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Interventi del Papa su temi di attualità

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    00 20/11/2014 22:49

    Il Papa denuncia: «Ci sono i soldi per le guerre,
    ma non per il lavoro?»

    Papa Francesco
    Videomessaggio per l'apertura del quarto Festival della Dottrina sociale della Chiesa; davanti alla crisi, non cadere nella trappola di «leccarsi le ferite»

     Il vero problema non è il denaro, sono le persone. Serve una «nuova coscienza sociale». È il monito che il Papa ha affidato alla IV edizione del Festival della Dottrina Sociale della Chiesa, in corso a Verona per iniziativa della Fondazione Toniolo. In un videomessaggio, Bergoglio ha riflettuto sul concetto di andare oltre. «Oggi anche in ambito economico è urgente prendere l'iniziativa, perché il sistema tende ad omologare tutto e il denaro la fa da padrone», ha detto il Pontefice. E questo è sbagliato, perché «il sistema –ha spiegato- ti porta a questa globalizzazione non buona che omologa tutto. E il padrone di questa omologazione chi è? È il denaro».

     Secondo il Pontefice, «prendere l'iniziativa in questi ambiti significa avere il coraggio di non lasciarsi imprigionare dal denaro e dai risultati a breve termine diventandone schiavi. Occorre un modo nuovo di vedere le cose!». «Il vero problema –ha ribadito Bergoglio- non sono i soldi, ma le persone: non possiamo chiedere ai soldi quello che solo le persone possono fare o creare». «I soldi da soli non creano sviluppo –ha aggiunto-, per creare sviluppo occorrono persone che hanno il coraggio di prendere l'iniziativa».

     «La situazione di crisi sociale ed economica nella quale ci troviamo può spaventarci, disorientarci o farci pensare che la situazione è così pesante da concludere che noi non possiamo farci niente». La grande tentazione in questo contesto, è quella di «fermarsi a curare le proprie ferite e trovare in questo una scusa per non sentire il grido dei poveri e la sofferenza di chi ha perso la dignità di portare a casa il pane perché ha perso il lavoro». «E quelli che cercano soltanto di curare le proprie ferite –ha spiegato Papa Francesco–, finiscono truccandosi. Questa è la trappola».

     Secondo Francesco, «il rischio è che l'indifferenza ci renda ciechi, sordi e muti, presenti solo a noi stessi, con lo specchio davanti, per cui tutto avviene nella nostra estraneità. Uomini e donne chiusi in sé stessi. C'era qualcuno così che si chiamava Narciso... Quella strada, no».

     «Oggi si dice che tante cose non si possono fare perché manca il denaro», ha detto il Papa, secondo cui «si sottolineano molto i soldi che mancano per creare lavoro». Ma, ha denunciato fortemente, «il denaro per acquistare armi si trova, per fare le guerre, per operazioni finanziarie senza scrupoli, si trova». «Di questo solitamente si tace –ha aggiunto-; si sottolineano molto i soldi che mancano per creare lavoro, per investire in conoscenza, nei talenti, per progettare un nuovo welfare, per salvaguardare l'ambiente».

     «I soldi da soli non creano sviluppo», ed è per questo motivo che occorrono persone che abbiano il coraggio di prendere l'iniziativa, «magari sviluppando un'impresa capace di innovazione non solo tecnologica». Ma, per Papa Francesco, è necessario rinnovare anche le relazioni di lavoro «sperimentando nuove forme di partecipazione e di responsabilità dei lavoratori, inventando nuove formule di ingresso nel mondo del lavoro, creando un rapporto solidale tra impresa e territorio».

     Ѐ pure necessario, ha aggiunto Bergoglio, superare l'assistenzialismo. Il Papa ha esemplificato, al riguardo, con la storia del padre di un ragazzo down che dopo aver assicurato i servizi di protezione al figlio, «si è inventato una cooperativa costituita da ragazzi down, ha studiato un lavoro adatto a loro, ha fatto una convenzione con un'azienda profit per la vendita dei loro prodotti; insomma, ha creato le premesse lavorative con le quali suo figlio può costruirsi il suo futuro e la sua sana autonomia».

     

    Nel videomessaggio indirizzato al Festival della Dottrina Sociale di Verona, il Pontefice ha anche ricordato «la percentuale di giovani, oggi, disoccupati e senza lavoro», chiedendosi: «Questo significa andare oltre, o andare indietro?».


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    00 25/11/2014 20:58

    Papa Francesco:
    «l’identità dell’Europa è il cristianesimo»

    Francesco  parlamentoIl discorso che Papa Francesco ha oggi rivolto all’emiciclo del Parlamento europeo a Strasburgo è assolutamente decisivo per la situazione attuale che stiamo vivendo, un pronunciamento coraggioso e che ha certamente procurato numerosi mal di pancia ai suoi finti amici (da Scalfari in giù), così come finta è stata l’ovazione che i burocrati europei gli hanno riservato al termine del discorso. O finta approvazione o, probabilmente, non lo stavano ascoltando.

    Consigliamo, come sempre, di diffidare di quanto hanno riportato vaticanisti vari, improvvisati o meno, sui media e di riferirsi sempre aldiscorso originale pubblicato sul sito del Vaticano. Un intervento decisivo, dicevamo, dove il Pontefice ha apertamente sfidato il suo uditorio laicista e politicamente corretto incoraggiando l’Europa e i politici europei a ritrovare le radici cristiane (da notare il titolo di “Repubblica”), a promuovere la sacralità della vita e i “valori inalienabili” (chiara citazione dei “valori non negoziabili” di Benedetto XVI) contrastando la“cultura dello scarto” (argomento su cui è tornato più volte), a puntare sulla famiglia “fertile e indissolubile” e a guardare l’uomo come ad unessere trascendente, non come ad un oggetto da manovrare. Finalmente possiamo spiegarci la violenta foga delle Femen e della radicale Giulia Innocenzi per tentare di impedire che oggi il Papa potesse pronunciare queste disturbanti parole. Qui sotto sono stati raccolti i passaggi più significativi: abbiamo sottolineato le parole-chiave per indicare i macro-temi, così da facilitare la lettura essendo di fronte ad un discorso abbastanza lungo.

     

    Fin da subito Francesco ha invitato a «tornare alla ferma convinzione dei Padri fondatori dell’Unione europea i quali desideravano un futuro basato sulla capacità di lavorare insieme per superare le divisioni e per favorire la pace e la comunione fra tutti i popoli del continente. Al centro di questo ambizioso progetto politico vi era la fiducia nell’uomo, non tanto in quanto cittadino, né in quanto soggetto economico, ma nell’uomo in quanto persona dotata di una dignità trascendente». Ha proseguito con una riflessione su come sia sorto il pensiero europeo, così sensibile alla dignità umana, ovvero «contraddistinto da un ricco incontro, le cui numerose fonti lontane provengono dalla Grecia e da Roma, da substrati celtici, germanici e slavi, e dal cristianesimo che li ha plasmati profondamente, dando luogo proprio al concetto di “persona”»

     

    Senza alcuna remora verso coloro che lo ascoltavano, ovvero i veri promotori europei della “cultura dello scarto”, Francesco ha cominciato a puntare l’attenzione sul tema centrale, ovvero la dignità della persona. Ha quindi ribadito che l’impegno dei diritti umani è «un impegno importante e ammirevole, poiché persistono fin troppe situazioni in cui gli esseri umani sono trattati come oggetti, dei quali si può programmare la concezione, la configurazione e l’utilità, e che poi possono esserebuttati via quando non servono più, perché diventati deboli, malati o vecchi». Ma non esiste nemmeno dignità se «manca la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero o di professare senza costrizione la propria fede religiosa». Se qualche giorno fa aveva spiegato che il sostegno all’eutanasia e all’aborto è mosso da una “falsa compassione”, oggi ha approfondito evidenziando come la “cultura dello scarto” (rappresentata benissimo in Italia dall’“Associazione Luca Coscioni” di cuiGiulia Innocenzi è orgoglioso membro), è profondamente contraria alla dignità umana.

     

    Molto interessante anche la riflessione sull’proliferazione dei diritti, pesante ideologia di cui è affetta la modernità: «Promuovere la dignità della persona», ha proseguito il Papa, «significa riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non può essere privata ad arbitrio di alcuno e tanto meno a beneficio di interessi economici. Occorre però prestare attenzione per non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade”, sempre più insensibile alle altre “monadi” intorno a sé. Alconcetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa […]. Se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze».

     

    Nell’emiciclo laicista del Parlamento Europeo Francesco è tornato ad indicare la trascendenza dell’uomo e la legge naturale che lo guida, ovvero «fare appello alla sua natura, alla sua innata capacità di distinguere il bene dal male, a quella “bussola” inscritta nei nostri cuori e che Dio ha impresso nell’universo creato; soprattutto significa guardare all’uomo non come a un assoluto, ma come a un essere relazionale. Una delle malattie che vedo più diffuse oggi in Europa è la solitudine, propria di chi è privo di legami». Ha quindi criticato le istituzioni europee, impegnate «a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose».

     

    Il Pontefice ha più volte insistito sui temi eticamente sensibili, spiegando che «l’essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, così che – lo notiamo purtroppo spesso – quando la vita non è funzionale a tale meccanismo viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere». Da notare l’insistenza del Papa contro l’eutanasia, descritta come metodo di “scarto”, e contro l’aborto, descritto come “uccisione di bambini”. Persiste così un «grande equivoco che avviene quando prevale l’assolutizzazione della tecnica, che finisce per realizzare una confusione fra fini e mezzi. Risultato inevitabile della “cultura dello scarto” e del “consumismo esasperato”. Al contrario, affermare la dignità della persona significa riconoscere la preziosità della vita umana, che ci è donata gratuitamente e non può perciò essere oggetto di scambio o di smercio. Voi, nella vostra vocazione di parlamentari, siete chiamati anche a una missione grande benché possa sembrare inutile: prendervi cura della fragilità dei popoli e delle persone. Prendersi cura della fragilità dice forza e tenerezza, dice lotta e fecondità in mezzo a un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente alla “cultura dello scarto”. Prendersi cura della fragilità delle persone e dei popoli significa custodire la memoria e la speranza; significa farsi carico del presente nella sua situazione più marginale e angosciante ed essere capaci di ungerlo di dignità».

     

    Si può ridare speranza al futuro solo tornando alle radici religiose dell’Europa, perché «la sua storia è fatta del continuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo indica l’apertura al trascendente, a Dio, che ha da sempre contraddistinto l’uomo europeo, e la terra rappresenta la sua capacità pratica e concreta di affrontare le situazioni e i problemi. Il futuro dell’Europa dipende dalla riscoperta del nesso vitale e inseparabile fra questi due elementi. Un’Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un’Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello “spirito umanistico” che pure ama e difende. Proprio a partire dalla necessità di un’apertura al trascendente, intendo affermare la centralità della persona umana, altrimenti in balia delle mode e dei poteri del momento. In questo senso ritengo fondamentale non solo il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale contributo non costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e per l’indipendenza delle istituzioni dell’Unione, bensì un arricchimento. Ce lo indicano gli ideali che l’hanno formata fin dal principio, quali la pace, la sussidiarietà e la solidarietà reciproca, un umanesimo incentrato sul rispetto della dignità della persona».

    Così, «un’Europa che sia in grado di fare tesoro delle proprie radici religiose, sapendone cogliere la ricchezza e le potenzialità, può essere anche più facilmente immune dai tanti estremismi che dilagano nel mondo odierno, anche per il grande vuoto ideale a cui assistiamo nel cosiddetto Occidente, perché è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza. Non possiamo qui non ricordare le numerose ingiustizie e persecuzioni che colpiscono quotidianamente le minoranze religiose, e particolarmente cristiane, in diverse parti del mondo. Comunità e persone che si trovano ad essere oggetto di barbare violenze: cacciate dalle proprie case e patrie; vendute come schiave; uccise, decapitate, crocefisse e bruciate vive, sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti […]. In tal senso, ritengo che l’Europa sia una famiglia di popoli, i quali potranno sentire vicine le istituzioni dell’Unione se esse sapranno sapientemente coniugare l’ideale dell’unità cui si anela, alla diversità propria di ciascuno, valorizzando le singole tradizioni; prendendo coscienza della sua storia e delle sue radici; liberandosi dalle tante manipolazioni e dalle tante fobie».

     

    Per dare speranza all’Europa, Francesco ha anche ribadito l’importanza della famiglia naturale (definita “fertile”) come ambito in cui si sviluppa la persona umana: «Il primo ambito è sicuramente quello dell’educazione, a partire dalla famiglia, cellula fondamentale ed elemento prezioso di ogni società. La famiglia unita, fertile e indissolubile porta con sé gli elementi fondamentali per dare speranza al futuro. Senza tale solidità si finisce per costruire sulla sabbia, con gravi conseguenze sociali».

     

    Grande spazio nel discorso del Papa è stato riservato alla povertà, alla solitudine degli anziani, alla questione migratoria e ai conflitti interni dei vari Paesi, al lavoro e alle politiche di occupazione, e anche all’ecologia:«responsabilità di custodire il Creato, prezioso dono che Dio ha messo nelle mani degli uomini. Ciò significa da un lato che la natura è a nostra disposizione, ne possiamo godere e fare buon uso; dall’altro però significa che noi ne siamo i padroni. Custodi, ma non padroni. La dobbiamo perciò amare e rispettare, mentre invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Rispettare l’ambiente significa però non solo limitarsi ad evitare di deturparlo, ma anche di utilizzarlo per il bene. Penso soprattutto al settore agricolo, chiamato a dare sostegno e nutrimento all’uomo. Non si può tollerare che milioni di persone nel mondo muoiano di fame, mentre tonnellate di derrate alimentari vengono scartate ogni giorno dalle nostre tavole. Inoltre, rispettare la natura, ci ricorda che l’uomo stesso è parte fondamentale di essa. Accanto ad un’ecologia ambientale, serve perciò quell’ecologia umana, fatta del rispetto della persona, che ho inteso richiamare quest’oggi rivolgendomi a voi».

     

    Il Pontefice ha quindi concluso esortando i legislatori a  «custodire e far crescere l’identità europea» e «a lavorare perché l’Europa riscopra la suaanima buona. Un anonimo autore del II secolo scrisse che “i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”. Il compito dell’anima è quello di sostenere il corpo, di esserne la coscienza e la memoria storica. E una storia bimillenaria lega l’Europa e il cristianesimo. Una storia non priva di conflitti e di errori, ma sempre animata dal desiderio di costruire per il bene. Lo vediamo nella bellezza delle nostre città, e più ancora in quella delle molteplici opere di carità e di edificazione comune che costellano il continente. Questa storia, in gran parte, è ancora da scrivere. Essa è il nostro presente e anche il nostro futuroEssa è la nostra identità. E l’Europa ha fortemente bisogno di riscoprire il suo volto per crescere, secondo lo spirito dei suoi Padri fondatori, nella pace e nella concordia, poiché essa stessa non è ancora esente dai conflitti. Cari Eurodeputati, è giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con fiducia il suo futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda, difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità!».


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    00 09/12/2014 21:36

    Francesco sgrida i vaticanisti:
    «scrivono ciò che non penso»

    L’obiettivo era mostrare una Chiesa in guerra, divisa, pronta allo scisma e dunque inquinare l’autenticità del responso, rendere la verità che proclama come relativa e far apparire la sua voce inattendibile davanti all’opinione pubblica. Ancora oggi ci scrivono lettori confusi e arrabbiaticon Papa Francesco perché si sono ridotti ad informarsi sui quotidiani, cadendo nella trappola della disinformazione. Da tempo invitiamo invece ariferirsi sempre al sito del Vaticano, all’Osservatore Romano, a Radio Vaticana e ad “Avvenire” per leggere i discorsi originali di Francesco e a non acquistare più i quotidiani dato che un corretto uso di internet basta a sufficienza per informarsi adeguatamente.

    Siamo contenti del fatto che Papa Francesco ci ha proprio “dato ragione” su questo nella sua recente intervista rilasciata a “La Nación”(ben tradotta da Andrea Tornielli). Parlando del timore in molti fedeli cattolici per quelle incomprensibili e presunte “aperture” propagandate sui media, ha spiegato: «Sempre ci sono timori, però perché non leggono le cose, o leggono una notizia in un giornale, un articolo, e non leggono quello che ha deciso il Sinodo, quello che si è pubblicato. Che cosa vale del Sinodo? La relazione post-sinodale, il messaggio post-sinodale, e il discorso del Papa. Il Sinodo è stato un processo e così come l’opinione di un padre sinodale, era di un padre sinodale, la prima bozza era una prima bozza, dove si raccoglieva tutto. Nessuno ha parlato di matrimonio omosessuale nel Sinodo. Quello di cui abbiamo parlato è come una famiglia che ha un figlio o una figlia omosessuale, come lo educa, come lo cresce, come si aiuta questa famiglia ad andare avanti in questa situazione un po’ inedita. Dunque al Sinodo si è parlato della famiglia e delle persone omosessuali in relazione alle loro famiglie, perché è una realtà che incontriamo nei confessionali»Si leggono i giornali e si resta confusi, dice il Papa, invece bisogna andare direttamente al testo ufficiale del Sinodo.

    Se qualche cattolico è confuso è perché sbaglia ad informarsi, si fida dei vaticanisti e degli opinionisti. Il Papa continua: «io ho scritto un’enciclica a quattro mani, e un’esortazione apostolica, di continuo faccio dichiarazioni e omelie, e questo è magistero. Questo sta lì, è ciò che penso, non ciò che i media dicono che io pensi. Vada lì, e lo trova ed è ben chiaro. L'”Evangelii gaudium” è molto chiara». Questo è un metodo che dobbiamo imparare se non vogliamo farci manipolare e prendere in giro.

    Nella sua intervista Francesco ha parlato apertamente di tanti altri argomenti, chiarendo molte delle questioni amplificate e strumentalizzate dalla stampa. Pensiamo al caso della sostituzione del cardinale conservatore statunitense Raymond Leo Burke, che ha lasciato la Segnatura apostolica per diventare patrono dell’Ordine di Malta, e alle speculazioni su quotidiani conservatori e progressisti che hanno legato questa nomina alle posizioni espresse dallo stesso Burke all’ultimo Sinodo. Un esempio: il vaticanistaMarco Ansaldo di “Repubblica” aveva definito la sostituzione di Burke come una «prima resa dei conti in Vaticano», parlando di Francesco come di un despota che elimina tutti coloro che non la pensano come lui: «E la scure di Francesco si abbatte sulle teste dei principali oppositori», come il card. Burke, «reo di avere criticato Francesco anche in alcune dichiarazioni pubbliche». Questa è la disinformazione di Ansaldo, smentita da Papa Francesco: «Il cardinale Burke un giorno mi ha chiesto che cosa avrebbe fatto, dato che non era stato ancora confermato nel suo incarico. Gli ho detto: “Mi dia un po’ di tempo, perché si sta pensando a una ristrutturazione degli organismi giuridici nel C9″ e gli spiegai che ancora non c’era niente di fatto e che si stava pensando. Poi è arrivata la questione dell’Ordine di Malta e lì mancava un americano vivace, che si potesse muovere in quell’ambito, e mi è venuto in mente lui per quel compito. L’ho proposto a lui molto prima del Sinodo. E gli ho detto: “Questo avverrà dopo il Sinodo, perché voglio che lei partecipi come capo dicastero…”. Mi ha ringraziato molto, e lo ha accettato… è un uomo che si muove molto, che viaggia e lì avrà lavoro. Dunque non è vero che l’ho sostituito per come si è comportato al Sinodo». Ricordiamocelo la prossima volta che vogliamo leggere un articolo di Ansaldo su “Repubblica”.

    C’è anche una domanda sul cambio del comandante della Guardia SvizzeraDaniel Rudof Anrig. La vaticanista Franca Giansoldati de “Il Messaggero” si era inventata che il motivo della sostituzione sarebbe stato quello che Francesco «avrebbe voluto vedere un corpo militare meno rigido, con regole meno ossessive di quanto non fossero quelle imposte dal colonnello Anrig», insultandolo gratuitamente con definizioni come«persona rigidissima. Teutonica». Francesco ha smentito anche le invenzioni della Giansoldati (e di altri che hanno speculato anche su questo pur di dimostrare fantomatici “cambiamenti” del Pontefice attuale): «Due mesi dopo la mia elezione era scaduto il suo mandato di cinque anni. Non mi sembrava giusto prendere una decisione in quel momento e prorogai il mandato». Durante la visita al quartier generale delle Guardie, «ho conosciuto le persone e mi è sembrato più sano un rinnovamento… nessuno è eterno. Ho parlato con lui a luglio, rimanendo d’accordo che alla fine dell’anno avrebbe lasciato. È un cambio normale, non c’è niente di strano, non c’è alcun suo peccato né alcuna sua colpa. E’ una persona eccellente, un cattolico molto buono che ha un’eccellente famiglia». Alla domanda se il cambio è avvenuto perché il comandante era troppo severo, risponde: «No, certamente no». E quanto al suo grande appartamento:«L’anno scorso si è fatta una ristrutturazione degli appartamenti, quello suo è certamente spazioso perché ha quattro figli». Ricordiamocelo se vogliamo ancora leggere gli articoli della Giansoldati sul “Messaggero”.

    Rispetto ai “lupi conservatori” che ostacolerebbero ogni iniziativa di Papa Francesco, di cui parla continuamente il vaticanista Marco Politi de “Il Fatto Quotidiano”, il Pontefice ha spiegato semplicemente di ritenere «le resistenze come punti di vista diversi, non come una cosa sporca. Hanno a che vedere con le decisioni che prendo, questo sì. È chiaro che ci sono decisioni che toccano alcuni aspetti economici, altre più pastorali… Non sono preoccupato, mi sembra tutto normale, sarebbe anormale che non ci fossero punti di vista divergenti. Sarebbe anormale che non emergesse nulla».

    E’ stata toccata anche la questione della comunione ai divorziati risposati«Non è una soluzione dargli la comunione», ha risposto Francesco. Questo soltanto non è la soluzione, la soluzione è l’integrazione. Non sono scomunicati. Ma non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture a messa, non possono distribuire la comunione, non possono insegnare il catechismo, non possono fare sette cose, ho l’elenco lì. Se racconto questo, sembrerebbero scomunicati di fatto! Allora, aprire un po’ di più le porte. Perché non possono essere padrini? “No, guarda, che testimonianza vanno a dare al figlioccio?”. La testimonianza di un uomo e una donna che dicano: “Guarda, caro, io mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, vado avanti”. Ma che testimonianza cristiana è questa? O se arriva uno di questi truffatori politici che abbiamo, corrotti, a fare da padrino ed è regolarmente sposato per la Chiesa, lei lo accetta? E che testimonianza va a dare al figlioccio? Testimonianza di corruzione?».

    Ha anche ricordato che «la Chiesa non vuole impegnarsi nel proselitismo, perché la Chiesa non cresce sul proselitismo ma sull’attrazione, come ha detto Benedetto XVI. La Chiesa ha bisogno di essere un ospedale da campo e dobbiamo guarire le ferite, proprio come fece il buon Samaritano».


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    00 29/12/2014 12:32
    Pope Francis holds the unveiled baby Jesus during a Christmas Eve mass
     
    di Paul Kreiner

    In occasione del suo primo Natale, Francesco aveva avuto  un saluto specifico per i romani e gli italiani. Questa volta tralascia perfino quello. Quest'anno il papa non pensa a un “lieto Natale”. E manca anche il suo augurio di “Buon pranzo” con cui di solito saluta i frequentatori della sua preghiera domenicale. Questa volta Francesco ha pronunciato parole dure, che non vuole evidentemente nascondere nello zucchero. Lascia perdere anche le formule curiali prestampate, che i diplomatici vaticani scrivevano una volta ai loro capi per i discorsi riguardanti la situazione politica mondiale - “Come potremmo non pensare al dolore delle persone...?”, “Come potremmo dimenticare le guerre in...?”.


    globalizzazione dell'indifferenza”
    Quando il papa è arrivato alla fine del suo manoscritto, tira fuori un suo biglietto. Parla dei bambini “che vengono uccisi e maltrattati, abusati e sfruttati”. E questo, dice Francesco senza alcun eufemismo, “con il nostro complice silenzio”. Dall'unico Erode, che nella Bibbia compie un assassinio di massa di bambini, per liberarsi di possibili rivali, siamo passati ai molti Erode di oggi. E troppi stanno a guardare in silenzio, in questa “globalizzazione dell'indifferenza”.
    Francesco dà un'impressione di impazienza in questi giorni; per lui, che fin dall'inizio ha predicato contro lo “star fermi”, tutto continua ad andare troppo lentamente. Le eminenze ed eccellenze della curia riunite con i loro copricapi viola o scarlatti, le ha fatte in un certo senso rispecchiare nelle sue parole come mai un papa aveva fatto nel tradizionale “scambio di auguri di Natale”. Francesco ha condannato apertamente poco prima di Natale “le quindici malattie della curia” - dall'“Alzheimer spirituale”, dall'avidità, dalla vanagloria, dalla brama di accumulo e dalla competizione, fino alla
    mancanza di umorismo, a quella “malattia della faccia funerea”.


    Francesco non è un populista
    Ma Francesco non è un populista. Non cede alla facile tentazione di istigare le sue semplici pecorelle contro “quelli” della Curia. Dice espressamente che per lui “la curia è un piccolo modello di Chiesa”. E di nuovo sono tutti chiamati ad un grande esame di coscienza. E non si esclude. Quando, durante la messa di mezzanotte, la sera della vigilia di Natale, nella luminosità della luce dei proiettori in San Pietro, si giunge alla rituale ammissione dei peccati,
    Francesco abbassa il capo così profondamente che il suo volto non si vede più e solo risplende il suo zucchetto. I cardinali in semicerchio davanti a lui portano pianete lavorate in oro ed eleganti mitre attraversate da fili d'oro. Francesco non ha bisogno d'oro. E neppure lo vuole. È vestito di semplice bianco, come sempre. Forse preferirebbe essere altrove. A Buenos Aires, ad esempio, dove allora da arcivescovo – come raccontava in un'intervista – poteva mostrare la sua diretta vicinanza umana ai superstiti di numerosi incidenti aerei o ferroviari. Nei mesi scorsi Francesco ha dichiarato più volte che andrebbe volentieri dai profughi, nei campi del Kurdistan, della Turchia, dell'Iraq.


    Le resistenze non lo preoccupano
    Lo hanno dissuaso, lo hanno tenuto lontano, “per non peggiorare ulteriormente la situazione della sicurezza” lo hanno addirittura implorato di non andare. Non è, gli hanno detto, come a Lampedusa, dove ha potuto semplicemente andare in aereo: un minimo di protocollo, ma una forte testimonianza. Per cui Francesco ha potuto inviare in Medio Oriente solo una lettera. Ma ha parlato al telefono con dei rifugiati in un campo iracheno, ancora la sera di Natale, poco prima della messa di mezzanotte. Almeno quello: “Vi abbraccio, vi sono vicino con tutto il cuore. Pensate: siete come Gesù, che ha dovuto fuggire in Egitto per salvarsi”. Quando poi è entrato in San Pietro per la messa di mezzanotte, passando accanto ai più di cinquemila partecipanti alla cerimonia e agli innumerevoli apparecchi fotografici, tablet e cellulari che incessantemente scattavano foto, qualcuno per la prima volta ha notato quanto piccolo sia davvero Francesco. Un'impressione che riferiscono tutti coloro che hanno potuto stringergli personalmente la mano o che in occasione della messa di mezzanotte hanno potuto abbracciarlo. Dopo che di lui conoscevano solo le riprese televisive, ne avevano sentito parlare tanto, se ne erano fatti una certa immagine, e poi per la prima volta lo vedono davanti a sé, senza papamobile, a piedi...
    Francesco è robusto, cammina – anche se visibilmente con problemi all'anca – con passo deciso. Per i dolori, lui settantottenne, fatica molto ad inginocchiarsi, ma a parte “i malanni che proprio alla mia età diventano evidenti”, dice, “sono nelle mani di Dio e posso tenere un ritmo di lavoro più o meno buono”.


    faccio semplicemente ciò che devo fare”
    Ma per quanto tempo ancora? Quando durante l'estate gli hanno chiesto – nessun papa ha rilasciato tante intervista come Francesco, nessuno ha tolto così tanti ostacoli tra la carica e la persona – quando gli hanno chiesto come vivesse la nuova situazione: prima solo un piccolo vescovo “alla fine del mondo”, oggi un papa di grande popolarità, rispose: “Sopporto questo ringraziando Dio del fatto che il suo popolo sia felice. Interiormente penso ai miei peccati e ai miei errori, per non cadere vittima di illusioni. So anche che questo non durerà a lungo: due, tre anni, e poi, alla casa del
    Padre”. Fino a quel momento, però: avanti senza indugi. Resistenze nella curia contra la sua riforma organizzativa e finanziaria? Resistenze tra i vescovi che sostengono che Francesco “disturbi” con la sua discussione aperta sulla morale matrimoniale e familiare, la dottrina cattolica “consacrata e sempre valida”? No, tutto questo non lo preoccupa. “Non sarebbe normale se non ci fossero differenze di opinione”. Ritiene che Dio sia buono con lui e che gli abbia quindi dato “una sana dose di incoscienza”. “Faccio semplicemente ciò che devo fare”.
    Il giorno di Natale, alla benedizione “urbi et orbi”, Francesco ha espressamente chiesto al cardinale Gerhard Ludwig Müller di essere accanto a lui alla loggia di San Pietro. Quell'uomo alto due metri, a capo della Congregazione per la dottrina della fede, era tra i cinque famosi teologi che prima del sinodo sulla famiglia in ottobre avevano infuriato contro la linea di apertura di Francesco con un libro appositamente pubblicato. Ora per la festa di Natale, Müller era lì, con volto decisamente contratto, a fianco del papa. Un segno.


    Pietro Parolin – diplomatico capo del papa
    Un'altra persona, che ci si sarebbe aspettati ci fosse, non era invece lassù. Ma quest'altro è presente per cose che Francesco preferisce portare avanti in segreto, anche se con forte impegno. Mancava Pietro Parolin, il direttore della Segreteria di Stato, primo uomo dell'apparato di curia, ma prima di tutto: diplomatico capo del papa in un periodo terribile di crisi, che Francesco ha già descritto come “una terza guerra mondiale a pezzi”. Solo pochi giorni fa, il Segretario di Stato tanto discreto quanto efficiente, aveva ottenuto un grandioso successo per la diplomazia vaticana: per i servigi di mediazione nell'avvicinamento tra Cuba e gli USA, il papa è stato lodato in tutto il mondo, non solo da Barack Obama personalmente. Ma al vertice del “centro competente” vaticano c'era il cardinal Parolin, che compirà tra poco i sessant'anni, originario del Veneto, figlio di un negoziante di ferramenta e di una maestra elementare.


    Il diplomatico capo mantiene in gioco il papa come mediatore
    Il predecessore di Parolin, il cardinale Tarcisio Bertone, veniva dalla Congregazione per la dottrina della fede di Ratzinger. Parolin viene dalla scuola della diplomazia vaticana. Questo cambia lo sguardo sul mondo e il modo di rapportarsi al mondo. Bertone stava a Genova e a Roma, Parolin in Nigeria, Messico, Venezuela. E 17 anni al “ministero degli esteri” alla curia, dove i suoi collaboratori lo apprezzano molto come capo. Quando Francesco in agosto, rientrando dal viaggio in Corea, ottenne da Pechino, come primo papa, il permesso di volare nello spazio aereo cinese, i media si sono chiesti se ci fossero alla fine dei progressi nei rapporti diplomatici tra il Vaticano e la Cina, se ci fosse un avvicinamento nella disputa tra la chiesa sotterranea perseguitata e la chiesa politicamente riconosciuta, dopo decenni di trattative infruttuose.
    Quando il Dalai Lama alcuni giorni fa arrivò a sorpresa a Roma, ma non fu ricevuto dal papa - “so che in alcuni luoghi la mia presenza crea problemi” - i media si chiesero nuovamente: forse il Vaticano e Pechino sono forse vicini all'apertura decisiva? Beh, rispose Parolin, “una fase positiva, prospettive promettenti”. Era molto? Era poco?


    Il papa come mediatore neutrale
    Siria, Iraq, Kurdistan. Il Vaticano – come a Cuba – non ha lì alcun interesse politico, eccetto la protezione delle minoranze cristiane e di altre religioni in quel – secondo le parole di Francesco - “ecumenismo del sangue” che unisce tutte le vittime del cosiddetto Stato Islamico. Parolin cerca di mantenere in gioco il papa come mediatore neutrale. Ma con chi parlare? L'università Al-Azhar al Cairo, il più alto organismo dell'islam sunnita, dopo lunga pressione del Vaticano ha ora condannato ogni violenza motivata religiosamente contro non-musulmani. È molto? È poco? E poi il conflitto in Ucraina, in Crimea, in cui il Vaticano stesso è coinvolto, accusato - da parte del patriarcato ortodosso amico di Putin in questo caso – di portare con l'adescamento di credenti ucraini il nazionalismo occidentale nella “sacra patria” della fede russo-ortodossa.
    A quel punto si è spaccata anche la Segreteria di Stato di Parolin e la sua voce è diventata molto sommessa. Per molti, in casa Parolin, fino ad allora Putin era apparso come il forte garante di valori morali cristiani ed ora, di nuovo, una settimana fa, l'Osservatore Romano, giornale ufficiale del Vaticano, ha pubblicato in questo senso un violento attacco del patriarca di Mosca, Cirillo: “È evidente che la civiltà occidentale, la cultura occidentale contemporanea ha perso ogni rapporto con la religione e non si può più definire l'Occidente come un mondo cristiano”. 


    Che il mondo possa “lasciarsi accarezzare”
    In Vaticano, che ha imparato a considerare la società occidentale nel senso di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI come “cultura della morte”, e che solo con Francesco viene esortato a condannare solo il necessario - “questa economia uccide!” - e per altre cose a guardare con più precisione alla realtà della vita, non pochi la pensano come il patriarca di Mosca. Ma quali conseguenze politiche ha questo nel “capitolo Europa” della Terza Guerra Mondiale?
    Parolin, diplomatico capo del Vaticano, a Natale non si è fatto vedere. Ma la vigilia di Natale il mondo ha visto – questa volta perfino alla TV in 3D – un papa in San Pietro, che non corrispondeva affatto ai toni duri con cui si era espresso prima e dopo. Che il mondo possa lasciarsi accarezzare, ha predicato, dalla “tenerezza” di un Dio che si è fatto uomo, che si è fatto bambino. E al termine della messa di mezzanotte Francesco ha preso il Gesù Bambino di legno dal presepe tra le braccia e lo ha portato come un neonato attraverso la basilica di San Pietro. Lo ha fatto senza parole, ma con quell'unica lingua che viene capita in tutto il mondo senza bisogno di traduzione: la lingua dei gesti.
    Con quella, Francesco si esprime benissimo.


    [Fonte in “www.tagesspiegel.de” del 28 dicembre 2014]

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    00 15/01/2015 15:59

    Papa Francesco condanna la strage di Charlie Hebdo,
    ma "non si può insultare la fede"

    "È una aberrazione uccidere in nome di Dio" ma "non si può insultare la fede degli altri". Con queste parole, pronunciate a bordo dell’aereo diretto nelle Filippine e riferite da Radio VaticanaPapa Francescointerviene sull’azione dei terroristi islamici a Parigi contro Charlie Hebdo. "Non si può prendere in giro la fede", avverte il Papa.  "C’è un limite, quello della dignità di ogni religione". Per Bergoglio, sia la libertà di espressione che quello di una fede a non essere ridicolizzata "sono due diritti umani fondamentali". Alla domanda di un cronista francese che gli chiedeva "fino a che punto si può andare con la libertà di espressione", il Pontefice ha chiarito: sì alla libera espressione "ma se il mio amico dice una parolaccia sulla mia mamma, si aspetti un pugno". Questo il limite che secondo il Papa regola la libertà religiosa: "Non si 'giocattolizza' la religione degli altri", dice Bergoglio. Francesco ha ricordato che la "libertà di espressione è un diritto, ma anche un dovere". Neppure, dice il Papa, "si offende la religione", ma in questo caso "non si reagisce con violenza". Poi ha spiegato, "senza mancare di rispetto a nessuno" che "dietro ogni attentato suicida c'è uno squilibrio, non so se mentale, ma certamente umano".

    Violenza - In una nota diramata subito dopo la strage Bergoglio aveva condannato "ogni forma di violenza, fisica e morale, che distrugge la vita umana, viola la dignità delle persone, mina radicalmente il bene fondamentale della convivenza pacifica fra le persone e i popoli, nonostante le differenze di nazionalità, di religione e di cultura". Il Papa aveva precisato che "qualunque possa esserne la motivazione, la violenza omicida è abominevole, non è mai giustificabile e la vita e la dignità di tutti vanno garantire e tutelate con decisione. Ogni istigazione all’odio va rifiutata, il rispetto dell’altro va coltivato". E ancora: tre giorni fa Bergoglio, ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, aveva detto che "la tragica strage avvenuta a Parigi" è una dimostrazione che "gli altri non sono più percepiti come esseri di pari dignità, come fratelli e sorelle in umanità, ma vengono visti come oggetti: l’essere umano da libero diventa schiavo, ora delle mode, ora del potere, ora del denaro e perfino di forme fuorviate di religione".

    Allarme terrorismo - Rispetto alle minacce dirette dai terroristi fondamentalisti di matrice islamica contro il  Vaticano e il pontefice, Papa Francesco assicura di affrontare questo pericolo "con una buona dose di incoscienza". Il Papa - come riferisce ancora Radio Vaticana - afferma semmai di "temere soprattutto per l’incolumità della gente", con migliaia di fedeli che tradizionalmente affollano le sue udienze generali in piazza San Pietro e gli ’Angelus’ dal Palazzo Apostolico e sottolinea che "il miglior modo per rispondere alla violenza è la mitezza".


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    00 22/01/2015 10:00
    l’incontro colloquiale che Papa Francesco ha avuto con 30.000 giovani universitari a Manila:


    “Cari giovani,
    è una gioia per me stare oggi con voi. Saluto cordialmente ciascuno di voi e ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile questo incontro. Nel corso della mia visita alle Filippine, ho voluto in modo particolare incontrarmi con voi giovani, per parlare con voi. Desidero esprimere l’amore e la speranza che la Chiesa ha per voi. E voglio incoraggiarvi, come cittadini cristiani di questo Paese, a dedicarvi con passione e con onestà al grande impegno di rinnovare la vostra società e di contribuire a costruire un mondo migliore.
    In modo speciale, ringrazio i giovani che mi hanno rivolto parole di benvenuto: Jun, Leandro e Rikki. Grazie tante!
    Un po’… sulla piccola rappresentazione delle donne. Troppo poco! Le donne hanno molto da dirci nella società di oggi. A volte siamo troppo maschilisti, e non lasciamo spazio alla donna. Ma la donna sa vedere le cose con occhi diversi dagli uomini. La donna sa fare domande che noi uomini non riusciamo a capire. Fate attenzione: lei [indica Jun] oggi ha fatto l’unica domanda che non ha risposta. E non le venivano le parole, ha dovuto dirlo con le lacrime. Così, quando verrà il prossimo Papa a Manila, che ci siano più donne! Ti ringrazio, Jun, che hai presentato con tanto coraggio la tua esperienza. Come ho detto prima, il nucleo della tua domanda quasi non ha risposta. Solo quando siamo capaci di piangere sulle cose che voi avete vissuto possiamo capire qualcosa e rispondere qualcosa. La grande domanda per tutti: perché i bambini soffrono? Perché i bambini soffrono? Proprio quando il cuore riesce a porsi la domanda e a piangere, possiamo capire qualcosa. C’è una compassione mondana che non serve a niente! Una compassione che tutt’al più ci porta a mettere mano al borsellino e a dare una moneta.
    Se Cristo avesse avuto questa compassione avrebbe passato, curato tre o quattro persone e sarebbe tornato al Padre. Solamente quando Cristo ha pianto ed è stato capace di piangere ha capito i nostri drammi.
    Cari ragazzi e ragazze, al mondo di oggi manca il pianto! Piangono gli emarginati, piangono quelli che sono messi da parte, piangono i disprezzati, ma quello che facciamo una vita più meno senza necessità non sappiamo piangere. Certe realtà della vita si vedono soltanto con gli occhi puliti dalle lacrime. Invito ciascuno di voi a domandarsi: io ho imparato a piangere? Quando vedo un bambino affamato, un bambino drogato per la strada, un bambino senza casa, un bambino abbandonato, un bambino abusato, un bambino usato come schiavo per la società? O il mio è il pianto capriccioso di chi piange perché vorrebbe avere qualcosa di più? Questa è la prima cosa che vorrei dirvi: impariamo a piangere, come lei [Jun] ci ha insegnato oggi.
    Non dimentichiamo questa testimonianza. La grande domanda: perché i bambini soffrono?, l’ha fatta piangendo e la grande risposta che possiamo dare tutti noi è imparare a piangere. Gesù nel Vangelo ha pianto, ha pianto per l’amico morto. Ha pianto nel suo cuore per quella famiglia che aveva perso la figlia. Ha pianto nel suo cuore quando ha visto quella povera madre vedova che portava al cimitero suo figlio. Si è commosso e ha pianto nel suo cuore quando ha visto la folla come pecore senza pastore. Se voi non imparate a piangere non siete buoni cristiani. E questa è una sfida. Jun ci ha lanciato questa sfida. E quando ci fanno la domanda: perché i bambini soffrono?, perché succede questo o quest’altro di tragico nella vita?, che la nostra risposta sia il silenzio o la parola che nasce dalle lacrime. Siate coraggiosi, non abbiate paura di piangere! E poi è venuto Leandro Santos. Lui ha posto delle domande sul mondo dell’informazione. Oggi con tanti media siamo superinformati: questo è un male? No. Questo è bene e aiuta, però corriamo il pericolo di vivere accumulando informazioni. E abbiamo tante informazioni, ma forse non sappiamo che farcene. Corriamo il rischio di diventare “giovani-museo”, che hanno tutto ma non sanno che farsene. Non abbiamo bisogno di giovani-museo, ma di giovani sapienti! Mi potreste chiedere: Padre, come si arriva ad essere sapienti? E questa è un’altra sfida, la sfida dell’amore. Qual è la materia più importante che bisogna imparare all’università? Qual è la più importante da imparare nella vita? Imparare ad amare! E questa è la sfida che la vita pone a voi oggi. Imparare ad amare! Non solo accumulare informazioni e non sapere che farsene. E’ un museo. Ma attraverso l’amore far sì che questa informazione sia feconda. Per questo scopo il Vangelo ci propone un cammino sereno, tranquillo: usare i tre linguaggi: il linguaggio della mente, il linguaggio del cuore e il linguaggio delle mani. E questi tre linguaggi in modo armonioso: quello che pensi lo senti e lo realizzi. La tua informazione scende al cuore, lo commuove e lo realizza. E questo armoniosamente: pensare ciò che si sente e ciò che si fa. Sentire ciò che penso e che faccio; fare ciò che penso e che sento. I tre linguaggi. Siete capaci di ripetere i tre linguaggi a voce alta? Il vero amore è amare e lasciarmi amare. E’ più difficile lasciarsi amare che amare. Per questo è tanto difficile arrivare all’amore perfetto di Dio, perché possiamo amarlo, ma la cosa importante è lasciarsi amare da Lui. Il vero amore è aprirsi a questo amore che ci precede e che ci provoca una sorpresa. Se voi avete solo tutta l’informazione siete chiusi alle sorprese; l’amore ti apre alle sorprese, l’amore è sempre una sorpresa perché presuppone un dialogo a due. Tra chi ama e chi è amato. E di Dio diciamo che è il Dio delle sorprese perché Lui ci ha amati per primo e ci aspetta con una sorpresa. Dio ci sorprende.. Lasciamoci sorprendere da Dio! E non abbiamo la psicologia del computer di credere di sapere tutto. Com’è questa cosa? Un attimo e ilcomputer ti dà tutte le risposte, nessuna sorpresa. Nella sfida dell’amore Dio si manifesta con delle sorprese. Pensiamo a san Matteo: era un buon commerciante, in più tradiva la sua patria perché prendeva le tasse dei giudei per darle ai romani, era pieno di soldi e prendeva le tasse. Passa Gesù, lo guarda e gli dice: vieni! Quelli che stavano con Lui dicono: Chiama questo che è un traditore, un infame? E lui si attacca al denaro. Ma la sorpresa di essere amato lo vince e segue Gesù. Quella mattina quando si aveva salutato sua moglie non avrebbe mai pensato che sarebbe tornato senza denaro e di fretta per dire a sua moglie di preparare un banchetto. Il banchetto per colui che lo aveva amato per primo. Che lo aveva sorpreso con qualcosa di più importante di tutti i soldi che aveva. Lasciati sorprendere dall’amore di Dio! Non abbiate paura delle sorprese, che ti scuotono, ti mettono in crisi, ma ci mettono in cammino. Il vero amore ti spinge a spendere la vita anche a costo di rimanere a mani vuote. Pensiamo a san Francesco: lasciò tutto, morì con le mani vuote ma con il cuore pieno.
    D’accordo? Non giovani da museo, ma giovani sapienti. Per essere sapienti, usare i tre linguaggi: pensare bene, sentire bene e fare bene. E per essere sapienti, lasciarsi sorprendere dall’amore di Dio, e vai, e spendi la vita! Grazie per il tuo contributo di oggi! E quello che è venuto con un buon programma per aiutarci a vedere come possiamo fare nella vita è stato Rikki! Ha raccontato tutte le attività, tutto quello che fanno, tutto quello che vogliono fare. Grazie Rikki! Grazie per quello che fate tu e i tuoi compagni. Però ti voglio fare una domanda: tu e i tuoi amici vi impegnate a dare, date, date, date, aiutate… ma lasci che ti diano?... Rispondi nel tuo cuore. Nel Vangelo che abbiamo ascoltato poco fa, c’è una frase che per me è la più importante di tutte: dice il Vangelo che Gesù, quel giovane, lo guardò e lo amò (cfr Mc 10,21). Quando uno vede il gruppo di Rikki e i suoi compagni, li ama molto perché fanno cose molto buone, però la frase più importante che dice Gesù è: «Una cosa sola ti manca» (Mc 10,21). Ognuno di noi ascolti in silenzio questa parola di Gesù: «Una cosa sola ti manca».
    Che cosa mi manca? A tutti quelli che Gesù ama tanto perché danno tanto agli altri io domando: voi lasciate che gli altri vi diano di quell’altra ricchezza che voi non avete? I sadducei, i dottori della legge dell’epoca di Gesù davano molto al popolo, davano la legge, insegnavano, ma non hanno mai lasciato che il popolo desse loro qualcosa. E’ dovuto venire Gesù per lasciarsi commuovere dal popolo. Quanti giovani come voi che sono qui sanno dare però non sono altrettanto capaci di ricevere! «Una cosa sola ti manca». Questo è ciò che ci manca: imparare a mendicare da quelli a cui diamo. Questo non è facile da capire: imparare a mendicare. Imparare a ricevere dall’umiltà di quelli che aiutiamo. Imparare ad essere evangelizzati dai poveri. Le persone che aiutiamo, poveri, malati, orfani, hanno molto da darci. Mi faccio mendicante e chiedo anche questo? Oppure sono autosufficiente e so soltanto dare? Voi che vivete dando sempre e credete che non avete bisogno di niente, sapete che siete veramente poveri? Sapete che avete una grande povertà e bisogno di ricevere? Ti lasci aiutare dai poveri, dai malati e da quelli che aiuti? Questo è ciò che aiuta a maturare i giovani impegnati come Rikki nel lavoro di dare agli altri: imparare a tendere la mano a partire dalla propria miseria.
    Ci sono alcuni punti che avevo preparato. Il primo, che già ho detto, imparare ad amare e a lasciarsi amare.
    C’è un’altra sfida, che è la sfida dell’integrità morale. Questo non soltanto a causa del fatto che il vostro Paese, più di altri, rischia di essere seriamente colpito dal cambiamento climatico. E’ la sfida del prendersi cura dell’ambiente. E infine c’è la sfida per i poveri. Amare i poveri. I nostri Vescovi vogliono che siate attenti ai poveri soprattutto in questo “Anno dei poveri”. Voi pensate ai poveri? Sentite con i poveri? Fate qualcosa per i poveri? E chiedete ai poveri di darvi quella sapienza che loro hanno? Questo è ciò che volevo dirvi. Perdonatemi perché non ho letto quasi niente di ciò che avevo preparato Ma c’è una espressione che mi consola un po’: “La realtà è superiore all’idea”. E la realtà che voi avete presentato, la realtà che voi siete è superiore a tutte le risposte che io avevo preparato. Grazie!”


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    00 17/02/2015 10:33
    Il Papa. Anche negli atei c’è la presenza di Dio

    16 febbraio 2015 - Nessun Commento »

    di Andrea Tornielli - La Stampa 16.02.2015
















    La Chiesa non condanna eternamente nessuno «La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno», ciò che conta «è salvare i lontani, reintegrare tutti» anche se questo oggi come duemila anni fa «scandalizza qualcuno». C’è la logica «dei dottori della legge», che è quella di «emarginare il pericolo allontanando la persona contagiata»; e «la logica di Dio, che con la sua misericordia, abbraccia e accoglie».

    Un Dio che «è presente anche in coloro che hanno perso la fede, o che si dichiarano atei». Perciò i cristiani non devono isolarsi «in una casta» senza «voler stare con gli emarginati».

    Lo sguardo del pastore

    Francesco ieri mattina in San Pietro, davanti ai nuovi e vecchi cardinali, ha pronunciato una delle omelie più importanti del pontificato, che esprime in profondità il suo sguardo di pastore ed è destinata a marcare anche il percorso verso il Sinodo sulla famiglia del prossimo ottobre.

    Il Papa come sempre ha predicato a partire dalle Letture del giorno, in particolare l’episodio evangelico della guarigione del lebbroso, che secondo la legge mosaica andava emarginato dalla città e isolato. «Gesù, nuovo Mosè – dice Francesco – ha voluto guarire il lebbroso, l’ha voluto toccare, l’ha voluto reintegrare nella comunità», senza pregiudizi, senza preoccuparsi del contagio, e senza «i soliti rimandi per studiare la situazione e tutte le eventuali conseguenze!». Gesù, spiega Bergoglio, non fa caso «alle persone chiuse che si scandalizzano di fronte a qualsiasi apertura, a qualsiasi passo che non entri nei loro schemi mentali e spirituali, a qualsiasi carezza o tenerezza che non corrisponda alle loro abitudini di pensiero e alla loro purità ritualistica».

    No al pregiudizio

    La finalità della norma mosaica era di «salvare i sani, proteggere i giusti e, per salvaguardarli da

    ogni rischio, emarginare “il pericolo” trattando senza pietà il contagiato». Ma Gesù «rivoluziona e scuote con forza» quella mentalità «chiusa nella paura e autolimitata dai pregiudizi». Non abolisce la legge di Mosè ma «la porta a compimento». La strada della Chiesa, sottolinea con forza il Papa, «è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione. Questo non vuol dire – precisa – sottovalutare i pericoli o fare entrare i lupi nel gregge, ma accogliere il figlio prodigo pentito; sanare con determinazione e coraggio le ferite del peccato; rimboccarsi le maniche e non rimanere a guardare passivamente la sofferenza del mondo.

    La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; la strada della Chiesa è proprio quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle “periferie” dell’esistenza».

    La carità

    La carità, aggiunge Francesco, «non può essere neutra, indifferente, tiepida o imparziale! La carità contagia, appassiona, rischia e coinvolge! Perché la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita! La carità è creativa nel trovare il linguaggio giusto per comunicare con tutti coloro che vengono ritenuti inguaribili e quindi intoccabili».

    «Cari nuovi cardinali – è l’appello del Papa – questa è la strada della Chiesa: andare a cercare, senza pregiudizi e senza paura, i lontani manifestando loro gratuitamente ciò che noi abbiamo gratuitamente ricevuto». I cristiani non devono essere tentati di isolarsi «in una casta che nulla ha di autenticamente ecclesiale». «Vi esorto – conclude – a vedere il Signore in ogni persona esclusa che ha fame, che ha sete, che è nuda; il Signore che è presente anche in coloro che hanno perso la fede, o che si sono allontanati dal vivere la propria fede, o che si dichiarano atei… Sul vangelo degli emarginati, si scopre e si rivela la nostra credibilità!».
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    00 07/09/2015 17:07
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    Francesco: nella Chiesa c'è una malattia, seminare divisione


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    Nella Chiesa c’è una malattia: quella di seminare divisione e zizzania. I cristiani, invece, sono chiamati a pacificare e riconciliare, coma ha fatto Gesù: è quanto ha detto il Papa nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il servizio diSergio Centofanti:


    Semino pace o zizzania?


    Nella Lettera ai Colossesi San Paolo mostra la carta d’identità di Gesù, che è il primogenito di Dio - ed è Dio stesso - e il Padre lo ha inviato per “riconciliare e pacificare”  l’umanità con Dio dopo il peccato. “La pace è opera di Gesù” – ha detto il Papa - di quel suo “abbassarsi per obbedire fino alla morte e morte di Croce". “E quando noi parliamo di pace o di riconciliazione, piccole paci, piccole riconciliazioni, dobbiamo pensare alla grande pace e alla grande riconciliazione” che “ha fatto Gesù. Senza di Lui non è possibile la pace. Senza di Lui non è possibile la riconciliazione”. “Il compito nostro” – ha sottolineato Papa Francesco – in mezzo alle “notizie di guerre, di odio, anche nelle famiglie” – è essere “uomini e donne di pace, uomini e donne di riconciliazione”:


    “E ci farà bene domandarci: ‘Io semino pace? Per esempio, con la mia lingua, semino pace o semino zizzania?’. Quante volte abbiamo sentito dire di una persona: ‘Ma ha una lingua di serpente!’, perché sempre fa quello che ha fatto il serpente con Adamo ed Eva, ha distrutto la pace. E questo è un male, questa è una malattia nella nostra Chiesa: seminare la divisione, seminare l’odio, seminare non la pace. Ma questa è una domanda che tutti i giorni fa bene che noi ce la facciamo: ‘Io oggi ho seminato pace o ho seminato zizzania?’. ‘Ma, alle volte, si devono dire le cose perché quello e quella…’: con questo atteggiamento cosa semini tu?”.


    Chi porta pace è santo, chi "chiacchiera" è come un terrorista
    I cristiani, dunque, sono chiamati ad essere come Gesù, che “è venuto da noi per pacificare, per riconciliare”:

    “Se una persona, durante la sua vita, non fa altra cosa che riconciliare e pacificare la si può canonizzare: quella persona è santa. Ma dobbiamo crescere in questo, dobbiamo convertirci: mai una parola che sia per dividere, mai, mai una parola che porti guerra, piccole guerre, mai le chiacchiere. Io penso: cosa sono le chiacchiere? Eh, niente, dire una parolina contro un altro o dire una storia: ‘Questo ha fatto…’. No! Fare chiacchiere è terrorismo perché quello che chiacchiera è come un terrorista che butta la bomba e se ne va, distrugge: con la lingua distrugge, non fa la pace. Ma è furbo, eh? Non è un terrorista suicida, no, no, lui si custodisce bene”.

    Mordersi la lingua
    Papa Francesco ripete una piccola esortazione:

    “Ogni volta che mi viene in bocca di dire una cosa che è seminare zizzania e divisione e sparlare di un altro… Mordersi la lingua! Io vi assicuro, eh? Che se voi fate questo esercizio di mordersi la lingua invece di seminare zizzania, i primi tempi si gonfierà così la lingua, ferita, perché il diavolo ci aiuta a questo perché è il suo lavoro, è il suo mestiere: dividere”.

    Quindi, la preghiera finale: “Signore tu hai dato la tua vita, dammi la grazia di pacificare, di riconciliare. Tu hai versato il tuo sangue, ma che non mi importi che si gonfi un po’ la lingua se mi mordo prima di sparlare di altri”.

    (Da Radio Vaticana)

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    00 06/11/2015 11:36

    Il Papa ha spiegato che “nel Vangelo il Signore ci fa vedere l’immagine di un altro servo, che invece di servire gli altri si serve degli altri. Abbiamo letto cosa ha fatto questoservo, con quantascaltrezza si è mosso, per rimanere al suo posto. Anche nella Chiesa – ha sottolineato Bergoglio – ci sono questi, che invece di servire, di pensare agli altri, di gettare le basi, si servono della Chiesa: gli arrampicatori, gli attaccati ai soldi. E quantisacerdoti, vescovi abbiamo visto così. È triste dirlo, no? La radicalità del Vangelo, della chiamata di Gesù Cristo: servire, essere al servizio di, non fermarsi, andare oltre sempre, dimenticandosi di se stessi. E la comodità dello status: io ho raggiunto uno status e vivo comodamente senza onestà, come quei farisei dei quali parla Gesù che passeggiavano nelle piazze, facendosi vedere dagli altri”.




    Per Francesco ci sono “due immagini di cristiani, di preti e di suore. E Gesù ci fa vedere questo modello in san Paolo, questa Chiesa che mai è ferma, che sempre va avanti e ci fa vedere che quella è la strada”. Ma per Bergoglio, invece, “quando la Chiesa è tiepida, chiusa in se stessa, anche affarista tante volte, questo non si può dire, che sia una Chiesa che ministra, che sia al servizio, bensì che si serve degli altri. Che il Signore – ha chiesto il Papa – ci dia la grazia che ha dato a san Paolo, quel punto d‘onore di andare sempre avanti, sempre, rinunciando alle proprie comodità tante volte, e ci salvi dalle tentazioni, da queste tentazioni che in fondo sono tentazioni di una doppia vita: mi faccio vedere come ministro, cioè come quello che serve, ma in fondo mi servo degli altri”.


    Ma per Bergoglio esistono anche esempi di cristiani coerenti con il Vangelo. “Io vi dico – ha confidato il Papa nell’omelia – quanta gioia ho, io, che mi commuovo, quando in questa messa vengono alcuni preti e mi salutano: ‘Oh padre, sono venuto qui a trovare i miei, perché da 40 anni sono missionario in Amazzonia’. O una suora che dice: ‘No, io lavoro da 30 anni in ospedale in Africa’. O quando trovo la suorina che da 30, 40 anni è nel reparto dell’ospedale con i disabili, sempre sorridente. Questo si chiama servire, questa è la gioia della Chiesa: andare oltre, sempre; andare oltre e dare la vita. Questo è quello che ha fatto san Paolo: servire”.



    [Modificato da Credente 06/11/2015 11:37]
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    Credente
    00 14/11/2015 16:25

    Attentato a Parigi, il dolore di Papa Francesco:
    «nessuna giustificazione religiosa»

    Nell’intervista telefonica a TV2000 (qui sotto il video) colpisce la voce provata e addolorata, non avevamo mai sentito il Papa cosi moralmente sofferente: «Sono commosso e addolorato. Non capisco, sono cose difficili da capire…fatte da esseri umani. Per questo sono commosso e addolorato, e prego. Sono tanto vicino al popolo francese, ai familiari delle vittime e prego per ognuno di loro». Le parole sono scandite lentamente, con lunghe pause di commozione. La terza guerra mondiale combattuta a pezzi, «questo è uno dei pezzi. Non c’è nessuna giustificazione religiosa e umanaper queste cose, questo non è umano».

    Nessuna giustificazione religiosa e umana per quanto avvenuto. La religione non c’entra nulla con quanto avvenuto, si tratta di persone gravemente disturbate, è un abuso della religione, come lo stesso Francesco ha detto in un’altra occasione: «non si deve permettere che le credenze religiose vengano abusate per la causa della violenza». La storia e l’attualità ci insegnano che quella islamica è purtroppo la religione dove il radicalismo irrazionale è molto più radicato, fin nelle fondamenta. Tuttavia, come ha ricordato sempre Papa Francesco, «di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza».

    Allo stesso tempo il Pontefice ha comunque invitato i leader islamici a condannare e apertamente prendere le distanze da questi abusi, così da isolare i terroristi: «credo che – almeno io credo, sinceramente – che non si possa dire che tutti gli islamici sono terroristi: non si può dire. Sarebbe bello che tutti i leader islamici – siano leader politici, leader religiosi o leader accademici – parlino chiaramente e condannino quegli atti, perché questo aiuterà la maggioranza del popolo islamico a dire “no”; ma davvero, dalla bocca dei suoi leader: il leader religioso, il leader accademico, tanti intellettuali, e i leader politici”. Questa è stata la mia risposta. Perché noi tutti abbiamo bisogno di una condanna mondiale, anche da parte degli islamici, che hanno quella identità e che dicano: “Noi non siamo quelli. Il Corano non è questo». Per fortuna è quello che sta accadendo in queste ore con la condanna assoluta da parte dei leader musulmani


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    00 07/01/2016 22:43


    Seguire la strada che ci porta a servire il prossimo, chi ha bisogno, “mettendo alla prova gli spiriti”
     e facendo attenzione a non imboccare direzioni suggerite “dall’anticristo”. Papa Francesco, nella consueta messa mattutina a Santa Marta, ha preso spunto dalla Prima Lettura di San Giovanni Apostolo.”Rimanere in Dio – ha evidenziato il Pontefice – è un po’ il respiro della vita cristiana, e lo stile. Un cristiano, è quello che rimane in Dio che ha lo Spirito Santo e si lascia guidare da Lui”.

    Al tempo stesso, ha ricordato Bergoglio, l’Apostolo mette in guardia dal prestare “fede a ogni spirito”. Bisogna, dunque, mettere “alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio. E questa è la regola quotidiana di vita che ci insegna Giovanni”. Non si tratta, ha avvertito Bergoglio, di “fantasmi”. Si tratta di ”saggiare, vedere cosa succede nel mio cuore, qual è la radice di ciò che sto sentendo adesso, da dove viene? Questo è mettere alla prova per saggiare: se quello che sento viene da Dio o viene dall’altro, ‘dall’anticristo’”.

    Le opere di misericordia, ha avvertito ancora il Pontefice, “sono al centro della nostra fede”. Possiamo fare ”tanti piani pastorali”, ha detto ancora il Papa, immaginare nuovi “metodi per avvicinarci alla gente, ma se non facciamo la strada di Dio venuto in carne, del Figlio di Dio che si è fatto Uomo per camminare con noi, non siamo sulla strada del buon spirito: è l’anticristo, è la mondanità, è lo spirito del mondo”.

    Come di consueto, il Papa ha fatto ricorso ad esempi concreti: “Quanta gente troviamo, nella vita, che sembra spirituale: ‘Ma che persona spirituale, questa!'; ma non parlare di fare opere di misericordia. Perché? Perché le opere di misericordia sono proprio il concreto della nostra confessione che il Figlio di Dio si è fatto carne: visitare gli ammalati, dare da mangiare a chi non ha cibo, aver cura degli scartati … Opere di misericordia: perché? Perché ogni fratello nostro, che dobbiamo amare, è carne di Cristo. Dio si è fatto carne per identificarsi con noi. E quello che soffre è il Cristo che lo soffre”. “Non prestate fede a ogni spirito, state attenti – ha ribadito il Papa – mettete alla prova gli spiriti per saggiare se provengono veramente da Dio”. Il servizio al prossimo, al fratello, alla sorella che ha bisogno anche, di un consiglio, che ha bisogno del mio orecchio per essere ascoltato, questi sono i segni che andiamo sulla strada del buono spirito, cioè sulla strada del Verbo di Dio che si è fatto carne”.

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    00 15/01/2016 21:08

    Papa Francesco: «la misericordia di Dio?
    E’ infinita, ma prima va riconosciuto il peccato»

    Il nome di Dio è misericordia«La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità: questo è un peccato. Ma allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia infinita di Dio». Queste le parole di Papa Francesco contenute nel libro-intervista “Il nome di Dio è Misericordia” (Piemme 2016), curato da Andrea Tornielli.

    Un testo molto bello che sa mostrare l’inesistenza di una contraddizione tra la misericordia infinita di Dio e il sacramento della Confessione e chiarisce che la Misericordia di cui parla così spesso Francesco non ha nulla a che fare con ilbuonismo o con presunte abolizioni del peccato, come ripetono (con molta furbizia) i giornalisti laicisti e gli improvvisati (a)teologi Antonio Socci ed Eugenio Scalfari.

    Dio è misericordioso perché perdona tutto solo se c’è la consapevolezza del peccato, cioè l’accorgimento e il pentimento di aver fatto scelte o intrapreso strade contrarie alla propria felicità (lo aveva già scritto nella bolla Misericordiae Vultus). Si, perché il peccato è un inciampo sul cammino, uno sbaglio per la propria vita, una negazione della propria felicità. E’ peccato perché è contro noi stessi, innanzitutto. E poi contro Dio, perché Lui ci ha creato perché fossimo lieti, compiuti. Non bisogna evitare il peccato perché “facciamo scontento Dio”, come qualche catechista dice ai bambini. Ma perché facciamo scontenti noi stessi, innanzitutto, allontanandoci dal nostro bene e, quindi, da Dio.

    “Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”, si legge nel Vangelo di Luca (15, 7). «Seguendo il Signore», commenta Papa Francesco, «la Chiesa è chiamata a effondere la sua misericordia su tutti coloro che si riconoscono peccatori, responsabili del male compiuto, che si sentono bisognosi di perdono. La Chiesa non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con quell’amore viscerale che è la misericordia di Dio».

    Illuminante anche la riflessione del Pontefice sulla differenza tra peccatore e corrotto«La corruzione è il peccato che invece di essere riconosciuto come tale e di renderci umili, viene elevato a sistema, diventa un abito mentale, un modo di vivere», ha spiegato Francesco. «Non ci sentiamo più bisognosi di perdono e di misericordia, ma giustifichiamo noi stessi e i nostri comportamenti. Il peccatore pentito, che poi cade e ricade nel peccato a motivo della sua debolezza, trova nuovamente perdono, se si riconosce bisognoso di misericordia. Il corrotto, invece, è colui che pecca e non si pente, colui che pecca e finge di essere cristiano, e con la sua doppia vita dà scandalo. Il corrotto non conosce l’umiltà, non si ritiene bisognoso di aiuto, conduce una doppia vita. Il corrotto si stanca di chiedere perdono e finisce per credere di non doverlo più chiedere. Non ci si trasforma di colpo in corrotti, c’è un declino lungo, nel quale si scivola e che non si identifica semplicemente con una serie di peccati».

    Si può essere peccatori ma non corrotti. Un esempio evangelico è Zaccheo, un grande peccatore ma che non aveva il cuore corrotto, tant’è che riuscì a convertirsi quando Gesù scelse di andare a casa sua, scandalizzando i giornalisti tradizionalisti di allora. «Nel suo cuore peccatore aveva qualcosa che lo salvava dalla corruzione. Era aperto al perdono, il suo cuore avvertiva la propria debolezza, e questo è stato lo spiraglio che ha fatto entrare la forza di Dio». La “Chiesa in uscita”, spesso invocata dal Papa, è Gesù che non ha remore di “uscire” ad incontrare Zaccheo, guardandolo come un uomo ferito mentre da tutti veniva considerato come un ladro, e questo sguardo nuovo su di sé gli ha permesso di percepire il suo peccato e convertirsi. «Il peccatore, nel riconoscersi tale», ha concluso Francesco, «in qualche modo ammette che ciò a cui ha aderito, o aderisce, è falso. Il corrotto, invece, nasconde ciò che considera il suo vero tesoro, ciò che lo rende schiavo, e maschera il suo vizio con la buona educazione, facendo sempre in modo di salvare le apparenze».

    Francesco non inventa nulla ma ribadisce quanto scritto nel Catechismo: la Chiesa condanna il peccato e abbraccia il peccatore. CorrettamenteSandro Magister, il vaticanista più strumentalizzato dagli anti-papisti sedicenti difensori della Tradizione, ha scritto«Francesco, papa della tradizione».


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    00 29/01/2016 12:42

    Lettera del cardinale Bergoglio ai quattro monasteri carmelitani di Buenos Aires in occasione del voto al Senato della Repubblica Argentina sulla proposta di legge intesa a legalizzare il matrimonio e le adozioni omosessuali (approvata il 15 luglio 2010).

    Opus Dei - 10 riflessioni di Papa Francesco sulla famiglia




    Buenos Aires, 22 giugno 2010

    Care sorelle,
    Scrivo queste poche righe a ciascuna di voi che siete nei quattro monasteri di Buenos Aires. Il popolo argentino dovrà affrontare nelle prossime settimane una situazione il cui esito può seriamente ferire la famiglia.

    Si tratta del disegno di legge che permetterà il matrimonio a persone dello stesso sesso. È in gioco qui l’identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli. È in gioco la vita di molti bambini che saranno discriminati in anticipo e privati della loro maturazione umana che Dio ha voluto avvenga con un padre e con una madre. È in gioco il rifiuto totale della legge di Dio, incisa anche nei nostri cuori.
    Ricordo una frase di Santa Teresina quando parla della sua malattia infantile. Dice che l’invidia del Demonio voleva vendicarsi della sua famiglia per l’entrata nel Carmelo della sua sorella maggiore. Qui pure c’è l’invidia del Demonio, attraverso la quale il peccato entrò nel mondo: un’invidia che cerca astutamente di distruggere l’immagine di Dio, cioè l’uomo e la donna che ricevono il comando di crescere, moltiplicarsi e dominare la terra.

    Non siamo ingenui: questa non è semplicemente una lotta politica, ma è un tentativo distruttivo del disegno di Dio. Non è solo un disegno di legge (questo è solo lo strumento) ma è una «mossa» del padre della menzogna che cerca di confondere e d’ingannare i figli di Dio. E Gesù dice che per difenderci da questo accusatore bugiardo ci manderà lo Spirito di Verità.
    Oggi la Patria, in questa situazione, ha bisogno dell’assistenza speciale dello Spirito Santo che porti la luce della verità in mezzo alle tenebre dell’errore. Ha bisogno di questo Avvocato per difenderci dall’incantamento di tanti sofismi con i quali si cerca a tutti i costi di giustificare questo disegno di legge, e che confondono e ingannano perfino persone di buona volontà.

    Per questo mi rivolgo a Voi e chiedo preghiere e sacrificio, le due armi invincibili di santa Teresina. Invocate il Signore affinché mandi il suo Spirito sui senatori che saranno impegnati a votare. Che non lo facciano mossi dall’errore o da situazioni contingenti, ma secondo ciò che la legge naturale e la legge di Dio indicano loro. Pregate per loro e per le loro famiglie che il Signore li visiti, li rafforzi e li consoli. Pregate affinché i senatori facciano un gran bene alla Patria.

    Il disegno di legge sarà discusso in Senato dopo il 13 luglio. Guardiamo a san Giuseppe, a Maria e al Bambino e chiediamo loro con fervore di difendere la famiglia argentina in questo particolare momento. Ricordiamo ciò che Dio stesso disse al suo popolo in un momento di grande angoscia: «Questa guerra non è vostra, ma di Dio».  Che ci soccorrano, difendano e accompagnino in questa guerra di Dio.

    Grazie per quanto farete in questa lotta per la Patria. E per favore vi chiedo anche di pregare per me. Che Gesù vi benedica e la Vergine Santa vi conservi.
    Con affetto
    Jorge Mario Bergoglio, S.J.
    Arcivescovo di Buenos Aires


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    00 22/02/2016 12:29







     


    ANDREA TORNIELLI




    La Chiesa non deve diventare «ideologizzata», ma riflettere la luce di Cristo e la sua parola, non «idee proprie». Lo ha detto Papa Francesco nell'omelia di questa mattina a Santa Marta, celebrando la memoria della nascita di san Giovanni Battista, il precursore di Gesù. Una sintesi delle parole di Bergoglio è come sempre preziosamente fornita dalla Radio Vaticana.



    La figura di Giovanni Battista, ha detto il Papa, non è sempre facile da capire. «Quando pensiamo alla sua vita – ha spiegato – è un profeta», un «uomo che è stato grande e poi finisce come un poveraccio». Lui stesso, ha aggiunto Francesco, lo spiega: «Io sono una voce, una voce nel deserto», ma «è una voce senza Parola, perché la Parola non è lui, è un Altro». Questo è dunque il mistero di Giovanni: «Mai si impadronisce della Parola», Giovanni «è quello che indica, quello che segna». Il “senso della vita di Giovanni – ha aggiunto – è indicare un altro». Francesco ha poi detto di essere colpito dal fatto che la Chiesa scelga come festa di Giovanni un periodo in cui i giorni sono i più lunghi dell’anno, cioè quando «hanno più luce». Giovanni «era l’uomo della luce, portava la luce, ma non era luce propria, era una luce riflessa». Giovanni, ha detto ancora il Papa, citando una famosa metafora dei padri della Chiesa, è «come una luna» e quando Gesù iniziò a predicare, la luce di Giovanni «incominciò a diminuire ad andare giù». Dunque «Voce non Parola, luce, ma non propria».

    «Giovanni - ha spiegato - sembra essere niente. Quella è la vocazione di Giovanni: annientarsi. E quando noi contempliamo la vita di quest’uomo, tanto grande, tanto potente – tutti credevano che fosse lui il Messia – quando contempliamo questa vita, come si annienti fino al buio di un carcere, contempliamo un grande mistero. Noi non sappiamo come sono stati gli ultimi giorni di Giovanni. Non lo sappiamo. Sappiamo soltanto che è stato ucciso, la sua testa su un vassoio, come grande regalo da una ballerina ad un’adultera. Credo che più di questo non si possa andare giù, annientarsi. Quello è stato il fine di Giovanni».

    Francesco che ha quindi paragonato Giovanni alla Chiesa: «La Chiesa esiste per proclamare, per essere voce di una Parola, del suo sposo, che è la Parola. E la Chiesa esiste per proclamare questa Parola fino al martirio. Martirio precisamente nelle mani dei superbi, dei più superbi della terra. Giovanni poteva farsi importante, poteva dire qualcosa di sé...» ma invece «indicava, si sentiva voce, non Parola». Il segreto di Giovanni e che «mai, mai ha preso una verità come propria. Non ha voluto farsi ideologo. L’uomo che si è negato a se stesso, perché la Parola venga su. E noi, come Chiesa, possiamo chiedere oggi la grazia di non diventare una Chiesa ideologizzata…»

    La Chiesa, ha aggiunto, deve ascoltare la Parola di Gesù e farsi voce, proclamarla «con coraggio». «Una Chiesa che sempre sia al servizio della Parola. Una Chiesa che mai prenda niente per se stessa. Oggi nella preghiera abbiamo chiesto la grazia della gioia, abbiamo chiesto al Signore di allietare questa Chiesa nel suo servizio alla Parola, di essere voce di questa Parola, predicare questa Parola. Chiediamo la grazia di imitare Giovanni, senza idee proprie, senza un Vangelo preso come proprietà, soltanto una Chiesa voce che indica la Parola, e questo fino al martirio». 


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    00 07/04/2016 21:36

    Papa Francesco: «il crocifisso resti nei luoghi pubblici,
    no alla paganità laicista»

    croce papaIl 25 marzo 2016, durante la Via Crucis davanti al Colosseo, Papa Francesco ha espresso una preghiera, molto toccante ma anche forte. Dopo le parole sui cristiani perseguitati, in particolare ha colpito questa frase:«O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi in coloro che vogliono toglierti dai luoghi pubblici ed escluderti dalla vita pubblica, nel nome di qualche paganità laicista o addirittura in nome dell’uguaglianza che tu stesso ci hai insegnato». Il video della preghiera lo si può trovare in fondo a questo articolo.

    Molti si sono stupiti per questo intervento sul crocifisso nei luoghi pubblici, evidentemente non abituati a seguire i discorsi del Pontefice. Se ci si reca al nostro dossier, nel capitolo dedicato ai suoi interventi sulla laicità, si possono trovare brani dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudiumcome questo«Un sano pluralismo, che davvero rispetti gli altri ed i valori come tali, non implica una privatizzazione delle religioni, con la pretesa di ridurle al silenzio e all’oscurità della coscienza di ciascuno, o alla marginalità del recinto chiuso delle chiese, delle sinagoghe o delle moschee. Si tratterebbe, in definitiva, di una nuova forma di discriminazione e di autoritarismo. Il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non credenti non deve imporsi in un modo arbitrario che metta a tacere le convinzioni di maggioranze credenti o ignori la ricchezza delle tradizioni religiose».

    Ad inizio del mese scorso, invece, durante un colloquio con il settimanale La vie, il Pontefice ha invitato la Francia a «diventare uno Stato più laico. Una critica che faccio alla Francia è che la laicità risulta talvolta troppo dalla filosofia dei Lumi, per la quale le religioni erano una sottocultura. La Francia non è ancora riuscita a superare questa eredità. Una laicità sana comprende un’apertura a tutte le forme di trascendenza, secondo tutte le differenti tradizioni religiose e filosofiche. La ricerca della trascendenza non è solo un fatto, ma un diritto».

    Francesco promuove un’idea di laicità positiva, mentre esponenti laicisti come Gian Enrico Rusconi l’hanno definita una «visione distorta». La retorica del “paganesimo laicista”, secondo le parole del Papa, si maschera dietro la finta premura di non offendere fedeli di altre religioni. Un travestimento, tuttavia, ormai inutilizzabile certamente dal Natale 2016, più precisamente dall’episodio del preside di Rozzano (MI) che vietò il presepe in nome dell’uguaglianza e del rispetto. Mai era accaduto prima, infatti, che così tanti esponenti islamici si esponessero a favore dei simboli cristiani nella società, addirittura manifestando pubblicamente contro la decisione e facendosi fotografare nell’atto di costruire un presepe.

    In quell’occasione intervenne anche il più importante filosofo francese, Alain Finkielkraut, criticando la visione distorta della laicità francese, spiegando che «non possiamo transigere su ciò che è la nostra storia, è deplorevole che l’Europa non riconosca più le sue radici». Il laico Michele Serra ha giustamente ricordato che togliere crocifissi e presepi per non urtare la sensibilità altrui, è un «gesto islamofobo»«come se non ritenessimo i musulmani in grado di accettare ciò che siamo. Come posso rispettarli se non rispetto me stesso?»Ricordiamo anche che è stato un rabbino ebreo americano, il giurista Joseph Weiler, a difendere il crocifisso nelle aule scolastiche italiane davanti alla Grande Camera del Corte europea dei diritti dell’uomo, convincendo i giudici sulla non discriminazione del simbolo religioso.

    A proposito di discriminazione, rimangono insuperate le parole pubblicate sull’Unità il 25 marzo 1988, di Natalia Ginzburg, scrittrice atea e militante comunista: «il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea di uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il Figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. Chi è ateo cancella l’idea di Dio, ma conserva l’idea del prossimo. Prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi. Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l’idea della croce nel nostro pensiero. Alcune parole di Cristo le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto “ama il prossimo come te stesso”. Erano parole già scritte nell’Antico Testamento, ma sono diventate il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto. Il crocifisso fa parte della storia del mondo».


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    00 09/04/2016 08:05














     



    Coppie e famiglie, l'Esortazione del Papa
    «Non condannare, ma integrare tutti»​
    Realismo e concretezza. L’Amoris laetitia parla il linguaggio dell’esperienza. E «in ordine a tenere i piedi per terra» percorre le molteplici situazioni attuali delle famiglie «così come sono», senza idealizzazioni e astrattismi, a partire da un centro: l’amore. Non quello del sentimentalismo ma quello del «fare il bene». Quello dell’Inno alla carità di San Paolo, senza la quale nessun essere umano può dirsi tale. È questa la sorgente da cui scaturisce l’unità e l’apertura di sguardo con la quale Francesco snoda l’Esortazione, includendo e armonizzando i contributi dei due Sinodi sulla famiglia. 

    Nove capitoli, 325 paragrafi, 264 pagine. La «gioia dell’amore» è un testo non breve, di ampio respiro, che dispone a comprendere, discernere e accompagnare, che incoraggia e orienta a percorsi pastorali nella consapevolezza di essere chiamati come Chiesa «a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle». 

    LA SINTESI UFFICIALE 

    L’Esortazione stimola così a prendersi cura con amore della vita delle singole persone che costituiscono le famiglie nelle diverse circostanze e nei diversi contesti culturali e sociali e apre con fine introspezione a riflessioni che interpellano, senza prestarsi a mere semplificazioni. Il Papa stesso riconosce la presenza di «stili diversi», di «molti e svariati temi» e consiglia di non leggerla in fretta, ma di approfondirla «pazientemente, una parte dopo l’altra». 

    Nella premessa Francesco afferma subito con chiarezza che bisogna uscire dalla sterile contrapposizione tra ansia di cambiamento e applicazione pura e semplice di norme astratte: «I dibattiti che si trovano nei mezzi di comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento, all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche» (AL 2). 

    Il primo capitolo offre la base alla luce della Scrittura, il secondo traccia un quadro della situazione delle famiglie, il terzo della sua vocazione. Seguono due capitoli centrali, il quarto e il quinto, dedicati al tema dell'amore coniugale e familiare e alla vita nella famiglia in senso ampio. Il sesto parla delle prospettive pastorali, il settimo s’incentra sull’educazione dei figli. L’ottavo contiene in particolare le indicazioni per l’accompagnamento e l’integrazione delle situazioni di crisi, di fragilità e di irregolarità. L’ultimo traccia brevi linee di spiritualità familiare. 

    IL DOCUMENTO COMPLETO (PDF)

    Umilità del realismo
    Dopo aver tracciato una panoramica delle problematiche e delle sfide che toccano la le realtà familiari, dalla violenza alle donne allo sfruttamento dei bambini, dal fenomeno migratorio alla negazione ideologica della differenza di sesso alle crisi familiari determinate dalla mancanza della casa e del lavoro, l’umiltà del realismo – afferma Francesco nel secondo capitolo – aiuta a non presentare «un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono» (AL 36). L’idealismo allontana dal considerare il matrimonio quel che è, cioè un «cammino dinamico di crescita e realizzazione». Il Papa invita a una certa “autocritica” di una presentazione non adeguata della realtà matrimoniale e familiare: «Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie» (AL37). 
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    Nel terzo capitolo in maniera sintetica illustra la vocazione alla famiglia secondo il Vangelo così come è stata recepita dalla Chiesa nel tempo, soprattutto sul tema della indissolubilità, della sacramentalità del matrimonio, della trasmissione della vita e della educazione dei figli, dalla Gaudium et spes del Vaticano II, allaFamiliaris consortio di Giovanni Paolo II. E citando spiega spiega che «i pastori per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni» e mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione» (AL 79). 

    L’amore quotidiano
    Con una esegesi puntuale, ispirata e poetica dell’Inno alla carità di San Paolo – che non ha paragone in precedenti documenti papali – il Papa descrive l’amore umano in termini concreti, con introspezione psicologica consapevole della quotidianità dell’amore che è nemica di ogni idealismo: «Non si deve gettare sopra due persone limitate – scrive – il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica “un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio”» (AL 122). 

    Così il quinto capitolo è tutto concentrato sulla fecondità e la generatività dell’amore. Si parla in maniera spiritualmente e psicologicamente profonda dell’egoismo e dell’individualismo, dell’accogliere una nuova vita, dell’attesa della gravidanza, dell’amore di madre e di padre, dei padri assenti, delle relazione tra fratelli e con gli anziani, parenti e amici come fattori di crescita e quindi della famiglia allargata, dell’adozione, del contributo delle famiglie a promuovere una “cultura dell’incontro” e dei doveri sociali. «La famiglia non deve pensare sé stessa come un recinto chiamato a proteggersi dalla società… ma esce da sé nella ricerca solidale» (AL181). «Diventa luogo di integrazione…nessuna famiglia può essere feconda se si concepisce come troppo differente o “separata”» (AL182). 
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    Famiglie «soggetti attivi» della pastorale 
    Il sesto capitolo dell'esortazione è dedicato alle prospettive pastorali. Francesco chiede «una conversione missionaria» di tutta la Chiesa, perché non ci si fermi a «un annuncio meramente teorico e sganciato dai problemi reali delle persone». La pastorale familiare «deve far sperimentare che il Vangelo della famiglia è risposta alle attese più profonde della persona umana» e insiste sulla necessità di una maggiore formazione interdisciplinare e non soltanto dottrinale dei seminaristi per trattare i problemi complessi delle famiglie oggi. Il Papa insiste sul tema del guidare i fidanzati nel cammino di preparazione al matrimonio, dell’accompagnare gli sposi nei primi anni della vita matrimoniale. Si parla anche dei matrimoni misti e di quelli con disparità di culto, e della situazione delle famiglie che hanno al loro interno persone con tendenza omosessuale, dell’accompagnamento delle famiglie colpite da un lutto, delle persone abbandonate, separate o divorziate e si sottolinea l’importanza della recente riforma dei procedimenti per il riconoscimento dei casi di nullità matrimoniale.
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    Si analizzano alcune cause di crisi, tra cui una maturazione affettiva ritardata (AL 239) ed afferma che con un «aiuto adeguato e con l’azione di riconciliazione della grazia una grande percentuale di crisi matrimoniali» si possono superare. «Saper perdonare e sentirsi perdonati è un’esperienza fondamentale nella vita familiare».

    I figli: come educare 
    Particolare attenzione è dedicata ai figli e alla loro educazione nel settimo capitolo: la loro formazione, il paziente realismo, l’educazione sessuale, la trasmissione della fede, e più in generale la vita familiare come contesto educativo. Francesco afferma che «l’ossessione non è educativa, e non si può avere un controllo di tutte le situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi a passare… Se un genitore è ossessionato di sapere dove si trova suo figlio e controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di dominare il suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia» (AL 261). La formazione morale dovrebbe realizzarsi «in modo induttivo», così che «il figlio possa arrivare a scoprire da sé l’importanza di determinati valori, principi e norme, invece di imporgliele come verità indiscutibili».

    Nell’epoca attuale, «a rischio autismo tecnologico» che espone alla manipolazione, «in cui regnano l’ansietà e la fretta tecnologica, compito importante delle famiglie è educare anche alla capacità di attendere. Non si tratta di proibire ai ragazzi di giocare con i dispositivi elettronici, «ma di trovare il modo di generare in loro la capacità di differenziare le diverse logiche e di non applicare la velocità digitale a ogni ambito della vita». 
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    Ai genitori separati Francesco chiede di «mai, mai, mai prendere il figlio come ostaggio! I figli non siano quelli che portano il peso di questa separazione, non siano usati come ostaggi contro l’altro coniuge, crescano sentendo che la mamma parla bene del papà, benché non siano insieme, e che il papà parla bene della mamma».

    Integrazione e distinzione caso per caso
    Alle situazioni «irregolari» sono dedicati i paragrafi 296-312 dell'ottavo capitolo che contiene tre parole chiave: «accompagnare», «discernere» e «integrare». Non viene mai nominata l'ammissione all'Eucaristia nel testo, anche se in una nota si fa riferimento ai «sacramenti». Si spiega che non sono possibili regole canoniche generali, valide per tutti: la via da seguire non è quella della casuistica ma è quella del discernimento caso per caso. Il Papa osserva: «Sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione” (AL 296). E continua: “Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia ‘immeritata, incondizionata e gratuita’”(AL 297). Ancora: “I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale” (AL 298). 

    In questa linea, accogliendo le osservazioni di molti Padri sinodali, il Papa afferma che “i battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni forma di scandalo”. “La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali ... Essi non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa. Le leggi morali non sono pietre. Un pastore «non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone». Sulla “logica della misericordia pastorale” Papa Francesco dice con chiarezza: «A volte ci costa molto dare spazio nella pastorale all’amore incondizionato di Dio. Poniamo tante condizioni alla misericordia che la svuotiamo di senso concreto e di significato reale, e questo è il modo peggiore di annacquare il Vangelo» (AL 311). «Invito i pastori - conclude il Papa - ad ascoltare con affetto e serenità, con il desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone».

    La logica dell’amore incondizionato
    «Nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare. Tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti, e ogni famiglia deve vivere in questo stimolo costante» afferma Francesco nel paragrafo finale. «Non perdiamo la speranza a causa dei nostri limiti, ma neppure rinunciamo a cercare la pienezza di amore e di comunione che ci è stata promessa» (AL 325). 

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    00 29/04/2016 18:25

    Papa Francesco ringrazia il Family Day:
    «avanti così, avete una retta coscienza cristiana»

    family day francescoIl portavoce del Family Day, Massimo Gandolfini, è stato oggi ricevuto in udienza privata da Papa Francesco, il quale ha esortato i difensori della famiglia a proseguire nell’impegno: «vi ringrazio per quello che state facendo», ha detto Francesco.

    «Il Papa si è detto molto soddisfatto»ha spiegato Gandolfini a Radio Vaticana. «Era al corrente dei due“Family Day” del 20 giugno 2015 e del 30 gennaio scorso; ho chiesto proprio esplicitamente se poteva darmi una parola e sostanzialmente il Papa ha detto: “Sono molto contento; la e vi ringrazio per quello che state facendo”; e io gli ho posto proprio la domanda esplicita: “Dobbiamo andare avanti? Vuole dare qualche correzione?”. Mi ha detto: “Andate avanti così; siate un laicato forte, ben formato, con una retta coscienza cristiana“. E poi: “Agite liberamente”».

    Il portavoce del Family Day ha poi raccontato di aver parlato al Papa del disegno di legge sulle unioni civili, garantendo che chi difende la famiglia non è “contro” a nessuno, ma alle «ideologie che sono anche rappresentate per legge». Gandolfini ha poi annunciato la volontà di chiedere l’incostituzionalità della legge chiedendo l’intervento del presidente della Repubblica, nonché la possibilità di indire un referendum abrogativo.

    Non sarà certamente contento il “progressista” Massimo Faggioli, che aveva parlato di «grande freddo» tra il Papa e il Family Day, oggi si è rivelata una giornata di grande freddo sulla sua attendibilità come opinionista.  In realtà, che Papa Francesco fosse ben a conoscenza del Family Day lo si era capito dall’approvazione da parte della Conferenza Episcopale Italiana, nonché dal suo netto intervento pochi giorni del 30 gennaio, quando disse: «la Chiesa ha indicato al mondo che non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione […]. La famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo, appartiene al “sogno” di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell’umanità. Per mezzo del matrimonio e della famiglia Iddio ha sapientemente unite due tra le maggiori realtà umane: la missione di trasmettere la vita e l’amore vicendevole e legittimodell’uomo e della donna, per il quale essi sono chiamati a completarsi vicendevolmente in una donazione reciproca non soltanto fisica, ma soprattutto spirituale».

    Il Pontefice era anche intervenuto pochi giorni prima del referendum sloveno sull’abrogazione del matrimonio gay, vinto dai sostenitori della famiglia, invitando i pellegrini sloveni a «sostenere la famiglia, struttura di riferimento del vivere sociale», esprimendo «apprezzamento all’intera Chiesa slovena in favore della famiglia» e incoraggiando «tutti, specialmente quanti hanno responsabilità pubbliche, a sostenere la famiglia, struttura di riferimento del vivere sociale». Il 14 novembre 2014, infine, Papa Francesco aveva anche incontrato una delegazione di responsabili della Manif Pour Tous“ italiana, l’associazione in difesa della famiglia naturale, congratulandosi con loro per l’importanza dell’attività svolta.


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    00 18/05/2016 13:22

    Papa Francesco:
    «non possiamo accogliere i migranti in modo irrazionale»

    Francesco la croix«Non siamo in grado di aprire le porte in modo irrazionale. La domanda fondamentale da porsi è perché ci sono così tanti migranti oggi e il problema sono le guerre in Medio Oriente e Africa e il sottosviluppo del continente africano. Se c’è la guerra è perché ci sono produttori di armi -produzione giustificata in caso di difesa-, in particolare i trafficanti di armi». Queste le parole di Papa Francesco, apparse stamattina all’interno di una intervista rilasciata a La Croix.

    Francesco ha parlato di diverse tematiche che abbiamo diviso, qui sotto, a seconda degli argomenti.

     

    IMMIGRAZIONE.
    Le parole del Papa arrivano in un delicato momento storico, come quello attuale, in cui il problema dell’immigrazione è sentito da chiunque, accompagnato da un enorme fenomeno di intolleranza e repulsione verso i migranti. E’ giusto opporsi ad una incontrollata apertura dei confini, temere per la sicurezza interna e la già scarsa mancanza di lavoro. Ma l’accoglienza è un dovere cristiano, a patto che sia razionale, equilibrata, proporzionata e regolamentata, come ha appunto detto Francesco: «Non siamo in grado di aprire le porte in modo irrazionale». E ha proseguito:«L’accoglienza peggiore è ghettizzare i migranti, invece di integrarli. A Bruxelles, i terroristi erano belgi, figli di migranti, ma erano in un ghetto. A Londra, il nuovo sindaco (musulmano, ndr) ha prestato giuramento in una cattedrale e probabilmente verrà ricevuto dalla regina. Questo dimostra l’importanza per l’Europa di ritrovare la sua capacità di integrare. Penso a Papa Gregorio Magno, che ha trattato con i cosiddetti barbari, che poi sono stati integrati. Integrazione ancora più necessaria oggi che l’Europa sta vivendo un grave problema del basso tasso di natalità a causa della ricerca egoistica del benessere».

    ISLAM E CONVIVENZA CON I CRISTIANI.
    Francesco viene spesso accusato di non voler condannare l’Islam come causa del terrorismo, ed invece, come ha spiegato Vittorio Messori, è un giusto approccio di distinzione tra musulmani e terroristi. Se è vero che tutti i terroristi sono musulmani, è altrettanto giusto ricordare che non tutti i musulmani sono terroristi. Il Pontefice sa benissimo che l’origine del terrorismo è sia politica che religiosa, lo ha dimostrato in questa intervista, affermando: «Io non credo che vi sia una paura dell’Islam in quanto tale, ma paura de Daech e della sua guerra di conquista, guidata in parte dall’Islam. E’ vero, l’idea di conquista è inerente l’anima dell’Islam, ma potrebbe essere interpretato allo stesso modo anche il finale del vangelo di Matteo, dove Gesù manda i suoi discepoli in tutte le nazioni». Il paragone del Papa si capisce meglio se si paragona il Corano alle frasi di Gesù in cui invoca la spada e la divisione (ne abbiamo parlato di recente), o i diversi inni di conquista armata presenti nell’Antico Testamento. In ogni caso, ha perfettamente ragione: il problema è l’interpretazione del Corano (del Nuovo e dell’Antico Testamento), che non è necessariamente fondamentalista.

    «Di fronte all’attuale terrorismo islamico», ha proseguito Francesco, «dovremmo mettere in discussione il modo in cui un modello di democrazia troppo occidentale è stato esportato nei paesi in cui vi era un potere forte, come in Iraq. O in Libia, dove la struttura è tribale. Non possiamo andare avanti senza considerare la cultura di quei luoghi. La convivenza tra cristiani e musulmani è possibile, i musulmani venerano la Vergine Maria e San Giorgio. Mi è stato segnalato che in un paese africano, in occasione del Giubileo della misericordia, c’è una lunga coda di musulmani che desiderano passare dalla porta santa della Cattedrale per pregare la Vergine Maria. Nella Repubblica Centrafricana, prima della guerra, cristiani e musulmani vivevano insieme e dobbiamo imparare a farlo nuovamente, anche l’esperienza del Libano mostra che è possibile».

    RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA.
    Ha fatto discutere il mancato riferimento del Papa alle radici cristiane durante il recente conferimento del Premio Carlo Magno, Francesco ha spiegato il motivo: «Dobbiamo parlare di radici al plurale perché ce ne sono diverse. In questo senso, quando sento parlare di radici cristiane dell’Europa, a volte temo il tono, che potrebbe essere trionfalistico o vendicativo, diventando colonialismo. Giovanni Paolo II ne ha parlato, ma con un tono tranquillo. L’Europa, sì, ha radici cristiane. Ma il cristianesimo ha il dovere di irrigare in uno spirito di servizio, il dovere del Cristianesimo per l’Europa è il servizio. Erich Przywara, gran maestro di Romano Guardini, e Hans Urs von Balthasar, ci insegnano che il contributo del cristianesimo alla cultura è quella di Cristo con la lavanda dei piedi, vale a dire il servizio e il dono della vita. Non un apporto coloniale».

    LAICITA’ E LAICISMO.
    Francesco ha mostrato più volte di avere a cuore, come Benedetto XVI, una sana laicità, che «garantisca la libertà di religione. Tutti dovrebbero avere la libertà di esternare la propria fede, se una donna musulmana vuole indossare l’hijab, lei dovrebbe essere in grado di farlo. Allo stesso modo, se un cattolico vuole indossare una croce. La piccola critica che rivolgo alla Francia a di aver esagerato con la laicità. Questo deriva da un modo di considerare le religioni come una subcultura e non una cultura intera, questo approccio, che deriva dal patrimonio dei Lumi, è ancora oggi presente. La Francia dovrebbe fare un passo avanti su questo tema ed accettare che l’apertura alla trascendenza sia un diritto di tutti». La Francia, ha aggiunto, è oggi «una periferia da evangelizzare».

    OBIEZIONE DI COSCIENZA.
    Anche in Italia, a seguito della legge sulle unioni civili, è esploso il tema dell’obiezione di coscienza. «E’ il Parlamento che dobbiamo discutere, argomentare, spiegare, ragionare. Così cresce una società, una volta che la legge è passata lo Stato deve rispettare le coscienze. In ogni struttura giuridica, l’obiezione di coscienza deve essere presente perché è un diritto umano. Compresa quella di un funzionario del governo, che è una persona umana. Questa è vera laicità. Non possiamo spazzare via gli argomenti dei cattolici, dicendo: “Tu parli come un prete”. No, egli si basa sul pensiero cristiano che la Francia ha così notevolmente sviluppato».

     

     

    Altre sono le tematiche toccate dal Papa, come la necessità di evangelizzare i popoli, il cui compito non è soltanto affidato ai preti, ma anche ai laici. «E’ il battesimo che dà la forza per evangelizzare!». Ha anche difeso il card. Barbarin, indagato per non essere intervenuto nei casi di pedofilia a Lione, il Papa ha però replicato: «Sulla base delle informazioni che ho, ha invece adottato le misure necessarie, ha preso le cose in mano. Attendiamo il risultato del procedimento civile».


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    00 30/12/2016 12:15
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    Papa Francesco: affetto, preghiera, pianto
    per i cristiani odiati nel mondo

    Così il Pontefice durante l'Angelus di Santo Stefano

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    di Roberta Gisotti

    “Il martirio cristiano continua ad essere presente nella storia della Chiesa”, cosi il Papa all’Angelus, nell’odierna solennità di Santo Stefano, protomartire, vittima dell’odio verso Gesù. Francesco ha poi espresso il suo cordoglio per le vittime dell’incidente aereo in Russia.

    “Da Stefano fino ai nostri giorni”, il rifiuto, la persecuzione, il martirio dei cristiani – ha ricordato Francesco – erano stato preannunciati da Gesù ai discepoli  ‘Sarete odiati da tutti a causa del mio nome’.

    “Il mondo odia i cristiani per la stessa ragione per cui ha odiato Gesù, perché Lui ha portato la luce di Dio e il mondo preferisce le tenebre per nascondere le sue opere malvage.

    “C’è opposizione tra la mentalità del Vangelo e quella mondana”.

    Seguire Gesù vuol dire seguire la sua luce, che si è accesa nella notte di Betlemme, e abbandonare le tenebre del mondo”.

    “Il protomartire Stefano” “venne infatti lapidato perché confesso la sua fede in Gesù Cristo”

    “Scegliendo la verità, egli è diventato nello stesso tempo vittima del mistero dell’iniquità presente nel mondo. Ma in Cristo Stefano ha vinto!”.

    “Anche oggi la Chiesa” – ha sottolineato il Papa –  “sperimenta in diversi luoghi dure persecuzioni, fino alla suprema prova del martirio”. “Quanti nostri fratelli e sorelle nella fede subiscono soprusi, violenze e sono odiati a causa di Gesù!

    I martiri di oggi sono in numero maggiore rispetto a quelli dei primi secoli. Quando noi leggiamo la Storia dei primi secoli, qui, a Roma, leggiamo tanta crudeltà con i cristiani; io vi dico: la stessa crudeltà c’è oggi, e in numero maggiore, con i cristiani.

    Quindi la speciale dedica del Papa:

    “Oggi vogliamo pensare a loro, che soffrono persecuzioni ed essere vicini a loro con il nostro affetto, la nostra preghiera e anche il nostro pianto”.

    Ha ricordato Francesco i cristiani perseguitati nell’Iraq che hanno celebrato il Natale nella loro cattedrale distrutta: “esempio di fedeltà al Vangelo”.

    Nonostante “prove” e “pericoli”, “testimoniano con coraggio la loro appartenenza a Cristo…”

    “….e vivono il Vangelo impegnandosi a favore degli ultimi, dei più trascurati, facendo del bene a tutti senza distinzione; testimoniano così la carità nella verità.”

    Da qui l’invito di Francesco a tutti i fedeli a rinnovare “la gioiosa e  coraggiosa volontà” di seguire Gesù “come unica guida”

    “…perseverando nel vivere secondo la mentalità evangelica e rifiutando la mentalità dei dominatori di questo mondo”.

    Dopo la preghiera mariana il Papa ha espresso il suo cordoglio per le vittime dell’aereo russo precipitato ieri nel Mar Nero.

    “Il Signore consoli il caro popolo russo e i familiari dei passeggeri che erano a bordo: giornalisti, equipaggio e l’eccellente coro e orchestra delle Forze armate”

    Coro che si era esibito in Vaticano nel 2004 per il 26.mo di pontificato di san Giovanni Paolo II.

    Francesco ha infine ringraziato per i tanti messaggi augurali ricevuti da tutto il mondo.

    “Non essendomi possibile rispondere a ciascuno, esprimo oggi a tutti il mio sentito ringraziamento, specialmente per il dono della preghiera. Grazie di cuore! Il Signore vi ricompensi con la sua generosità!”


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    Coordin.
    00 21/01/2017 15:23
    Formazione, prima e dopo il sacramento del matrimonio. E’ la via principale indicata da Francesco nel suo discorso. Il Papa propone dunque questi due “rimedi” di fronte ad una mentalità diffusa che tende ad "oscurare l'accesso alle verità eterne" e che coinvolge, spesso in modo vasto e capillare, gli atteggiamenti degli stessi cristiani. Un contesto carente di valori religiosi, spiega, “non può non condizionare anche il consenso matrimoniale”. Diverse fra loro sono infatti le esperienze di fede di chi chiede il sacramento: da chi partecipa attivamente alla vita della parrocchia a chi è guidato da un generico sentimento religioso fino a chi è lontano dalla fede. Un “nuovo catecumenato” per chi si prepara al matrimonio Quindi prima di tutto, per quanto riguarda la preparazione al sacramento, il Papa chiede che vi sia un “nuovo catecumenato” ad hoc: “In questo spirito, mi sento di ribadire la necessità di un ‘nuovo catecumenato’ in preparazione al matrimonio. Accogliendo gli auspici dei Padri dell’ultimo Sinodo Ordinario, è urgente attuare concretamente quanto già proposto in Familiaris consortio, che cioè, come per il battesimo degli adulti il catecumenato è parte del processo sacramentale, così anche la preparazione al matrimonio diventi parte integrante di tutta la procedura sacramentale del matrimonio, come antidoto che impedisca il moltiplicarsi di celebrazioni matrimoniali nulle o inconsistenti”. Il Papa auspica che la preparazione sia anche una “vera e propria occasione di evangelizzazione degli adulti” e dei “cosiddetti lontani”. L’approssimarsi delle nozze per molti giovani costituisce infatti l’occasione per incontrare di nuovo la fede, magari relegata ai margini della loro vita, anche perché stanno vivendo un particolare momento in cui sono disposti a cambiare l’orientamento della loro esistenza. Per rendere più efficaci gli itinerari di preparazione al matrimonio, per Francesco c’è bisogno di persone con “specifica competenza”, e una sinergia fra sacerdoti e coppie di sposi, con il generoso apporto di cristiani adulti nella pastorale familiare, per costruire "il capolavoro della società, cioè la famiglia: l’uomo e la donna che si amano". Il fine è la crescita della fede dei fidanzati realizzando un inserimento progressivo nel mistero di Cristo, “nella Chiesa e con la Chiesa”. Tutto questo per aiutare a far vivere il matrimonio non solo “validamente e lecitamente” ma anche “fruttuosamente”. Formazione permanente per i giovani sposi Il secondo caposaldo per Francesco è quello della formazione permanente. La comunità cristiana è quindi chiamata ad accompagnare le giovani coppie con strumenti adeguati, a partire dalla partecipazione alla Messa domenicale, per curare la vita spirituale sia nella parrocchia sia nelle aggregazioni: “Nel cammino di crescita umana e spirituale dei giovani sposi è auspicabile che vi siano dei gruppi di riferimento nei quali poter compiere un cammino di formazione permanente: attraverso l’ascolto della Parola, il confronto sulle tematiche che interessano la vita delle famiglie, la preghiera, la condivisione fraterna”. Bisogna far sentire alle giovani coppie che, nonostante le fatiche e le povertà con cui devono misurarsi nella vita quotidiana, la loro storia d’amore è parte della “storia sacra” perché Dio non viene mai meno all’impegno che ha assunto con gli sposi il giorno delle nozze. La Chiesa sia vicina, non lasci sole le giovani famiglie In sostanza, non bisogna lasciare i giovani sposi a se stessi ma dare loro vicinanza e sostegno: “Spesso i giovani sposi vengono lasciati a sé stessi, magari per il semplice fatto che si fanno vedere meno in parrocchia; ciò avviene soprattutto con la nascita dei bambini. Ma è proprio in questi primi momenti della vita familiare che occorre garantire maggiore vicinanza e un forte sostegno spirituale, anche nell’opera educativa dei figli, nei confronti dei quali sono i primi testimoni e portatori del dono della fede”. I parroci sono quindi chiamati a essere sempre più consapevoli del delicato compito loro affidato nel gestire il percorso dei futuri sposi: rendere comprensibile il legame fra il foedus, cioè il patto, e fides, la fede. All’inizio del suo discorso, il Papa si era richiamato all’insegnamento dei suoi predecessori, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Il primo aveva sottolineato proprio il legame profondo fra fede e matrimonio: quanto più l’uomo si allontana dalla fede, tanto più non è capace di fissare lo sguardo sulle cose essenziali. Benedetto XVI nel suo ultimo discorso alla Rota Romana aveva messo in risalto il rapporto fra amore e verità: senza questo, l’amore è soggetto al mutare dei sentimenti e non supera la prova del tempo. “Occorre grande coraggio a sposarsi nel tempo in cui viviamo”, ribadisce in conclusione Francesco che, pertanto, chiede alla Chiesa di far sentire la sua vicinanza concreta a chi compie questo passo importante.
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    00 11/02/2017 10:03
    Come si risponde alla tentazione

    Venerdì, 10 febbraio 2017



    (da: www.osservatoreromano.va)

    Nella debolezza delle tentazioni, che tutti prima e poi abbiamo — basti pensare alla tragedia della corruzione che comincia sempre con i piccoli cedimenti — non si deve commettere l’ingenuità di impelagarsi nel dialogo: occorre, invece, avere il coraggio della preghiera e a chiedere perdono per rialzarci e andare avanti, con la certezza che la grazia ci aiuta a non nasconderci dal Signore. È un essenziale “manuale” pratico contro le tentazioni quello suggerito da Papa Francesco nella messa celebrata venerdì 10 febbraio, nella cappella della Casa Santa Marta.

    «Sia all’inizio della creazione, come all’inizio della ri-creazione, come primo evento c’è la tentazione» ha subito ricordato il Papa, facendo riferimento alla prima lettura, tratta dal libro della Genesi (3,1-8): «Adamo ed Eva erano nel paradiso terrestre con tutti i doni che Dio aveva dato, con il compito di fare, di custodire, di portare avanti il creato, e con l’amore. Con queste tre cose erano lì per fare la loro vita e proprio all’inizio viene la tentazione». Allo stesso modo, «la tentazione viene», sempre «all’inizio», quando «Gesù lascia Nazaret, si fa battezzare, va nel deserto a pregare per incominciare il compito che Dio gli aveva dato». Perciò, ha fatto notare Francesco, «sia nella creazione sia nella ri-creazione c’è la tentazione».

    «Abbiamo sentito — ha proseguito — questo passo del libro della Genesi, la prima tentazione, quella di Adamo ed Eva». Il testo biblico «ci dice» che «“il serpente era il più astuto”: il diavolo si fa vedere in forma di serpente attraente e con la sua astuzia cerca di ingannare: lui è specialista in questo, è il “padre della menzogna”, lo chiama così Gesù». Il diavolo, ha spiegato il Papa, «è un bugiardo, sa come ingannare, sa come truffare la gente». E così «il serpente circuì con la sua astuzia Eva: la fa sentire bene, le fa — per così dire — bere un po’ d’acqua sciropposa». Tanto che Eva «si sente bene, si fida, incomincia il dialogo e, passo dopo passo, la porta dove lui vuole».

    Il diavolo, ha proseguito il Pontefice, prova a fare «lo stesso con Gesù nel deserto. Gli fa tre proposte, ma questo dialogo con Gesù finisce male per il diavolo: “Vattene, Satana!”». Invece «il dialogo con Eva non finisce bene per Eva: vince Satana».

    «Quando il diavolo circuisce una persona — ha affermato il Papa — lo fa con il dialogo, cerca di dialogare». È proprio quello che tenta di fare anche «con Gesù: “Tu hai fame, c’è una pietra, tu sei Dio, fa’ che questa sia pane! Tu sei venuto qui a salvarci tutti, una vita di fatica, di lavoro, ma vieni con me, andiamo al tempio e buttati senza paracadute: farai un bello spettacolo e tutta le gente crederà in te è tutto finito in una mezzoretta!”». Ma «Gesù non lo fa». E così alla fine il diavolo «fa vedere la vera faccia: “Vieni, vieni!”». E «gli fa vedere tutto il mondo e gli propone l’idolatria: “Adorami, io ti darò tutto questo!”».

    Francesco ha puntato l’attenzione sull’atteggiamento di Gesù che viene tentato: non dialoga con il diavolo, piuttosto «sente il diavolo e dà una risposta, ma che non è sua: prende la risposta dalla parola di Dio». E infatti «le tre risposte di Gesù al diavolo sono prese dalla Bibbia, dall’Antico testamento, dalla parola di Dio, perché col diavolo non si può dialogare».

    Con Eva, invece, la tentazione del diavolo è andata in un altro modo. Era «ingenua», ha spiegato il Papa, e all’inizio la situazione le «sembrava buona». Pensava «che si sarebbe trasformata in una dea, è il peccato di idolatria»: per questo «è andata avanti» con il dialogo. Ma è finita male, ci dice la Genesi: «Lei e il marito nudi, senza niente». La questione, ha affermato Francesco, è che «il diavolo è un mal pagatore, non paga bene: è un truffatore, ti promette tutto e ti lascia nudo». Certo, anche «Gesù è finito nudo, ma sulla croce, per obbedienza al Padre: un’altra strada».

    Dunque, ha rilanciato il Pontefice, «il serpente, il diavolo è astuto: non si può dialogare col diavolo». Oltretutto, ha aggiunto, «tutti noi sappiamo cosa sono le tentazioni, tutti sappiamo perché tutti ne abbiamo: tante tentazioni di vanità, di superbia, di cupidigia, di avarizia, tante!». Ma tutte «incominciano» quando ci diciamo: «ma, si può, si può...».

    «Oggi si parla tanto di corruzione» ha ricordato Francesco, spiegando: «Tanti corrotti, tanti pesci grossi corrotti che ci sono nel mondo, dei quali conosciamo la vita sui giornali, forse hanno cominciato con una piccola cosa, non so, per non aggiustare bene il bilancio: quello che era un chilo, no, facciamo novecento grammi ma che sembra un chilo». Perché «la corruzione incomincia da poco, con il dialogo», proprio come avviene per Eva che si sente rassicurare dal serpente: «Ma no, non è vero che ti farà male questo frutto, mangialo, è buono, è poca cosa, nessuno se ne accorge, fai, fai!». E così, «a poco a poco, a poco a poco, si cade nel peccato, si cade nella corruzione».

    «La Chiesa oggi, con questa liturgia della parola, ci insegna — ha spiegato il Papa — a non essere ingenui, per non dire sciocchi, ad avere gli occhi aperti e a chiedere aiuto al Signore perché da soli non possiamo». E poi, nel passo della Genesi, «c’è anche una parola che è una cosa triste: Adamo ed Eva si “nascondono” dal Signore». Perché «la tentazione ti porta a nasconderti dal Signore e tu te ne vai con la tua colpa, col tuo peccato, con la tua corruzione, lontano dal Signore». A quel punto «ci vuole la grazia di Gesù per tornare e chiedere perdono, come ha fatto il figliol prodigo». Ecco perché «nella tentazione non si dialoga, si prega: “Aiuto, Signore, sono debole, non voglio nascondermi da te”».

    «Questo è coraggio, questo è vincere» ha concluso Francesco. Perché «quando tu incominci a dialogare finirai vinto, sconfitto». Da qui l’auspicio «che il Signore ci dia la grazia e ci accompagni in questo coraggio e, se siamo ingannati per la nostra debolezza, nella tentazione ci dia il coraggio di alzarci e di andare avanti: per questo è venuto Gesù, per questo!».
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    00 05/03/2017 08:32
    PAPA FRANCESCO

    La bussola del credente
    (da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.51, 03/03/2017)

    La «bussola del cristiano è seguire Cristo crocifisso»: non un falso Dio «disincarnato e astratto», ma Dio che si è fatto carne e che porta su di sé «le piaghe dei nostri fratelli». È un forte richiamo alla conversione e alla concretezza della realtà il suggerimento di Papa Francesco per la Quaresima, proposto nella meditazione della messa celebrata giovedì mattina, 2 marzo, nella cappella di Casa Santa Marta.

    «La parola, l’esortazione della Chiesa proprio dall’inizio della Quaresima è “convertitevi”» e «l’abbiamo detto prima del Vangelo: “Convertitevi, dice il Signore”» ha fatto subito notare Francesco, citando il canto al Vangelo, tratto da Matteo (4, 17). Così «oggi — ha spiegato — la liturgia della parola ci fa riflettere su tre realtà da avere davanti per questa conversione: la realtà dell’uomo — la realtà della vita — la realtà di Dio e la realtà del cammino». Queste «sono realtà dell’esperienza umana, tutte e tre, ma che la Chiesa, e anche noi, abbiamo davanti per questa conversione».

    La prima realtà, dunque, è «la realtà dell’uomo: tu sei davanti a una scelta» ha affermato Francesco facendo riferimento al passo del Deuteronomio (30, 15-20) proposto dalla liturgia: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male». Noi uomini siamo davanti a questa realtà: o è il bene, o è il male (...). Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarsi davanti ad altri dèi» andrai sulla strada del male. E «questo — ha spiegato il Papa — noi lo percepiamo nella nostra vita: sempre possiamo prendere o il bene o il male, c’è la realtà umana della libertà. Dio ci ha fatti liberi, la scelta è nostra». Ma il Signore «non ci lascia soli, ci insegna, ci ammonisce: stai attento, c’è il bene e il male; adorare Dio, compiere i comandamenti è la strada del bene; andare dall’altra parte, la strada degli idoli, dei falsi dèi — tanti falsi dèi — che fanno sbagliare la vita». E «questa è una realtà: la realtà dell’uomo è che tutti noi siamo davanti al bene e al male».

    Poi, ha proseguito il Pontefice, «c’è un’altra realtà, la seconda realtà forte: la realtà di Dio». Sì, ha affermato, «c’è Dio, ma come c’è, Dio? Dio si è fatto Cristo: questa è la realtà e per i discepoli era difficile capire questo». A questo proposito Francesco ha riproposto il passo evangelico odierno di Luca (9, 22-25): «Gesù disse ai suoi discepoli: “Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”». Così «Dio ha preso tutta la realtà umana, meno il peccato: non c’è Dio senza Cristo, un Dio senza Cristo, “disincarnato”, è un Dio non reale». Infatti, ha spiegato il Papa, «la realtà di Dio è Dio fatto Cristo per noi, per salvarci, e quando ci allontaniamo da questo, da questa realtà e ci allontaniamo dalla croce di Cristo, dalla verità delle piaghe del Signore, ci allontaniamo anche dall’amore, dalla carità di Dio, dalla salvezza e andiamo su una strada ideologica di Dio, lontana: non è Dio che venne a noi e si è fatto vicino per salvarci ed è morto per noi».

    «Questa — ha insistito Francesco — è la realtà di Dio. Dio rivelato in Cristo: non c’è un Dio senza Cristo». A questo proposito, ha confidato, «mi viene in mente un dialogo di uno scrittore francese del secolo scorso, un dialogo tra un agnostico e un credente. L’agnostico di buona volontà domandava al credente: “Ma, come posso... per me, il problema è come Cristo è Dio: non posso capire questo, come Cristo è Dio?”. E il credente rispose: “Per me questo non è un problema, il problema sarebbe stato se Dio non si fosse fatto Cristo”».

    Dunque, ha rilanciato il Pontefice, «questa è la realtà di Dio: Dio fatto Cristo, Dio fatto carne e questo è il fondamento delle opere di misericordia», perché «le piaghe dei nostri fratelli sono le piaghe di Cristo, sono le piaghe di Dio, perché Dio si è fatto Cristo». E, ha avvertito Francesco, «non possiamo vivere la Quaresima senza questa seconda realtà: noi dobbiamo convertirci non a un Dio astratto, ma al Dio concreto che si è fatto Cristo».

    Ecco, allora, «la realtà dell’uomo — siamo davanti al bene e al male — la realtà di Dio — Dio si è fatto Cristo — e la terza realtà umana: la realtà del cammino». La domanda è «come andiamo, quale strada prendiamo?». Il Papa ha riproposto la forza delle parole di Gesù: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua». Perché «la realtà del cammino è quella di Cristo: seguire Cristo, fare la volontà del Padre, come Lui, prendere le croci di ogni giorno e rinnegare se stesso per seguire Cristo». Questo significa «non fare quello che io voglio, ma quello che vuole Gesù, seguire Gesù». E Lui dice «che su questa strada noi perdiamo la vita per guadagnarla dopo; è un continuo perdere la vita, perdere di fare quello che io voglio, perdere le comodità, essere sempre sulla strada di Gesù che era al servizio degli altri, all’adorazione di Dio: quella è la strada giusta».

    «Tre realtà» dunque: «La realtà umana, dell’uomo, della vita, dell’uomo davanti al bene e al male; la realtà di Dio: Dio si è fatto Cristo e non possiamo adorare un Dio che non sia Cristo, perché questa è la realtà». E poi «la realtà del cammino: l’unico cammino sicuro è seguire Cristo crocifisso, lo scandalo della Croce». E «queste tre realtà umane sono la bussola del cristiano, con questi tre segnali, che sono realtà, noi non sbaglieremo strada». Da qui anche il suggerimento all’inizio della Quaresima: «“Convertitevi” dice il Signore, cioè prendete sul serio queste realtà dell’esperienza umana: la realtà della vita, la realtà di Dio e la realtà del cammino».
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    00 02/07/2017 21:22

    Come Pietro e Paolo, apostoli in cammino, non cristiani da salotto



    Alla messa per la solennità di san Pietro e Paolo, papa Francesco sottolinea le caratteristiche degli apostoli: confessare il Cristo, accettare la persecuzione, essere maestri di preghiera. Nel mondo oggi “tanti cristiani sono emarginati, calunniati, discriminati, fatti oggetto di violenze anche mortali”, e spesso “in un clima di silenzio – non di rado silenzio complice”. La presenza della delegazione ecumenica inviata da Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli.


    Città del Vaticano (AsiaNews) - “Confessare” la fede in Cristo significa non essere “cristiani da salotto, che chiacchierano su come vanno le cose nella Chiesa e nel mondo”, ma “apostoli in cammino” che arrivano fino al “dono di sé” anche nelle persecuzioni. È uno dei punti salienti dell’omelia tenuta da papa Francesco durante la celebrazione della messa in piazza san Pietro stamane, nella solennità di san Pietro e Paolo.  Il papa ha detto che la persecuzione non è una caratteristica dell’apostol, ma di ogni cristiano: “Anche oggi in varie parti del mondo, a volte in un clima di silenzio – non di rado silenzio complice –, tanti cristiani sono emarginati, calunniati, discriminati, fatti oggetto di violenze anche mortali, spesso senza il doveroso impegno di chi potrebbe far rispettare i loro sacrosanti diritti”.


    Un altro elemento apostolico è la preghiera: “I Santi Apostoli - ha detto - ci ottengano un cuore come il loro, affaticato e pacificato dalla preghiera: affaticato perché chiede, bussa e intercede, carico di tante persone e situazioni da affidare; ma al tempo stesso pacificato, perché lo Spirito porta consolazione e fortezza quando si prega. Quanto è urgente nella Chiesa avere maestri di preghiera, ma prima di tutto essere uomini e donne di preghiera, che vivono la preghiera!”.


    Alla messa, oltre ai nuovi cardinali creati ieri, come tradizione, era presente una delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, inviata da Bartolomeo I e guidata da Sua Eminenza Job, Arcivescovo di Telmessos, accompagnato dai padri Ambrosios Chorozidis e Agathanghelos Siskos. All’inizio della celebrazione il pontefice ha benedetto i palli destinati agli arcivescovi metropoliti nominati nel corso dell’anno, come segno di comunione con la cattedra di Pietro e del loro impegno pastorale verso il loro popolo.


    Ecco il testo completo dell’omelia:


     


    La Liturgia di oggi ci offre tre parole essenziali per la vita dell’apostolo: confessione, persecuzione, preghiera.


    La confessione è quella di Pietro nel Vangelo, quando la domanda del Signore da generale diventa particolare. Infatti Gesù dapprima chiede: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13). Da questo “sondaggio” emerge da più parti che il popolo considera Gesù un profeta. E allora il Maestro pone ai discepoli la domanda davvero decisiva: «Ma voi, chi dite che io sia?» (v. 15). A questo punto risponde solo Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (v. 16). Ecco la confessione: riconoscere in Gesù il Messia atteso, il Dio vivente, il Signore della propria vita.


    Questa domanda vitale Gesù la rivolge oggi a noi, a tutti noi, in particolare a noi Pastori. È la domanda decisiva, davanti alla quale non valgono risposte di circostanza, perché è in gioco la vita: e la domanda della vita chiede una risposta di vita. Perché a poco serve conoscere gli articoli di fede se non si confessa Gesù Signore della propria vita. Oggi Egli ci guarda negli occhi e chiede: “Chi sono io per te?”. Come a dire: “Sono ancora io il Signore della tua vita, la direzione del tuo cuore, la ragione della tua speranza, la tua fiducia incrollabile?”. Con San Pietro, anche noi rinnoviamo oggi la nostra scelta di vita come discepoli e apostoli; passiamo nuovamente dalla prima alla seconda domanda di Gesù, per essere “suoi” non solo a parole, ma coi fatti e nella vita.


    Chiediamoci se siamo cristiani da salotto, che chiacchierano su come vanno le cose nella Chiesa e nel mondo, oppure apostoli in cammino, che confessano Gesù con la vita perché hanno Lui nel cuore. Chi confessa Gesù sa che non è tenuto soltanto a dare pareri, ma a dare la vita; sa che non può credere in modo tiepido, ma è chiamato a “bruciare” per amore; sa che nella vita non può “galleggiare” o adagiarsi nel benessere, ma deve rischiare di prendere il largo, rilanciando ogni giorno nel dono di sé. Chi confessa Gesù fa come Pietro e Paolo: lo segue fino alla fine; non fino a un certo punto, ma fino alla fine, e lo segue sulla sua via, non sulle nostre vie. La sua via è la via della vita nuova, della gioia e della risurrezione, la via che passa anche attraverso la croce e le persecuzioni.


    Ecco la seconda parola, persecuzioni. Non solo Pietro e Paolo hanno dato il sangue per Cristo, ma l’intera comunità agli inizi è stata perseguitata, come ci ha ricordato il Libro degli Atti degli Apostoli (cfr 12,1). Anche oggi in varie parti del mondo, a volte in un clima di silenzio – non di rado silenzio complice –, tanti cristiani sono emarginati, calunniati, discriminati, fatti oggetto di violenze anche mortali, spesso senza il doveroso impegno di chi potrebbe far rispettare i loro sacrosanti diritti.


    Vorrei però sottolineare soprattutto quanto l’Apostolo Paolo afferma prima di «essere – come lui scrive – versato in offerta» (2 Tm 4,6). Per lui vivere era Cristo (cfr Fil 1,21), e Cristo crocifisso (cfr 1 Cor 2,1), che ha dato la vita per lui (cfr Gal 2,20). Così, da discepolo fedele, Paolo ha seguito il Maestro offrendo anche lui la vita. Senza la croce non c’è Cristo, ma senza la croce non c’è nemmeno il cristiano. Infatti, «è proprio della virtù cristiana non solo operare il bene, ma anche saper sopportare i mali» (Agostino, Disc. 46,13), come Gesù. Sopportare il male non è solo avere pazienza e tirare avanti con rassegnazione; sopportare è imitare Gesù: è portare il peso, portarlo sulle spalle per Lui e per gli altri. È accettare la croce, andando avanti con fiducia perché non siamo soli: il Signore crocifisso e risorto è con noi. Così, con Paolo possiamo dire che «in tutto siamo tribolati, ma non schiacciati; sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati» (2 Cor 4,8-9).


    Sopportare è saper vincere con Gesù alla maniera di Gesù, non alla maniera del mondo. Ecco perché Paolo – lo abbiamo sentito – si ritiene un vincitore che sta per ricevere la corona (cfr 2 Tm 4,8) e scrive: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (v. 7). L’unica condotta della sua buona battaglia è stata vivere per: non per sé stesso, ma per Gesù e per gli altri. Ha vissuto “correndo”, cioè senza risparmiarsi, anzi consumandosi. Una cosa dice di aver conservato: non la salute, ma la fede, cioè la confessione di Cristo. Per amore suo ha vissuto le prove, le umiliazioni e le sofferenze, che non vanno mai cercate, ma accettate. E così, nel mistero del dolore offerto per amore, in questo mistero che tanti fratelli perseguitati, poveri e malati incarnano anche oggi, risplende la forza salvifica della croce di Gesù.


    La terza parola è preghiera. La vita dell’apostolo, che sgorga dalla confessione e sfocia nell’offerta, scorre ogni giorno nella preghiera. La preghiera è l’acqua indispensabile che nutre la speranza e fa crescere la fiducia. La preghiera ci fa sentire amati e ci permette di amare. Ci fa andare avanti nei momenti bui, perché accende la luce di Dio. Nella Chiesa è la preghiera che ci sostiene tutti e ci fa superare le prove. Lo vediamo ancora nella prima Lettura: «Mentre Pietro era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui» (At 12,5). Una Chiesa che prega è custodita dal Signore e cammina accompagnata da Lui. Pregare è affidargli il cammino, perché se ne prenda cura. La preghiera è la forza che ci unisce e sorregge, il rimedio contro l’isolamento e l’autosufficienza che conducono alla morte spirituale. Perché lo Spirito di vita non soffia se non si prega e senza preghiera non si aprono le carceri interiori che ci tengono prigionieri.


    I Santi Apostoli ci ottengano un cuore come il loro, affaticato e pacificato dalla preghiera: affaticato perché chiede, bussa e intercede, carico di tante persone e situazioni da affidare; ma al tempo stesso pacificato, perché lo Spirito porta consolazione e fortezza quando si prega. Quanto è urgente nella Chiesa avere maestri di preghiera, ma prima di tutto essere uomini e donne di preghiera, che vivono la preghiera!


    Il Signore interviene quando preghiamo, Lui che è fedele all’amore che gli abbiamo confessato e ci sta vicino nelle prove. Egli ha accompagnato il cammino degli Apostoli e accompagnerà anche voi, cari Fratelli Cardinali, qui riuniti nella carità degli Apostoli che hanno confessato la fede con il sangue. Sarà vicino anche a voi, cari Fratelli Arcivescovi che, ricevendo il pallio, sarete confermati a vivere per il gregge, imitando il Buon Pastore, che vi sostiene portandovi sulle spalle. Lo stesso Signore, che ardentemente desidera vedere tutto riunito il suo gregge, benedica e custodisca anche la Delegazione del Patriarcato Ecumenico, e il caro Fratello Bartolomeo, che qui l’ha inviata in segno di comunione apostolica.


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    00 30/04/2018 17:35

    Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo della ricchezza che ci viene da Cristo risorto. Così il pontefice al Regina Coeli


    Vivere “in unione con Gesù e con atteggiamento di amore e di servizio” verso il prossimo. Questa l’esortazione di Papa Francesco al Regina Coeli in piazza San Pietro, nella quinta domenica di Pasqua.


    Con Gesù, la testimonianza cristiana nel mondo


    Riflettendo sull’odierno Vangelo di Giovanni, in cui Gesù si presenta come “la vera vite e ci invita a rimanere uniti a Lui per portare molto frutto”, il Pontefice evidenzia come il segreto della vita cristiana sia proprio il “rimanere” uniti a Cristo.


    Si tratta di rimanere con il Signore per trovare il coraggio di uscire da noi stessi, dalle nostre comodità, dai nostri spazi ristretti e protetti, per inoltrarci nel mare aperto delle necessità degli altri e dare ampio respiro alla nostra testimonianza cristiana nel mondo. Questo coraggio di uscire da sé e inoltrarci nelle necessità degli altri nasce dalla fede nel Signore Risorto e dalla certezza che il suo Spirito accompagna la nostra storia.


    Nessuna istanza ideologica


    Uno dei frutti più maturi che scaturisce dalla comunione con Cristo – spiega Francesco – è “l’impegno di carità verso il prossimo”, amando i fratelli “con abnegazione di sé”, “fino alle ultime conseguenze”, proprio come fece Gesù.


    Il dinamismo della carità del credente non è frutto di strategie, non nasce da sollecitazioni esterne, da istanze sociali o ideologiche, ma dall’incontro con Gesù e dal rimanere in Gesù. Egli per noi è la vite dalla quale assorbiamo la linfa, cioè la “vita” per portare nella società un modo diverso di vivere e di spendersi, che mette al primo posto gli ultimi.


    Tutti siamo chiamati ad essere santi


    Quando si è “intimi” con il Signore, proprio come la vite e i tralci, “si è capaci – spiega il Papa – di portare frutti di vita nuova, di misericordia, di giustizia e di pace, derivanti dalla Risurrezione del Signore”. È quanto hanno fatto i Santi, che – aggiunge, richiamando l’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate – “hanno vissuto in pienezza la vita cristiana e la testimonianza della carità”.


    Per essere santi “non è necessario essere vescovi, sacerdoti o religiosi. […] Tutti noi, tutti, siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova”. Tutti noi siamo chiamati ad essere santi; dobbiamo essere santi con questa ricchezza che noi riceviamo dal Signore risorto. Ogni attività – il lavoro e il riposo, la vita familiare e sociale, l’esercizio delle responsabilità politiche, culturali ed economiche – ogni attività, sia piccola sia grande, se vissuta in unione con Gesù e con atteggiamento di amore e di servizio, è occasione per vivere in pienezza il Battesimo e la santità evangelica.


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    00 04/05/2018 15:30

    Una tentazione in cui i cristiani cadono da millenni. Capita anche a voi?


    Ho un problema. Papa Francesco dice che potrei non essere il solo. Potreste averlo anche voi.


    So molto della mia fede, ma non so sempre recitare bene le mie preghiere. Evangelizzo regolarmente a parole, ma solo occasionalmente servo davvero le persone della mia comunità. Forse posso non essere sempre disposto ad ammetterlo, ma sono ben rapido a liberarmi mentalmente di certe persone.


    In breve, sono colpevole dell’essere preda di una tentazione in cui i cristiani cadono da millenni: lo gnosticismo.


    Varie delle prime eresie credevano che fosse stata una “conoscenza segreta” – una “gnosi” – sul regno spirituale a salvarci. Non mi definirei mai “gnostico”, ma secondo Francesco imito gli gnostici in molti modi, e forse lo fate anche voi.


    Potreste essere gnostici se nella religione non cercate altro che sentimenti.


    Una frase di una vecchia canzone di Leonard Cohen sembra descrivere quello che è sempre accaduto nella mia vita: “Quando non ti senti santo, la tua solitudine dice che hai peccato”.


    Se essere capaci di provare dei sentimenti è parte di ciò che ci rende umani, tendiamo a confondere i nostri sentimenti – positivi o negativi – con lo stato reale della nostra anima.


    Nella Evangelii Gaudium, del 2013, Papa Francesco l’ha definita una tendenza gnostica e ha messo in guardia contro “una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti”.


    Ciò che conta non è che ci si senta santi o meno. La santità riguarda l’amore nei confronti di Dio e del prossimo, non quello che si prova.





    Potreste essere gnostici se pensate che ciò che sapete sia più importante di quello che fate.


    San Girolamo, lo studioso cristiano delle origini, è famoso per il tempo che ha trascorso traducendo la Bibbia, ma è santo perché a volte aveva voglia di smettere di tradurla.


    Fermò tutta la sua opera per mesi per prendersi cura dei rifugiati. “Oggi dobbiamo tradurre i precetti delle Scritture in fatti”, affermò. “Anziché pronunciare parole sante, dobbiamo metterle in pratica”.


    Per i cristiani, “ciò che misura la perfezione delle persone è il loro grado di carità, non la quantità di dati e conoscenze che possono accumulare”, afferma Francesco nella Gaudete et exsultate. “ Gli ‘gnostici’ fanno confusione su questo punto e giudicano gli altri sulla base della verifica della loro capacità di comprendere la profondità di determinate dottrine”.


    Potreste essere gnostici se dividete i credenti in gruppi diversi.


    Se pensiamo che sia la nostra conoscenza a contare, iniziamo a pensare a noi stessi come ad esseri “perfetti, migliori della ‘massa ignorante’”, dice Francesco citando l’avvertimento di San Giovanni Paolo II sul fatto che i più istruiti non devono sentirsi in qualche modo superiori agli altri fedeli.


    Il vescovo gnostico Stephan Hoeller scrive che gli gnostici separano l’umanità in tre tipi di persone: “ilici”, legati alla ricerca dei piaceri terreni, “psichici”, che seguono le regole religiose, e “pneumatici”, i pochi capaci della vera gnosi.


    I cattolici possono dividere il mondo nello stesso modo: in primo luogo le persone mondane senza speranza, tristemente fuori portata; in secondo luogo i “cattolici della domenica”, che vanno in chiesa ma non colgono le cose come loro; infine i cattolici “seri” o “devoti”, che comprano i libri giusti, leggono i blog giusti e conoscono il Catechismo.


    È quasi l’opposto del modo in cui vede il mondo Gesù: Egli ha teso la mano a peccatori e prostitute, ha apprezzato tutti i suoi discepoli e ha riservato le sue parole più dure ai farisei, che pensavano di essere speciali.


    Francesco dice che bisogna smettere di sentirsi speciali: “Possiamo e dobbiamo cercare il Signore in ogni vita umana”, scrive.

    Potreste essere gnostici se pensate di capire totalmente la fede.

    Abbracciare Dio significa abbracciare un mistero. Non possiamo comprendere Dio o esaurirne il significato. Al massimo possiamo stare di fronte a Lui e apprezzarlo.

    “È anche tipico degli gnostici credere che con le loro spiegazioni possono rendere perfettamente comprensibili tutta la fede e tutto il Vangelo”, scrive Papa Francesco.

    Sì, potete e dovreste pensare attraverso la lente degli insegnamenti della Chiesa, ma Francesco mette in guardia contro la tendenza a “ridurre l’insegnamento di Gesù a una logica fredda e dura che cerca di dominare tutto”.

    Se pensate di aver capito Dio e di poter giudicare come farebbe lui potreste essere gnostici.

    Ma potete smettere di essere gnostici.

    Papa Francesco parla molto dello gnosticismo nel documento, ma afferma anche che si può essere liberati dallo gnosticismo dalla fede in Gesù Cristo.

    Gesù, del resto, ha detto: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”.




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    00 17/01/2019 11:43

    Pregare è fin da ora la vittoria sulla solitudine e sulla disperazione.
    E’ uno dei passaggi forti della catechesi del Papa all'udienza generale,
    dedicata al Padre Nostro, preghiera al centro di questo ciclo di catechesi

    Essere certi che Dio risponderà alle nostre preghiere, che nessuna rimarrà inascoltata e per questo Gesù invita a pregare con insistenza. Lo ricorda il Papa, stamani, nella catechesi all’udienza generale, che riflette sul brano del vangelo di Luca (Lc 11,9-13) che inizia con le parole di Gesù: “Chiedete e vi sarà dato”. Filo rosso della sua riflessione è, dunque, la preghiera che – assicura il Papa – trasforma la realtà o il nostro cuore, con il dono dello Spirito Santo. Pertanto, “pregare è fin da ora la vittoria sulla solitudine e sulla disperazione”. Alla fine della vita, infatti, c’è un Padre che ci aspetta con le braccia spalancate.

    E consola sapere che Gesù prega “per me”, per ognuno di noi, perché la nostra fede non venga meno” e “ancora lo fa, davanti al Padre”. Gesù è, infatti, “soprattutto un orante” come si vede da diversi episodi evangelici: dalla trasfigurazione al Battesimo nel Giordano fino alla morte, tanto da pregare fino alla fine. Tutta la vita di Gesù è immersa in un’atmosfera di pregherà, dice il Papa. Una preghiera che pare attutire le emozioni più violente e i desideri di vendetta e “riconcilia l’uomo con questa nemica, che è la morte”.

    Come fece uno dei suoi discepoli, anche noi possiamo chiedere al Signore di insegnarci a pregare. La prima parte di questo insegnamento di Gesù è proprio il Padre Nostro nel quale il cristiano si rivolge a Dio “chiamandola anzitutto Padre”:

    “Padre”: quella parola tanto bella da dire. Noi possiamo stare il tempo di preghiera con quella parola soltanto: “Padre”. E sentire che abbiamo un padre: non un padrone né un patrigno. No: un padre. Padre.

    Il Papa si sofferma, poi, su alcuni atteggiamenti del credente che prega. C’è la Parabola dell’amico inopportuno. “Con questo vuole insegnarci a pregare e a insistere nella preghiera”, sottolinea il Papa. Un altro esempio è quello di un padre che ha un figlio affamato.

    Tutti voi, padri e nonni, che siete qui, quando il figlio o il nipotino chiede qualcosa, ha fame, e chiede e chiede, poi piange, sgrida, ha fame: «Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce?» (v. 11). E tutti voi avete l’esperienza quando il figlio chiede, voi date da mangiare quello che chiede, per il bene di lui. Con queste parole Gesù fa capire che Dio risponde sempre, che nessuna preghiera resterà inascoltata, perché? Perché che Lui è Padre, e non dimentica i suoi figli che soffrono.


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    00 02/02/2019 18:43

    Le parole di Francesco
    in conferenza stampa sul volo di ritorno da Panama.

    conferenza stampa panamaLe parole di Francesco in conferenza stampa sul volo di ritorno da Panama. Alcuni giudizi sull’attualità, dal celibato sacerdotale all’educazione sessuale, dai temi dell’immigrazione all’aborto. Ecco i suoi interventi e un piccolo commento.

     

    Sul sito web della Santa Sede ancora non è disponibile la trascrizione ufficiale della conferenza stampa tra Papa Francesco e i giornalisti, nel volo di ritorno da Panama a Roma. Vi sono tuttavia altre fonti attendibili per riflettere sulle parole del Pontefice a commento dell’attualità, come sempre avviene in questi casi. Abbiamo raccolto qui sotto i suoi interventi su vari argomenti, in particolare: celibato dei preti, educazione sessuale, aborto, immigrazione e la situazione politica in Venezuela.

     

    PAPA FRANCESCO E CELIBATO: “UN DONO, NON VA ELIMINATO”.

    In molte parti del mondo non ci sono più sacerdoti e molti suggeriscono varie soluzioni, l’eliminazione del celibato, l’ordinazione femminile e il celibato opzionale. Più volte Francesco si è espresso sul tema e ne ha parlato anche in questa occasione, rispondendo ad una domanda sulla possibilità che «lei permetta a degli uomini sposati di diventare preti nella Chiesa cattolica». Ecco la risposta:

    «Nella Chiesa cattolica di rito orientale possono farlo, si fa l’opzione celibataria o di sposo prima del diaconato. Per quanto riguarda il rito latino, mi viene alla mente una frase di san Paolo VI: “Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato”. Questo mi è venuto in mente e voglio dirlo perché è una frase coraggiosa, lo disse nel 1968-1970, in un momento più difficile di quello attuale. Personalmente penso che il celibato sia un dono per la Chiesa e non sono d’accordo a permettere il celibato opzionale. No. Soltanto rimarrebbe qualche possibilità nei posti lontanissimi, penso alle isole del Pacifico, ma è qualcosa da pensare quando c’è necessità pastorale. Il pastore deve pensare ai fedeli. La mia decisione è: no al celibato opzionale prima del diaconato. Sono uno chiuso? Forse, ma non sento di mettermi davanti a Dio con questa decisione».

    C’è poi l’opzione dei “viri probati”, cioè l’ordinazione di uomini sposati di una certa età e di provata fede che possano celebrare Messa dove mancano i preti. Su questo, Francesco ha detto: «Credo che il tema debba essere aperto in questo senso per i luoghi dove c’è un problema pastorale per la mancanza dei sacerdoti. Non dico che si debba fare, non ci ho riflettuto, non ho pregato sufficientemente su questo. Ma i teologi ne discutono, devono studiare».

    Da anni i nemici della Chiesa battono il chiodo sulla presunta «opera demolitrice di papa Bergoglio», citando la sua presunta volontà di distruggere «i sacramenti del matrimonio, dell’eucaristia e della confessione (insieme con un paio di Comandamenti). Ma anche il battesimo» e, altro esempio, la «delegittimazione del celibato ecclesiastico». Sono parole di Antonio Socci, bugie diffuse appositamente per insinuare delusione e frustrazione nel mondo cattolico, staccandolo dalla Chiesa.

     

    ABORTO: “UN DRAMMA TERRIBILE, ANCHE PER LE DONNE”

    Durante la Via Crucis, a Panama, un giovane ha letto queste parole: «C’è una tomba che grida al cielo e denuncia la terribile crudeltà dell’umanità, è la tomba che si apre nel ventre delle madri. Dio ci conceda di difendere con fermezza la vita e far sì che le leggi che uccidono la vita siano cancellate per sempre».

    Durante la conferenza stampa, un giornalista ha chiesto se oltre alle parole “radicali” ascoltate nella Via Crucis, vi sia spazio anche per «la sofferenza delle donne». Ecco la risposta del Papa:

    «Il messaggio della misericordia è per tutti, anche per la persona umana che è in gestazione. Dopo questo fallimento, c’è pure misericordia. Ma una misericordia difficile, perché il problema non è dare il perdono ma accompagnare una donna che ha preso coscienza di avere abortito. Sono drammi terribili. Una donna quando pensa quello che ha fatto… Bisogna essere nel confessionale, lì devi dare consolazione e per questo ho concesso a tutti i preti la facoltà di assolvere l’aborto per misericordia. Tante volte, ma sempre, loro devono “incontrarsi” con il figlio. Io tante volte, quando piangono e hanno questa angoscia, le consiglio così: tuo figlio è in cielo, parla con lui, cantagli la ninna nanna che non hai potuto cantargli. E lì si trova una via di riconciliazione della mamma col figlio. Con Dio, la riconciliazione c’è già, Dio perdona sempre. Ma anche lei deve elaborare quanto è accaduto. Il dramma dell’aborto, per capirlo bene, bisogna stare in un confessionale. Terribile».

    Una delle tre testimonianze di giovani ascoltate durante la GMG di Panama è stata quella di Erika de Bucktron, panamense, assieme al marito Rogelio e ai figli Rogelio, Allyson, Maria e Inés. L’ultima figlia è affetta da sindrome di Down ed Erika ha raccontato la gravidanza «ad alto rischio», tanto che i medici le consigliarono l’interruzione di gravidanza. Ed invece, ha raccontato la donna, «ci siamo abbandonati nelle mani di Dio e abbiamo chiesto che si compisse la sua volontà. In fondo, avevamo la speranza che nostra figlia nascesse sana, però abbiamo accolto con amore la volontà del Signore». E ora «rendiamo grazie a Dio per la nascita di Inés».

     

    EDUCAZIONE SESSUALE: “NESSUNA COLONIZZAZIONE IDEOLOGICA”

    Nel dialogo con i giornalisti il Papa è stato interpellato anche sul tema delle gravidanze precoci, 10mila lo scorso anno a Panama. «La incolpano perché si oppone all’educazione sessuale nelle scuole», ha detto il giornalista rivolgendosi a Francesco. Ecco la risposta:

    «Credo che nelle scuole bisogna dare l’educazione sessuale. Il sesso è un dono di Dio non è un mostro. Bisogna offrire un’educazione sessuale oggettiva, senza colonizzazioni ideologiche. Perché se nelle scuole si dà un’educazione sessuale imbevuta di colonizzazioni ideologiche, distruggi la persona. Il sesso come dono di Dio deve essere educato, non con rigidezza. Educato, da “educere”, per far emergere il meglio della persona e accompagnarla nel cammino. Il problema è nei responsabili dell’educazione, sia a livello nazionale che locale come pure di ciascuna unità scolastica: che maestri si trovano per questo, che libri di testo… Io ne ho visti di ogni tipo, ci sono cose che fanno maturare e altre che fanno danno. Dico questo senza entrare nei problemi politici di Panama: bisogna avere l’educazione sessuale per i bambini. L’ideale è che comincino a casa, con i genitori. Non sempre è possibile per tante situazioni della famiglia o perché non sanno come farlo. La scuola supplisce a questo, e deve farlo, sennò resta un vuoto che viene riempito da qualsiasi ideologia».

    Molto importante l’aver sottolineato che l’ideale è che l’educazione sessuale avvenga in famiglia. Il più grande problema di quanto avviene nelle scuole è proprio la visione ideologica che viene trasmessa, dove l’interruzione di gravidanza viene “passata” come metodo anticoncezionale e, sopratutto, il sesso è descritto come una mera pratica di soddisfazione personale usando il corpo dell’altro. La visione cattolica è differente, insegna a custodirsi e a custodire la propria sessualità nella giovinezza e di donarsi completamente all’interno del sacramento matrimoniale, alla persona con cui si è scelto di condividere il destino. Il Papa non ha precisato questo passaggio, sarebbe stato l’ideale ma probabilmente il contesto di una rapida intervista “a braccio” non glielo ha permesso.

     

    “I GIOVANI SI ALLONTANANO PER MANCANZA DI TESTIMONI COERENTI”

    Più interessante la domanda sui giovani che lasciano la Chiesa e suoi motivi, argomento di cui abbiamo parlato qualche settimana fa. Ecco le parole del Papa:

    «I motivi sono tanti, alcuni sono personali. Ma il più generale è la mancanza di testimonianza dei cristiani, dei preti, dei vescovi. Non dico dei Papi, perché è troppo, ma anche, pure. Se un pastore fa l’imprenditore o l’organizzatore di un piano pastorale, se non è vicino alla gente, non dà una testimonianza di pastore. Il pastore deve essere con la gente. Il pastore deve essere davanti al gregge, per indicare il cammino. In mezzo al gregge per sentire l’odore della gente e capire che cosa sente la gente, di che cosa ha bisogno. E deve essere dietro il gregge per custodire la retroguardia. Ma se un pastore non vive con passione, la gente si sente abbandonata o prova un certo senso di disprezzo. Si sente orfana. Ho parlato dei pastori, ma ci sono anche i cristiani, i cattolici. Ci sono i cattolici ipocriti, che vanno a messa tutte le domeniche e non pagano la tredicesima, ti pagano in nero, sfruttano la gente. E poi vanno ai Caraibi a fare le vacanze, con lo sfruttamento della gente. Se fai questo dai una contro-testimonianza. Questo a mio parere è ciò che allontana di più la gente dalla Chiesa. Ai laici suggerirei: non dire che sei cattolico, se non dai testimonianza. Piuttosto puoi dire: sono di educazione cattolica, ma sono tiepido, sono mondano, chiedo scusa, non guardatemi come un modello. Questo si deve dire. Io ho paura dei cattolici così, che si credono perfetti. La storia si ripete, lo stesso accadde a Gesù con i dottori della legge, che pregavano dicendo: “Ti ringrazio Signore perché non sono come questi peccatori”».

    Giustamente Francesco ha citato l’ipocrisia dei cattolici: sarebbe meglio non dire di essere cattolici! Lo scandalo verso i fedeli e la mancanza di testimonianza cristiana da parte dei pastori è una causa importante della disaffezione, si potrebbe aggiungere la carenza di pastori che sappiano formare alle ragioni della fede, che testimonino una fede non sentimentale ma poggiata sulla certezza, sicuri del perché loro stessi ogni giorno decidano di appartenere a Dio e non al mondo.

     

    CASO VENEZUELA, IL PAPA FA SUE LE POSIZIONI DEI VESCOVI VENEZUELANI.

    Non poteva mancare una domanda sul colpo di Stato venezuelano, dove Juan Guaidó si è auto-proclamato presidente contro il dittatore Nicolas Maduro. Ecco le parole di Francesco:

    «Io appoggio in questo momento tutto il popolo del Venezuela perché sta soffrendo, quelli di una parte e dell’altra. Io soffro per quello che sta accadendo in questo momento in Venezuela e per questo ho chiesto che ci sia una soluzione giusta a pacifica. Quello che mi spaventa è lo spargimento di sangue».

    Molto più interessanti sono state però le dichiarazioni del card. Baltazar Porras, arcivescovo di Mérida ed amministratore apostolico di Caracas: «In questi giorni abbiamo avuto contatti quotidiani con il Segretario di Stato Vaticano, e il Papa chiede costantemente della nostra situazione e anche dei fratelli nicaraguensi. Papa Francesco ha insistito sul fatto che la parola dell’episcopato venezuelano è la sua parola e la appoggia pienamente». E’ noto che i vescovi venezuelani sono intervenuti molte volte contro l’ex presidente Maduro. Parole importanti perché smentiscono le recenti dichiarazioni dei soliti haters sul caso venezuelano, secondo i quali Papa Francesco è un «papa sinistroso» (Antonio Socci) perché «appoggia il dittatore del popolo»(Riccardo Cascioli).

     

    PAPA BERGOGLIO E IMMIGRAZIONE: “AIUTIAMOLI A CASA LORO”

    C’è spazio anche per una riflessione su un tema d’attualità, di cui si parla continuamente. Anche in questa occasione il Papa ha ribadito la sua posizione:

    «Il governante deve usare la prudenza, perché la prudenza è la virtù di chi governa. È una equazione difficile. A me viene in mente l’esempio svedese, che negli anni ‘70, con le dittature in America Latina ha ricevuto tanti immigrati, ma tutti sono stati integrati. Anche vedo che cosa fa sant’Egidio, ad esempio: integra subito. Ma gli svedesi l’anno scorso hanno detto: fermatevi un po’ perché non riusciamo a finire il percorso di integrazione. E questa è la prudenza del governante. È un problema di carità, di amore, di solidarietà. Ribadisco che le nazioni più generosenel ricevere sono state l’Italia e la Grecia e anche un po’ la Turchia. La Grecia è stata generosissima e anche l’Italia, tanto. È vero che si deve pensare con realismo. Poi c’è un’altra cosa: il modo di risolvere il problema delle migrazioni è aiutare i Paesi da dove vengono i migranti. Vengono per fame o per guerra. Investire dove c’è la fame, l’Europa è capace di farlo, e questo è un modo per aiutare a crescere quei Paesi. Ma sempre c’è quell’immaginario collettivo che abbiamo nell’inconscio: l’Africa va sfruttata! Questo appartiene alla storia, e fa male! I migranti del Medio Oriente hanno trovato altre vie d’uscita. Il Libano è una meraviglia di generosità, ospita più di un milione di siriani. La Giordania, lo stesso. E fanno quello che possono, sperando di reintegrare. Anche la Turchia ha ricevuto qualcuno. E anche noi in Italia abbiamo accolto qualcuno. È un problema complesso sul quale si deve parlare senza pregiudizi».

    Segnaliamo a questo proposito il dossier in cui abbiamo raccolto i discorsi del Papa su questo tema specifico.


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    00 09/04/2019 20:27

    Papa Francesco:
    nessuna altra famiglia può sostituire
    quella formata da uomo e donna



    a Loreto Papa Francesco parla della famiglia «fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna» che «assume un’importanza e una missione essenziali» nella «delicata situazione del mondo odierno».

    «È necessario – dice – riscoprire il disegno tracciato da Dio per la famiglia, per ribadirne la grandezza e l’insostituibilità a servizio della vita e della società». E a proposito delle malattie che feriscono le famiglie, ricordando che «i malati devono essere accolti dentro la famiglia», chiede a braccio: «Per favore non cadiamo nella cultura dello scarto che viene proposta da molteplici colonizzazioni ideologiche».

    Emblematica anche questa frase del discorso di Bergoglio: «I giovani sono ciò che ha dato loro la famiglia nel periodo della crescita».

    La casa di Gesù

    POPE FRANCIS LORETO
    TIZIANA FABI / AFP

    Francesco ha trascorso la giornata del 25 marzo a Loreto, nella basilica della Santa Casa, uno dei luoghi di culto mariano tra i più visitati nel mondo: si dice che nel 1291, quando i crociati furono espulsi definitivamente dalla Palestina, le pareti in muratura che sarebbero quelle entro le quali abitò Maria a Nazaret furono trasportate “per ministero angelico” prima in Illiria (a Tersatto, nell’odierna Croazia) e poi nel territorio di Loreto (10 dicembre 1294) (La Repubblica, 25 marzo).

     

    “Cristo vive”: la nuova Esortazione Apostolica

    A Loreto tanti giovani arrivano ogni anno a pregare per ricevere indicazioni sulla propria vocazione. «Per questo – spiega ancora Francesco – ho voluto firmare qui l’Esortazione apostolica frutto del Sinodo dedicato ai giovani. S’intitola “Christus vivit – Cristo vive». Un testo che segue quanto emerso al Sinodo dello scorso ottobre, in particolare con i suoi tre momenti dedicati all’ascolto della Parola-progetto di Dio, al discernimento, alla decisione: sarà divulgato il prossimo 2 aprile.

    Confessioni anche di notte

    Loreto è per il Papa «un luogo privilegiato dove i giovani possono venire alla ricerca della propria vocazione». Per questo chiede ai frati cappuccini «il servizio di estendere l’orario di apertura della Basilica e della Santa Casa durante la tarda serata e l’inizio della notte quando ci sono gruppi di giovani che vengono a pregare e a discernere la loro vocazione».

    Al termine delle celebrazioni religiose, in mezzo alla gente in festa il Papa si è reso protagonista di un siparietto, afferrando al volo una maglia lanciata da un bambino mentre Francesco passava con la papamobile.

    “Un evento inusuale”

    «Davvero, si può dire – ha commentato il Direttore ad interim della Sala Stampa vaticana Alessandro Gisotti – che è stata una visita breve per il tempo che Papa Francesco è stato qui, ma allo stesso tempo è stata intensa ed è riuscita a toccare i cuori e anche diverse dimensioni: i giovani, la famiglia e i malati. Ovviamente è una visita che – giustamente – è stata definita storica, innanzi tutto per la firma dell’Esortazione Apostolica post-sinodale giovani “Christus vivit!”. È un evento inusuale. Il Papa l’ha voluta firmare qui affidando questo documento ai giovani alla Vergine Maria».

    L’ultima volta con Pio IX

    «Poi – prosegue Gisotti – come gli storici hanno notato sono passati 162 anni – quindi addirittura dai tempi di Pio IX, l’Italia non era ancora unita – da quando per l’ultima volta un Pontefice aveva celebrato una Messa dentro la Santa Casa di Loreto. Poi la festa di popolo, l’accoglienza della gente, dei pellegrini di Loreto, i giovani, le famiglie e i malati; lì abbiamo visto veramente Papa Francesco toccato da questo incontro con i malati – tanti malati – nella Basilica».


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    00 17/05/2019 23:36
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    Papa Francesco: alla 42ª Convocazione nazionale del RnS, “diventi ricca la nostra vita e significativa la nostra testimonianza cristiana”


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    “Mettersi in sintonia con il Maestro che attraversa le strade della nostra quotidianità, desiderosi di incrociare il suo sguardo e a cogliere in profondità ogni parola che esce dalla sua bocca affinché diventi ricca la nostra vita e significativa la nostra testimonianza cristiana”: è l’invito contenuto nel messaggio che Papa Francesco, per mezzo del suo Segretario di Stato, card. Pietro Parolin, ha indirizzato ai partecipanti alla 42ª Convocazione nazionale dei Gruppi e delle Comunità del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS) che si apre oggi (fino a domenica) a Rimini. Ricordando il tema dell’evento, “Oggi per questa casa è venuta la salvezza. A Gesù il potere di salvare, all’uomo la gioia di servire”, il Pontefice auspica, inoltre, che la Convocazione aiuti ciascuno “a condividere il pane e la parola di salvezza”. Presso i padiglioni della fiera della città romagnola sono attese oltre 15mila persone, provenienti dai 1.900 gruppi e comunità del RnS sparse in Italia che radunano più di 200mila aderenti.



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    00 22/01/2020 14:53

    Il Signore ci è vicino, “la sua compassione prenderà su di sé i nostri problemi, i nostri peccati, le nostre malattie interiori”. Lo ha detto Papa Francesco nell’omelia della Messa a Casa Santa Marta, commentando il Vangelo di oggi che racconta la guarigione del lebbroso


    “Signore se tu vuoi, puoi”. E’ una preghiera semplice, “un atto di fiducia” e allo stesso tempo “una vera sfida”, quella che il lebbroso rivolge a Gesù per guarirlo. Una supplica che viene dal profondo del suo cuore e che racconta, allo stesso tempo, il modo di agire del Signore, all’insegna della compassione, “del patire con e per noi”, del “prendere la sofferenza dell’altro su di sé” per lenirla e guarirla in nome dell’amore di Padre. Papa Francesco, nell’omelia della Messa a Casa Santa Marta, si sofferma sull’episodio evangelico della guarigione del lebbroso, esorta a guardare alla compassione di Gesù, venuto a dare la vita per noi peccatori.

     


    Una vera sfida


    Il Papa pone l’accento sulla “storia semplice” del lebbroso che chiede a Gesù la guarigione. In quel “se vuoi” c’è la preghiera che “attira l’attenzione di Dio” e c’è la soluzione. “E’ una sfida – afferma Francesco – ma anche è un atto di fiducia. Io so che Lui può e per questo mi affido a Lui”. “Ma perché – si chiede il Pontefice – quest’uomo sentì dentro di fare questa preghiera? Perché vedeva come agiva Gesù. Quest’uomo aveva visto la compassione di Gesù”. “Compassione”, non pena, è un “ritornello nel Vangelo” che ha i volti della vedova di Nain, del Buon Samaritano, del padre del figliol prodigo.


    La compassione coinvolge, viene dal cuore e coinvolge e ti porta a fare qualcosa. Compassione è patire con, prendere la sofferenza dell’altro su di sé per risolverla, per guarirla. E questa è stata la missione di Gesù. Gesù non è venuto a predicare la legge e poi se ne è andato. Gesù è venuto in compassione, cioè a patire con e per noi e a dare la propria vita. È tanto grande l’amore di Gesù che la compassione lo ha portato fino alla croce, a dare la vita. 


    Gesù non si lava le mani ma resta accanto a noi


    L’invito del Papa è di ripetere “questa piccola frase”: “Ne ebbe compassione”, Gesù – spiega Francesco – “è capace di coinvolgersi nei dolori, nei problemi degli altri perché è venuto per questo, non per lavarsene le mani e fare tre, quattro prediche e andarsene”, è accanto a noi sempre.


    “Signore se tu vuoi puoi guarirmi; se tu vuoi, puoi perdonarmi; se tu vuoi puoi aiutarmi”. O se volete un po’ più lunga: “Signore, sono peccatore, abbi pietà di me, abbi compassione di me”. Semplice preghiera, che si può dire tante volte al giorno. “Signore, io peccatore ti chiedo: abbi pietà di me”. Tante volte al giorno, dal cuore interiormente, senza dirlo ad alta voce: “Signore se tu vuoi, puoi; se vuoi, puoi. Abbi compassione di me”. Ripetere questo.


    Una preghiera miracolosa


    Il lebbroso, con la sua preghiera semplice e miracolosa, è riuscito ad ottenere la guarigione grazie alla compassione di Gesù, che ci ama anche nel peccato.


    Lui non si vergogna di noi. “O, padre, io sono un peccatore, come andrò a dire questo…” Meglio! Perché Lui è venuto proprio per noi peccatori,  e quanto più gran peccatore tu sei, più il Signore è vicino a te, perché è venuto per te, il più grande peccatore, per me, il più grande peccatore, per tutti noi. Prendiamo l’abitudine di ripetere questa preghiera, sempre: “Signore, se vuoi, puoi. Se vuoi, puoi”, con la fiducia che il Signore è vicino a noi e la sua compassione prenderà su di sé i nostri problemi, i nostri peccati, le nostre malattie interiori, tutto.



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