00 28/02/2011 21:14

Gianfranco Ravasi: nel cortile dei gentili

Il cardinale, presidente del Pontificio consiglio per la cultura, terrà una serie di incontri voluti dal Papa con intellettuali atei. Per far cadere i muri tra fede e scienza.

07/02/2011
Il cardinale Gianfranco Ravasi.
Il cardinale Gianfranco Ravasi.

Credere è difficile, ma essere atei non lo è da meno. C’è qualche motivo perché atei e credenti si confrontino sulle loro reciproche difficoltà, sui loro pensieri, parole, opere e scelte, in modo che forse possano trovare armonia di argomentazioni senza rinunciare ognuno alla propria identità? Oppure devono continuare a vivere su sponde differenti, ignorandosi o peggio lanciandosi anatemi? La sfida è davvero straordinaria e i risultati lo possono essere altrettanto. La sfida l’ha lanciata Benedetto XVI poco più di un anno fa nel discorso alla Curia romana: «Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea. Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di cortile dei gentili».

Adesso quel cortile apre le porte a Parigi alla fine di marzo, quando intellettuali agnostici e credenti daranno vita al confronto. Ma altri “cortili” si costruiranno in Europa, nelle Americhe, forse anche in Africa e in Asia per iniziativa del Pontificio consiglio della cultura, presieduto dal cardinale Gianfranco Ravasi, uno che di dialogo con intellettuali fieramente laici se ne intende.

Eminenza, cos’è questo cortile?
«Il luogo di un incontro, ma anche una metafora. Credenti e non credenti abitano la stessa terra e vivono nelle stesse aule delle università. Ma c’è il rischio che si isolino nel proprio recinto sacrale o laico, ignorandosi se va bene, o prendendosi a sberleffi nella maggior parte dei casi. Allora bisogna trovare uno spazio comune, abbattere muri di separazione nella cultura e negli atteggiamenti. Noi ci vogliamo provare».

Volete convertire gli atei?
«Assolutamente no. Non c’è alcuna attesa di conversioni, né di inversioni di cammini esistenziali di alcuno. Vogliamo solo proporre un dialogo che eviti il vuoto, gli stereotipi, la banalità. Le voci possono essere anche agli antipodi, ma devono saper creare armonia e migliorare la qualità del dibattito culturale, cioè la vita di tutti».

Lei ci ha già provato a Milano quando era a capo della Biblioteca Ambrosiana. L’ha suggerita lei l’idea al Papa?
«No. Il Papa viene da una cultura, quella tedesca, dove la teologia è considerata scienza a tutti gli effetti e in Germania un cortile è stato sempre aperto. Ma ha visto che purtroppo, in Europa soprattutto, tra laici e cattolici il linguaggio è sempre più autoreferenziale. Se manca il dialogo non si va da nessuna parte».

Però lei ci aveva provato?
«Sì e devo ammettere che a Milano negli anni passati si è fatta qualche prova di cortile dei gentili. Metà dei miei amici non sono credenti. Continuo a discutere anche a Roma al Pontificio consiglio con laici come Giulio Giorello e Umberto Eco».

Perché la Chiesa fatica a discutere, nonostante il Concilio?
«Dobbiamo ammettere che anche la Chiesa ha contribuito a erigere muri, o almeno siepi, di separazione. Credo per unmalinteso senso di autoprotezione o di autodifesa».

Ma anche i laici hanno concimato siepi...
«Sì. La teologia non èmai stata considerata un pensiero rigoroso, come filosofia o scienza. La cultura cattolica è ritenuta più fluida e meno consistente dal punto di vista del metodo e dei paradigmi rispetto a quella laica».

Davvero gli intellettuali laici sono tutti fieramente anticlericali?
«No. È una convinzione sbagliata che nasce dal radicarsi di quello che io chiamo “ateismo nazional-popolare”, rappresentato da associazioni e personaggi pittoreschi, intellettuali da salotto televisivo. Lì volano gli schiaffi e gli sberleffi e tutto fa la gioia dei fondamentalisti in entrambi gli schieramenti».

Scienza e teologia possono incontrarsi?
«Vedremo. Io dico che scienza e teologia non hanno statuti conflittuali, ma sono incomparabili, procedono su due binari, magari paralleli, perché usano metodi differenti. Qualcuno sostiene che i binari non si incontreranno mai, qualche altro che è inutile procedere. Io dico che gli scambi sono possibili».

Anche se la Chiesa propone valori non negoziabili e viene accusata di imporre visioni etiche blindate?
«La fede deve sempre saper dare ragione di sé stessa, deve depurarsi di ogni rigidità, deve conoscere in modo puntuale e preciso il livello scientifico del dibattito, soprattutto su questioni delicate come quelle bioetiche. Non si può più far finta di sapere qualcosa e poi imporre un proprio sistema etico punto e basta. La stessa cosa deve fare la scienza, accettando l’orizzonte della trascendenza».

E chi non crede?
«Va rispettato. Ma il vero ateo non è mai sprezzante, sarcastico o dissacratorio. Così come il vero credente evita la scorciatoia del devozionalismo».

Non c’è il rischio che nel cortile si rinunci alla propria identità per quieto vivere? «L’obiezione è diffusa e seria. Per un autentico dialogo vanno esclusi gli estremismi e gli integralismi, ma va evitato anche il sincretismo ideologico che porta alla definizione di un minimo comune denominatore, che non serve a nessuno. Si possono scoprire consonanze anche in contributi differenti che rimarranno sempre tali. La cosa importante è suscitare la ricerca attorno, in definitiva, alla questione di Dio, che potrà anche rimanere sconosciuto e ignoto alla fine per molti, ma sul quale nessuno è autorizzato a negare che ci si debbano porre domande».

Alberto Bobbio