto il senso interiore, venga meno la purezza della fede, più che le donne vengano violentate nella carne: infatti la pudicizia non viene violentata dalla violenza, se si conserva nell'anima, perché neppure la carne è violentata se la volontà di chi subisce non gode turpemente della sua carne, ma senza acconsentire sopporta ciò che fa un altro.
30. 27. Temiamo che, a causa del nostro abbandono, si estinguano le pietre vive, più che alla nostra presenza vengano incendiate le pietre e la legna degli edifici materiali. Temiamo che, prive dell'alimento spirituale, siano uccise le membra del corpo di Cristo, più che le membra del nostro corpo siano oppresse e tormentate dall'aggressione del nemico.
30. 28. Non perché questi malanni non debbano essere evitati, quando è possibile: ma perché debbono piuttosto essere sopportati, quando non possono essere evitati senza empietà. A meno che uno non voglia sostenere che non è empio il ministro, che sottrae il servizio necessario. alla pietà proprio allora quando è più necessario.
30. 29. O forse, quando si arriva a questo estremo pericolo e non c'è possibilità alcuna di fuggire, non pensiamo quanta gente di ogni sesso e di ogni età si rifugia in chiesa: alcuni che chiedono il battesimo, altri la riconciliazione, altri anche l'azione penitenziale, e tutti conforto e celebrazione e distribuzione dei sacramenti?
30. 30. E se qui mancano i ministri, quanta rovina colpisce coloro che escono da questa vita o non rigenerati o non assolti? Quanto sarà il dolore dei fedeli per i loro cari che non potranno insieme con loro godere il riposo della vita eterna? Quanto infine il pianto di tutti, e quante bestemmie da parte di alcuni, per l'assenza del servizio e dei ministri?
30. 31. Osserva quali effetti produca la paura dei mali temporali e quanto facilmente essa sia causa di mali eterni. Se invece ci sono i ministri, si viene incontro alle necessità di tutti secondo le capacità che Dio concede: alcuni sono battezzati, altri riconciliati, nessuno è privato della comunione col corpo del Signore, tutti sono consolati edificati esortati a pregare Dio, il quale può tener lontani tutti i mali che uno teme: tutti pronti ad ambedue le sorti, sì che, se non può passare da loro questo calice, si compia la volontà di colui che non può volere alcunché di male (Mt. 26, 42).
30. 32. Certamente ormai tu vedi ciò che scrivesti di non vedere, cioè quanto bene venga al popolo cristiano, se nei mali che ci affliggono non gli manca la presenza dei ministri di Dio; e vedi anche quanto nuoccia la loro assenza, quando essi cercano il loro vantaggio, non quello di Gesù Cristo (Fil. 2, 21), e non hanno quell'amore del quale è stato detto: Non cerca ciò ch'è suo (1 Cor. 13, 5), e non imitano colui che ha detto: Non cercando ciò ch'è utile a me ma ciò ch'è utile a molti, perché siano salvi (1 Cor. 10, 33).
30. 33. Questo non si sarebbe sottratto alle insidie del principe persecutore, se non avesse voluto conservarsi in vita per gli altri, ai quali egli era necessario. Per questo dice: Sono stretto da due parti, desiderando andarmene ed essere con Cristo: sarebbe infatti molto meglio; ma è necessario rimanere nella carne a causa di voi (Fil. 1, 23).
30. 34. A questo punto uno potrebbe osservare che, all'approssimarsi di tali sciagure, i ministri di Dio debbono fuggire per conservarsi all'utilità della chiesa nell'attesa di tempi più tranquilli. Giustamente alcuni fanno così, quando non mancano altri che possano attendere al servizio ecclesiastico in vece loro, sì che il servizio non venga abbandonato da tutti: abbiamo detto sopra che così agì Atanasio. Quanto infatti egli sia stato necessario per la chiesa e quanto a questa abbia giovato il fatto che quello sia restato in vita, lo sa bene la fede cattolica, che dalla parola e dall'abnegazione di quell'uomo fu difesa contro gli eretici ariani.
30. 35. Ma quando il pericolo è di tutti, e c'è più da temere che, se uno fa così, ciò venga attribuito non all'intenzione di provvedere alla chiesa ma alla paura di morire, e col cattivo esempio della fuga uno nuoce di più di quanto potrebbe giovare col sopravvivere per il servizio, allora assolutamente non ci si deve comportare così.
30. 36. Infatti, per evitare che fosse estinta, come sta scritto, la luce d'Israele, il santo Davide non si espose ai pericoli della battaglia (2 Sam. 21, 17), ma agì così perché fu pregato dai suoi, non di propria iniziativa. Altrimenti avrebbe spinto ad imitarlo nella viltà molti, i quali avrebbero pensato che egli agiva così non in considerazione dell'utilità degli altri, ma solo perché turbato per il suo pericolo.
30. 37. Qui ci si presenta un'altra questione, che non va tralasciata. Abbiamo visto che non è da trascurare l'opportunità che alcuni ministri di Dio fuggano all'approssimarsi di qualche devastazione, al fine che siano salvi quelli che possano prestare il servizio a quanti dopo il flagello potranno trovare superstiti: ma allora come ci si deve comportare nel caso che si preveda la morte di tutti, se qualcuno non fugge?
30. 38. Che cosa diremo se quel flagello imperversa soltanto col fine di perseguitare i ministri della chiesa? Dovrà forse essere abbandonata dai ministri che fuggono quella chiesa che pur sarebbe lasciata in abbandono da quelli miseramente periti? Ma se i laici non sono ricercati a morte, essi in qualche modo possono nascondere i loro vescovi e i loro chierici, secondo che li aiuterà colui in cui potere è ogni cosa, che può con la sua mirabile potenza salvare anche quelli che non fuggono.
30. 39. Ma noi ricerchiamo che cosa dobbiamo fare, proprio perché non si creda che attendendo miracoli divini in ogni cosa tentiamo il Signore. Certo questa tempesta, in cui è comune il pericolo di laici e chierici, non è come quella che minaccia comune pericolo ai marinai e ai commercianti che stanno su una nave. Non voglio pensare che questa nostra nave sia considerata così dappoco che la debbano abbandonare tutti i marinai, e perfino il nocchiero, se si possono salvare passando su una scialuppa o anche a nuoto.
30. 40. Per coloro infatti che temiamo periscano per il nostro abbandono, noi temiamo non la morte temporale, che quando che sia sopravverrà, ma la morte eterna, che può venire, se uno non sta attento, ma può anche non venire, se uno sta attento.
30. 41. Nel comune pericolo di questa vita perché dobbiamo credere che, dovunque ci sarà un'incursione di nemici, lì moriranno tutti i chierici e non anche tutti i laici, sì che finiscano di vivere insieme anche coloro cui i chierici son necessari? Ovvero, perché non dobbiamo sperare che alla pari di alcuni laici resteranno in vita anche alcuni chierici, che potranno amministrare a quelli il necessario servizio?
30. 42. Eppure, volesse il cielo che fra i ministri di Dio ci fosse gara per chi di loro debbano rimanere e chi di loro debbano fuggire, perché la chiesa non resti deserta o per la fuga di tutti o per la morte di tutti! Certo tale gara ci sarà fra loro se tutti ardono di amore e tutti sono graditi all'Amore.
30. 43. Che se questa contesa non potrà esser risolta in altro modo, io credo che coloro che debbono restare e coloro che possono fuggire vadano estratti a sorte. Infatti coloro i quali diranno che essi preferiscono fuggire o sembreranno pavidi, perché non hanno voluto sopportare la sciagura incombente, o presuntuosi, perché hanno giudicato sé stessi più necessari, sì da dover esser salvati.
30. 44. D'altra parte, forse proprio i migliori sceglierebbero di dare la vita per i fratelli, e così con la fuga si salverebbero quelli la cui vita è meno utile, perché minore è la loro abilità nel consigliare e nel dirigere. Proprio questi ultimi, se sapessero ragionare piamente, si dovrebbero opporre a coloro che sarebbe opportuno restassero in vita e che invece preferiscono morire piuttosto che fuggire.
30. 45. Perciò, com'è scritto, il sorteggio mette fine alle contestazioni e decide fra i potenti (Prov. 18, 18). È meglio infatti che in tali incertezze decida Dio piuttosto che gli uomini, sia che voglia chiamare al frutto del martirio i migliori e risparmiare i deboli, sia che voglia rendere costoro più forti per sopportare i mali e sottrarli a questa vita, perché la loro vita non può essere utile alla chiesa quanto la vita di quelli. Certo si metterà in opera un mezzo poco usato, se si farà questo sorteggio: ma se si farà così, chi oserà biasimarlo? Chi non lo loderà adeguatamente, a meno che non sia inetto o invidioso?
30. 46. Se poi non si vuol fare una cosa di cui non c'è esempio, nessuno con la sua fuga deve privare la chiesa del servizio necessario e dovuto soprattutto in così grandi pericoli. Nessuno consideri tanto se stesso quasi che eccella per qualche grazia, e dica di esser più degno della vita e perciò della fuga. Chi infatti la pensa così ama troppo se stesso; e chi lo dice pure, risulta odioso a tutti.
30. 47. Alcuni poi ritengono che vescovi e chierici, non fuggendo in tali pericoli ma rimanendo dove sono, inducano in inganno i fedeli: questi infatti non fuggono perché vedono che restano i loro capi.
30. 48. Ma è facile evitare tale rimprovero e l'odiosità che ne potrebbe risultare, parlando ai fedeli in questo modo: « Non vi tragga in inganno il fatto che noi non fuggiamo di qui. Infatti rimaniamo qui non per noi ma proprio per voi, per non mancare di amministrarvi ciò che sappiamo essere necessario alla vostra salvezza, ch'è in Cristo. Anzi, se vorrete fuggire, liberate anche noi da questi vincoli che ci legano qui ».
30. 49. Ritengo che così si debba parlare, quando sembra veramente utile trasferirsi in luoghi più sicuri. Può accadere che, udite queste parole, qualcuno dica: "Siamo nelle mani di colui, la cui ira nessuno sfugge, dovunque vada, e la cui misericordia può trovare, dovunque sia", e non vuole andare, sia perché impedito da certe necessità sia perché non vuole affaticarsi a cercare un incerto rifugio non per metter fine ai pericoli ma solo per cambiarli: certamente costoro non debbono esser lasciati privi del servizio della religione cristiana. Se invece, all'udir quelle parole, preferiranno andar via, allora non debbono restare neppure quelli che restavano a causa loro, perché ormai lì non ci son più persone per le quali essi dovrebbero restare.
30. 50. Insomma: chiunque fugge in condizioni tali che la sua fuga non lasci la chiesa priva del necessario servizio, questi fa ciò che il Signore ha comandato o permesso. Ma chi fugge e così sottrae al gregge di Cristo gli alimenti che lo nutrono spiritualmente, questi è il mercenario che vede venire il lupo e fugge, perché non gl'interessa delle pecore (Gv. 10, 12).
30. 51. Ecco ciò che ho risposto, fratello carissimo, alle tue richieste, secondo quanto ho ritenuto vero e ispirato da sicuro amore: ma se tu troverai di meglio, non faccio obiezione al tuo pensiero. D'altra parte, non possiamo trovare meglio da fare in tali pericoli, se non pregare il Signore Dio nostro, perché abbia pietà di noi. Proprio questo, per dono di Dio alcuni uomini prudenti e santi hanno meritato di volere e di fare, cioè di non abbandonare le chiese, e non vennero meno al loro proposito a causa della lingua dei calunniatori.


Ultimi giorni e morte. Eredià di sante opere ed esempi. Congedo. L'eredità di Agostino. Riepilogo. Conclusione

31. 1. Quel sant'uomo, nella lunga vita che Dio gli aveva concesso per l'utilità e il bene della santa chiesa (infatti visse 76 anni, e circa 40 anni da prete e vescovo), parlando con noi familiarmente era solito dire che, ricevuto il battesimo, neppure i cristiani e i sacerdoti più apprezzati debbono separarsi dal corpo senza degna e adatta penitenza.
31. 2. In tal modo egli si comportò nella sua ultima malattia: fece trascrivere i salmi davidici che trattano della penitenza -sono molto pochi - e fece affiggere i fogli contro la parete, così che stando a letto durante la sua infermità li poteva vedere e leggere, e piangeva ininterrottamente a calde lacrime.
31. 3. Perché nessuno disturbasse il suo raccoglimento, circa dieci giorni prima di morire, disse a noi, che lo assistevamo, di non far entrare nessuno, se non soltanto nelle ore in cui i medici entravano a visitarlo o gli si portava da mangiare. La sua disposizione fu osservata, ed egli in tutto quel tempo stette in preghiera.
31. 4. Fino alla sua ultima malattia predicò in chiesa la parola di Dio ininterrottamente, con zelo e con forza, con lucidità e intelligenza.
31. 5. Conservando intatte tutte le membra del corpo, sani la vista e l'udito, mentre noi eravamo presenti osservavamo e pregavamo, egli - come fu scritto - si addormentò coi suoi padri, in prospera vecchiaia (1 Re, 2, 10). Per accompagnare la deposizione del suo corpo, fu offerto a Dio il sacrificio in nostra presenza, e poi fu sepolto.
31. 6. Non fece testamento, perché povero di Dio non aveva motivo di farlo. Raccomandava sempre di conservare diligentemente per i posteri la biblioteca della chiesa con tutti i codici. Quel che la chiesa aveva di suppellettili e ornamenti, affidò al prete che alle sue dipendenze curava l'amministrazione della casa annessa alla chiesa.
31. 7. Né durante la vita né al momento di morire trattò i suoi parenti, sia quelli dediti alla vita monastica sia quelli di fuori, nel modo consueto nel mondo. Quando viveva, dava a costoro, se era necessario, quel che usava dare agli altri, non perché avessero ricchezze ma perché non fossero poveri e non lo fossero troppo.
31. 8. Lasciò alla chiesa clero abbondante e monasteri di uomini e donne praticanti la continenza con i loro superiori; inoltre, biblioteche contenenti libri e prediche sia suoi sia di altri santi, dai quali si può conoscere quanta sia stata, per dono di Dio, la sua grandezza nella chiesa e nei quali i fedeli lo trovano sempre vivo. In tal senso un poeta pagano, disponendo che i suoi gli facessero la tomba in luogo pubblico ed elevato, dettò questa epigrafe:

Vuoi sapere, o viandante, che il poeta vive dopo la morte?
Ecco, io dico ciò che tu leggi: la tua voce è la mia.

31. 9. Dai suoi scritti risulta manifesto, per quanto è dato di vedere alla luce della verità, che quel vescovo caro e gradito a Dio visse in modo retto e integro nella fede speranza e carità della chiesa cattolica; e ciò possono apprendere quelli che traggono giovamento dalla lettura di ciò ch'egli scrisse intorno alla divinità. Ma io credo che abbiano potuto trarre più profitto dal suo contatto quelli che lo poterono vedere e ascoltare quando di persona parlava in chiesa, e soprattutto quelli che ebbero pratica della sua vita quotidiana fra la gente.
31. 10. Infatti fu non solo scriba dotto in ciò che riguarda il regno dei cieli, che tira fuori dal suo tesoro cose nuove e vecchie (Mt. 13, 52), e commerciante che, trovata una perla preziosa, vendette ciò che aveva e la comprò (Mt. 13, 15 s.): ma fu anche uno di quelli di cui è stato scritto: Così parlate e così fate (Giac. 2, 12), e di cui dice il Salvatore: Chi avrà fatto e insegnato così agli uomini, questo sarà detto grande nel regno dei cieli (Mt. 5, 19).
31. 11. Prego ardentemente la vostra carità, voi che leggete questo scritto, che insieme con me rendiate grazie a Dio onnipotente e benediciate il Signore, che mi ha concesso l'intelligenza (Sal. 15, 7) per volere e avere la capacità di trasmettere queste notizie alla conoscenza di uomini vicini e lontani del nostro tempo e di quello a venire. E pregate insieme con me e per me affinché, dopo esser vissuto, per dono di Dio, in dolce familiarità con quell'uomo per quasi 40 anni senza alcun contrasto, possa emularlo e imitarlo in questa vita, e in quella futura godere insieme con lui delle promesse di Dio onnipotente.