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Interventi del Papa su temi di attualità

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    00 21/08/2011 16:09
    Il Papa durante la veglia alla giornata mondiale della gioventù a Madrid

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    00 16/12/2011 18:28

    "Chi nega Dio fa male all'uomo"

    pubblicata da Benedetto XVI il giorno venerdì 16 dicembre 2011 alle ore 15.05

    Le "ideologie" contrarie alla dignità dell'uomo sono sorte, in tutta la storia dell'umanità, quando "gli uomini hanno tentato di costruire il mondo da soli, senza o contro Dio", secondo il Papa. "San Giacomo - ha detto Benedetto XVI nell'omelia pronunciata durate i vespri con gli universitari romani nalla basilica di San Pietro - ci ha detto: "Guardate lagricoltore: egli aspetta con costanza'. Dio, nell`incarnazione del Verbo, nell`incarnazione del suo Figlio, ha sperimentato il tempo dell`uomo, della sua

    crescita, del suo farsi nella storia.

     Quel bambino è il segno della pazienza di Dio, che per primo è paziente, costante, fedele al suo amore verso di noi; Lui è il vero "agricoltore" della storia, che sa attendere. Quante volte gli uomini hanno tentato di costruire il mondo da soli, senza o contro Dio! Il risultato è segnato dal dramma di ideologie che, alla fine, si sono dimostrate contro l`uomo e la sua dignità profonda.

     La costanza paziente nella costruzione della storia, sia a livello personale

    che comunitario, non si identifica con la tradizionale virtù della prudenza, di cui certamente si ha bisogno, ma è qualcosa di più grande e più complesso. Essere costanti e pazienti - ha detto il Papa - significa imparare a costruire la storia insieme con Dio, perché solo edificando su di Lui e con Lui la costruzione è ben fondata, non strumentalizzata per fini ideologici, ma degna dell`uomo".

     

     


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    00 23/12/2011 19:17
    vivere il Natale nel suo vero senso, quello sacro e cristiano

    Udienza generale dedicata all’approssimarsi dell’Incarnazione. Gli aspetti esteriori, pure belli e importanti, non assorbano il significato di una festa che celebra “il mistero che ha segnato e continua a segnare la storia dell’uomo: Dio si è fatto uomo ed è venuto in mezzo a noi”. E c’è ancora oggi. In questi giorni non ci si dimentichi dei più bisognosi.

    Città del Vaticano (AsiaNews) – L’augurio di Buon Natale, che ci si scambia in questi giorni, “nella società attuale non perda il suo profondo significato religioso e la festa non venga assorbita dagli aspetti esteriori che toccano le corde del cuore. Certamente, i segni esterni sono belli e importanti, purché non ci distolgano, ma piuttosto ci aiutino a vivere il Natale nel suo senso più vero, quello sacro e cristiano, in modo che anche la nostra gioia non sia superficiale, ma profonda". E "in questi giorni santi la carità cristiana si mostri particolarnmente attiva verso i più bisognosi" perché "per i poveri non ci può essere ritardo".

    Udienza generale dedicata al Natale, oggi in Vaticano, con il suono delle zampogne e con Benedetto VI che alle ottomila persone presenti nell’aula Paolo VI ha parlato di un giorno che “non è un semplce anniversario, è anche questo”, ma è in primo luogo “celebrare il mistero che ha segnato e continua a segnare la storia dell’uomo: Dio si è fatto uomo ed è venuto in mezzo a noi”.

    L’Incarnazione è “un mistero che viviamo nelle celebrazioni liturgiche” che risponde alla domanda: “come posso prendere oggi parte alla nascita avvenuta più di 2000 anni fa”. In tutte le celebrazioni natalizie si canta “Oggi è nato per noi il Salvatore”. Questo “oggi” nella liturgia “passa il limite dello spazio e del tempo, il suo effetto perdura pur nello scorrere degli anni e dei secoli”, “la nascita investe e permea tutta la storia, rimane una realtà alla quale possiamo arrivare attraverso la liturgia”.

    Il Natale “per noi crdenti rinnova la certezza che Dio è presente amche oggi, pur essndo col Padre è vicino a noi e possiamo incontrare in un oggi che non ha tramonto quel bambino nato a Betlemme”.

    “L’uomo di oggi fa sempre piu fatica ad aprire gli occhi ed entrare nel mondo di Dio”, ma quell’evento dice che “Dio si è fatto uomo, è entrato nei limiti del tempo e dello spazo per rendere possibile incontrarlo”. E’ un evento che “interessa l’uomo e tutti gli uomini, quando diciamo che oggi è nato per noi il Salvatore intendamo dire che Dio ci offre oggi, adesso, a me e ognuno la possibilità di riconoscerlo e accoglierlo come fecero i pastori a Betlemme, perché trasformi la nostra vita e la illumini con la sua presenza”.

    Benedetto XVI ha poi sottolineato “un seconndo aspetto”: “l’Incarnazione e la nascita di Gesù ci invitano già ad indirizzare lo sguardo verso la sua morte e la sua risurrezione: Natale e Pasqua sono entrambe feste della redenzione. La Pasqua la celebra come vittoria sul peccato e sulla morte: segna il momento finale, quando la gloria dell’uomo-Dio splende come la luce del giorno; il Natale la celebra come l’entrare di Dio nella storia facendosi uomo per riportare l’uomo a Dio: segna, per così dire, il momento iniziale, quando si intravede il chiarore dell’alba. Ma proprio come l’alba precede e fa già presagire la luce del giorno, così il Natale annuncia già la croce e la gloria della Risurrezione. Anche i due periodi dell’anno, in cui sono collocate le due grandi feste, almeno in alcune aree del mondo, possono aiutare a comprendere questo aspetto. Infatti, mentre la Pasqua cade all’inizio della primavera, quando il sole vince le dense e fredde nebbie e rinnova la faccia della terra, il Natale cade proprio all’inizio dell’inverno, quando la luce e il calore del sole non riescono a risvegliare la natura, avvolta dal freddo, sotto la cui coltre, però, pulsa la vita”.

    “Viviamo con gioia il Natale che si avvicina”, ”un evento meravglioso, il Figlio di Dio nasce ncora oggi. Dio è veramente vicino a ciascuno i noi e vuole portarci alla vera luce”, viviamo l’attesa “contemplando il cammino dell’amore immenso di Dio che ci ha innalzati a sé attraverso l’Incarnazione, la morte e Risurrezione del Figlio”.

    “Auguro - ha concluso il Papa - di celebrare un Natale veramente cristiano, in modo che gli scambi di auguri esprimano la gioia di sapere che Dio è vicino”.
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    00 27/01/2012 19:33
     2012-01-27 
    La crisi della fede è la più grande sfida per la Chiesa di oggi: per questo è più che mai necessaria l'unità dei cristiani. Così, in sintesi, il Papa che stamani ha ricevuto in udienza, nella sala Clementina in Vaticano, circa 70 partecipanti alla plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede. Benedetto XVI si è soffermato su alcuni aspetti del cammino ecumenico, sul quale ha riflettuto la stessa plenaria del dicastero in coincidenza con la conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei cristiani. Il servizio di Debora Donnini:
    “Siamo davanti ad una profonda crisi di fede” in vaste zone del mondo, “ad una perdita del senso religioso che costituisce la più grande sfida per la Chiesa di oggi”. Parte da questa considerazione il Papa sottolineando che la priorità nell’impegno della Chiesa intera deve essere “il rinnovamento della fede”:

    “Auspico che l’Anno della fede possa contribuire, con la collaborazione cordiale di tutti i componenti del Popolo di Dio, a rendere Dio nuovamente presente in questo mondo e ad aprire agli uomini l’accesso alla fede, all’affidarsi a quel Dio che ci ha amati sino alla fine, in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.

    Un compito, questo, strettamente legato al tema dell’unità dei cristiani. Benedetto XVI si sofferma su alcuni aspetti dottrinali che riguardano il cammino ecumenico della Chiesa, sul quale ha riflettuto la stessa plenaria della Congregazione in coincidenza con la conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. I dialoghi ecumenici, ricorda, hanno portato “non pochi buoni frutti” ma esige “la nostra vigilanza” il rischio di “un falso irenismo e di un indifferentismo, del tutto alieno alla mente del Concilio Vaticano II”:

    “Questo indifferentismo è causato dall’opinione sempre più diffusa che la verità non sarebbe accessibile all’uomo; sarebbe quindi necessario limitarsi a trovare regole per una prassi in grado di migliorare il mondo. E così la fede sarebbe sostituita da un moralismo senza fondamento profondo. Il centro del vero ecumenismo è invece la fede nella quale l’uomo incontra la verità che si rivela nella Parola di Dio”.

    “Senza la fede – prosegue il Papa – tutto il movimento ecumenico sarebbe ridotto ad una forma di ‘contratto sociale’ cui aderire per un interesse comune mentre la logica del Concilio Vaticano II è diversa: “la ricerca sincera della piena unità di tutti i cristiani è un dinamismo animato dalla Parola di Dio, dalla Verità divina che ci parla in questa Parola”.
    Per il Pontefice, “il problema cruciale” nei vari dialoghi ecumenici è “la questione della struttura della rivelazione – la relazione tra Sacra Scrittura, la Tradizione viva nella Santa Chiesa e il Ministero dei successori degli Apostoli come testimone della vera fede”. Qui è implicita, sottolinea ancora, “la problematica dell’ecclesiologia che fa parte di questo problema: come arriva la verità di Dio a noi”. E fondamentale, fra l’altro, è qui il discernimento tra la Tradizione e le tradizioni. E Benedetto XVI ricorda che “un importante passo di tale discernimento” è stato compiuto nell’applicazione dei provvedimenti per gruppi di fedeli provenienti dall’anglicanesimo, che desiderano entrare nella piena comunione della Chiesa, conservando le proprie tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali, che sono conformi alla fede cattolica. Il Papa riconosce, infatti, “una ricchezza spirituale nelle diverse Confessioni cristiane, che è espressione dell’unica fede e dono da condividere e da trovare insieme nella Tradizione della Chiesa”.
    Un’altra questione fondamentale è quella dei “metodi adottati nei vari dialoghi ecumenici”, che devono anche questi riflettere “la priorità della fede”:

    "In questo senso, occorre affrontare con coraggio anche le questioni controverse, sempre nello spirito di fraternità e di rispetto reciproco”.

    Bisogna anche “offrire un’interpretazione corretta di quell’ordine o 'gerarchia' nelle verità della dottrina cattolica, rilevato nel Decreto Unitatis redintegratio". Il Papa poi sottolinea la rilevanza dei “documenti di studi” prodotti dai vari dialoghi ecumenici ribadendo però che sono contributi offerti alla competente autorità della Chiesa che “sola è chiamata a giudicarli in modo definitivo”. Ascrivergli invece “un peso vincolante o quasi conclusivo delle spinose questioni dei dialoghi”, senza la valutazione dell’Autorità ecclesiale, “in ultima analisi, non aiuterebbe il cammino verso una piena unità nella fede”.
    Per Benedetto XVI sarà anche importante parlare “con una voce sola” sulle “grandi questioni morali circa la vita umana, la famiglia, la sessualità, la bioetica, la libertà, la giustizia e la pace”. E questo attingendo alla Scrittura e alla tradizione della Chiesa. “Difendendo – dice – i valori fondamentali della grande tradizione della Chiesa, difendiamo l’uomo, difendiamo il creato”.
    Quindi il Papa auspica collaborazione fra la Congregazione per la Dottrina della Fede e il Pontifico Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani per “promuovere efficacemente il ristabilimento della piena unità fra tutti i cristiani”. La divisione fra i cristiani, infatti, è di scandalo al mondo e si oppone alla volontà di Cristo, conclude il Pontefice ricordando che l’unità è “non solo il frutto della fede” ma anche “un mezzo e quasi un presupposto per annunciare in modo sempre più credibile la fede a coloro che non conoscono ancora il Salvatore”.
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    00 10/03/2012 21:57

    L'IMPORTANZA E IL VALORE DELL'UNIONE MATRIMONIALE

     

     


    Pontifex.RomaPapa Benedetto XVI, incontrando in Vaticano una delegazione dei vescovi Usa, ha insistito sull'importanza del matrimonio come sacramento. Intanto, il Pontefice ha auspicato "norme liturgiche per una degna celebrazione del matrimonio". Il Papa ha ricordato che il matrimonio " é indissolubile" e caratterizzato da "differenze sessuali" e che la sessualità è orientata "alla procreazione". Il Papa ha sottolineato come nelle società attuali esistono "correnti culturali che cercano di alterare la definizione legale del matrimonio". Il Santo Padre, ha riconosciuto che oggi esiste "una crisi del matrimonio e della famiglia".

    Il Papa ha ricordato che non sono "consapevoli che si tratta (la convivenza) di una situazione gravemente peccaminosa e danneggia la stabilità della società".

    Infine, il Pontefice ha  sottolineato che "le differenze sessuali non possono essere considerate irrilevanti".

     

    Da Radio Vaticana:

    L'insegnamento delal Chiesa sulla famiglia e sul matrimonio è stato al centro del discorso del Papa al gruppo dei vescovi statunitensi, incontrati stamani in Vaticano per la visita ad Limina. Benedetto XVI denuncia il tentativo di "alterare la definizione legale di matrimonio". Il servizio di Fausta Speranza:

    Il Papa chiede di “sviluppare una pastorale chiara e norme liturgiche per una degna celebrazione del matrimonio” che – aggiunge – “comporti una testimonianza non ambigua delle oggettive esigenze della morale cristiana”. Benedetto XVI parla di “carenze nella catechesi degli anni recenti” e spiega che carenze ci sono state nella comunicazione della dottrina della Chiesa cattolica che in tema di Sacramento del matrimonio e di castità è chiara. Il Papa nel suo discorso ricorda alcuni punti fermi: “il Sacramento del matrimonio è indissolubile”, “le differenze sessuali nella definizione di matrimonio non possono essere considerate irrilevanti”. Parla della ricchezza della “visione cristiana della sessualità umana e della castità”, della “specifica comunione delle persone, essenzialmente radicata nella complementarietà dei sessi e orientata alla procreazione”. Il Papa ricorda che tale dottrina è espressa dal magistero del dopo Concilio e presentata nel Catechismo della Chiesa cattolica e nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa. 

    Leggi tutto:
    http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/articolo.asp?c=569903

     

     

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    00 06/04/2012 13:20

    Papa
         
     
    Il Papa richiama i sacerdoti: «La disobbedienza non è una via»

    di Massimo Introvigne
    06-04-2012

    La Messa crismale del 5 aprile ha offerto a Benedetto XVI l’occasione per pronunciare un’importante omelia sui sacerdoti, «consacrati, cioè consegnati per sempre a Dio», e per rispondere con tono fermo alle contestazioni contro il Magistero che vengono da gruppi di sacerdoti progressisti in diversi Paesi, in particolare in Austria, denunciando la disobbedienza dei presbiteri come una strada inaccettabile e disperata.

    Come sacerdoti siamo stati consacrati da un vescovo. «Ma siamo anche consacrati nella realtà della nostra vita? – si è chiesto il Papa – Siamo uomini che operano a partire da Dio e in comunione con Gesù Cristo?». Questa domanda ne racchiude in realtà due. Da una parte, «è richiesto un legame interiore, anzi, una conformazione a Cristo, e in questo necessariamente un superamento di noi stessi, una rinuncia a quello che è solamente nostro, alla tanto sbandierata autorealizzazione. È richiesto che noi, che io non rivendichi la mia vita per me stesso, ma la metta a disposizione di un altro – di Cristo. Che non domandi: che cosa ne ricavo per me?, bensì: che cosa posso dare io per Lui e così per gli altri?».

    Se la prima domanda mette in crisi non solo il carrierismo, ma tante forme di narcisismo psicologico che oggi coinvolgono anche i preti, c’è una seconda questione che il Pontefice ha scelto di affrontare in un modo del tutto diretto: la vocazione del sacerdote «come deve realizzarsi nella situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi?». E qui Benedetto XVI ha fatto riferimento all’«Appello alla disobbedienza» pubblicato in Austria dal movimento Pfärrer-Iniziative, «Iniziativa dei parroci», guidato da monsignor Helmut Schüller, già vicario generale dell’Arcidiocesi di Vienna e presidente della Caritas austriaco. Questo appello, sottoscritto da quattrocento sacerdoti austriaci, chiede tra l’altro il sacerdozio femminile, l’abolizione dell’obbligo del celibato sacerdotale, la comunione per i divorziati risposati.

    «Di recente – ha detto il Papa – un gruppo di sacerdoti in un Paese europeo ha pubblicato un appello alla disobbedienza, portando al tempo stesso anche esempi concreti di come possa esprimersi questa disobbedienza, che dovrebbe ignorare addirittura decisioni definitive del Magistero – ad esempio nella questione circa l’Ordinazione delle donne, in merito alla quale il beato Papa Giovanni Paolo II [1920-2005] ha dichiarato in maniera irrevocabile che la Chiesa, al riguardo, non ha avuto alcuna autorizzazione da parte del Signore». Benedetto XVI ribadisce dunque che il no al sacerdozio delle donne è definitivo e irrevocabile.

    Ma, più in generale, il Papa si è chiesto: «La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa? Vogliamo credere agli autori di tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle Istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove – per riportare la Chiesa all’altezza dell’oggi. Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di ogni vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?».

    Benedetto XVI risponde in modo fermo a richieste inaccettabili, ma nello stesso tempo cerca di comprendere com’è possibile che tanti sacerdoti si siano messi per questa strada «disperata»: «non semplifichiamo troppo il problema. Cristo non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio? Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l’obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida». Cristo, però, non era – come lo presenta una facile retorica – un disobbediente. «A Lui stava a cuore proprio la vera obbedienza, contro l’arbitrio dell’uomo. E non dimentichiamo: Egli era il Figlio, con l’autorità e la responsabilità singolari di svelare l’autentica volontà di Dio, per aprire così la strada della parola di Dio verso il mondo dei gentili. E infine: Egli ha concretizzato il suo mandato con la propria obbedienza e umiltà fino alla Croce, rendendo così credibile la sua missione. Non la mia, ma la tua volontà: questa è la parola che rivela il Figlio, la sua umiltà e insieme la sua divinità, e ci indica la strada».

    Ma si potrebbe obiettare: «non è che con tali considerazioni viene, di fatto, difeso l’immobilismo, l’irrigidimento della tradizione?». Il Papa non ha incertezze nella risposta: «No. Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo. E se guardiamo alle persone, dalle quali sono scaturiti e scaturiscono questi fiumi freschi di vita, vediamo anche che per una nuova fecondità ci vogliono l’essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell’amore».

    Sì al rinnovamento postconciliare, dunque, ma nell’obbedienza al Magistero: infatti, «resta chiaro che la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento». E se «la figura di Cristo ci appare a volte troppo elevata e troppo grande, per poter osare di prendere le misure da Lui. Il Signore lo sa», e «ha provveduto a “traduzioni” in ordini di grandezza più accessibili e più vicini a noi» che sono i santi di tutti i tempi, «fino ai preti martiri del Novecento e, infine, fino a Papa Giovanni Paolo II che, nell’azione e nella sofferenza ci è stato di esempio nella conformazione a Cristo, come “dono e mistero”». I santi, non i disobbedienti, «ci indicano come funziona il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio. E ci lasciano anche capire che Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie nell’umile segno del granello di senape».

    Ci sono, ha detto il Pontefice, «due parole-chiave della rinnovazione delle promesse sacerdotali, che dovrebbero indurci a riflettere in quest’ora della Chiesa e della nostra vita personale». La prima è la parola di san Paolo che chiama i sacerdoti «amministratori dei misteri di Dio» (1Cor 4,1), richiamando così alla grandezza del «ministero dell’insegnamento, il munus docendi, che è una parte di tale amministrazione dei misteri di Dio, in cui Egli ci mostra il suo volto e il suo cuore, per donarci se stesso». Oggi c’è un vero «analfabetismo religioso che si diffonde in mezzo alla nostra società così intelligente. Gli elementi fondamentali della fede, che in passato ogni bambino conosceva, sono sempre meno noti» Per questo l’Anno della Fede «deve essere per noi un’occasione di annunciare il messaggio della fede con nuovo zelo e con nuova gioia». E questo messaggio, oltre che nella Sacra Scrittura, noi «lo troviamo in primo luogo nella parola della Chiesa docente: i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica sono gli strumenti essenziali che ci indicano in modo autentico ciò che la Chiesa crede a partire dalla Parola di Dio. E naturalmente ne fa parte anche tutto il tesoro dei documenti che Papa Giovanni Paolo II ci ha donato e che è ancora lontano dall’essere sfruttato fino in fondo».

    Il sacerdote dovrebbe sempre ripetere con il Vangelo: «La mia dottrina non è mia»(Gv 7,16). «Non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale siamo servitori. Ma questo naturalmente non deve significare che io non sostenga questa dottrina con tutto me stesso e non stia saldamente ancorato ad essa. In questo contesto mi viene sempre in mente la parola di sant’Agostino [354-430]: Che cosa è tanto mio quanto me stesso? E che cosa è così poco mio quanto me stesso? Non appartengo a me stesso, e divento me stesso proprio per il fatto che vado al di là di me stesso e mediante il superamento di me stesso riesco ad inserirmi in Cristo e nel suo Corpo che è la Chiesa. Se non annunciamo noi stessi e se interiormente siamo diventati tutt’uno con Colui che ci ha chiamati come suoi messaggeri così che siamo plasmati dalla fede e la viviamo, allora la nostra predicazione sarà credibile. Non reclamizzo me stesso, ma dono me stesso». 

    La seconda parola chiave è lo zelo per le anime (animarum zelus). «È un’espressione fuori moda che oggi quasi non viene più usata». Anzi, «in alcuni ambienti, la parola anima è considerata addirittura una parola proibita, perché – si dice – esprimerebbe un dualismo tra corpo e anima, dividendo a torto l’uomo». Queste teorie vanno rifiutate. «Certamente l’uomo è un’unità, destinata con corpo e anima all’eternità. Ma questo non può significare che non abbiamo più un’anima, un principio costitutivo che garantisce l’unità dell’uomo nella sua vita e al di là della sua morte terrena». E come sacerdoti, per quanto importanti siano le opere di carità pratica, «noi non ci preoccupiamo soltanto del corpo, ma proprio anche delle necessità dell’anima dell’uomo: delle persone che soffrono per la violazione del diritto o per un amore distrutto; delle persone che si trovano nel buio circa la verità; che soffrono per l’assenza di verità e di amore. Ci preoccupiamo della salvezza degli uomini in corpo e anima». Non solo: «in quanto sacerdoti di Gesù Cristo, lo facciamo con zelo. Le persone non devono mai avere la sensazione che noi compiamo coscienziosamente il nostro orario di lavoro, ma prima e dopo apparteniamo solo a noi stessi. Un sacerdote non appartiene mai a se stesso. Le persone devono percepire il nostro zelo, mediante il quale diamo una testimonianza credibile per il Vangelo di Gesù Cristo». Lo zelo sacerdotale, non la disobbedienza, salverà il mondo.

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    Coordin.
    00 14/04/2012 18:05

    La settimana che entra, Papa Benedetto XVI compie sette anni di pontificato (augurissimi) ed anche gli anni (doppi auguri). Pensiamo sia giusto dedicare qualche breve riflessione, giorno per per giorno, ai temi forti del suo intenso pontificato. Papa Benedetto XVI ha deciso di dare battaglia a quella vera piaga che è il relativismo, sia etico che culturale, un fenomeno che ha bollato come "dittatura del relativismo" ed al quale neppure qualche prete progressista è del tutto estraneo. Che cosa è in sintesi questo relativismo? Il non credere in valori certi e stabili, nel pensare che tutto sia permesso e che nulla sia proibito, insomma costruirsi una morale a propria misura. Di tal modo, secondo la logica relativista, bestemmiare non è male se contestualizziamo la bestemmia, abortire non è crimine se occorre tutelare la pietà, divorziare è di fatto normale, usare il contraccettivo evita le malattie, andare a Messa la domenica è diventato un optional, basta fare solo opere buone (filantropia), intrattenere relazioni prematrimoniali è lecito (lo fanno tutti e tutte), convivere more uxorio anche, vivere la sessualità gay o lesbo è segno di libertà e maturità...e così via...

    Davanti a questo sfacelo etico, Papa Benedetto XVI ha preso posizioni molto chiare: il cattolico sappia scegliere tra il bene e il male, tra quello che piace a Dio e quello che Dio rifugge.

    Ma non basta; il Papa ha anche intrapreso la sua onesta battaglia contro il secolarismo, fenomeno attiguo al relativismo, ossia una società che vive come se Dio non esistesse o come se mai dovessimo morire, pertanto questo secolarismo ci porta a rubare, alla corruzione, a frodare negli affari, alla poca onestà nella vita di ogni giorno, a speculare etc ...

    Infine, il terzo incomodo: il sincretismo che nasce dal relativismo. Se crediamo che tutto sia uguale, cade anche la separazione tra le varie religioni. Nessuno vuole discriminarle, ma non si può oggettivamente dire che tutte siano la stessa cosa. Bene, il sincretismo è quella sorta di paganesimo che in una illusoria ottica di tolleranza (o di ignoranza) pretende fare di ogni religione un fascio. Una sorta di mega frullato.

    Ecco, i primi tre capisaldi della battaglia nel pontificato di questo grande Papa. Siamogli vicini e preghiamo per lui che combatte la buona battaglia della fede.
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    Coordin.
    00 24/05/2012 16:19
    UDIENZA ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA (C.E.I.), 24.05.2012

    Venerati e cari Fratelli


    è un momento di grazia questo vostro annuale convenire in Assemblea, in cui vivete una profonda esperienza di confronto, di condivisione e di discernimento per il comune cammino, animato dallo Spirito del Signore Risorto; è un momento di grazia che manifesta la natura della Chiesa. 
    Ringrazio il Cardinale Angelo Bagnasco per le cordiali parole con cui mi ha accolto, facendosi interprete dei vostri sentimenti: a Lei, Eminenza, rivolgo i migliori auguri per la riconferma alla guida della Conferenza Episcopale Italiana. 
    L’affetto collegiale che vi anima nutra sempre più la vostra collaborazione a servizio della comunione ecclesiale e del bene comune della Nazione italiana, nell’interlocuzione fruttuosa con le sue istituzioni civili. In questo nuovo quinquennio proseguite insieme il rinnovamento ecclesiale che ci è stato affidato dal Concilio Ecumenico Vaticano II; il 50° anniversario del suo inizio, che celebreremo in autunno, sia motivo per approfondirne i testi, condizione di una recezione dinamica e fedele. 
    «Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace», affermava il Beato Giovanni XXIII nel discorso d’apertura.
    Egli impegnava i Padri ad approfondire e a presentare tale perenne dottrina in continuità con la tradizione millenaria della Chiesa, «trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti», ma in modo nuovo, «secondo quanto è richiesto dai nostri tempi». (Discorso di solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962). 
    Con tale chiave di lettura e di applicazione, nell’ottica non certo di un’inaccettabile ermeneutica della discontinuità e della rottura, ma di un’ermeneutica della continuità e della riforma, ascoltare il Concilio e farne nostre le autorevoli indicazioni, costituisce la strada per individuare le modalità con cui la Chiesa può offrire una risposta significativa alle grandi trasformazioni sociali e culturali del nostro tempo, che hanno conseguenze visibili anche sulla dimensione religiosa.
    La razionalità scientifica e la cultura tecnica, infatti, non soltanto tendono ad uniformare il  mondo, ma spesso travalicano i rispettivi ambiti specifici, nella pretesa di delineare il perimetro  delle certezze di ragione unicamente con il criterio empirico delle proprie conquiste. Così il  potere delle capacità umane finisce per ritenersi la misura dell’agire, svincolato da ogni norma  morale. Proprio in tale contesto non manca di riemergere, a volte in maniera confusa, una  singolare e crescente domanda di spiritualità e di soprannaturale, segno di un’inquietudine che  alberga nel cuore dell’uomo che non si apre all’orizzonte trascendente di Dio. Questa situazione  di secolarismo caratterizza soprattutto le società di antica tradizione cristiana ed erode quel  tessuto culturale che, fino a un recente passato, era un riferimento unificante, capace di  abbracciare l’intera esistenza umana e di scandirne i momenti più significativi, dalla nascita al  passaggio alla vita eterna. Il patrimonio spirituale e morale in cui l’Occidente affonda le sue  radici e che costituisce la sua linfa vitale, oggi non è più compreso nel suo valore profondo, al  punto che più non se ne coglie l’istanza di verità. Anche una terra feconda rischia così di  diventare deserto inospitale e il buon seme di venire soffocato, calpestato e perduto.  Ne è un segno la diminuzione della pratica religiosa, visibile nella partecipazione alla  Liturgia eucaristica e, ancora di più, al Sacramento della Penitenza. Tanti battezzati hanno  smarrito identità e appartenenza: non conoscono i contenuti essenziali della fede o pensano di  poterla coltivare prescindendo dalla mediazione ecclesiale. E mentre molti guardano dubbiosi  alle verità insegnate dalla Chiesa, altri riducono il Regno di Dio ad alcuni grandi valori, che  hanno certamente a che vedere con il Vangelo, ma che non riguardano ancora il nucleo centrale  della fede cristiana. Il Regno di Dio è dono che ci trascende. Come affermava il beato Giovanni  Paolo II, «il regno non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione,  ma è innanzi tutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio  invisibile» (Redemptoris missio, 18). 
    Purtroppo, è proprio Dio a restare escluso dall’orizzonte  di tante persone; e quando non incontra indifferenza, chiusura o rifiuto, il discorso su Dio lo si  vuole comunque relegato nell’ambito soggettivo, ridotto a un fatto intimo e privato, marginalizzato  dalla coscienza pubblica. Passa da questo abbandono, da questa mancata apertura al  Trascendente, il cuore della crisi che ferisce l’Europa, che è crisi spirituale e morale: l’uomo  pretende di avere un’identità compiuta semplicemente in se stesso.  In questo contesto, come possiamo corrispondere alla responsabilità che ci è stata affidata  dal Signore? Come possiamo seminare con fiducia la Parola di Dio, perché ognuno possa trovare  la verità di se stesso, la propria autenticità e speranza? 
    Siamo consapevoli che non bastano nuovi  metodi di annuncio evangelico o di azione pastorale a far sì che la proposta cristiana possa  incontrare maggiore accoglienza e condivisione. Nella preparazione del Vaticano II,  l’interrogativo prevalente e a cui l’Assise conciliare intendeva dare risposta era: «Chiesa, che  dici di te stessa?». Approfondendo tale domanda, i Padri conciliari furono, per così dire,  ricondotti al cuore della risposta: si trattava di ripartire da Dio, celebrato, professato e  testimoniato. Non a caso, infatti, la prima Costituzione approvata fu quella sulla Sacra Liturgia:  il culto divino orienta l’uomo verso la Città futura e restituisce a Dio il suo primato, plasma la  Chiesa, incessantemente convocata dalla Parola, e mostra al mondo la fecondità dell’incontro  con Dio. A nostra volta, mentre dobbiamo coltivare uno sguardo riconoscente per la crescita del  grano buono anche in un terreno che si presenta spesso arido, avvertiamo che la nostra situazione  richiede un rinnovato impulso, che punti a ciò che è essenziale della fede e della vita cristiana.  In un tempo nel quale Dio è diventato per molti il grande Sconosciuto e Gesù semplicemente un  grande personaggio del passato, non ci sarà rilancio dell’azione missionaria senza il rinnovamento  della qualità della nostra fede e della nostra preghiera; non saremo in grado di offrire risposte  adeguate senza una nuova accoglienza del dono della Grazia; non sapremo conquistare gli  uomini al Vangelo se non tornando noi stessi per primi a una profonda esperienza di Dio.  Cari Fratelli, il nostro primo, vero e unico compito rimane quello di impegnare la vita per  ciò che vale e permane, per ciò che è realmente affidabile, necessario e ultimo. Gli uomini  vivono di Dio, di Colui che spesso inconsapevolmente o solo a tentoni ricercano per dare pieno  significato all’esistenza: noi abbiamo il compito di annunciarlo, di mostrarlo, di guidare  all’incontro con Lui. Ma è sempre importante ricordarci che la prima condizione per parlare di  Dio è parlare con Dio, diventare sempre più uomini di Dio, nutriti da un’intensa vita di preghiera  e plasmati dalla sua Grazia. Sant’Agostino, dopo un cammino di affannosa, ma sincera ricerca  della Verità era finalmente giunto a trovarla in Dio. Allora si rese conto di un aspetto singolare  che riempì di stupore e di gioia il suo cuore: capì che lungo tutto il suo cammino era la Verità  che lo stava cercando e che l’aveva trovato. Vorrei dire a ciascuno: lasciamoci trovare e afferrare  da Dio, per aiutare ogni persona che incontriamo ad essere raggiunta dalla Verità. E’ dalla  relazione con Lui che nasce la nostra comunione e viene generata la comunità ecclesiale, che  abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi per costituire l’unico Popolo di Dio.  
    Per questo ho voluto indire un Anno della Fede, che inizierà l’11 ottobre prossimo, per  riscoprire e riaccogliere questo dono prezioso che è la fede, per conoscere in modo più profondo  le verità che sono la linfa della nostra vita, per condurre l’uomo d’oggi, spesso distratto, ad un  rinnovato incontro con Gesù Cristo «via, verità e vita».  In mezzo a trasformazioni che interessavano ampi strati dell’umanità, il Servo di Dio Paolo  VI indicava chiaramente quale compito della Chiesa quello di «raggiungere e quasi sconvolgere  mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le  linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con  la Parola di Dio e col disegno della salvezza» (Evangelii nuntiandi, 19). 
    Vorrei qui ricordare  come, in occasione della prima visita da Pontefice nella sua terra natale, il beato Giovanni Paolo  II visitò un quartiere industriale di Cracovia concepito come una sorta di «città senza Dio». Solo  l’ostinazione degli operai aveva portato a erigervi prima una croce, poi una chiesa. In quei segni,  il Papa riconobbe l’inizio di quella che egli, per la prima volta, definì «nuova evangelizzazione»,  spiegando che «l’evangelizzazione del nuovo millennio deve riferirsi alla dottrina del Concilio  Vaticano II. Deve essere, come insegna questo Concilio, opera comune dei Vescovi, dei  sacerdoti, dei religiosi e dei laici, opera dei genitori e dei giovani». E concluse: «Avete costruito  la chiesa; edificate la vostra vita col Vangelo!» (Omelia nel Santuario della Santa Croce,  Mogila, 9 giugno 1979).
    Cari Confratelli, la missione antica e nuova che ci sta innanzi è quella di introdurre gli  uomini e le donne del nostro tempo alla relazione con Dio, aiutarli ad aprire la mente e il cuore  a quel Dio che li cerca e vuole farsi loro vicino, guidarli a comprendere che compiere la sua  volontà non è un limite alla libertà, ma è essere veramente liberi, realizzare il vero bene della  vita. Dio è il garante, non il concorrente, della nostra felicità, e dove entra il Vangelo – e quindi  l’amicizia di Cristo – l’uomo sperimenta di essere oggetto di un amore che purifica, riscalda e  rinnova, e rende capaci di amare e di servire l’uomo con amore divino.  Come evidenzia opportunamente il tema principale di questa vostra Assemblea, la nuova  evangelizzazione necessita di adulti che siano «maturi nella fede e testimoni di umanità».  L’attenzione al mondo degli adulti manifesta la vostra consapevolezza del ruolo decisivo di  quanti sono chiamati, nei diversi ambiti di vita, ad assumere una responsabilità educativa nei  confronti delle nuove generazioni. Vegliate e operate perché la comunità cristiana sappia formare  persone adulte nella fede perché hanno incontrato Gesù Cristo, che è diventato il riferimento  fondamentale della loro vita; persone che lo conoscono perché lo amano e lo amano perché  l’hanno conosciuto; persone capaci di offrire ragioni solide e credibili di vita. In questo cammino  formativo è particolarmente importante – a vent’anni dalla sua pubblicazione – il Catechismo  della Chiesa Cattolica, sussidio prezioso per una conoscenza organica e completa dei contenuti  della fede e per guidare all’incontro con Cristo. Anche grazie a questo strumento possa l’assenso  di fede diventare criterio di intelligenza e di azione che coinvolge tutta l’esistenza.
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    00 01/06/2012 19:21

    Pontifex.RomaAlla fine dell'Udienza pubblica del mercoledì, Papa Benedetto XVI ha voluto dedicare parole chiare e precise sul caso del presunto corvo che ha scosso il Palazzo Apostolico. Ricordando la potente figura di San Paolo, il Pontefice ha detto: "San Paolo ha sofferto terribilmente [...] ma in tutte queste situazioni, dove sembrava non aprirsi una ulteriore strada, ha ricevuto consolazione e conforto da Dio. Per annunziare Cristo ha subito anche persecuzioni, fino ad essere rinchiuso in carcere, ma si è sentito sempre interiormente libero, animato dalla presenza di Cristo e desideroso di annunciare la parola di speranza del Vangelo". Il Papa ha rinnovato fiducia nei suoi collaboratori ed ha bollato certe notizie giornalistiche infondate e addirittura gratuite. Ecco le parole del Santo Padre: "gli avvenimenti successi in questi giorni circa la Curia e i miei collaboratori hanno recato tristezza nel mio cuore, ma non si è affatto offuscata la certezza che, nonostante le debolezze dell'uomo, le difficoltà e le prove, la Chiesa è guidata dallo Spirito Santo e il Signore mai le farà mancare il suo aiuto per sostenerla nel suo cammino.

    Si sono moltiplicate illazioni amplificate da alcuni mezzi di comunicazione del tutto gratuite e che sono andate ben oltre i fatti offrendo un'immagine della Santa Sede che non risponde alla realtà. Desidero rinnovare la mia fiducia, il mio incoraggiamento ai miei più stretti collaboratori e tutti coloro che quotidianamente, con fedeltà, spirito di sacrificio e nel silenzio, mi aiutano nell'adempimento del mio ministero".

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    00 04/06/2012 13:36
    Due gli spunti di rilievo nella bella omelia del Papa al VII Raduno delle Famiglie Cristiane di Milano: matrimonio ed economia. Alla messa, davanti a circa un milione di fedeli (che successo, i cattolici avevano davvero bisogno di un Papa che parla chiaro), erano presenti Monti e Bossi. Papa Ratzinger non ha fatto sconti a nessuno, commentando la Solennità della Santissima Trinità. Il Pontefice ha detto che "chiamata ad essere immagine di Dio non è solo la Chiesa, ma anche la famiglia". Ma quale famiglia? In tempi nei quali ogni accozzaglia di unione pretende di essere chiamata in questo modo, il Papa è stato severo: "la famiglia è fondata sul matrimonio tra uomo e donna. Dio ha creato l'essere umano maschio e femmina con pari dignità, ma anche con caratteristiche complementari, perché i due fossero dono l'uno per l'altro". Ovviamente, lo scopo primario del matrimonio è la procreazione e l'educazione dei figli. Ecco la ricetta del Papa:

    "Avere cura dei figli. In un mondo dominato dalla tecnica, trasmettete loro le ragioni del vivere, la forza della fede".
    Poi la parte economica.

    Il Pontefice ha ribadito la centralità della domenica e delle feste da osservare e poi ha bacchettato la moderna economia finanziaria:

    "Nelle moderne teorie economiche prevale spesso una concezione utilitarista del lavoro, della produzione e del mercato. Il progetto di Dio e la stessa esperienza mostrano che non è la logica unilaterale dell'utile proprio e del massimo profitto quella che può concorrere ad uno sviluppo armonico, al bene della famiglia, perché porta con sé concorrenza esasperata, forti disuguaglianze, degrado dell'ambiente, corsa ai consumi. La mentalità utilitaristica tende ad estendersi alle relazioni interpersonali riducendole a convergenze precarie e di interessi".
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    Coordin.
    00 13/06/2012 08:39

    Trenta minuti per una Lectio divina di alto profilo teologico, quella proposta dal Papa lunedì sera, 11 giugno, nella basilica di San Giovanni in Laterano, nell'inaugurazione del convegno ecclesiale della diocesi di Roma. Egli ha invitato i partecipanti a riflettere sul significato del sacramento del battesimo - "il primo passo della Risurrezione" - sottolineandone l'attualità, nell'intento di ribadire che "il battesimo non è un atto di un'ora, ma una realtà di tutta la nostra vita" e che "Dio non è una stella lontana, ma è l'ambiente della mia vita".
    Proprio per questo, il cristiano è costantemente chiamato a confrontarsi con i due elementi cardini del sacramento: la materia, rappresentata dall'acqua, e la Parola, la quale a sua volta si esprime in tre altri elementi del rito, cioè rinunce, promesse invocazioni. E parlando delle rinunce ha fatto esplicito cenno alla seduzione del male "per non lasciarvi dominare dal peccato". Ha rievocato l'antica espressione "pompa del diavolo" con la quale si intendeva indicare una cultura in cui non conta la verità quanto l'apparenza. Una cultura, ha detto, "che conosciamo anche oggi", nella quale contano solo "la sensazione e lo spirito di calunnia e di distruzione".
    Una cultura che "non cerca il bene" e nella quale "la menzogna si presenta nella veste della verità e dell'informazione". E come nella Chiesa antica la prima rinuncia nel battesimo era proprio riferita a questa creatura della "pompa del diavolo" anche noi oggi siamo chiamati a ripetere il nostro "no" alla cultura che nega Dio e a ripetere il ""sì" fondamentale, il "sì" dell'amore e della verità". Nel concludere la sua meditazione - pronunciata interamente a braccio - il Papa ha riaffermato che il battesimo dei neonati "non è contro la libertà" ma è "necessario per giustificare anche il dono della vita".

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    00 12/09/2012 23:17
    UDIENZA GENERALE DI PAPA BENEDETTO XVI 

    Aula Paolo VI, mercoledì 12 settembre 2012


    La preghiera nella seconda parte dell'Apocalisse (Ap 4,1-22,21)

    Cari fratelli e sorelle, 

    mercoledì scorso ho parlato sulla preghiera nella prima parte dell'Apocalisse, oggi passiamo alla seconda parte del libro, e mentre nella prima parte la preghiera è orientata verso l’interno della vita ecclesiale, l'attenzione nella seconda è rivolta al mondo intero; la Chiesa, infatti, cammina nella storia, ne è parte secondo il progetto di Dio. L’assemblea che, ascoltando il messaggio di Giovanni presentato dal lettore, ha riscoperto il proprio compito di collaborare allo sviluppo del Regno di Dio come «sacerdoti di Dio e di Cristo» (Ap 20,6; cfr 1,5; 5,10), e si apre sul mondo degli uomini. E qui emergono due modi di vivere in rapporto dialettico tra loro: il primo lo potremmo definire il «sistema di Cristo», a cui l’assemblea è felice di appartenere, e il secondo il «sistema terrestre anti-Regno e anti-alleanza messo in atto dall’influsso del Maligno», il quale, ingannando gli uomini, vuole realizzare un mondo opposto a quello voluto da Cristo e da Dio (cfr Pontificia Commissione Biblica, Bibbia e Morale. Radici bibliche dell’agire cristiano, 70). L’assemblea deve allora saper leggere in profondità la storia che sta vivendo, imparando a discernere con la fede gli avvenimenti per collaborare, con la sua azione, allo sviluppo del Regno di Dio. E questa opera di lettura e di discernimento, come pure di azione, è legata alla preghiera.

    Anzitutto, dopo l’appello insistente di Cristo che, nella prima parte dell’Apocalisse, ben sette volte ha detto: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alla Chiesa» (cfr Ap 2,7.11.17.29; 3,6.13.22), l’assemblea viene invitata a salire in Cielo per guardare la realtà con gli occhi di Dio; e qui ritroviamo tre simboli, punti di riferimento da cui partire per leggere la storia: il trono di Dio, l’Agnello e il libro (cfr Ap 4,1 – 5,14).

    Primo simbolo è il trono, sul quale sta seduto un personaggio che Giovanni non descrive, perché supera qualsiasi rappresentazione umana; può solo accennare al senso di bellezza e gioia che prova trovandosi davanti a Lui. Questo personaggio misterioso è Dio, Dio onnipotente che non è rimasto chiuso nel suo Cielo, ma si è fatto vicino all’uomo, entrando in alleanza con lui; Dio che fa sentire nella storia, in modo misterioso ma reale, la sua voce simboleggiata dai lampi e dai tuoni. Vi sono vari elementi che appaiono attorno al trono di Dio, come i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi, che rendono lode incessantemente all’unico Signore della storia.

    Primo simbolo, quindi, il trono. Secondo simbolo è il libro, che contiene il piano di Dio sugli avvenimenti e sugli uomini; è chiuso ermeticamente da sette sigilli e nessuno è in grado di leggerlo. Di fronte a questa incapacità dell’uomo di scrutare il progetto di Dio, Giovanni sente una profonda tristezza che lo porta al pianto. Ma c’è un rimedio allo smarrimento dell’uomo di fronte al mistero della storia: qualcuno è in grado di aprire il libro e di illuminarlo.

    E qui appare il terzo simbolo: Cristo, l’Agnello immolato nel Sacrificio della Croce, ma che è in piedi, segno della sua Risurrezione. Ed è proprio l’Agnello, il Cristo morto e risorto, che progressivamente apre i sigilli e svela il piano di Dio, il senso profondo della storia.

    Che cosa dicono questi simboli? Essi ci ricordano qual è la strada per saper leggere i fatti della storia e della nostra stessa vita. Alzando lo sguardo al Cielo di Dio, nel rapporto costante con Cristo, aprendo a Lui il nostro cuore e la nostra mente nella preghiera personale e comunitaria, noi impariamo a vedere le cose in modo nuovo e a coglierne il senso più vero. La preghiera è come una finestra aperta che ci permette di tenere lo sguardo rivolto verso Dio, non solo per ricordarci la meta verso cui siamo diretti, ma anche per lasciare che la volontà di Dio illumini il nostro cammino terreno e ci aiuti a viverlo con intensità e impegno.

    In che modo il Signore guida la comunità cristiana ad una lettura più profonda della storia? Anzitutto invitandola a considerare con realismo il presente che stiamo vivendo. L’Agnello apre allora i primi quattro sigilli del libro e la Chiesa vede il mondo in cui è inserita, un mondo in cui vi sono vari elementi negativi. Vi sono i mali che l’uomo compie, come la violenza, che nasce dal desiderio di possedere, di prevalere gli uni sugli altri, tanto da giungere ad uccidersi (secondo sigillo); oppure l’ingiustizia, perché gli uomini non rispettano le leggi che si sono date (terzo sigillo). A questi si aggiungono i mali che l’uomo deve subire, come la morte, la fame, la malattia (quarto sigillo). Davanti a queste realtà, spesso drammatiche, la comunità ecclesiale è invitata a non perdere mai la speranza, a credere fermamente che l’apparente onnipotenza del Maligno si scontra con la vera onnipotenza che è quella di Dio. E il primo sigillo che scioglie l’Agnello contiene proprio questo messaggio. Narra Giovanni: «E vidi: ecco, un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; gli fu data una corona ed egli uscì vittorioso per vincere ancora» (Ap 6,2). Nella storia dell’uomo è entrata la forza di Dio, che non solo è in grado di bilanciare il male, ma addirittura di vincerlo; il colore bianco richiama la Risurrezione: Dio si è fatto così vicino da scendere nell’oscurità della morte per illuminarla con lo splendore della sua vita divina; ha preso su di sé il male del mondo per purificarlo col fuoco del suo amore. 

    Come crescere in questa lettura cristiana della realtà? L’Apocalisse ci dice che la preghiera alimenta in ciascuno di noi e nelle nostre comunità questa visione di luce e di profonda speranza: ci invita a non lasciarci vincere dal male, ma a vincere il male con il bene, a guardare al Cristo Crocifisso e Risorto che ci associa alla sua vittoria. La Chiesa vive nella storia, non si chiude in se stessa, ma affronta con coraggio il suo cammino in mezzo a difficoltà e sofferenze, affermando con forza che il male in definitiva non vince il bene, il buio non offusca lo splendore di Dio. Questo è un punto importante per noi; come cristiani non possiamo mai essere pessimisti; sappiamo bene che nel cammino della nostra vita incontriamo spesso violenza, menzogna, odio, persecuzione, ma questo non ci scoraggia. Soprattutto la preghiera ci educa a vedere i segni di Dio, la sua presenza e azione, anzi ad essere noi stessi luci di bene, che diffondono speranza e indicano che la vittoria è di Dio.

    Questa prospettiva porta ad elevare a Dio e all’Agnello il ringraziamento e la lode: i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi cantano insieme il «cantico nuovo» che celebra l’opera di Cristo Agnello, il quale renderà «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Ma questo rinnovamento è anzitutto un dono da chiedere. E qui troviamo un altro elemento che deve caratterizzare la preghiera: invocare dal Signore con insistenza che il suo Regno venga, che l’uomo abbia il cuore docile alla signoria di Dio, che sia la sua volontà ad orientare la nostra vita e quella del mondo. Nella visione dell’Apocalisse questa preghiera di domanda è rappresentata da un particolare importante: «i ventiquattro anziani» e «i quattro esseri viventi» tengono in mano, insieme alla cetra che accompagna il loro canto, «delle coppe d’oro piene di incenso» (5,8a) che, come viene spiegato, «sono le preghiere dei santi» (5,8b), di coloro, cioè, che hanno già raggiunto Dio, ma anche di tutti noi che ci troviamo in cammino. E vediamo che davanti al trono di Dio, un angelo tiene in mano un turibolo d’oro in cui mette continuamente i grani di incenso, cioè nostre preghiere, il cui soave odore viene offerto insieme alle preghiere che salgono al cospetto di Dio (cfr Ap 8,1-4). E’ un simbolismo che ci dice come tutte le nostre preghiere - con tutti i limiti, la fatica, la povertà, l’aridità, le imperfezioni che possono avere - vengono quasi purificate e raggiungono il cuore di Dio. Dobbiamo essere certi, cioè, che non esistono preghiere superflue, inutili; nessuna va perduta. Ed esse trovano risposta, anche se a volte misteriosa, perché Dio è Amore e Misericordia infinita. L’angelo – scrive Giovanni - «prese l’incensiere, lo riempì del fuoco preso dall’altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono tuoni, rumori, fulmini e scosse di terremoto» (Ap 8,5). Questa immagine significa che Dio non è insensibile alle nostre suppliche, interviene e fa sentire la sua potenza e la sua voce sulla terra, fa tremare e sconvolge il sistema del Maligno. Spesso, di fronte al male si ha la sensazione di non poter fare nulla, ma è proprio la nostra preghiera la risposta prima e più efficace che possiamo dare e che rende più forte il nostro quotidiano impegno nel diffondere il bene. La potenza di Dio rende feconda la nostra debolezza (cfr Rm 8,26-27). 

    Vorrei concludere con qualche cenno al dialogo finale (cfr Ap 22,6-21). Gesù ripete varie volte: «Ecco, io vengo presto» (Ap 22,7.12). Questa affermazione non indica solo la prospettiva futura alla fine dei tempi, ma anche quella presente: Gesù viene, pone la sua dimora in chi crede in Lui e lo accoglie. L’assemblea, allora, guidata dallo Spirito Santo, ripete a Gesù l’invito pressante a rendersi sempre più vicino: «Vieni» (Ap 22,17a). E’ come la «sposa» (22,17) che aspira ardentemente alla pienezza della nuzialità. Per la terza volta ricorre l’invocazione: «Amen. Vieni, Signore Gesù» (22,20b); e il lettore conclude con un’espressione che manifesta il senso di questa presenza: «La grazia del Signore Gesù sia con tutti» (22,21).

    L’Apocalisse, pur nella complessità dei simboli, ci coinvolge in una preghiera molto ricca, per cui anche noi ascoltiamo, lodiamo, ringraziamo, contempliamo il Signore, gli chiediamo perdono. La sua struttura di grande preghiera liturgica comunitaria è anche un forte richiamo a riscoprire la carica straordinaria e trasformante che ha l’Eucaristia; in particolare vorrei invitare con forza ad essere fedeli alla Santa Messa domenicale nel Giorno del Signore, la Domenica, vero centro della settimana! La ricchezza della preghiera nell’Apocalisse ci fa pensare a un diamante, che ha una serie affascinante di sfaccettature, ma la cui preziosità risiede nella purezza dell’unico nucleo centrale. Le suggestive forme di preghiera che incontriamo nell’Apocalisse fanno brillare allora la preziosità unica e indicibile di Gesù Cristo. Grazie.
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    00 12/11/2012 23:30
    VATICANO - Papa: una società si giudica anche da come tratta gli anziani, che sono un valore per i giovani

    In visita a una casa-famiglia per anziani, Benedetto XVI parla della "nostra età" come "una benedizione". "E' bello essere anziani". La società spesso considera "non produttivo" e quindi "inutile" chi è avanti con gli anni. Serve maggiore impegno di famiglie e istituzioni pubbliche. Una fase
     della vita che è "un dono" anche per approfondire il rapporto con Dio.

    12/11/2012
    Roma (AsiaNews) - La "qualità" di una società, "di una civiltà, si giudica anche da come gli anziani sono trattati" e la vecchiaia non va vissuta nel rimpianto, perché è un dono di Dio e ugualmente è per la necessità di ricorrere all'aiuto di altri "perché è una grazia essere sostenuti e accompagnati".

    Parla della "nostra età" e di "acciacchi" Benedetto XVI che stamattina si è recato nella casa-famiglia della Comunità di Sant'Egidio sul Gianicolo, a Roma, in occasione dell'Anno europeo dell'invecchiamento attivo e della solidarietà fra le generazioni.

    Accolto e circondato da "coetanei", con loro il Papa parla del "velo di tristezza" che "a volte" vela lo sguardo di chi è avanti con gli anni e rimpiange "quando si era giovani, si godeva di energie fresche, si facevano progetti per il futuro". Invece "è bello essere anziani", avere "il dono di una vita lunga" che nella Bibbia "è considerata una benedizione di Dio". E "vivere è bello anche alla nostra età, nonostante qualche 'acciacco' e qualche limitazione. Nel nostro volto ci sia sempre la gioia di sentirci amati da Dio, mai la tristezza".

    Ma oggi "spesso la società, dominata dalla logica dell'efficienza e del profitto, non lo accoglie come tale; anzi, spesso lo respinge, considerando gli anziani come non produttivi, inutili. Tante volte si sente la sofferenza di chi è emarginato, vive lontano dalla propria casa o è nella solitudine. Penso che si dovrebbe operare con maggiore impegno, iniziando dalle famiglie e dalle istituzioni pubbliche, per fare in modo che gli anziani possano rimanere nelle proprie case. La sapienza di vita di cui sono portatori è una grande ricchezza. La qualità di una società, vorrei dire di una civiltà, si giudica anche da come gli anziani sono trattati e dal posto loro riservato nel vivere comune. Chi fa spazio agli anziani fa spazio alla vita! Chi accoglie gli anziani accoglie la vita!".

    Perché, anche "quando la vita diventa fragile, negli anni della vecchiaia, non perde mai il suo valore e la sua dignità: ognuno di noi, in qualunque tappa dell'esistenza, è voluto, amato da Dio, ognuno è importante e necessario".

    Citando poi l'attuale Anno europeo dell'invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni, il Papa dice che "gli anziani sono un valore per la società, soprattutto per i giovani. Non ci può essere vera crescita umana ed educazione senza un contatto fecondo con gli anziani, perché la loro stessa esistenza è come un libro aperto nel quale le giovani generazioni possono trovare preziose indicazioni per il cammino della vita".

    "Questa fase della vita - è il commiato di Benedetto XVI - è un dono anche per approfondire il rapporto con Dio. L'esempio del beato Giovanni Paolo II è stato ed è tuttora illuminante per tutti. Non dimenticate che tra le risorse preziose che avete c'è quella essenziale della preghiera: diventate intercessori presso Dio, pregando con fede e con costanza. Pregate per la Chiesa, anche per me, per i bisogni del mondo, per i poveri, perché nel mondo non ci sia più violenza. La preghiera degli anziani può proteggere il mondo, aiutandolo forse in modo più incisivo che l'affannarsi di tanti. Vorrei affidare oggi alla vostra preghiera il bene della Chiesa e la pace del mondo".

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    Coordin.
    00 01/12/2012 08:17
    VATICANO - TURCHIA
    Papa: cattolici e ortodossi testimoni del Vangelo di fronte al mondo che ha perso la fede in Dio

    Nel messaggio per la festa di S. Andrea inviato al patriarca ecumenico Bartolomeo I, Benedetto XVI sottolinea il comune compito cui sono chiamate le due Chiese. La comunione, anche se imperfetta e vittima di divisioni, è frutto della comune fede. Continuare sul sentiero dell'unione,
     confortato dalla preghiera di nostro Signore Gesù Cristo al Padre: 'che siano una cosa sola in noi: perché il mondo creda'".

    30 novembre 2012
    Città del Vaticano (AsiaNews) - "Una comunione profonda e reale, anche se ancora imperfetta, che si basa non su ragioni umane di cortesia o di convenienza, ma sulla comune fede nel Signore Gesù Cristo, il cui vangelo di salvezza si ottiene attraverso la predicazione e la testimonianza degli apostoli, sigillate dal sangue del martirio. Con queste solide basi, tutti noi possiamo andare avanti con fiducia sul sentiero che porta al ripristino della piena comunione". È quanto afferma Benedetto XVI nel messaggio inviato oggi al patriarca ecumenico Bartolomeo I, un occasione della festa di S. Andrea, patrono del Patriarcato, che si celebra oggi ad Istanbul (Turchia).

    "Lo scambio di delegazioni tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli - scrive il papa - che si svolge ogni anno in occasione dei santi patroni di S. Andrea, al Fanar (Istanbul), e dei Santi Pietro e Paolo a Roma riflette in modo concreto la comunione e la vicinanza che ci unisce". Il papa spiega che solo "con queste solide basi, tutti noi possiamo andare avanti con fiducia sul sentiero che porta al ripristino della piena comunione. Su questa strada...abbiamo fatto molti progressi, di cui vi sono molto grato. Anche se la via da percorrere può sembrare lunga e difficile, il desiderio di continuare in questa direzione rimane invariato, confortato dalla preghiera di nostro Signore Gesù Cristo al Padre: 'che siano una cosa sola in noi: perché il mondo creda'".

    Nel messaggio il papa ha ricordato la visita del Patriarca in S. Pietro durante il festeggiamento dei 50 anni del Concilio Vaticano II: "Ho ancora ricordi forti della vostra visita a Roma in questa occasione, durante la quali abbiamo avuto l'opportunità di rinnovare i legami della nostra amicizia sincera e genuina. Questa amicizia sincera tra noi nasce da una grande visione delle responsabilità a cui siamo chiamati come cristiani e come pastori del gregge che Dio ha affidato a noi, è la ragione per la grande speranza che cresce sempre maggiore collaborazione nel compito urgente con rinnovato vigore alla testimonianza del messaggio evangelico al mondo contemporaneo.

    Il papa ha inoltre ringraziato il Patriarcato ecumenico di aver inviato un delegato all'assemblea del Sinodo dei Vescovi, sul tema: "La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana". Secondo il papa entrambe le Chiese anche se divise sono unite dalla comune missione di testimoniare il messaggio di Gesù Cristo agli uomini. 

    In conclusione Benedetto XVI ricorda "la Divina Liturgia in onore di S. Andrea, patrono del Patriarcato ecumenico, invitando a pregare "per la pace nel mondo, per il benessere delle sante Chiese di Dio e la unione di tutti". "Con tutti i fratelli e sorelle cattolici - ha aggiunto - mi unisco a voi nella vostra preghiera. Consapevoli che la comunione a cui aspiriamo, è un dono di Dio".

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    00 12/12/2012 13:58
    IL PAPA: OGGI NEL SUO PRIMO ''TWEET'' RINGRAZIA ''PER LA GENEROSA RISPOSTA'' E BENEDICE TUTTI 

    12 dicembre 2012
    Il lancio al termine dell'udienza generale dedicata all'Avvento che "indica una realtà meravigliosa e sconvolgente: Dio s
    tesso ha varcato il suo Cielo", "è il re che è sceso in questa povera provincia che è la Terra e ha fatto dono a noi della sua visita assumendo la nostra carne, diventando uomo come noi".

    Città del Vaticano (AsiaNews) - L'Avvento, attuale tempo liturgico, anticamente indicava l'attesa per l'arrivo del re in una determinata provincia, ma per i cristiani "indica una realtà meravigliosa e sconvolgente: Dio stesso ha varcato il suo Cielo e si è chinato sull'uomo; ha stretto alleanza con lui entrando nella storia di un popolo; egli è il re che è sceso in questa povera provincia che è la Terra e ha fatto dono a noi della sua visita assumendo la nostra carne, diventando uomo come noi".

    Nell'aula Paolo VI c'è un presepe messicano, segno della festa che si avvicina, del ricordo di quel momento nel quale, nelle parole di Benedetto XVI, "nella Grotta c'è il nuovo inizio della storia dell'uomo".

    L'udienza generale di oggi è stata occasione anche del primo "tweet" del Papa. L'invio è stato annunciato dopo i saluti finali: su un tavolino posto nell'aula è stato portato un tablet dal quale, verso le 11.30 Benedetto XVI ha lanciato il suo primo "tweet", che dice "Cari amici è con gioia che mi unisco a voi via twitter. Grazie per la vostra generosa risposta. Vi benedico tutti di cuore". Con i telefonini, la frase è stata raccolta da molti dei presenti, piccola percentuale dell'attuale milione di follower dell'account @pontifex (nella foto).

    In precedenza, nel discorso alle cinquemila persone presenti all'udienza il Papa ha dato seguito a quanto la settimana scorsa aveva detto della "rivelazione di Dio come comunicazione di se stesso e del suo disegno", sottolineando che nella Incarnazione "in Gesù Dio manifesta il suo volto". "Il rivelarsi di Dio nella storia per entrare in rapporto di dialogo d'amore con l'uomo, dona un nuovo senso all'intero cammino umano. La storia non è un semplice succedersi di secoli, di anni, di giorni, ma è il tempo di una presenza che le dona pieno significato e la apre ad una solida speranza".

    "E' il mistero che contempleremo tra poco nel Natale: la salvezza che si realizza in Gesù Cristo. In Gesù di Nazaret Dio manifesta il suo volto e chiede la decisione dell'uomo di riconoscerlo e di seguirlo. Il rivelarsi di Dio nella storia per entrare in rapporto di dialogo d'amore con l'uomo, dona un nuovo senso all'intero cammino umano. La storia non è un semplice succedersi di secoli, di anni, di giorni, ma è il tempo di una presenza che le dona pieno significato e la apre ad una solida speranza".

    L'Avvento, ha concluso, "ci invita a ripercorrere il cammino di questa presenza e ci ricorda sempre di nuovo che Dio non si è tolto dal mondo, non è assente, non ci ha abbandonato a noi stessi, ma ci viene incontro in diversi modi, che dobbiamo imparare a discernere. E anche noi con la nostra fede, la nostra speranza e la nostra carità siamo chiamati ogni giorno a scorgere e a testimoniare questa presenza, in un mondo spesso superficiale e distratto, e far risplendere nella nostra vita la luce che ha illuminato la grotta di Betlemme".
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    00 19/12/2012 17:25
    L'INDIFESA POTENZA DI UN BAMBINO VINCE IL RUMORE DELLE POTENZE DEL MONDO

    Durante l'Udienza Generale, Benedetto XVI medita sulla capacita di discernimento della volontà di Dio da parte di Maria

    di Luca Marcolivio
    CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 19 dicembre 2012 (ZENIT.org) – A meno di una settimana dal Santo Natale, papa Benedetto XVI ha incentrato l’Udienza Generale odierna sull’affidamento a Dio di Maria Santissima, a partire dal mistero dell’Annunciazione.

    Il termine greco chaîre (“rallegrati”) con cui l’Arcangelo Gabriele si rivolge alla Vergine “sembra un normale saluto, usuale nell’ambito greco, ma questa parola, se letta sullo sfondo della tradizione biblica, acquista un significato molto più profondo”, ha spiegato il Papa.

    Si tratta, infatti, di una definizione più volte riscontrabile nella versione greca dell’Antico Testamento (cfr Sof 3,14; Gl 2,21; Zc 9,9; Lam 4,21) e sta a significare un “annuncio di gioia per la venuta del Messia”.

    Con questo saluto inizia la Buona Novella e si annuncia “la fine della tristezza che c’è nel mondo di fronte al limite della vita, alla sofferenza, alla morte, alla cattiveria, al buio del male che sembra oscurare la luce della bontà divina”.

    Nella seconda parte del saluto, l’arcangelo dice a Maria: “il Signore è con te”, richiamando la duplice promessa fatta ad Israele, alla figlia di Sion: “Dio verrà come salvatore e prenderà dimora proprio in mezzo al suo popolo, nel grembo della figlia di Sion”. In Maria, quindi, si sta per compiere la promessa della venuta definitiva di Dio.

    Maria si è messa totalmente e “senza limiti” nelle mani del Signore, nei confronti del quale, si pone in ascolto, “attenta a cogliere i segni di Dio nel cammino del suo popolo; è inserita in una storia di fede e di speranza nelle promesse di Dio, che costituisce il tessuto della sua esistenza”.

    Come il Patriarca Abramo, anche Maria “si affida con piena fiducia alla parola che le annuncia il messaggero di Dio e diventa modello e madre di tutti i credenti”.

    Il Pontefice ha poi sottolineato “l’elemento dell’oscurità” che caratterizza la fede, compresa quella della Madre del Redentore, la quale “vive la gioia dell’Annunciazione, ma passa anche attraverso il buio della crocifissione del Figlio, per poter giungere fino alla luce della Risurrezione”.

    Ognuno di noi, al pari di Maria, vive un cammino di fede pieno di “momenti di luce” ma anche di “passaggi in cui Dio sembra assente, il suo silenzio pesa nel nostro cuore e la sua volontà non corrisponde alla nostra, a quello che noi vorremmo”.

    Aprirsi alla volontà di Dio significa “vivere ogni situazione della vita nella pace e nella certezza della sua fedeltà e del suo amore”, a patto che si riesca ad “uscire da sé stessi e dai propri progetti, perché la Parola di Dio sia la lampada che guida i nostri pensieri e le nostre azioni”.

    Il Santo Padre si è poi soffermato su un episodio di rilievo nella vita di Gesù, di Maria e di San Giuseppe: il ritrovamento del Bambino nel Tempio (cfr. Lc 1,29). In questa circostanza, Maria deve “rinnovare la fede profonda con cui ha detto «sì» nell’Annunciazione”, accettando che “la precedenza l’abbia il Padre vero e proprio di Gesù; deve saper lasciare libero quel Figlio che ha generato perché segua la sua missione”.

    L’obbedienza di Maria alla volontà di Dio si rinnoverà più volte nel corso della sua vita, culminando nel “momento più difficile”: quello della Crocifissione del Figlio.

    E tuttavia, come ha potuto Maria mantenere “una fede così salda, anche nelle oscurità, senza perdere la piena fiducia nell’azione di Dio?”. A tal proposito il Papa ha precisato che “Ella rimane turbata ascoltando le parole dell’angelo”, non per un atteggiamento di “paura davanti a ciò che Dio può chiedere” ma per estrema sensibilità alla “vicinanza di Dio”.

    Maria, infatti, sa fare discernimento sulla volontà di Dio per lei, “non si ferma ad una prima comprensione superficiale di ciò che avviene nella sua vita, ma sa guardare in profondità, si lascia interpellare dagli eventi” e, alla fine, acquisisce “quella comprensione che solo la fede può garantire”.

    La fede di Maria, quindi, risiede soprattutto nell’accettazione dell’azione di Dio, anche quando è al di là della sua umana comprensione, “lasciando che sia Dio ad aprirle la mente e il cuore”. È proprio in ragione della sua fede che “tutte le generazioni la chiameranno beata”, ha osservato il Papa.

    Benedetto XVI ha infine esortato i fedeli a vivere la solennità del Natale, con la medesima “umiltà e obbedienza di fede”. Dio sta per rivelarsi non “nel trionfo e nel potere di un re”, ma “nella povertà di un bambino”. Ed è la fede a dirci che “l’indifesa potenza di quel Bambino alla fine vince il rumore delle potenze del mondo”.
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    00 24/12/2012 08:25
    IL PAPA: SENZA DESIDERARLO NON INCONTREREMO MAI IL SIGNORE

    Scritto da Angela Ambrogetti
    Domenica 23 Dicembre 2012

    “Dove c’è accoglienza reciproca, ascolto, il fare spazio all’altro, lì c’è Dio e la gioia che viene da Lui.” Benedetto XVI commenta così il passo del Vangelo della IV domenica di Avvento che racconta la visita di Maria ad Elisabetta. Non certo un “semplice gesto di cortesia” ma “l’incontro dell’Antico con il Nuovo Testamento.” L’attesa e l’ Atteso, Israele che attende il Messia e il compimento della promessa. I Padri hanno sempre spiegato così la esultanza di Giovanni nel grembo di Elisabetta, segno, appunto del compimento dell’attesa: “Dio sta per visitare il suo popolo.”
    Ed è nella accoglienza che si compie l’attesa e il sussulto di gioia di Giovanni ci ricorda la danza che il re Davide all’ingresso dell’Arca dell’Alleanza in Gerusalemme, segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. “Il nascituro Giovanni - dice il Papa- esulta di gioia davanti a Maria, Arca della nuova Alleanza, che porta in grembo Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo.” Accoglienza allora di Dio che visita il suo popolo, ma anche spazio per l’ascolto di Dio attraverso l’ascolto del prossimo.“Imitiamo Maria nel tempo di Natale- dice il Pap facendo visita a quanti vivono un disagio, in particolare gli ammalati, i carcerati, gli anziani e i bambini. E imitiamo anche Elisabetta che accoglie l’ospite come Dio stesso: senza desiderarlo non conosceremo mai il Signore, senza attenderlo non lo incontreremo, senza cercarlo non lo troveremo.”
    E’ il desiderio di Gesù che ce lo fa conoscere, e allora, ricorda il Papa a tutti i credenti “preghiamo perché tutti gli uomini cerchino Dio, scoprendo che è Dio stesso per primo a venire a visitarci. A Maria, Arca della Nuova ed Eterna Alleanza, affidiamo il nostro cuore, perché lo renda degno di accogliere la visita di Dio nel mistero del suo Natale.” Domani il Papa alle 22.00 celebrerà la Messa della Notte di Natale nella Basilica Vaticana, primo degli impegni per il Tempo di Natale.
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    00 26/12/2012 18:31

    NASCE GESU’, NOSTRA CONSOLAZIONE, FORZA E FELICITA’

    Posted: 24 Dec 2012 04:54 AM PST

    La storia è un’immensa macelleria, diceva il vecchio Hegel. Ed è vero. Per secoli e secoli sulla scena del mondo stavano pochi protagonisti e molte comparse.

    I protagonisti erano capibanda, re, imperatori e tiranni vari: di solito grandi (o piccoli) macellai. Le comparse erano i popoli da loro assoggettati: carne da macello.

    Poi, un giorno di duemila anni fa, tutto è stato silenziosamente rovesciato. Dal quando Dio si fece uomo, da quando è nato Gesù, è nato anche l’uomo come essere sacro e inviolabile in tutti i suoi diritti.

    Per la prima volta nella storia è entrato l’individuo singolo. O meglio la persona (perché l’individuo è se stesso attraverso tutti i suoi rapporti affettivi e sociali).

    Tutte le religioni sacralizzavano il potere. Dopo la nascita di Gesù a essere sacralizzato è il singolo essere umano, a partire dal più irrilevante e marginale.

     

    OGGI

    Il Natale di quest’anno arriva in un mare di preoccupazioni e ansie della gente comune. Tutti, demoralizzati, hanno la sensazione di non contare niente, di essere in balia di potenze enormi e incontrollate (lo spread, la Bce, l’Unione europea, le lobby di potere, le banche e via dicendo). Tutti si sentono esclusi o inascoltati e irrilevanti nella storia. E tanti sono veramente ai margini o sottoposti a dure prove.

    Ebbene, Benedetto XVI da giorni cerca di parlare proprio a questo popolo di smarriti, che si sentono impotenti.

    Per annunciare loro che il Natale di Gesù c’entra fortemente col loro dolore, perché Gesù ha reso ognuno di loro – padre o madre, figlio o persona che sgobba o che soffre – il vero protagonista della storia.

    Da settimane il Pontefice ripete e approfondisce questo annuncio. L’8 dicembre, per l’Immacolata, in Piazza di Spagna ha sottolineato che

    quel momento decisivo per il destino dell’umanità, il momento in cui Dio si fece uomo, è avvolto da un grande silenzio. L’incontro tra il messaggero divino e la Vergine Immacolata passa del tutto inosservato: nessuno sa, nessuno ne parla.

    E’ un avvenimento che, se accadesse ai nostri tempi, non lascerebbe traccia nei giornali e nelle riviste, perché è un mistero che accade nel silenzio. Ciò che è veramente grande passa spesso inosservato”.

    Questo già ribalta il nostro punto di vista che normalmente classifica le cose secondo la gerarchia di importanza del potere e della mentalità dominante.

     

    IL VERO CAMBIAMENTO

    Bisogna capovolgere tutto.

    Infatti il Papa ha aggiunto:

    la salvezza del mondo non è opera dell’uomo – della scienza, della tecnica, dell’ideologia – ma viene dalla Grazia. Che significa questa parola? Grazia vuol dire l’Amore nella sua purezza e bellezza, è Dio stesso così come si è rivelato nella storia salvifica narrata nella Bibbia e compiutamente in Gesù Cristo”.

    E’ vero. Infatti gli antichi imperi (e anche quelli moderni, basti pensare a comunismo e nazismo), che sembravano invincibili, sono crollati e han lasciato solo rovine.

    L’inerme Gesù invece ha conquistato e illuminato il mondo.

    Un’altra immagine del Papa da quel discorso:

    “Maria è chiamata la ‘piena di grazia’ (Lc 1,28) e con questa sua identità ci ricorda il primato di Dio nella nostra vita e nella storia del mondo, ci ricorda che la potenza d’amore di Dio è più forte del male”.

    I martiri dei totalitarismi del Novecento mostrano davvero che l’apparente debolezza dell’amore, vince su qualsiasi formidabile potere.

    E’ “il potere dei senza potere” – per riprendere la formula del grande dissidente cecoslovacco Havel. Oltre all’amore è anche il potere della Verità. Che vince il male del mondo e anche il nostro.

    A questo proposito Benedetto XVI ha detto:

    “Maria ci dice che, per quanto l’uomo possa cadere in basso, non è mai troppo in basso per Dio, il quale è disceso fino agli inferi”. Infatti “il soffio mite della Grazia può disperdere le nubi più nere, può rendere la vita bella e ricca di significato anche nelle situazioni più disumane”.

    Qui, spiega il Papa, diventa possibile la gioia: “la Grazia porta la vera gioia… che nulla e nessuno possono togliere”.

    Il giorno dopo, all’Angelus, il Santo Padre è tornato a mostrare questo capovolgimento della storia realizzato dal vero grande avvenimento, la nascita di Cristo, che i contemporanei non noteranno neppure”.

    Ha affermato: “Per Dio i grandi della storia fanno da cornice ai piccoli!”.

     

    IL FILOSOFO LAICO

    E’ impressionante questo ribaltamento, che si fa evidentissimo nella storia di Maria e poi nella storia cristiana.

    Infine il Papa nel suo recente articolo per il “Financial Times”, incentrato tutto sul rapporto fra Cesare e Gesù, fra il potere del mondo e il re dell’universo, è tornato a spiegare ancora più profondamente:

    la nascita del bambino Gesù segna la fine dell’antico ordine, il mondo pagano, nel quale le rivendicazioni di Cesare apparivano impossibili da sfidare. Adesso vi è un nuovo re, il quale non confida nella forza delle armi, ma nella potenza dell’amore. Egli” scrive il Pontefice “porta speranza a tutti coloro che, come lui stesso, vivono ai margini della società. Porta speranza a quanti sono vulnerabili nelle mutevoli fortune di un mondo precario. Dalla mangiatoia, Cristo ci chiama a vivere da cittadini del suo regno celeste, un regno che ogni persona di buona volontà può aiutare a costruire qui sulla terra”.

    Infatti così è stato. Dopo la nascita di Gesù la macelleria del mondo è stata illuminata di umanità, di amore e di divina eternità.

    “Puro filosofo quale sono e, per sincerità verso me stesso, voglio restare”, scrisse Benedetto Croce “io stimo che il più profondo rivolgimento spirituale compiuto dall’umanità sia stato il cristianesimo”.

    Pur da laico, Croce nel memorabile saggio del 1942 “Perché non possiamo non dirci cristiani”, scrisse:

    “Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo”.

    Il filosofo aggiunse: “Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate”.

    Quelle antiche “e le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni (…) non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana, in relazione di dipendenza da lei, a cui spetta il primato perché l’impulso originario fu e perdura il suo”.

    Ogni giorno questo ciclone di amore torna a investire il mondo. Ecco perché ieri Benedetto XVI ha compiuto il grande affresco dei suoi discorsi prenatalizi esortandoci così:

    Imitiamo Maria nel tempo di Natale, facendo visita a quanti vivono un disagio, in particolare gli ammalati, i carcerati, gli anziani e i bambini. E imitiamo anche Elisabetta che accoglie l’ospite come Dio stesso: senza desiderarlo non conosceremo mai il Signore, senza attenderlo non lo incontreremo, senza cercarlo non lo troveremo”.  

    Don Giussani è arrivato a formulare questo paradossale rovesciamento illustrato dal Papa con un’immagine folgorante: “il protagonista della storia è il mendicante. L’uomo mendicante Cristo e Cristo mendicante del cuore dell’uomo”.

    Né la grande finanza, né gli stati, né le ideologie – che passano come carri armati sulle singole persone – sono i protagonisti della storia. Ma colui che mendica Cristo, il suo amore, la sua verità. E il Figlio di Dio che è l’Amore e la Verità incarnate.

    Il Natale è dunque l’esaltazione della persona, del piccolo e spesso oppresso e disprezzato essere umano.

    Antonio Socci

    Da “Libero”, 24 dicembre 2012

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    00 27/02/2013 19:25

    Il testamento di Benedetto XVI: «la Chiesa non è nostra»

    Benedetto XVIDuecento mila fedeli hanno abbracciato il Papa questa mattina per la sua ultima apparizione. Benedetto XVI ha nuovamente spiegato la sua decisione di rinunciare al papato, ha fatto dei ringraziamenti e sopratutto ha -probabilmente per l’ultima volta- riaffermato pubblicamente in modo chiaro e commovente la certezza che, nonostante tutti gli errori e le ombre che la storia della Chiesa si porta dietro, Dio non ha mai smesso di condurla evitando il naufragio. Illuminante l’analogia con gli eventi descritti nei Vangeli (Mc 4, 35-40).

    di Benedetto XVI

    Quando, il 19 aprile di quasi otto anni fa, ho accettato di assumere il ministero petrino, ho avuto ferma questa certezza che mi ha sempre accompagnato. In quel momento, come ho già espresso più volte, le parole che sono risuonate nel mio cuore sono state:Signore, che cosa mi chiedi? E’ un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi guiderai.

    E’ DIO A GUIDARE LA CHIESA. il Signore mi ha veramente guidato, mi è stato vicino, ho potuto percepire quotidianamente la sua presenza. E’ stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa e il Signore sembrava dormire.

    Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è Sua e non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto.Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare. Ed è per questo che oggi il mio cuore è colmo di ringraziamento a Dio perché non ha fatto mai mancare a tutta la Chiesa e anche a me la sua consolazione, la sua luce, il suo amore.

    LA GIOIA DI ESSERE CRISTIANO. Siamo nell’Anno della fede, che ho voluto per rafforzare proprio la nostra fede in Dio in un contesto che sembra metterlo sempre più in secondo piano. Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano. In una bella preghiera da recitarsi quotidianamente al mattino si dice: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio d’avermi creato, fatto cristiano…».

    NON MI SONO MAI SENTITO SOLO. Sì, siamo contenti per il dono della fede; è il bene più prezioso, che nessuno ci può togliere! Ringraziamo il Signore di questo ogni giorno, con la preghiera e con una vita cristiana coerente. Dio ci ama, ma attende che anche noi lo amiamo! Ma non è solamente Dio che voglio ringraziare in questo momento. Un Papa non è solo nella guida della barca di Pietro, anche se è sua la prima responsabilità; e io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino; il Signore mi ha messo accanto tante persone che, con generosità e amore a Dio e alla Chiesa, mi hanno aiutato e mi sono state vicine. Anzitutto voi, cari Fratelli Cardinali: la vostra saggezza, i vostri consigli, la vostra amicizia sono stati per me preziosi; i miei Collaboratori, ad iniziare dal mio Segretario di Stato che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni; laSegreteria di Stato e l’intera Curia Romana, come pure tutti coloro che, nei vari settori, prestano il loro servizio alla Santa Sede: sono tanti volti che non emergono, rimangono nell’ombra, ma proprio nel silenzio, nella dedizione quotidiana, con spirito di fede e umiltà sono stati per me un sostegno sicuro e affidabile.

    HO VOLUTO BENE A TUTTI. Un pensiero speciale alla Chiesa di Roma, la mia Diocesi! Non posso dimenticare i Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, le persone consacrate e l’intero Popolo di Dio: nelle visite pastorali, negli incontri, nelle udienze, nei viaggi, ho sempre percepito grande attenzione e profondo affetto; ma anch’io ho voluto bene a tutti e a ciascuno, senza distinzioni, con quella carità pastorale che è il cuore di ogni Pastore, soprattutto del Vescovo di Roma, del Successore dell’Apostolo Pietro. Ogni giorno ho portato ciascuno di voi nella mia preghiera, con il cuore di padre. Vorrei che il mio saluto e il mio ringraziamento giungesse poi a tutti: il cuore di un Papa si allarga al mondo intero. E vorrei esprimere la mia gratitudine al Corpo diplomatico presso la Santa Sede, che rende presente la grande famiglia delle Nazioni. Qui penso anche a tutti coloro che lavorano per una buona comunicazione e che ringrazio per il loro importante servizio.

    CHE COSA E’ DAVVERO LA CHIESA. A questo punto vorrei ringraziare di vero cuore anche tutte le numerose persone in tutto il mondo che nelle ultime settimane mi hanno inviato segni commoventi di attenzione, di amicizia e di preghiera. Sì, il Papa non è mai solo, ora lo sperimento ancora una volta in un modo così grande che tocca il cuore. Il Papa appartiene a tutti e tantissime persone si sentono molto vicine a lui. E’ vero che ricevo lettere dai grandi del mondo – dai Capi di Stato, dai Capi religiosi, dai rappresentanti del mondo della cultura eccetera. Ma ricevo anche moltissime lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa. Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso. Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa – non un’organizzazione, non un’associazione per fini religiosi o umanitari-, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi poter toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino.

    UNA DECISIONE PER IL BENE DELLA CHIESA. In questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite, e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa. Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi. Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. Ho potuto sperimentare, e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona. Prima ho detto che molte persone che amano il Signore amano anche il Successore di san Pietro e sono affezionate a lui; che il Papa ha veramente fratelli e sorelle, figli e figlie in tutto il mondo, e che si sente al sicuro nell’abbraccio della loro comunione; perché non appartiene più a se stesso, appartiene a tutti e tutti appartengono a lui. Il “sempre” è anche un “per sempre” – non c’è più un ritornare nel privato.

    NON ABBANDONO LA CROCE. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio. Ringrazio tutti e ciascuno anche per il rispetto e la comprensione con cui avete accolto questa decisione così importante. Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione, con quella dedizione al Signore e alla sua Sposa che ho cercato di vivere fino ad ora ogni giorno e che voglio vivere sempre. Vi chiedo di ricordarmi davanti a Dio, e soprattutto di pregare per i Cardinali, chiamati ad un compito così rilevante, e per il nuovo Successore dell’Apostolo Pietro: il Signore lo accompagni con la luce e la forza del suo Spirito. Invochiamo la materna intercessione della Vergine Maria Madre di Dio e della Chiesa perché accompagni ciascuno di noi e l’intera comunità ecclesiale; a Lei ci affidiamo, con profonda fiducia.

    Cari amici! Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo. Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore. Grazie!

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    00 19/05/2014 19:35

    La Cei secondo Francesco:
    basta distinzioni tra i “nostri” e “gli altri”

    Vescovi
    Nel discorso rivolto ai vescovi italiani, la road map per tornare alle sorgenti della vocazione di vescovo
    GIANNI VALENTE
    CITTÀ DEL VATICANO

    Con il suo intervento in apertura dell’assemblea plenaria della Conferenza episcopale italiana papa Francesco ha dichiarato di voler «venire incontro – almeno indirettamente – a quanti si domandano quali siano le attese del vescovo di Roma sull’episcopato italiano». Disseminati nel testo – meno di dieci cartelle – ci sono passaggi chiave e suggerimenti che non configurano un banale cambio di «linea politica». In essi è disegnata la road map per tornare alle sorgenti della vocazione del vescovo. Non è in ballo un grossolano turn over di parole d’ordine da instillare in una nomenclatura di funzionari: piuttosto, in alcuni affondi del discorso rivolto da papa Francesco vibra la chiamata a riscoprire la natura propria dell’episcopato e la sua funzione nella Chiesa e nella società.

     

    A ciascuno dei confratelli vescovi, il Papa argentino non ha esitato a sottoporre in maniera diretta la madre di tutte le domande, che poteva anche suonare poco riverente, in una assemblea di successori degli apostoli: «Chiediamoci, dunque: chi è per me Gesù Cristo? Come ha segnato la verità della mia storia? Che dice di Lui la mia vita?». Secondo Papa Bergoglio, anche i vescovi, come tutti gli altri, possono rimanere fedeli alla propria vocazione solo se vengono custoditi nella fede dalla grazia di Cristo: «Senza questa custodia, senza la preghiera assidua» riconosce il Papa, anche «il Pastore è esposto al pericolo di vergognarsi del Vangelo, finendo per stemperare lo scandalo della croce nella sapienza mondana». Un segno di questo essere custoditi nella fede sta nel riporre tutta la propria fiducia «nello Spirito del Signore» anche riguardo al proprio ministero episcopale. Fuori da questa dinamica, si finisce fatalmente per «toccare con mano soltanto la sterilità delle nostre parole e delle nostre iniziative». E si diventa facili vittime delle tentazioni che – riconosce papa Francesco - «sono “legione” nella vita del Pastore»: dalla «tiepidezza che scade nella mediocrità» alla «ricerca di un  quieto vivere che schiva rinunce e sacrificio»; dalla tentazione della «fretta pastorale» alla «presunzione di chi si illude di poter far conto solamente sulle proprie forze, sull’abbondanza di risorse e strutture, sulle strategie organizzative che sa mettere in campo».

     

    Gli accenni al Vangelo, alla fede, alla preghiera, nella prolusione di papa Francesco non rimangono confinate nel ruolo di premesse ridondanti, formule devote e scontate di protocollo con cui introdurre la consueta, cangiante lista di giudizi e “desiderata” ecclesiastici da far valere nei confronti delle istituzioni civili. Bergoglio fa sgorgare solo da quegli accenni i suoi affondi sulle dinamiche intra-ecclesiali e il suo sguardo sulla presenza e il contributo della Chiesa nella società italiana. Negli scenari prefigurati dal Papa, l’unità della compagine ecclesiale non si aggrega intorno alle parole d’ordine di un progetto politico-culturale, o a sforzi di compromesso tra cordate clericali. Bergoglio punta lo sguardo sull’unica, efficace sorgente dell’unità nella Chiesa: essa «promana dall’unica Eucaristia, la cui forza di coesione genera fraternità, possibilità di accogliersi, perdonarsi».

     

    Ogni appello all’unità fuori da questa dinamica si trasforma in un «serrate le file» motivato da disegni ideologici o motivi di interesse, fatalmente assediato dalle patologie della vita ecclesiale che Bergoglio ha già tante volte indicato nella sua predicazione: «Le chiacchiere, le mezze verità che diventano bugie, la litania delle lamentele» e «l’ambizione che genera correnti, consorterie e settarismi». O il «ripiegamento di chi va a cercare nelle forme del passato le sicurezze perdute» e la pretesa «di quanti vorrebbero difendere l’unità negando la diversità, umiliando così i doni con cui Dio continua a rendere giovane e bella la sua Chiesa».

     

    Invece, nell’esperienza imparagonabile dell’unità ecclesiale, si può essere in grado di sacrificare il proprio punto di vista, quando è in gioco l’unità della Chiesa: «meglio cedere, meglio rinunciare, disposti anche a portare su di sé la prova di un’ingiustizia», ha scandito papa Francesco «piuttosto che lacerare la tunica e scandalizzare il popolo santo di Dio».

     

    La natura sacramentale della Chiesa, imparagonabile a ogni apparato umano di potere – così ha riconosciuto papa Francesco – è l’unica sorgente a cui attingere per riconfigurare davvero, come richiesto dai tempi, i rapporti dei vescovi con i sacerdoti, i religiosi e i laici. Assicurando ai primi «vicinanza e comprensione» da parte dei propri vescovi. E invitando questi ultimi ad ascoltare il popolo di Dio affidandosi «al suo senso di fede e di Chiesa», visto che «ha il polso per individuare le strade giuste». Fino a favorire a tutti i livelli la «corresponsabilità laicale» e riconoscere «spazi di pensiero, di progettazione e di azione alle donne e ai giovani».

    Il passo nuovo che Bergoglio ha in mente per la Cei si è espresso soprattutto nelle parti del discorso riguardanti il rapporto della Chiesa con la società civile. Nelle parole rivolte da papa Francesco ai membri di una Conferenza episcopale tra le più strutturate del mondo, viene meno ogni presidio di auto-refenzialità «ecclesiocentrica», ogni impulso lobbistico a concepirsi come «mondo parallelo», entità impegnata ad attestare da sé, con battaglie e interventi, la propria rilevanza nella vita sociale e nella storia. Non compare nel testo papale nessuna lista di questioni sensibili su cui contrattare accordi, garanzie e compromessi con le autorità e le istituzioni civili e politiche. Piuttosto, Francesco prende di mira «la distinzione che a volte accettiamo di fare tra “i nostri” e “gli altri”», le chiusure «di chi è convinto di averne abbastanza dei propri problemi, senza doversi pure curare dell’ingiustizia che è causa di quelli altrui». E l’auto-congestione clericale di chi «non attraversa la piazza, e rimane a sedere ai piedi del campanile, lasciando che il mondo vada per la sua strada».

     

    Le dinamiche di una Chiesa benedetta dal Signore – suggerisce Bergoglio – si muovono lungo direttrici opposte a quelle dell’ecclesio-centrismo autosufficiente: sono quelle di una Chiesa che per la salvezza degli uomini e delle donne che vivono nel mondo si consuma e le inventa tutte pur di «accostare ognuno con carità, affiancare le persone nelle lotte delle loro solitudini, delle loro inquietudini e dei loro fallimenti». Al centro del proprio proiettarsi nel rapporto con la società non ci sono concetti astratti, questioni antropologiche, emergenze culturali, ma persone concrete e problemi concreti. Quelli delle famiglie, dei disoccupati cassintegrati e precari, e quelli dei migranti, le tre categorie umane che Papa Bergoglio suggerisce ai vescovi come destinatari di un’opzione preferenziale nel dispiegarsi delle attività pastorali e caritative. Invitando anche l’episcopato italiano a rimettere in discussione con audacia «un modello che sfrutta il creato, sacrifica le persone sull’altare del profitto e crea nuove forme di esclusione».

     

    La sollecitazione rivolta ai vescovi italiani per il cammino e per il tempo che li separa dal Convegno ecclesiale di Firenze (novembre 2015) non si attarda in sterili sconfessioni delle precedenti stagioni ecclesiali e dei loro slogan di riferimento. Ma suggerisce a tutti che per andare avanti occorre «non soffermarsi sul piano pur nobile delle idee» e «cogliere e comprendere la realtà». Secondo quello sguardo che papa Francesco aveva espresso già nell’intervista con La Civiltà Cattolica, quando aveva messo in guardia dalla tentazione di «addomesticare le frontiere» e dai rischi di una «fede da laboratorio»: «Io temo i laboratori perché nel laboratorio si prendono i problemi e li si portano a casa propria per addomesticarli, per verniciarli, fuori dal loro contesto. Non bisogna portarsi la frontiera a casa, ma vivere in frontiera ed essere audaci».

    Da Vatican insider


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    00 09/06/2014 12:29


    "Per fare la pace ci vuole più coraggio che per fare la guerra"






    Papa Francesco prega assieme ai presidenti israeliano e palestinese nei Giardini Vaticani






    Introducendo un eccezionale incontro interreligioso dai risvolti anche ecumenici, papa Francesco ha fatto gli onori di casa ai suoi ospiti odierni: il presidente israeliano Shimon Peres e il presidente palestinese Mahmoud Abbas.

    Dopo aver ricevuto i due capi di stato nella Casa Santa Marta, alla presenza del patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, il Pontefice si è recato insieme a loro presso i Giardini Vaticani per l’Invocazione per la Pace, annunciata due settimane fa, durante il pellegrinaggio in Terra Santa.

    Salutando le delegazioni israeliana e palestinese e ringraziandole per aver accettato il suo invito, il Papa ha auspicato che “questo incontro sia l’inizio di un cammino nuovo alla ricerca di ciò che unisce, per superare ciò che divide”.

    La presenza di Peres e di Abbas è stata salutata come “un grande segno di fraternità, che compite quali figli di Abramo, ed espressione concreta di fiducia in Dio, Signore della storia, che oggi ci guarda come fratelli l’uno dell’altro e desidera condurci sulle sue vie”.

    L’incontro odierno, ha sottolineato il Santo Padre, “è accompagnato dalla preghiera di tantissime persone, appartenenti a diverse culture, patrie, lingue e religioni” e “risponde all’ardente desiderio di quanti anelano alla pace e sognano un mondo dove gli uomini e le donne possano vivere da fratelli e non da avversari o da nemici”.

    Il mondo, ha detto rivolto ai due capi di stato, “è un’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, ma è anche un prestito dei nostri figli”: questi ultimi “sono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’alba della pace” e “ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino”.

    Molti di questi figli sono “vittime innocenti della guerra e della violenza, piante strappate nel pieno rigoglio. È nostro dovere far sì che il loro sacrificio non sia vano” e che la loro “memoria” infonda in noi “il coraggio della pace” e “la forza di perseverare nel dialogo a ogni costo”.

    La pace, ha osservato Bergoglio, richiede “coraggio molto più che per fare la guerra”. Servono coraggio e “grande forza d’animo”, ha ribadito, per dire “sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza”.

    Per giungere alla pace, non sono sufficienti “le nostre sole forze”, ha proseguito il Papa. “Più di una volta siamo stati vicini alla pace, ma il maligno, con diversi mezzi, è riuscito a impedirla”, ha aggiunto, precisando che non si tratta di rinunciare alle “proprie responsabilità” di uomini e, in particolare, di politici, ma di mettere al primo posto l’invocazione di Dio “come atto di suprema responsabilità, di fronte alle nostre coscienze e di fronte ai nostri popoli”.

    La “chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza”, è possibile soltanto pronunciando la parola “fratello” e a “riconoscerci figli di un unico Padre”.

    Francesco ha quindi iniziato la propria invocazione a Dio per la pace: “Abbiamo provato tante volte e per tanti anni a risolvere i nostri conflitti con le nostre forze e anche con le nostre armi; tanti momenti di ostilità e di oscurità; tanto sangue versato; tante vite spezzate; tante speranze seppellite… Ma i nostri sforzi sono stati vani. Ora, Signore, aiutaci Tu!”.

    La preghiera del Papa ha chiesto la grazia di “essere ogni giorno artigiani della pace” e “la capacità di guardare con benevolenza tutti i fratelli che incontriamo sul nostro cammino”.

    Invocando “la fiamma della speranza per compiere con paziente perseveranza scelte di dialogo e di riconciliazione”, il Santo Padre ha infine proclamato: “Signore, disarma la lingua e le mani, rinnova i cuori e le menti, perché la parola che ci fa incontrare sia sempre "fratello", e lo stile della nostra vita diventi: shalom, pace, salam! Amen”.

    In ebraico le parole “pace” e “Gerusalemme” hanno la medesima radice. Lo ha sottolineato il presidente israeliano Shimon Peres, aprendo il suo intervento durante l’Invocazione per la Pace ai Giardini Vaticani, alla presenza di papa Francesco e del presidente palestinese Mahmoud Abbas. 

    “La Città Santa di Gerusalemme è il cuore pulsante del popolo ebraico”, ha detto il presidente israeliano, rievocando la visita in Terra Santa, avvenuta due settimane fa, durante la quale il Pontefice “ci ha toccato con il calore del Suo cuore, la sincerità delle Sue intenzioni, la Sua modestia, la Sua gentilezza”. 

    Presentandosi come “un costruttore di ponti di fratellanza e di pace”, Francesco ha “toccato i cuori della gente, “indipendentemente dalla sua fede e nazionalità”, ha proseguito Peres. 

    Gli israeliani e i palestinesi sono popoli che “desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace. Pace fra eguali”. 

    L’occasione di una preghiera interreligiosa comune nel cuore del cattolicesimo romano riflette “meravigliosamente” la “visione dell’aspirazione che tutti condividiamo”, ovvero la Pace. 

    Senza pace, “non siamo completi e dobbiamo ancora compiere la missione dell’umanità”, tuttavia la pace “non viene facilmente” e va raggiunta con “sacrifici o compromessi”, in ogni giorno e momento dell’anno. 

    “Noi dobbiamo essere degni del significato profondo ed esigente di questa benedizione. Anche quando la pace sembra lontana, noi dobbiamo perseguirla per renderla più vicina”, ha aggiunto il presidente israeliano, citando anche ampi passi della Sacra Scrittura. 

    Secondo il presidente palestinese Abbas, la visita in Terra Santa è stata una “espressione sincera” della fede di papa Francesco nella pace e “un tentativo credibile per raggiungere la pace fra i palestinesi e gli israeliani”. 

    Il presidente palestinese ha citato il Corano ma anche il Vangelo di Luca ("Se tu avessi conosciuto oggi la via della pace!Lc 19,42) e le seguenti parole di San Giovanni Paolo II: “Se la pace si realizza a Gerusalemme, la pace sarà testimoniata nel mondo intero”. 

    Nella sua preghiera, Abbas ha chiesto a Dio di “rendere la Palestina e Gerusalemme in particolare una terra sicura per tutti i credenti, e un luogo di preghiera e di culto per i seguaci delle tre religioni monoteistiche - Ebraismo, Cristianesimo, Islam - e per tutti coloro che desiderano visitarla come è stabilito nel sacro Corano”. (L.M.) 
     
    da ZENIT

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    00 11/06/2014 11:43
    
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    Il Papa contro corrotti, 
    schiavisti e fabbricanti armi

    «Il timore di Dio è anche un allarme di fronte alla pertinacia del peccato: nessuno porta con sé dall’altra parte soldi, potere, vanità e orgoglio. Penso alle persone che hanno responsabilità sugli altri e si lasciano corrompere; penso a coloro che vivono della tratta delle persone e del lavoro schiavo, penso ai fabbricanti di armi che sono mercanti di morte. Ce ne sono qui? No. Nessuno, nessuno di questi è qui, non vengono a sentire la parola di Dio». Sono le parole di Papa Francesco all’Udienza Generale sul settimo dono dello Spirito Santo. «Che il timore di Dio - ha pregato Francesco ad alta voce - faccia loro comprendere che un giorno tutto finisce e che dovranno rendere conto a Dio». «Un giorno - ha ricordato ancora il Pontefice - tutto finisce e nessuno può portarsi dall’altra parte il frutto della sua corruzione». «Quando una persona vive nel male, quando bestemmia contro Dio, quando sfrutta gli altri, quando li tiranneggia, quando vive soltanto per i soldi, la vanita’, il potere, l’orgoglio, allora - ha spiegato - il santo timore di Dio ci mette in allerta: attenzione! Così non sarai felice».

    Contro il lavoro minorile

    Il Papa ha rivolto un appello per i 10 milioni di bimbi «costretti a lavorare in condizioni degradanti, esposti a forme di schiavitù e sfruttamento, abusi, maltrattamenti e discriminazioni» e ha chiesto che «la comunità internazionale possa estendere la protezione sociale dei minori per debellare questa piaga». Domani 12 giugno si celebra infatti la giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile.

    Finanze hanno bisogno di etica»

    «Eh, davvero le finanze hanno bisogno di etica oggi», ha detto poi il Papa a braccio quando nei saluti ai gruppi italiani ha citato i partecipanti a un convegno sulla finanza etica promosso in questi giorni dall’Augustinianum. Nei saluti il Pontefice ha nominato anche gli operai di Pomigliano d’Arco che, prima della catechesi alla udienza generale,gli hanno consegnato una Panda blu prodotta nello stabilimento Giambattista Vico della Fiat.


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    00 29/06/2014 14:52

    Papa Francesco: “Non cerchiamo appoggi di chi ha potere”


     


    o PAPA FRANCESCO facebook 300x150 Papa Francesco: Non cerchiamo appoggi di chi ha poterePapa Francesco nel giorno dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, presiede la concelebrazione eucaristica con i nuovi ventiquattro arcivescovi metropoliti e ammonisce: ” Non lasciamoci ingannare dall’orgoglio che cerca riconoscimenti“  Accanto al Papa la delegazione del Patriarcato di Costantinopoli.  Il Papa si rivolge ai Vescovi: “Noi, cari fratelli Vescovi, abbiamo paura? Di che cosa abbiamo paura? E se ne abbiamo, quali rifugi cerchiamo, nella nostra vita pastorale, per essere al sicuro? Cerchiamo forse l’appoggio di quelli che hanno potere in questo mondo? O ci lasciamo ingannare dall’orgoglio che cerca gratificazioni e riconoscimenti, e lì ci sembra di stare sicuri? Dove poniamo la nostra sicurezza?”. Bergoglio poi invoca un cammino verso la comunione di due Chiese Sorelle…:”Pietro ha sperimentato che la fedeltà di Dio è più grande delle nostre infedeltà e più forte dei nostri rinnegamenti. Si rende conto che la fedeltà del Signore allontana le nostre paure e supera ogni umana immaginazione. Anche a noi, oggi, Gesù rivolge la domanda: ‘Mi ami tu?’….  La fedeltà del Signore nei nostri confronti tiene sempre acceso in noi il desiderio di servirlo e di servire i fratelli nella carità”.


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    00 03/09/2014 10:22


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    00 21/09/2014 16:59

    «Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio!»




    Francesco ha incontrato i leader di altre religioni





     FRANCESCO HA INCONTRATO I LEADER DI ALTRE RELIGIONI



    Francesco incontra i leader delle comunità religiose albanesi: parla della diffusione nel mondo del «nemico insidioso» dell'intolleranza verso chi professa un'altra fede. Il dialogo? Partire dalla propria identità, o si rischia il relativismo


    ANDREA TORNIELLI
    INVIATO A TIRANA

    «La religione autentica è fonte di pace e non di violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano». Lo ha detto Francesco incontrando i leader religiosi all'università cattolica «Nostra Signora del buon consiglio» di Tirana. Durante l'incontro con i capi delle cinque maggiori comunità religiose presenti nel Paese - musulmana, bektashi (confraternita islamica di derivazione sufi), cattolica, ortodossa, evangelica  - il Papa ha ricordato quanto l'Albania sia «stata tristemente testimone di quali violenze e di quali drammi possa causare la forzata esclusione di Dio dalla vita personale e comunitaria».

     «Quando in nome di un'ideologia, si vuole estromettere Dio dalla società - ha detto - si finisce per adorare degli idoli, e ben presto l'uomo smarrisce se stesso, la sua dignità è calpestata, i suoi diritti violati. Voi sapete bene a quali brutalità può condurre la privazione della libertà di coscienza e della libertà religiosa, e come da tale ferita si generi una umanità radicalmente impoverita, perché priva di speranza e di riferimenti ideali». 

    «I cambiamenti avvenuti a partire dagli anni '90 del secolo scorso - ha continuato Francesco - hanno avuto come positivo effetto anche quello di creare le condizioni per una effettiva libertà di religione. Ciò ha permesso a tutti di offrire, anche a partire dalla propria convinzione religiosa, un positivo contributo alla ricostruzione morale prima che economica del Paese».

     Giovanni Paolo II, nel 1993, ha ricordato ancora Francesco, in Albania disse che «la libertà religiosa è un baluardo contro tutti i totalitarismi e un contributo decisivo all'umana fraternità», aggiungendo subito dopo che «la vera libertà religiosa rifugge dalle tentazioni dell'intolleranza e del settarismo, e promuove atteggiamenti di rispettoso e costruttivo dialogo».

     «Non possiamo non riconoscere - dice Francesco - come l'intolleranza verso chi ha convinzioni religiose diverse dalle proprie sia un nemico molto insidioso, che oggi purtroppo si va manifestando in diverse regioni del mondo. Come credenti, dobbiamo essere particolarmente vigilanti affinché la religiosità e l'etica che viviamo con convinzione e che testimoniamo con passione si esprimano sempre in atteggiamenti degni di quel mistero che intendono onorare, rifiutando con decisione come non vere, perché non degne né di Dio né dell'uomo, tutte quelle forme che rappresentano un uso distorto della religione».

     Ma la libertà religiosa, ha spiegato ancora il Papa, non può essere garantita «unicamente dal sistema legislativo vigente, che pure è necessario: essa è uno spazio comune, un ambiente di rispetto e collaborazione che va costruito con la partecipazione di tutti, anche di coloro che non hanno alcuna convinzione religiosa».

     Il Papa ha quindi indicato due atteggiamenti per promuoverla: «Vedere in ogni uomo e ogni donna, anche in quanti non appartengono alla propria tradizione religiosa, non dei rivali, meno ancora dei nemici, bensì dei fratelli e delle sorelle», perché «chi è sicuro delle proprie convinzioni non ha bisogno di imporsi, di esercitare pressioni sull'altro: sa che la verità ha una propria forza di irradiazione». Tutti «dipendiamo gli uni dagli altri, siamo affidati gli uni alle cure degli altri. Ogni tradizione religiosa, dal proprio interno, deve riuscire a dare conto dell'esistenza dell'altro».

     Il secondo atteggiamento è l'impegno in favore del bene comune. «Ogni volta che l'adesione alla propria tradizione religiosa fa germogliare un servizio più convinto, più generoso, più disinteressato all'intera società, vi è autentico esercizio e sviluppo della libertà religiosa. Questa appare allora non solo come uno spazio di autonomia legittimamente rivendicato, ma come una potenzialità che arricchisce la famiglia umana con il suo progressivo esercizio. Più si è a servizio degli altri e più si è liberi!».

     E come impegno specifico il Papa ha indicato i «bisogno dei poveri» e i cammini ancora da trovare delle società  «verso una giustizia sociale più diffusa, verso uno sviluppo economico inclusivo». In questi campi di azione, «uomini e donne ispirati dai valori delle proprie tradizioni religiose possono offrire un contributo importante, anzi insostituibile. È questo un terreno fecondo anche per il dialogo interreligioso».

     Alla fine del suo discorso il Papa ha aggiunto a braccio: "C'è un principio chiaro: non si può dialogare se non si parte dalla propria identità, sarebbe un dialogo fantasma! Ognuno di noi ha la propria identità, camminiamo insieme senza fare finta di averne un'altra, questo sarebbe relativismo, sarebbe ipocrisia. Ci accomuna la vita, la buona volontà di fare il bene ai fratelli e ciascuno offre all'altro la testimonianza della propria identità"

     E guardando al gruppo di religiosi riunito attorno a lui ha scherzato: "sembra una partita di calcio, i cattolici da una parte, tutti gli altri dall'altra"

     Nel suo saluto iniziale l'arcivescovo di Scutari, Angelo Massafra, ha detto che "è l'ora di passare dalla tolleranza alla fratellanza"

    Da Vatican Insider


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    00 29/09/2014 19:46

    Bergoglio e la nuova traduzione della Bibbia:
    tutti possono capirla

    Promozione della Bibbia
     L’Alleanza biblica universale gli consegna l’ultima versione dell’opera interconfessionale. Francesco invita cattolici ed evangelici a recitare insieme il Padre Nostro

    Papa Francesco ha elogiato la traduzione interconfessionale della Bibbia “in lingua corrente”, incontrando stamane la Alleanza biblica universale, ed ha concluso l’udienza con un “padre nostro” in comune tra cattolici ed evangelici.

     “Cari fratelli in Cristo”, ha detto Jorge Mario Bergoglio, “vi ringrazio per essere venuti qui a presentarmi la nuova versione italiana della Bibbia parola di Dio, traduzione interconfessionale in lingua corrente, frutto della collaborazione tra l’Alleanza biblica universale, Società biblica in Italia, e la casa editrice Elledici”, ha detto papa Francesco, che a braccio ha raccontato la propria “esperienza”: “La traduzione fatta fra evangelici e cattolici della bibbia in lingua corrente argentina ha fatto tanto bene e fa tanto bene: è un’idea buona perché la gente semplice può capirla, perché è un linguaggio vero, proprio, ma vicino alla gente. Nella missione che facevamo nella parrocchia a Buenos Aires sempre andavamo nella società biblica a comprarla… ci facevano un bello sconto!... e la davamo alla gente, che capiva la Bibbia. È stato un bello sforzo, e mi piace che adesso sia in italiano, la gente così può capire espressioni che se si traducono letteralmente non si capiscono. La preparazione di una versione interconfessionale – ha proseguito il Pontefice argentino - è uno sforzo particolarmente significativo, se si pensa a quanto i dibattiti attorno alla Scrittura abbiano influito sulle divisioni, specie in occidente. Questo progetto interconfessionale, che vi ha dato la possibilità di intraprendere un cammino comune per qualche decennio, vi ha permesso di affidare il cuore agli altri compagni di strada, superando sospetti e differenze, con la fiducia che scaturisce dall'amore comune per la Parola di Dio. Il vostro è il frutto di un lavoro paziente, attento, fraterno, competente e, soprattutto, credente. Se non crederete, non comprenderete; ‘se non crederete, non resterete saldi’, diceva il profeta Isaia. Mi auguro che questo testo, che si presenta con il beneplacito della Cei e della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, spinga tutti i cristiani di lingua italiana a meditare, vivere, testimoniare e celebrare il messaggio di Dio”.

     “Vorrei tanto che tutti i cristiani potessero apprendere ‘la sublime scienza di Gesù Cristo’ attraverso la lettura assidua della Parola di Dio, poiché il testo sacro è il nutrimento dell'anima e la sorgente pura e perenne della vita spirituale di tutti noi. Dobbiamo quindi compiere ogni sforzo affinché ogni fedele legga la Parola di Dio, poiché ‘l'ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo’, come dice san Girolamo. Vi ringrazio tutti di cuore, perché ciò che avete conseguito insieme è prezioso proprio per realizzare questo obiettivo e vi incoraggio a proseguire sul cammino intrapreso, per far conoscere sempre meglio e per far comprendere sempre più profondamente la Parola del Dio vivente. Vi accompagni anche la mia benedizione, che di cuore do a voi e vi invito a chiederla insieme come fratelli pregando il padre nostro”. Le circa 30 persone della delegazione hanno recitato insieme la preghiera.

     Una recente nota della Ellenici ricorda come la “traduzione interconfessionale in lingua corrente” (Tilc) – alla quale, peraltro, nel passato partecipò il cardinale Carlo Maria Martini – “è frutto del lungo e intenso lavoro di esperti cattolici ed evangelici, designati dalle rispettive Chiese. Il loro lavoro è iniziato negli anni Settanta e confluito nella prima pubblicazione del Nuovo Testamento (1976), completata con l’uscita dell’intera Bibbia (1985)”. La Bibbia in lingua corrente in passato ha venduto in Italia “oltre 13 milioni di copie”. Questa nuova revisione, “realizzata in due tempi (Nuovo Testamento nel 2000 e Antico Testamento nel 2014) si presenta ancor più adatta a una lettura scorrevole, comprensibile a tutti, ai giovani in particolare”. Introducendo l’incontro con il Papa, Valdo Bertalot, segretario generale della Società biblica in Italia, ha ricordato, in particolare, il valdese Bruno Corsari e il salesiano Carlo Bozzetti, ed ha concluso il suo saluto con una citazione biblica tratta dal libro di Amos: “Camminano forse due uomini insieme senza essersi messi d'accordo?”. Al Papa è stata consegnata una copia della nuova edizione.


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    00 01/10/2014 19:27
    Ecco come la Chiesa ci difende dal maligno
     
    All'udienza generale, dove ha pure invitato a pregare per i cristiani perseguitati del Medio Oriente e per i lavoratori della Thyssen Krupp in difficoltà in Italia, Papa Francesco ha proseguito le sue catechesi sulla Chiesa, presentandola nel suo aspetto di madre. Chi ci segue sa quanto spesso il Pontefice ritorni sul tema del Diavolo. Anche in questa occasione il Papa ha affermato che una madre è pronta a difendere i suoi figli e la Chiesa madre, sull'esempio di Maria, difende noi suoi figli dalle insidie del Demonio.
    «La Chiesa», ha detto Francesco, «ha il coraggio di una madre che sa di dover difendere i propri figli dai pericoli che derivano dalla presenza di Satana nel mondo, per portarli all’incontro con Gesù. Una madre sempre difende i figli». Ma come in concreto la Chiesa ci difende dal Demonio?  In primo luogo, questa difesa consiste «nell’esortare alla vigilanza: vigilare contro l’inganno e la seduzione del Maligno. Perché se anche Dio ha vinto Satana, questi torna sempre con le sue tentazioni; noi lo sappiamo, tutti noi siamo tentati, siamo stati tentati e siamo tentati. Satana viene “come leone ruggente” (1Pt 5,8), dice l’apostolo Pietro, e sta a noi non essere ingenui, ma vigilare e resistere saldi nella fede». Questa resistenza non è però affidata alle sole nostre forze individuali. Riusciamo a resistere a Satana «con i consigli della madre Chiesa, resistere con l’aiuto della madre Chiesa, che come una buona mamma sempre accompagna i suoi figli nei momenti difficili». Per potere beneficiare di questo aiuto dobbiamo essere persuasi che «non si diventa cristiani da sé, cioè con le proprie forze, in modo autonomo, neppure si diventa cristiani in laboratorio, ma si viene generati e fatti crescere nella fede all’interno di quel grande corpo che è la Chiesa». In questo senso possiamo dire che la Chiesa è madre, ed è più di una metafora.

    La Parola di Dio è un'arma potente per resistere alle insidie del Demonio, ma non va letta da soli. È la Chiesa che «ogni giorno la dispensa, perché questa Parola ha la capacità di cambiarci dal di dentro. Solo la Parola di Dio ha questa capacità di cambiarci ben dal di dentro, dalle nostre radici più profonde. Ha questo potere la Parola di Dio. E chi ci dà la Parola di Dio? La madre Chiesa». La Chiesa «ci allatta da bambini con questa parola, ci alleva durante tutta la vita con questa Parola, e questo è grande! È proprio la madre Chiesa che con la Parola di Dio ci cambia da dentro. La Parola di Dio che ci dà la madre Chiesa ci trasforma, rende la nostra umanità non palpitante secondo la mondanità della carne», che apre le porte al Demonio e alle sue tentazioni, ma «secondo lo Spirito».

    Il Concilio Ecumenico Vaticano II, com'è noto, volle trattare insieme della Chiesa e della Madonna, esprimendo «in modo mirabile», ha detto il Papa, come nella sua maternità la Chiesa abbia «come modello la Vergine Maria, il modello più bello e più alto che ci possa essere». Ed è più di un modello: benché Maria sia Madre in modo unico e irripetibile, «la maternità della Chiesa si pone proprio in continuità con quella di Maria, come un suo prolungamento nella storia». In modo molto reale, «la nascita di Gesù nel grembo di Maria, infatti, è preludio della nascita di ogni cristiano nel grembo della Chiesa». «Comprendiamo, allora, come la relazione che unisce Maria e la Chiesa sia quanto mai profonda: guardando a Maria, scopriamo il volto più bello e più tenero della Chiesa; e guardando alla Chiesa, riconosciamo i lineamenti sublimi di Maria. Noi cristiani, non siamo orfani, abbiamo una mamma, abbiamo una madre, e questo è grande! Non siamo orfani! La Chiesa è madre, Maria è madre». E, come la Madonna, la Chiesa ci difende dalle insidie del Diavolo.

    Questa difesa non avviene solo attraverso l'insegnamento, il consiglio e il «nutrimento spirituale» della Parola di Dio, che ci mostrano come resistere alle tentazioni di Satana, ma anche attraverso i sacramenti. «La Chiesa è nostra madre perché ci ha partoriti nel Battesimo. Ogni volta che battezziamo un bambino, diventa figlio della Chiesa, entra nella Chiesa. E da quel giorno, come mamma premurosa, ci fa crescere nella fede e ci indica, con la forza della Parola di Dio, il cammino di salvezza, difendendoci dal male». 

    L'Eucarestia è un altro aiuto prezioso contro il male. «Illuminati dalla luce del Vangelo e sostenuti dalla grazia dei Sacramenti, specialmente l’Eucaristia, noi possiamo orientare le nostre scelte al bene e attraversare con coraggio e speranza i momenti di oscurità e i sentieri più tortuosi. Il cammino di salvezza, attraverso il quale la Chiesa ci guida e ci accompagna con la forza del Vangelo e il sostegno dei Sacramenti, ci dà la capacità di difenderci dal male». Qualche volta ci è difficile capire la maternità della Chiesa e il suo ruolo nel difenderci dal male e dal Maligno perché dimentichiamo «che la Chiesa non sono solo i preti, o noi vescovi, no, siamo tutti! La Chiesa siamo tutti! D’accordo? E anche noi siamo figli, ma anche madri di altri cristiani. Tutti i battezzati, uomini e donne, insieme siamo la Chiesa. Quante volte nella nostra vita non diamo testimonianza di questa maternità della Chiesa, di questo coraggio materno della Chiesa! Quante volte siamo codardi!». E quante volte non capiamo. 

    Ma non siamo soli. Possiamo e dobbiamo affidarci «a Maria, perché Lei come madre del nostro fratello primogenito, Gesù, ci insegni ad avere il suo stesso spirito materno nei confronti dei nostri fratelli, con la capacità sincera di accogliere, di perdonare, di dare forza e di infondere fiducia e speranza. È questo quello che fa una mamma». 

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    Coordin.
    00 09/10/2014 08:44
    UDIENZA GENERALE

    Piazza San Pietro
    Mercoledì, 8 ottobre 2014

    Video



    La Chiesa - 8. I cristiani non cattolici

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Nelle ultime catechesi, abbiamo cercato di mettere in luce la natura e la bellezza della Chiesa, e ci siamo chiesti che cosa comporta per ciascuno di noi far parte di questo popolo, popolo di Dio che è la Chiesa. Non dobbiamo, però, dimenticare che ci sono tanti fratelli che condividono con noi la fede in Cristo, ma che appartengono ad altre confessioni o a tradizioni differenti dalla nostra. Molti si sono rassegnati a questa divisione - anche dentro alla nostra Chiesa cattolica si sono rassegnati - che nel corso della storia è stata spesso causa di conflitti e di sofferenze, anche di guerre e questo è una vergogna! Anche oggi i rapporti non sono sempre improntati al rispetto e alla cordialità… Ma, mi domando: noi, come ci poniamo di fronte a tutto questo? Siamo anche noi rassegnati, se non addirittura indifferenti a questa divisione? Oppure crediamo fermamente che si possa e si debba camminare nella direzione della riconciliazione e della piena comunione? La piena comunione, cioè poter partecipare tutti insieme al corpo e al sangue di Cristo.

    Le divisioni tra i cristiani, mentre feriscono la Chiesa, feriscono Cristo, e noi divisi provochiamo una ferita a Cristo: la Chiesa infatti è il corpo di cui Cristo è capo. Sappiamo bene quanto stesse a cuore a Gesù che i suoi discepoli rimanessero uniti nel suo amore. Basta pensare alle sue parole riportate nel capitolo diciassettesimo del Vangelo di Giovanni, la preghiera rivolta al Padre nell’imminenza della passione: «Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi» (Gv 17,11). Questa unità era già minacciata mentre Gesù era ancora tra i suoi: nel Vangelo, infatti, si ricorda che gli apostoli discutevano tra loro su chi fosse il più grande, il più importante (cfr Lc 9,46). Il Signore, però, ha insistito tanto sull’unità nel nome del Padre, facendoci intendere che il nostro annuncio e la nostra testimonianza saranno tanto più credibili quanto più noi per primi saremo capaci di vivere in comunione e di volerci bene. È quello che i suoi apostoli, con la grazia dello Spirito Santo, poi compresero profondamente e si presero a cuore, tanto che san Paolo arriverà a implorare la comunità di Corinto con queste parole: «Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire» (1 Cor 1,10).

    Durante il suo cammino nella storia, la Chiesa è tentata dal maligno, che cerca di dividerla, e purtroppo è stata segnata da separazioni gravi e dolorose. Sono divisioni che a volte si sono protratte a lungo nel tempo, fino ad oggi, per cui risulta ormai difficile ricostruirne tutte le motivazioni e soprattutto trovare delle possibili soluzioni. Le ragioni che hanno portato alle fratture e alle separazioni possono essere le più diverse: dalle divergenze su principi dogmatici e morali e su concezioni teologiche e pastorali differenti, ai motivi politici e di convenienza, fino agli scontri dovuti ad antipatie e ambizioni personali… Quello che è certo è che, in un modo o nell’altro, dietro queste lacerazioni ci sono sempre la superbia e l’egoismo, che sono causa di ogni disaccordo e che ci rendono intolleranti, incapaci di ascoltare e di accettare chi ha una visione o una posizione diversa dalla nostra.

    Ora, di fronte a tutto questo, c’è qualcosa che ognuno di noi, come membri della santa madre Chiesa, possiamo e dobbiamo fare? Senz’altro non deve mancare la preghiera, in continuità e in comunione con quella di Gesù, la preghiera per l’unità dei cristiani. E insieme con la preghiera, il Signore ci chiede una rinnovata apertura: ci chiede di non chiuderci al dialogo e all’incontro, ma di cogliere tutto ciò che di valido e di positivo ci viene offerto anche da chi la pensa diversamente da noi o si pone su posizioni differenti. Ci chiede di non fissare lo sguardo su ciò che ci divide, ma piuttosto su quello che ci unisce, cercando di meglio conoscere e amare Gesù e condividere la ricchezza del suo amore. E questo comporta concretamente l’adesione alla verità, insieme con la capacità di perdonarsi, di sentirsi parte della stessa famiglia cristiana, di considerarsi l’uno un dono per l’altro e fare insieme tante cose buone, e opere di carità.

    È un dolore ma ci sono divisioni, ci sono cristiani divisi, ci siamo divisi fra di noi. Ma tutti abbiamo qualcosa in comune: tutti crediamo in Gesù Cristo, il Signore. Tutti crediamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, e tutti camminiamo insieme, siamo in cammino. Aiutiamoci l’un l’altro! Ma tu la pensi così, tu la pensi così … In tutte le comunità ci sono bravi teologi: che loro discutano, che loro cerchino la verità teologica perché è un dovere, ma noi camminiamo insieme, pregando l’uno per l’altro e facendo opere di carità. E così facciamo la comunione in cammino. Questo si chiama ecumenismo spirituale: camminare il cammino della vita tutti insieme nella nostra fede, in Gesù Cristo il Signore. Si dice che non si deve parlare di cose personali, ma non resisto alla tentazione. Stiamo parlando di comunione … comunione tra noi. Ed oggi, io sono tanto grato al Signore perché oggi sono 70 anni che ho fatto la Prima Comunione. Ma fare la Prima Comunione tutti noi dobbiamo sapere che significa entrare in comunione con gli altri, in comunione con i fratelli della nostra Chiesa, ma anche in comunione con tutti quelli che appartengono a comunità diverse ma credono in Gesù. Ringraziamo il Signore per il nostro Battesimo, ringraziamo il Signore per la nostra comunione, e perché questa comunione finisca per essere di tutti, insieme.

    Cari amici, andiamo avanti allora verso la piena unità! La storia ci ha separato, ma siamo in cammino verso la riconciliazione e la comunione! E questo è vero! E questo dobbiamo difenderlo! Tutti siamo in cammino verso la comunione. E quando la meta ci può sembrare troppo distante, quasi irraggiungibile, e ci sentiamo presi dallo sconforto, ci rincuori l’idea che Dio non può chiudere l’orecchio alla voce del proprio Figlio Gesù e non esaudire la sua e la nostra preghiera, affinché tutti i cristiani siano davvero una cosa sola.
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    00 19/10/2014 18:36

    Papa Francesco al Sinodo:
    la Chiesa di Cristo non ha paura

    Papa Francesco al Sinodo: la Chiesa di Cristo non ha pauraLa Chiesa di Cristo è al servizio, non ha paura e ha porte spalancate. Così in sintesiPapa Francesco, a conclusione dei lavori della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, sulla famiglia. Il Pontefice ha parlato di momenti di tensione e di tentazioni durante i lavori sinodali, ma ha sottolineato la grazia e la bellezza del confronto. Ha ribadito che il compito del Successore di Pietro è quello di garantire l’unità della Chiesa, e quello dei vescovi di “nutrire il gregge” e accogliere chi smarrito. Il servizio di Massimiliano Menichetti per la Radio Vaticana:

    Il Papa parla del confronto tra i Padri sinodali come di una “cammino insieme”, evidenzia “entusiasmo”, “ardore” e “grazia” nell’ascolto delle testimonianze delle famiglie, ma indica anche momenti di “desolazione”, “tensione”, evidenzia “tentazioni” come quella che chiama “dell’irrigidimento ostile”:

    … cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere. Dal tempo di Gesù, è la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti – oggi – “tradizionalisti” e anche degli intellettualisti.

    Poi introduce la tentazione di quello che definisce “buonismo distruttivo”, “tentazione – dice – dei “buonisti”, dei timorosi e anche dei cosiddetti “progressisti e liberalisti”, …
    … che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici.
    Il Papa ha poi citato la “tentazione di trasformare la pietra in pane” “per rompere un digiuno lungo”, ma anche “di trasformare il pane in pietra” e scagliarla contro i peccatori, trasformarlo in “fardelli insopportabili”. Quindi la tentazione di scendere dalla Croce …

    … per accontentare la gente, e non rimanerci per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio.
    Infine la tentazione di “trascurare il “depositum fidei” considerandosi, rimarca, “non custodi ma proprietari e padroni” o, dall’altra parte, “la tentazione di trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa” “per dire tante cose e non dire niente!”.

    “Tanti commentatori – ha aggiunto Papa Francesco – hanno immaginato di vedere una Chiesa in litigio”. “Il Sinodo” – ha detto con forza – mai ha messo in discussione “le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l’apertura alla vita”. “La Chiesa – ha aggiunto – non ha paura di rimboccarsi le maniche per versare l’olio e il vino sulle ferite degli uomini”, una Chiesa “che non guarda l’umanità da un castello di vetro per giudicare o classificare le persone”.

    Questa è la Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica e composta da peccatori, bisognosi della Sua misericordia. Questa è la Chiesa, la vera sposa di Cristo, che cerca di essere fedele al suo Sposo e alla sua dottrina. E’ la Chiesa che non ha paura di mangiare e di bere con le prostitute e i pubblicani (cf. Lc 15). La Chiesa che ha le porte spalancate per ricevere i bisognosi, i pentiti e non solo i giusti o coloro che credono di essere perfetti!

    “Una Chiesa – ha proseguito – che non si vergogna del fratello caduto e non fa finta di non vederlo”:
    … anzi, si sente coinvolta e quasi obbligata a rialzarlo e a incoraggiarlo a riprendere il cammino e lo accompagna verso l’incontro definitivo, con il suo Sposo, nella Gerusalemme Celeste.

    Francesco guarda ai lavori sinodali; ricorda che si svolgono “cum Petro et sub Petro”, evidenzia i compiti del Papa: quello di garantire l’unità della Chiesa e quello di curare i pastori …

    … quello di ricordare ai pastori che il loro primo dovere è nutrire il gregge – nutrire il gregge –che il Signore ha loro affidato e di cercare di accogliere – con paternità e misericordia e senza false paure - le pecorelle smarriteHo sbagliato, qui. Ho detto accogliere: andare a trovarle.

    Francesco cita Benedetto XVI sottolineando che “attraverso i Pastori della Chiesa, Cristo pasce il suo gregge”, “lo protegge, lo corregge, perché lo ama profondamente”. Ricorda che tutti i vescovi, in comunione con il Successore di Pietro, hanno il compito e il dovere di custodire la Chiesa di Cristo “e di servirla, non come padroni ma come servitori”:

    Il Papa, in questo contesto, non è il signore supremo ma piuttosto il supremo servitore – il “servus servorum Dei”; il garante dell’ubbidienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa, mettendo da parte ogni arbitrio personale, pur essendo – per volontà di Cristo stesso – il “Pastore e Dottore supremo di tutti i fedeli” (Can. 749) e pur godendo “della potestà ordinaria che è suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa” (cf. Cann. 331-334)


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    00 19/11/2014 21:19

    Papa Francesco, udienza generale del mercoledìPapa Francesco, intervenendo al “Colloquio internazionale sulla complementarietà tra uomo e donna”, ha detto che «i bambini hanno il diritto di crescere in una famiglia, con un papà e una mamma, capaci di creare un ambiente idoneo al loro sviluppo e alla loro maturazione affettiva».
    Innanzitutto il Pontefice ha voluto riflettere sulla parola «complementarietà» contenuta nel titolo. Essa, ha detto Bergoglio, riletta attraverso le parole della lettera di san Paolo ai Corinzi, fa comprendere che per il cristiano essa non è solo il supporto che ci si dà l’un l’altro ma è «armonia. Riflettere sulla complementarietà non è altro che meditare sulle armonie dinamiche che stanno al centro di tutta la Creazione. E questa è la parola chiave: armonia. Tutte le complementarietà il Creatore le ha fatte perché lo Spirito Santo, che è l’autore dell’armonia, faccia questa armonia».

    L’IMPORTANZA DELLA FAMIGLIA. «Opportunamente – ha proseguito papa Francesco – vi siete riuniti in questo colloquio internazionale per approfondire il tema della complementarietà tra uomo e donna. In effetti, questa complementarietà sta alla base del matrimonio e della famiglia, che è la prima scuola dove impariamo ad apprezzare i nostri doni e quelli degli altri e dove cominciamo ad apprendere l’arte del vivere insieme. Per la maggior parte di noi, la famiglia costituisce il luogo principale in cui incominciamo a “respirare” valori e ideali, come pure a realizzare il nostro potenziale di virtù e di carità. Allo stesso tempo, come sappiamo, le famiglie sono luogo di tensioni: tra egoismo e altruismo, tra ragione e passione, tra desideri immediati e obiettivi a lungo termine… Ma le famiglie forniscono anche l’ambito in cui risolvere tali tensioni: e questo è importante».
    Quando si parla di complementarietà tra uomo e donna «non dobbiamo confondere – ha spiegato il Pontefice – tale termine con l’idea semplicistica che tutti i ruoli e le relazioni di entrambi i sessi sono rinchiusi in un modello unico e statico. La complementarietà assume molte forme, poiché ogni uomo e ogni donna apporta il proprio contributo personale al matrimonio e all’educazione dei figli. La propria ricchezza personale, il proprio carisma personale, e la complementarietà diviene così di una grande ricchezza. E non solo è un bene, ma anche è bellezza».

    DEVASTAZIONE SPIRITUALE E MATERIALE. Oggi «il matrimonio e la famiglia sono in crisi», ha proseguito il Pontefice. «Viviamo in una cultura del provvisorio, in cui sempre più persone rinunciano al matrimonio come impegno pubblico. Questa rivoluzione nei costumi e nella morale ha spesso sventolato la bandiera della libertà – fra virgolette – ma in realtà ha portato devastazione spirituale e materiale a innumerevoli esseri umani, specialmente ai più vulnerabili. È sempre più evidente che il declino della cultura del matrimonio è associato a un aumento di povertà e a una serie di numerosi altri problemi sociali che colpiscono in misura sproporzionata le donne, i bambini e gli anziani. E sempre sono loro che soffrono di più, in questa crisi. La crisi della famiglia ha dato origine a una crisi di ecologia umana, poiché gli ambienti sociali, come gli ambienti naturali, hanno bisogno di essere protetti. Anche se l’umanità ha ora compreso la necessità di affrontare ciò che costituisce una minaccia per i nostri ambienti naturali, siamo lenti – ma siamo lenti, eh?, nella nostra cultura, anche nella nostra cultura cattolica – siamo lenti nel riconoscere che anche i nostri ambienti sociali sono a rischio. È quindi indispensabile promuovere una nuova ecologia umana e farla andare avanti».

    IL DIRITTO DEL BAMBINO. Se questa è la situazione, ciò che occorre fare, ha detto papa Francesco è «insistere sui pilastri fondamentali che reggono una nazione: i suoi beni immateriali. La famiglia rimane al fondamento della convivenza e la garanzia contro lo sfaldamento sociale. I bambini hanno il diritto di crescere in una famiglia, con un papà e una mamma, capaci di creare un ambiente idoneo al loro sviluppo e alla loro maturazione affettiva. Per questa ragione, nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, ho posto l’accento sul contributo “indispensabile” del matrimonio alla società, contributo che “supera il livello dell’emotività e delle necessità contingenti della coppia”. È per questo che vi sono grato per l’enfasi posta dal vostro colloquio sui benefici che il matrimonio può portare ai figli, ai coniugi stessi e alla società».
    «In questi giorni – ha aggiunto – mentre rifletterete sulla complementarietà tra uomo e donna, vi esorto a dare risalto ad un’altra verità riguardante il matrimonio: che cioè l’impegno definitivo nei confronti della solidarietà, della fedeltà e dell’amore fecondo risponde ai desideri più profondi del cuore umano. Pensiamo soprattutto ai giovani che rappresentano il futuro: è importante che essi non si lascino coinvolgere dalla mentalità dannosa del provvisorio e siano rivoluzionari per il coraggio di cercare un amore forte e duraturo, cioè di andare controcorrente: si deve fare questo».

    L’IDEOLOGIA. Infine, il papa ha concluso con un’esortazione: «Non dobbiamo cadere nella trappola di essere qualificati con concetti ideologici. La famiglia è un fatto antropologico, e conseguentemente un fatto sociale, di cultura… E noi non possiamo qualificarla con concetti di natura ideologica che soltanto hanno forza in un momento della storia, e poi cadono. Non si può parlare oggi di famiglia conservatrice o famiglia progressista: la famiglia è famiglia. Ma non lasciarsi qualificare così da questo o da altri concetti, di natura ideologica. La famiglia è in sé, ha una forza in sé. Possa questo colloquio essere fonte d’ispirazione per tutti coloro che cercano di sostenere e rafforzare l’unione dell’uomo e della donna nel matrimonio come un bene unico, naturale, fondamentale e bello per le persone, le famiglie, le comunità e le società. In questo contesto mi piace confermare che, a Dio piacendo, nel settembre 2015 mi recherò a Philadelphia per l’ottavo Incontro Mondiale delle Famiglie. Vi ringrazio delle preghiere con cui accompagnate il mio servizio alla Chiesa».


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