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L'immagine
Il telo della sindone è in lino e misura circa mt 4,4x1,13[1]. Sul telo, su un solo lato, è presente la doppia immagine (frontale e dorsale) di un uomo crocifisso.

L'immagine è poco visibile a occhio nudo e può essere percepita solo ad una certa distanza[2] (uno-due metri, mentre avvicinandosi sembra scomparire). Come scoprì Secondo Pia nel 1898, l'immagine è "al negativo", cioè i chiaroscuri sono invertiti rispetto a quelli naturali: infatti essa appare come "positiva" sul negativo fotografico acquisito in luce visibile. Si noti però che l'immagine appare come "positiva" su un positivo fotografico acquisito nell'infrarosso (8-14 micrometri)[3].

La colorazione interessa solo la parte più superficiale delle fibre di lino; l'interno delle fibre non è colorato. Inoltre la maggiore o minore intensità del colore nei vari punti dell'immagine è dovuta esclusivamente al maggiore o minore numero di fibre colorate, mentre le singole fibre hanno tutte la stessa intensità[4].

L'immagine appare essere la proiezione verticale della figura dell'Uomo della Sindone[5][6]: le proporzioni del corpo sono infatti quelle che si osservano guardando una persona direttamente o in fotografia, mentre l'immagine ottenuta stendendo un lenzuolo a contatto col corpo dovrebbe apparire distorta, ad esempio il viso dovrebbe apparire molto più largo. Secondo alcuni l'immagine appare così in quanto causata da una radiazione non verticale, ma perpendicolare alla superficie del cadavere avvolto[7].

Quelle che appaiono come macchie di sangue corrispondono alla corretta posizione sul corpo delle numerose ferite, considerando un drappeggio della stoffa avvolgente l'intero corpo. Mentre l'immagine è in negativo, esse sono invece in positivo: infatti sul negativo fotografico appaiono come zone chiare. Inoltre sotto le macchie non vi è immagine: sembra quindi che quest'ultima si sia formata quando il lenzuolo era già macchiato[8].

Tridimensionalità

Stereogramma attraverso il quale è possibile apprezzare, in modo approssimativo e puramente indicativo, la resa tridimensionale ottenibile dall'immagine. Nel negativo, i toni più chiari vengono posti più in rilievo rispetto a quelli più scuri, in misura variabile a seconda di quanto si vuole enfatizzare la resa dei volumi (in questo caso sono molto evidenziati). Per vedere l'effetto è necessario guardare contemporaneamente l'immagine a destra con l'occhio destro, quella a sinistra con il sinistro (LVS parallela).
Nel 1977 due fisici dell'U.S. Air Force Academy, John P. Jackson ed Eric J. Jumper, scoprirono che se si esegue un "grafico" tridimensionale dell'immagine della Sindone, utilizzando come coordinata verticale la misura dell'intensità del colore nei vari punti, si ottiene una figura umana in rilievo in cui l'altezza relativa delle varie parti del corpo è rispettata: ad esempio il naso e le sopracciglia emergono rispetto al resto del volto, e le braccia e le mani rispetto al busto.

Applicando invece la stessa metodologia a una fotografia o a un dipinto, in genere si ottengono immagini fortemente distorte.

Ricerche più approfondite[9] hanno mostrato che la coordinata verticale corrisponde precisamente alla distanza tra un corpo umano e un lenzuolo disteso su di esso, che naturalmente per effetto della gravità si va ad appoggiare sulle parti più sporgenti del corpo (naso, fronte, braccia, ginocchia etc.) mentre rimane sospeso sopra le parti rientranti (cavità oculari, guance, ascelle etc.).

Sono ben visibili gli avambracci e le mani incrociate sul pube, con il polso destro coperto dalla mano sinistra. Le dita delle mani appaiono allungate, ed è evidente la mancanza dei pollici; la teoria secondo la quale i pollici non compaiono a causa della loro flessione dovuta alla lesione del nervo mediano, provocata dall'infissione di chiodi nei polsi, è una teoria sconfessata dagli stessi sostenitori dell'autenticità della sindone: il pollice è semplicemente su di un piano inferiore alle altre dita, e non lascia dunque traccia.[10]

L'impronta lasciata dal piede sinistro è meno evidente di quella del piede destro, dove si nota chiaramente la forma del calcagno e delle dita. Risulta completa l'impronta del polpaccio destro, mentre il sinistro è meno netto perché, come il calcagno, è sollevato: si può quindi dedurre che il sopraggiungere della rigidità cadaverica abbia lasciato in flessione la gamba sinistra, che quindi appare più corta. L'immagine del polpaccio destro presenta una certa distorsione causata dall'avvolgimento del lenzuolo. Il piede destro appoggiava contro il legno della croce, mentre il sinistro era sopra il collo del destro; verosimilmente entrambi furono inchiodati insieme in quella posizione[8].

In corrispondenza del volto si notano anche i segni lasciati da barba e capelli e questo fatto complica ulteriormente la spiegazione della formazione dell'immagine corporea perché essi sono più difficili da riprodurre con tecniche sperimentali: la loro sofficità, infatti, rende difficile l'impressione nel lino. Forse lo studio approfondito delle caratteristiche dell'immagine dei capelli, che a differenza delle altre parti del corpo sembrano trapassare l'intero lenzuolo in corrispondenza dell'immagine frontale, sarà la chiave di interpretazione del meccanismo di formazione dell'immagine corporea. La barba sembra parzialmente strappata ed i capelli cadono sui lati del volto; la massa di capelli di sinistra è più marcata[8].

Bruciature e altri segni
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Storia della Sindone e Mandylion
Sono chiaramente visibili sulla Sindone i segni provocati da alcuni eventi storici: bruciature, aloni da versamento d'acqua e pieghe.

Le bruciature più vistose sono state causate dall'incendio scoppiato il 4 dicembre 1532 nella Sainte Chapelle di Chambéry, in cui la Sindone rischiò di essere distrutta. Un oggetto rovente (delle gocce d'argento fuso, oppure una parte del reliquiario) aprì nel lenzuolo numerosi fori di forma approssimativamente triangolare, disposti simmetricamente ai lati dell'immagine in quanto il lenzuolo era conservato ripiegato più volte su sé stesso. Nel 1534 le suore clarisse di Chambéry ripararono i danni cucendo sui fori delle pezze di tessuto e impunturando la Sindone su un telo di supporto della stessa grandezza[11]. Nel 2002, in un intervento di restauro conservativo, tutti i rappezzi sono stati rimossi e il telo di supporto originale è stato sostituito con un altro più recente.

Altre bruciature, più piccole, formano quattro gruppi di fori approssimativamente circolari o lineari[12]. Il colorito delle bruciature varia in ragione delle temperature alle quali furono esposti le parti di tessuti[12]. In questo caso la Sindone doveva essere piegata in quattro (una volta nel senso della lunghezza e una nel senso della larghezza). Un'ipotesi per la loro formazione è che la Sindone venisse esposta vicino a delle torce accese[13]. Non si conosce l'evento che li produsse ma fu certamente anteriore al 1516, poiché compaiono in una copia della Sindone dipinta in tale data e conservata a Lierre[14].

Gli aloni prodotti da versamento d'acqua sul lenzuolo si credevano prodotti dall'acqua usata per spegnere l'incendio del 1532, ma un recente studio di Aldo Guerreschi e Michele Salcito ha mostrato che, mentre gli aloni più piccoli vicino alle bruciature hanno la stessa loro disposizione simmetrica, gli aloni più grandi, che si estendono anche su parte dell'immagine corporea, sono disposti secondo assi di simmetria differenti, e quindi si devono essere prodotti in un periodo, presumibilmente precedente, in cui la Sindone veniva tenuta ripiegata in modo diverso. Risulta che, al momento dell'incendio, la Sindone era piegata due volte in lunghezza e due in larghezza, a formare 16 strati, e un lato era ripiegato per un'altra volta ancora, a formare 32 strati. Quando invece si formarono gli aloni più grandi, la Sindone era stata piegata prima per due volte nel senso della larghezza, e poi la lunga striscia così ottenuta era stata piegata "a fisarmonica" in 13 parti, per un totale di 52 strati (13×4), ottenendo dei riquadri di circa 32×34 cm. Guerreschi e Salcito ipotizzano che la Sindone così ripiegata venisse conservata in posizione verticale, infilata in una giara o altro recipiente simile; gli aloni sarebbero stati prodotti da uno strato d'acqua che si sarebbe accumulata sul fondo della giara. Negli scavi di Qumran è stata ritrovata una giara di dimensioni e forma compatibili con questa ipotesi[15].


Come apparirebbe la Sindone ripiegata in otto e inserita in un reliquiario con un'apertura circolare.
Altre pieghe del lenzuolo, evidenziate dalle fotografie in luce radente, supporterebbero l'ipotesi secondo la quale il Mandylion era la Sindone ripiegata tre volte nel senso della lunghezza, formando così otto strati, e montata in un reliquiario. Ne risultava un riquadro di circa 110×55 cm nel quale il volto di Gesù appariva al centro.[senza fonte]

Esame del Carbonio 14
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Esame del Carbonio 14 sulla Sindone
Il più celebre esame compiuto sulla reliquia, per la grande risonanza che ha avuto sui mezzi d'informazione, è la datazione eseguita nel 1988 con la tecnica radiometrica del Carbonio 14[16]. Secondo il risultato dell'esame, eseguito separatamente da tre laboratori (Tucson, Oxford e Zurigo) su un campione di tessuto prelevato appositamente, il lenzuolo va datato nell'intervallo di tempo compreso tra il 1260 e il 1390. Questa datazione corrisponde al periodo in cui si ha la prima documentazione storica che si riferisca con certezza alla Sindone di Torino (1353).

Il risultato dell'esame è stato però contestato da più parti. In particolare sono state evidenziate incongruenze interne all'esame dei tre laboratori, è stata ipotizzata una contaminazione per una inadeguata pulizia dei campioni, e da alcuni sono state avanzate anche ipotesi di sostituzioni dei campioni.

Esame del sangue
I primi esami sulle presunte macchie di sangue furono condotti nel 1973 dai membri della commissione scientifica nominata dal cardinale Michele Pellegrino. G. Frache, E. Mari Rizzati ed E. Mari analizzarono due fili di tessuto sindonico: i risultati furono negativi[17][18] ma la presenza di sangue non fu esclusa con certezza[19]. Secondo John H. Heller, queste analisi fallirono perché i trattamenti chimici usati non riuscirono a sciogliere il sangue nella soluzione[20]. Ulteriori esami microscopici effettuati da Guido Filogano e Alberto Zina non rilevarono la presenza di globuli rossi o di altri corpuscoli del sangue[21]. Sia Frache che Filogamo trovarono dei granuli di materiale colorante[22].

Nel 1978 il cardinale Anastasio Ballestrero autorizzò il prelievo di nuovi campioni, che fu eseguito da due gruppi di ricerca, uno americano (lo Shroud of Turin Research Project, di seguito STURP) e uno italiano. Furono premute strisce adesive sulla Sindone per asportare delle particelle e furono prelevati alcuni fili[23][24]. La presenza di sangue fu indagata separatamente da Walter McCrone, consulente dello STURP; da John Heller e Alan Adler, membri dello STURP; e da Pierluigi Baima Bollone. I tre studi diedero risultati contrastanti: secondo McCrone il presunto sangue è stato dipinto da un pittore usando dei pigmenti, mentre secondo Heller, Adler e Baima Bollone si tratta di vero sangue che ha macchiato il lenzuolo per contatto diretto con un corpo umano.

McCrone presentò i suoi risultati allo STURP nel 1980: sulla base di osservazioni microscopiche e analisi chimiche, egli annunciò di avere trovate tracce di ocra rossa, cinabro (solfuro di mercurio, un colorante rosso molto diffuso nel Medioevo) e alizarina (un pigmento rosato di origine vegetale, al giorno d'oggi prodotto sinteticamente)[13][25][26]. McCrone ritenne così di aver provato che la Sindone è un dipinto[25][27].

I suoi lavori furono tuttavia respinti dallo STURP[28], e successivamente criticati anche da altri studiosi, per diverse ragioni:

McCrone basò le sue conclusioni principalmente sulle sue osservazioni al microscopio in luce polarizzata: secondo Thibault Heimburger e David Ford, questa è una metodologia obsoleta e inadeguata rispetto ai metodi di analisi fisica e chimica impiegati dallo STURP[29][30][31].
McCrone esaminò i campioni al microscopio senza rimuoverli dai nastri adesivi usati per il prelievo, incollando i nastri sui vetrini[32]. Ciò lo portò ad osservazioni errate come quella di attribuire alle particelle di ossido di ferro, da lui identificate come ocra rossa, proprietà birifrangenti. In realtà la birifrangenza era provocata dall'adesivo (Mylar) dei nastri[30]. In seguito lo stesso McCrone riconobbe che le particelle erano otticamente isotrope, senza tuttavia cambiare idea sull'identificazione[33].
l'ocra rossa non è costituita da ossido di ferro puro, ma presenta normalmente rilevanti quantità di manganese, nickel e cobalto. I campioni sindonici invece non contengono quantità apprezzabili di nessuno di tali elementi, mentre contengono numerosi elementi (Na, Mg, Al, Si, P, S, Cl, K, Ca, Fe) presenti nel sangue. Di conseguenza, secondo Heller e Adler, l'ossido di ferro rilevato sulla Sindone non è ocra rossa, ma risulta dalla degradazione del sangue[32][30].
secondo le misure dello STURP, il mercurio (componente del cinabro) presente sulla Sindone è in quantità insufficiente a produrre una significativa colorazione[32][30].
Thibault Heimburger nota che i test chimici usati, con risultati negativi, da McCrone per rilevare la presenza di sangue forniscono buoni risultati sul sangue fresco, ma uno studio ha mostrato che la loro sensibilità diminuisce rapidamente man mano che il sangue invecchia[34].
Heimburger nota anche che il campione usato dai collaboratori di McCrone per misure XRD (X-Ray Diffraction) e EXDRA (Energy Dispersive X-Ray Analysis) fu prelevato in un'area coperta solo in piccola parte dalle macchie di sangue e contenente una macchia prodotta dall'acqua e una bruciatura. Di conseguenza i risultati di queste misure non possono essere considerati rappresentativi. Inoltre nello spettro EXDRA i picchi del mercurio e dello zolfo (i due componenti del cinabro) sono sovrapposti, rendendo impossibile stimare la quantità relativa dei due elementi; lo zolfo è presente anche nel sangue[29].
McCrone cambiò più volte versione riguardo alla natura dei pigmenti da lui osservati, a un certo punto dichiarando addirittura di aver identificato una forma sintetica di ossido di ferro prodotta soltanto dopo il 1800[30][29].
Un ulteriore motivo di attrito tra McCrone e lo STURP fu, secondo quanto racconta Heller, che McCrone, contrariamente agli accordi presi, trattenne i campioni delle macchie di sangue, mentre avrebbe dovuto inviarli a Heller che era stato incaricato di analizzarle. Dopo ripetuti solleciti senza effetto, Jumper, Rogers e Jackson si recarono al suo laboratorio e portarono via tutti i nastri, impedendo così a McCrone di svolgere ulteriori analisi[35]. Le divergenze tra McCrone e lo STURP divennero insanabili e la loro collaborazione si interruppe (secondo una versione fu McCrone a rassegnare le dimissioni[30], secondo un'altra fu lo STURP a licenziarlo[36][37]).

Heller e Adler, contrariamente a McCrone, rilevarono la presenza di emoglobina, albumina e bilirubina e osservarono che le macchie di sangue si sciolgono completamente in una miscela di enzimi proteolitici, il che indica che siano composte interamente da sostanze proteiche, e non da pigmenti minerali o vegetali. Inoltre trovarono che gli aloni intorno alle macchie di sangue sono composti da siero. Riscontrarono invece solo piccole quantità di pigmenti (in particolare un solo cristallo di cinabro), che attribuirono a contaminazioni (è documentato che in passato copie della Sindone furono poste a contatto con l'originale per "santificarle")[38][32][39][40][41]. Risultati analoghi furono ottenuti da Baima Bollone e collaboratori i quali, usando test immunologici, confermarono la presenza di sangue e lo identificarono come umano di gruppo AB[42].

Anche questi risultati, come quelli di McCrone, sono stati criticati con vari argomenti dai sindonologi di parte avversa:

Secondo Luigi Garlaschelli, il test delle porfirine usato da Heller e Adler non è un test specifico del sangue e darebbe risultati positivi anche su un vegetale[22][43] e così anche nessuno degli ulteriori test utilizzati è specifico per il sangue[44][45]. Heller e Adler tuttavia respingono questa obiezione, affermando che lo spettro da loro misurato identifica univocamente una specifica forma di emoglobina (metemoglobina acida)[38]; dello stesso parere fu Bruce Cameron, uno specialista in materia da loro consultato[46]. Adler osserva inoltre che la clorofilla contenuta nei vegetali è spontaneamente fluorescente in luce ultravioletta, diversamente dai campioni prelevati dalla Sindone[47].
Garlaschelli critica anche Baima Bollone sostenendo che i test immunologici sono tanto sensibili da rendere difficile discriminare tra campione e inquinamenti[45] e osservando che, secondo recenti studi, il gruppo sanguigno AB sarebbe comparso soltanto circa 900/1000 anni fa[48].
Garlaschelli sostiene inoltre che il sangue, se ancora fluido, avrebbe dovuto lasciare delle macchie informi, e che sia fisicamente impossibile che il sangue di un corpo in quella posizione scorra sulla superficie esterna della capigliatura[22]. In realtà, secondo Adler, le macchie sulla Sindone non sono state formate da sangue intero fluido, ma da plasma essudato dai coaguli (il che spiegherebbe anche l'assenza di globuli rossi)[30].
Vittorio Pesce Delfino nota che gli esami istochimici di Baima Bollone evidenziarono solo tracce di ferro che Bollone attribuì ad emoglobina, ma il ferro non indica univocamente l'emoglobina e che ossido di ferro, ad esempio, è stato trovato nell'ocra rossa già riscontrata, secondo McCrone, sulla tela[12].
Secondo John Fischer, esperto di analisi forense, risultati simili a quelli di Heller e Adler si potrebbero ottenere come falsi positivi da tracce di pittura a tempera. Fischer presentò la sua ricerca nel 1983 durante la conferenza della International Association for Identification[26]. Analoghe asserzioni fa Steven Schafersman[49]. I risultati di Fischer sono tuttavia ritenuti molto dubbi da David Ford il quale osserva, tra le altre cose, che Fischer riprodusse solo alcuni dei test eseguiti da Heller e Adler, e che la composizione della sua "pittura a tempera" non corrisponde alle sostanze rilevate sulla Sindone[30].
Nel 1980 Pellicori pubblicò uno studio in cui dimostrò con l'analisi spettroscopica che "le macchie di sangue hanno le caratteristiche spettrali dell'emoglobina umana".[50]

Nel 2008, analisi eseguite per spettrometria Raman su polvere raccolta nel 1978 tra la Sindone e la tela d'Olanda posta sul retro rilevarono la presenza sia di emoglobina sia di alcuni pigmenti. Secondo Garlaschelli, la presenza di pigmenti confermerebbe le tesi di McCrone. Gli autori dello studio al contrario ritengono, in accordo con Heller e Adler, che l'ossido di ferro presente sia il risultato della degradazione dell'emoglobina, e non derivi da ocra rossa, mentre gli altri pigmenti (cinabro e lapislazzuli) siano da attribuire a contaminazione per contatto con copie della Sindone[51].

Thibault Heimburger e David Ford hanno esaminato criticamente e messo a confronto la tesi di McCrone e quella dello STURP e di Baima Bollone. Entrambi concludono che ad essere corretta sia la seconda. Heimburger scrive che "le conclusioni dello STURP sono consistenti con tutti i fatti osservati, mentre quelle di McCrone non sono compatibili con molti di essi", e che anche ammettendo valide le obiezioni (a suo giudizio "non convincenti") sulla non specificità dei test di Heller e Adler, "è semplicemente impossibile che questi test siano sbagliati tutti insieme"[29]. Le conclusioni di Ford sono analoghe: "In breve, è altamente probabile che il 'sangue' sulla Sindone di Torino non sia pittura e sia sangue"[30].


da it.cathopedia.org/wiki/Studi_scientifici_sulla_Sindone