CREDENTI

SINDONE : una sfida per la scienza

  • Messaggi
  • OFFLINE
    Credente
    05/05/2016 17:34
    <header>

    LA MUMMIA DI TUT-ANKH-AMON SVELA IL MISTERO DELLA SINDONE ?
    una nuova ipotesi per capire come può essersi formata l'immagine

    </header>

    Premessa –

    La Sindonologia è una scienza davvero singolare.

    Composta da un insieme coordinato di discipline scientifiche di diverso genere messe a sistema, ha come scopo quello di dimostrare l’autenticità di un manufatto, il telo sindonico conservato a Torino, e di studiarne i metodi per la sua corretta conservazione.

    Il famoso telo, come è noto, mostra impressa quella che si ritiene essere l’immagine del corpo di Gesù di Nazareth.

    La “Scienza”, come è oggi considerata, adotta un principio assai distante da quello galileiano e fa precedere la teoria e i modelli descrittivi all’oggetto che questi modelli e teorie dovrebbero descrivere. Anche nelle discipline in apparenza più rigorose le ipotesi con cui si prova a spiegare i fenomeni precedono l’approfondimento. Intorno alle ipotesi vengono costruite nuove teorie interpretative che, solo in seguito, vengono sottoposte alla prova dei fatti sperimentali.

    Questo modo di procedere fa sì che qualora una teoria non viene comprovata interamente dai fatti, anziché sostituirla con una più idonea, viene semplicemente “rivista” incorporando l’eccezione.

    Il risultato è che, in generale, la scienza non cerca più la verità dei fatti e i modelli più idonei a descriverli, ma finisce per essere strumento per dimostrare la veridicità di tesi preconfezionate e, in questo senso, la Sindonologia é la prova più evidente ed estrema di questo modo di procedere. E’ evidente, infatti, che lo scopo della Sindonologia è difendere una verità di fede.

    Il suo teorema di fondo può essere sintetizzato in questo modo: <<La Sindone di Torino è un reperto autentico. L’impossibilità scientifica di dimostrare come l’immagine impressavi si è prodotta è la prova fisica della resurrezione di Gesù>>.

    A fronte di questa tesi preconfezionata esistono, seppure non associate a una vera e propria contro-scienza, gruppi di scienziati che lavorano in maniera diametralmente opposta e sono mossi, in estrema sintesi, da questo ulteriore teorema: <<La Sindone è un falso storico di origine medievale. L’immagine che vi è impressa è frutto di un fenomeno, o un insieme di fenomeni, naturali, utilizzati dalle mani sapienti di abili falsari per realizzare il manufatto>>.

    Tra queste due tesi opposte non esistono mediazioni.

    In questo senso, ad esempio, una tesi del tipo: <<La Sindone è un reperto probabilmente autentico, ma il metodo di impressione è frutto di un processo fisico naturale compatibile con i metodi di trattamento dei cadaveri noti all’epoca insieme a particolari condizioni ambientali>>, che pure sembrerebbe la via più naturale per questa ricerca storico-scientifica seria, non è stata mai indagata.

    Sindone 3D

    Il motivo è assai semplice: ogni ricerca moderna richiede finanziamenti che provengono da “sponsor” istituzionali o privati; una tesi simile non trova “sponsor” né tra coloro che sono interessati alla prova della resurrezione di Gesù, né tra quelli interessati a dimostrare il contrario.

    – Lo strano caso della mummia di Tut-ankh-amon

    Particolare del sarcofago diTutankhamonLa tomba di Tutankhamon costituisce una delle poche sepolture dell’antico Egitto pervenutaci quasi intatta. Fu scoperta nel 1922 nella Valle dei Re e appartiene al giovanissimo sovrano della XVIII dinastia salito al trono all’età di 9 anni e morto all’età di 18, o forse 20 anni. La scoperta avvenne ad opera dell’archeologo Howard Carter.

    Tralasciando le strane morti che fecero nascere voci su una maledizione che avrebbe colpito tutti coloro che avevano disturbato il sonno mortale del faraone, alcuni elementi davvero misteriosi hanno circondato la scoperta fino a pochi anni fa, primo tra tutti la causa della morte del giovane faraone.

    Con l’aiuto di moderne tecniche scientifiche si è, recentemente, potuto dimostrare che Tutankhamon morì a causa di un incidente: fu investito da un carro. Con l’analisi del DNA e la comparazione con altre mummie è stato possibile ricostruire l’albero genealogico del giovane faraone e alcune patologie dalle quali Tutankhamon e i suoi parenti erano affetti.

    ammento della mummia di Tutankhamon

     

    Frammento della mummia di Tutankhamon

    Ma la cosa che ci interessa, ai fini della nostra analisi, è il test spettroscopico condotto su di un frammento della mummia, che ha rivelato come essa subì un’imbalsamazione veloce e a dir poco approssimativa, costellata di vari errori operativi.

    Questi numerosi errori furono la causa di un vero e proprio processo di autocombustione. Ma come è stato possibile?

    Secondo recenti analisi, il processo di autocombustione sembrerebbe legato, oltre che al non corretto processo di imbalsamazione del corpo, all’uso eccessivo di olio di semi di lino.

    Questa sostanza, tipicamente usata nei processi di imbalsamazione con lo scopo di facilitare il processo di essiccazione, tende a reagire con l’ossigeno e quindi a dar vita a processi ossidativi con una grande produzione di calore che, in particolari condizioni, può dar vita a processi di combustione. La reazione combustiva viene accelerata quando l’olio é cosparso su di una superficie estesa come quella di un cadavere avvolto in vari strati di bende.

    egittologo Dr. Chris Naunton

     

    Dr. Chris Naunton

    L’egittologo Dr. Chris Naunton, direttore della Egypt Exploration Society, ha recentemente cercato di riprodurre il fenomeno e verificare se, ed in quali condizioni, si sarebbe potuta determinare la combustione della mummia.

    Naunton si è rivolto al Building Research Establishment, un’organizzazione non-profit che si occupa di ricerca e sperimentazione per la verifica degli standard costruttivi, e ha realizzato un esperimento utilizzando bende e olio di lino.

    Per l’esperimento, l’olio di lino è stato versato sopra quattro gruppi di bende e distribuito in modo uniforme. I teli di lino impregnati sono stati avvolti in strati di tela di lino pulita, simulando quanto avviene nel bendaggio delle mummie. Nell’involucro è stato inserito un sensore a termocoppia per rilevare la temperatura interna.

    Lasciato a cielo aperto, nel giro di una sola ora, sono state raggiunte temperature fino a 360 ° C e la biancheria ha cominciato ad annerire e a fumare fino al punto in cui i teli hanno preso fuoco.

    Gli antichi resoconti di Carter, insieme ai rilievi e le analisi effettuate sulla mummia, non lasciano dubbi sulla fretta con la quale fu trattato il sovrano, non rispettando il giusto tempo per la pulitura, né quello per la corretta essiccatura.

    L’uso di una dose eccessiva di oli con il quale si pensava, forse, di velocizzare l’essiccazione, dimostrata anche dall’effetto di incollaggio del cadavere alla parte inferiore del sarcofago, finì per produrre la combustione del corpo che iniziò già dopo la mummificazione. La combustione proseguì all’interno del sarcofago e fu interrotta solo dal consumo dell’ossigeno conseguente alla chiusura.

    – Il caso della Sindone di Torino

    Tra le ipotesi più accreditate inerenti i fenomeni che possono aver generato la Sindone vi è quella legata all’emissione di una qualche radiazione.

    Alcuni studiosi (Rodante, Moroni e Delfino-Pesce) sono riusciti, con questo metodo, a produrre delle immagini dall’aspetto molto simile al volto dell’Uomo della Sindone e, seppure non si é riusciti a riprodurne efficacemente la tridimensionalità, questi manufatti sono quelli che più si avvicinano al telo sindonico.

    telo lino Sindone 3DIn questi esperimenti sono stati usati bassorilievi riscaldati a temperature intorno ai 200 gradi centigradi sui quali è stato adagiato un telo di lino.

    Fino ad oggi, però, l’ipotesi è sempre stata scartata poiché problematica da un punto di vista scientifico. Si è, infatti, sempre ritenuto che un corpo morto non avrebbe potuto produrre l’energia termica necessaria per formare un’immagine su un tessuto di lino.

    Paradossalmente, questa possibilità di impressione è stata largamente sposata dai fautori della originalità del manufatto, essi, proprio nella straordinarietà di tale fenomeno, hanno voluto vedere la prova della resurrezione.

    Ora, però, sappiamo che l’energia termica necessaria può essere prodotta anche dall’uso di olio di lino, e sappiamo inoltre, che le temperature che si possono ottenere sono più che sufficienti non solo a produrre l’impressione termica ma, in casi particolari, a generare la combustione del telo e del cadavere.

    Le indagini condotte sulla sindone nel 1978 hanno dimostrato che l’immagine è dovuta all’ossidazione dei tessuti del lino che ha riguardato solo una parte superficiale del telo.

    Un interessante elemento che trova concordi la maggior parte degli studiosi sull’ipotesi della irradiazione, è legato al fatto che anche le monete poste sugli occhi hanno provocato sul telo il medesimo processo di ossidazione che, quindi, non è attribuibile a un fenomeno chimico connesso all’interazione con il corpo.

    L’effetto tridimensionale dell’immagine sul telo è connesso alle diverse distanze del telo dal corpo e appare meno intenso laddove il telo non era posto direttamente a contatto con la pelle.

    In base a queste e ad altre osservazioni, gli studiosi sono, per lo più, concordi nel ritenere che l’immagine è dovuta a una “strinatura”, ovvero a una lieve bruciatura superficiale. La combustione lieve può, quindi, essere facilmente collegata a quella generata dal processo termico di ossidazione dell’olio di lino cosparso in abbondanza sul corpo e dal numero limitato di strati di telo (forse solo uno).

    L’uso di una sostanza come l’olio di semi di lino, che è chimicamente simile al materiale del tessuto e che è soggetta a processi ossidativi similari, ovviamente, non può essere rilevata da analisi chimiche spettrografiche che rivelano, infatti, solo la presenza di processi ossidativi del telo.

    L’Olio di semi di lino, come detto, è un tipico olio da essiccazione.

    Un’ulteriore interessante proprietà di quest’olio è che, insieme ai processi di ossidazione che si attivano per il contatto della sostanza con l’aria e l’ossigeno, si generano anche processi di polimerizzazione. In altre parole il lino si trasforma in una pellicola rigida e protettiva.

    Nel caso del corpo di Gesù, questa pellicola si sarebbe formata a partire dalla superficie direttamente esposta all’aria e si sarebbe estesa agli strati sottostanti a contatto con il corpo.

    La formazione rapida della pellicola sia sulla superficie del corpo, che su quella del telo impregnata di olio e a diretto contatto, potrebbe spiegare anche il fenomeno del confinamento dell’immagine sulla sola superficie del tessuto sindonico.

    Il calore prodotto dall’attivazione immediata dei processi combustivi e ossidativi, avrebbe accelerato la rapida polimerizzazione dell’olio che impregnava scarsamente la superficie del telo, contribuendo a limitare la penetrazione di altro olio nelle fibre interne.

    Al contempo la patina polimerizzata avrebbe anche protetto le fibre interne dai processi di riscaldamento e ossidazione prodotti per effetto del medesimo processo chimico che si compiva per l’olio sul corpo.

    La pellicola polimerizzata sul telo sarebbe sparita con il tempo e le operazioni di ripiegamento lasciando solo la traccia dell’ossidazione sulla superficie del tessuto di lino con l’immagine impressa.

    – La ricostruzione

    Nel corso del I sec. dopo Cristo, e solo in questo periodo, le sepolture ebraiche avvenivano preparando il corpo dopo la morte, ungendolo con oli profumati e riponendolo in un telo di lino, il sudario. Era compito delle donne preparare il cadavere per la sepoltura.

    Il corpo veniva lavato e i capelli e le unghie tagliate. Successivamente il cadavere era pulito e profumato adoperando una miscela di spezie e, quindi, avvolto in bende di varie dimensioni e larghezze. Il corpo, a questo punto, restata avvolto nel sudario e, comunque, esposto all’aria contenuta nell’ambiente sepolcrale.

    Le tombe venivano custodite per tre giorni da familiari e amici e il terzo giorno, dopo la morte, il corpo veniva esaminato per verificare il decesso ed evitare la sepoltura accidentale di qualcuno ancora vivo.

    L’uso di questi oli serviva, quindi, non per il processo di mummificazione, vietato per gli ebrei, ma principalmente per ridurre l’odore della decomposizione.

    Dopo aver riaperto la tomba nel terzo giorno, il corpo veniva lasciato decomporre per un anno, al termine del quale la tomba veniva riaperta e le ossa raccolte e conservate in scatole di pietra o marmo dette ossari.

    L’uso di olio di semi di lino, seppure accertato nella pratica di mummificazione egizia, non è riportato in quella della preparazione dei cadaveri in ambito ebraico.

    Allora perché sarebbe stato usato e quando?

    A nostro avviso la decisione di usare quest’olio è legata alla rapidità con la quale fu praticata la prima sepoltura del corpo di Gesù.

    Come è noto, infatti, Gesù fu ucciso il giorno prima della Pasqua e, con il fare della notte, avvicinandosi l’inizio vero e proprio della festività, non era più possibile compiere, per motivi religiosi, alcun lavoro e si rendeva necessaria una veloce sepoltura preliminare.

    Come viene riportato nel Vangelo di Giovanni, il corpo non venne lavato e preparato come sarebbe stato necessario, ma Giuseppe di Arimatea, insieme a Nicodemo che recava mirra e aloe, deposero il corpo dalla croce e lo avvolsero in bende e olii aromatici conducendolo all’interno una tomba mai usata (Vangelo secondo Giovanni, 19,38-42).

    La quantità di questo materiale, una libra ovvero ben 35 Kg, ha fatto ragionevolmente ritenere che fosse una preparazione in qualche modo vicina all’uso egizio e, comunque, una tale quantità, insieme all’uso di bendaggi, si giustifica solo con la intenzione di indurre un rallentamento della decomposizione.

    Si parla, quindi, di oli e di bendaggi, seppure non si fa menzione dell’olio di lino.

    Se supponiamo che la sindone sia autentica, però, occorre ammettere che almeno per quanto riguarda i bendaggi, questi non furono applicati poiché non ve ne è traccia sull’immagine del telo che appare posto a diretto contatto con il cadavere. Il poco tempo che rimaneva non avrebbe, del resto, reso possibile il bendaggio corretto che, del resto, era inutile senza la preventiva pulizia del corpo.

    Nel Vangelo secondo Luca (Vangelo secondo Luca, 23,50-56) si ricorda, infatti, che le donne che avevano preparato gli oli, non poterono applicarli per l’arrivo della Pasqua e dovettero aspettare il giorno successivo al sabato per tornare alla tomba.

    In queste condizioni, probabilmente, fu usato unicamente olio di lino per rallentare la decomposizione in modo da consentire la continuazione della preparazione del cadavere il giorno dopo con la fine della festività e, per questo motivo, ci si limitò a coprire il corpo ponendolo tra i due lati del telo sindonico senza l’applicazione di ulteriori bende.

    I primi che si recarono al sepolcro la domenica, secondo i Vangeli, non trovando il cadavere pensarono che fosse stato trafugato. Questa é la pista seguita da alcuni archeologi e storici come James Tabor, che ritengono di avere identificato nella Tomba Talpiot il luogo in cui fu trasferito il cadavere, oltre che di avere individuato anche l’ossario in cui furono deposte le ossa.

    Comunque la si pensi, la ricostruzione che abbiamo proposto e che potrebbe aver determinato la generazione della immagine sulla Sindone di Torino, ci pare quella più logica e corretta sia storicamente che contestualmente, tanto che ci sembra assai strano che sia sfuggita agli studiosi del reperto.

    In conclusione, se abbiamo ragione, la Sindone potrebbe essere un reperto autentico e, al contempo, non essere la prova della resurrezione ma quella di un tentativo di conservazione provvisoria del cadavere.

    Non resta che verificarla con prove di laboratorio.

    Sabato Scala

    sabatoSabato Scala è Ingegnere elettronico e ricercatore indipendente ha elaborato e sperimentato nuove teorie e modelli matematici nei campi della Fisica dell’Elettromagnetismo, delle Teorie dell’Unificazione, dei modelli di simulazione neurale. In quest’ultimo ambito ha condotto ricerche e proposto una personale teoria dei processi cognitivi e immaginativi suggerendo, sulla base della teoria di Fisico tedesco Burkhard Heim e del paradigma olografico, la possibilità di adozione del suo nuovo modello neurale per la rappresentazione di qualunque processo fisico classico o quantistico.

    Negli ultimi anni, ha approfondito il fenomeno della coscienza (individuale e collettiva) e il relativo legame con la meccanica quantistica riprendendo il lavoro pionieristico di Carl Gustav Jung e Wolfgang Pauli sulla base dei nuovi modelli da lui proposti, giungendo alla elaborazione di una vera e propria scienza del simbolo e degli archetipi collettivi. Ha, altresì, compiuto ricerche innovative nell’ambito storico-umanistico, interessandosi ai movimenti iniziatici del cristianesimo primitivo. Ha all’attivo numerose pubblicazioni scientifiche e a carattere divulgativo e svolge un’intensa attività di conferenziere in Italia e all’estero. Autore del libro “La Fisica di Dio e del “Manuale Scientifico per l’Interpretazione dei Sogni e dei Simboli” per Infinito Editori di Torino.


  • OFFLINE
    Credente
    06/11/2016 14:18
  • OFFLINE
    Credente
    05/05/2017 13:12
    NUOVE RICERCHE SULLE MONETE DELLA ZONA ORBITALE

    Una nuova tecnologia offre ulteriori prove dell'autenticità della Sacra Sindone di Torino

    In un’intervista rilasciata a RCF Liège, il numismatico Agostino Sferrazza ha affrontato la questione delle monete che coprono gli occhi dell’Uomo della Sindone.

    In base alle sue conclusioni, dovrebbero essere state coniate all’epoca di Ponzio Pilato, verso l’anno 29. Questo fatto potrebbe rappresentare una prova ulteriore dell’autenticità della Sindone di Torino.


    L’ipotesi della presenza di monete a coprire gli occhi dell’Uomo della Sindone è stata avanzata per la prima volta nel 1976 grazie a una proiezione 3D della misteriosa immagine, nella quale gli scienziati hanno notato la presenza di piccoli rigonfiamenti sulle orbite che non si adattavano ad alcuna particolarità morfologica. In base a questa ipotesi, si potrebbero trattare di lepton, piccole monete di scarso valore comuni in Palestina all’epoca romana.



    Immagini e lettere

    Queste osservazioni iniziali sono state portate oltre. Usando tecnologie avanzate, i ricercatori hanno provato a identificare immagini e iscrizioni sulle presunte monete.

    Sul disco che copre l’occhio destro si può osservare apparentemente un lituus, un bastone ricurvo di buon auspicio usato nella religione romana, mentre su quello che copre l’occhio sinistro si trova una coppa sacrificale.

    Chi rifiuta l’autenticità della Sindone respingerà con vigore anche questa teoria, suggerendo che chi vuole far risalire la Sindone all’epoca di Cristo vuole vedere delle monete laddove ci sono invece solo fibre tessili intrecciate.


    Questo rifiuto può essere tuttavia contrastato con altre prove. Al di là delle immagini, i ricercatori sono riusciti a leggere le lettere UCAI sulle monete. Si pensa che sia la parte visibile della parola TIBERIO(UCAI)CAROC, il greco usato per indicare “di Tiberio Cesare”.

    Sarebbe una forte indicazione del fatto che queste monete sono paragonabili ad altre dell’era romana, e potrebbero essere davvero monete che venivano usate ai tempi della Passione di Gesù.

    Coniate nell’anno 29

    Nell’intervista a RCF Liège, Agostino Sferrazza sostiene la teoria dell’autenticità delle monete e le fa risalire all’epoca di Ponzio Pilato. Questa teoria si basa sulle immagini prodotte da Nello Balossino, professore associato della Facoltà di Scienze di Torino, che è riuscito a portare alla luce l’immagine della coppa sacrificale nell’occhio dell’Uomo della Sindone.

    Secondo Sferazza non c’è dubbio: quelle monete vennero davvero coniate nell’anno 29 d.C.
    [Modificato da Credente 05/05/2017 13:21]
  • OFFLINE
    Credente
    07/07/2017 18:08


    Sindone, nuova ricerca:
    c’è sangue di un uomo torturato e ucciso

    Pubblicato su una rivista scientifica americana uno studio del Cnr e dell’Università di Padova.
    Utilizzati microscopi elettronici atomici per analizzare una fibra di lino:
    trovate nanoparticelle di creatinina e ferridrato, tipiche del sangue dei politraumatizzati

    Un’immagine della Sacra Sindone

     
     
     
    3K
    21
    Pubblicato il 01/07/2017
    Ultima modifica il 01/07/2017 alle ore 11:48
    ANDREA TORNIELLI
    ROMA

    La Sindone di Torino, il lenzuolo di lino che secondo un’antica tradizione ha avvolto il corpo di Gesù dopo la crocefissione, è venuta effettivamente a contatto con il sangue di un uomo morto per aver subito molti gravi traumi. È quanto emerge da una ricerca su una fibra di tessuto estratta a suo tempo dall’impronta dorsale del lenzuolo, nella regione del piede. Lo studio è stato condotto da due istituti del Cnr, l’Istituto Officina dei Materiali (IOM-CNR) di Trieste e l’Istituto di Cristallografia (IC-CNR) di Bari, insieme al Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Padova, che ne hanno dato notizia con un comunicato. L’articolo dettagliato con i risultati della scoperta e le misurazioni effettuate viene pubblicato sulla rivista scientifica americana PlosOne con il titolo “Atomic resolution studies detect new biologic evidences on the Turin Shroudˮ (Nuove evidenze biologiche rilevate da studi di risoluzione atomica sulla Sindone di Torino).  

     

    «Gli esperimenti sono stati condotti tramite un nuovo metodo di microscopia elettronica in trasmissione a risoluzione atomica e diffrazione di raggi x ad ampio angolo» spiega Elvio Carlino, dell’IC-CNR, che ha guidato la ricerca. «In particolare gli studi si sono concentrati sulle regioni della fibra lontane dalle macchie visibili in microscopia ottica. La fibra è stata studiata a risoluzione atomica per lo studio di nanoparticelle organiche, secondo un metodo recentemente messo a punto nel centro di Trieste che ho diretto sino a poche settimane fa. Lo studio ha dimostrato come la fibra di lino sia cosparsa di creatinina, di dimensioni fra 20 e 90nm (un nanometro equivale a un milionesimo di millimetro), legata a piccole particelle di ferridrato di dimensioni fra 2nm e 6nm, tipiche della ferritina».  

     

    L’articolo dimostra, fa notare il professor Giulio Fanti dell’Università di Padova, «come le particelle osservate, per dimensione, tipo e distribuzione, non possano essere degli artefatti realizzati nei secoli sul tessuto della Sindone». Vengono smentite ancora una volta tante fantasiose ricostruzioni relative alla fattura della Sindone come oggetto dipinto. «Inoltre - aggiunge Fanti - l’ampia presenza delle particelle di creatinina legate alle particelle di ferridrato non è tipica di un organismo sano. È invece indice di un forte politrauma subito dal corpo avvolto nel lino. Lo studio indica che l’uomo deposto nella Sindone è stato vittima di pesanti torture prima di una morte cruenta».   

     

      Immagine della Sindone nella quale è visibile l’impronta della parte frontale e dorsale di una figura umana. La freccia gialla sulla destra indica la regione dalla quale è stata estratta la fibra oggetto dello studio pubblicato su PlosOne.  

     

    A questa conclusione i ricercatori – firmano lo studio anche Liberato De Caro e Cinzia Giannini dell’IC-CNR - sono giunti «sulla base delle evidenze degli esperimenti di microscopia elettronica a risoluzione atomica e facendo riferimento a recenti studi medici su pazienti che hanno subito forti politraumi e tortura», conclude Carlino. «Nelle fibre è registrato a livello nanoscopico uno scenario violento, la vittima del quale è stata poi avvolta nel telo funerario. Queste evidenze potevano essere svelate solo con le metodiche messe a punto recentemente nel campo della microscopia elettronica a risoluzione atomica».  

     

    Il risultato della ricerca, condotta da centri scientifici di avanguardia, è di notevole interesse e conferma le ipotesi avanzate da precedenti indagini, come quelle compiute dal biochimico Alan Adler negli anni Novanta: non ci sono ormai più dubbi sul fatto che il telo sindonico abbia avvolto il cadavere di un uomo torturato e ucciso con la stessa modalità descritta nei Vangeli per la crocifissione di Gesù. Un elemento importante del quale si dovrà tenere conto nel momento in cui verranno autorizzati dalla Santa Sede nuovi esami completi su campioni ufficiali. 

     

    Immagine al microscopio ottico della fibra studiata nel lavoro pubblicato su PlosOne. Le frecce indicano alcune macchie riconosciute in letteratura come macchie ematiche. Lo studio TEM è stato realizzato lontano dalle macchie visibili nell’immagine ottica, in zone apparentemente prive di qualsiasi dettaglio visibile al microscopio ottico.  


    [Modificato da Credente 07/07/2017 18:14]
  • OFFLINE
    Credente
    27/09/2017 22:53
    Lo scienziato: “ha avvolto un uomo torturato che potrebbe essere risorto”

    Sacra Sindone, la scoperta scientifica e i dati dello scienziato Giulio Fanti: "il telo ha avvolto un uomo torturato". La datazione è dell'epoca di Gesù Cristo e sulla Risurrezione.

    L’ultima scoperta scientifica eseguita sulla Sacra Sindone - secondo la tradizione cristiana, il telo che servì per avvolgere il corpo di Gesù Cristo nel sepolcro dopo la crocifissione e durante la Resurrezione - è sconvolgente e aggiunge un punto forse davvero storico attorno alle grandi discussioni sull’autenticità o meno del presunto sudario di Gesù: «L'uomo che fu avvolto nel lenzuolo di lino noto come Sacra Sindone fu sottoposto a tortura», ad affermarlo è lo scienziato Giulio Fanti, docente di Misure meccaniche e termiche al Dipartimento di ingegneria industriale dell’Università di Padova, e autore dello studio che fa risalire la Sindone al I secolo dopo Cristo. Il professore ha reso pubblici in questi giorni i risultati delle due nuove analisi scientifiche su quel lenzuolo di lino tessuto a spina di pesce che contiene la doppia immagine accostata per il capo del cadavere di un uomo. La tradizione dice che quel corpo è quello di Gesù, e le varie prove scientifiche in tutti questi lunghissimi 2mila anni al momento eliminano di volta in volta le varie contestazioni, pretestuose alle volte, sulla non autenticità del telo di lino. Ancora non si può ovviamente dire con certezza se l’origine della Sindone sia sacra oppure no, ma finora non vi sono prove scientifiche contrarie, anzi con queste ultime due si aggiungono due tasselli davvero importanti.

    LE DUE NUOVE SCOPERTE
    Giulio Fani, il docente responsabile dei nuovi esperimenti sulla Sacra Sindone, in una recente intervista al Quotidiano.net ha risposto e spiegato nel dettaglio in che cosa consistono le due nuovo scoperte effettuate in questi ultimi mesi: «Le novità sono due, frutto di due analisi diverse condotte su campioni prelevati nel 1978 da Raymond Rogers, che mise dei nastri adesivi a contatto con la Sacra Sindone e poi sigillò tutto su dei vetrini. Io recentemente ne ho avuti a disposizione due: uno corrisponde a una ferita del polso, l’altro riguarda l’immagine dei piedi insanguinati. Quest’ultimo è quello che ha dato i frutti più interessanti, con fibre contenenti materiali che ho fatto studiare al Cnr di Trieste e in Francia». I risultati trovati e pubblicati da Fanti e dalla sua equipe sono finalmente accessibili: «i risultati sono convergenti: l’uomo avvolto nel telo fu sottoposto a violentissime torture». In questo senso, resta in piedi l’ipotesi che avvolto in quel telo possa effettivamente esserci stato il Cristo, morto in croce a Gerusalemme intorno al primo secolo d.C., la stessa datazione fatta dagli scienziati sull’origine della Sindone. Sul fronte ulteriore della datazione, vi sono poi altre novità molto importanti spiegati sempre nella medesima intervista di Fanti: «In un importante convegno sulla Sindone negli Stati Uniti ho presentato una datazione numismatica basata su monete bizantine coniate a partire dal 692 dopo Cristo. La coincidenza fra il volto di Cristo raffigurato sulle monete e il volto della Sindone è strabiliante: un’analisi statistica dei dettagli di una moneta dice che ci sono 7 probabilità su un miliardo di miliardi che il volto coniato sia stato ottenuto senza aver visto la Sindone. Quel volto sindonico all’epoca era conosciuto ed era considerato un modello iconografico».

    TRA SCIENZA E RESURREZIONE
    La Sindone è dell’epoca di Cristo, ma questo a livello scientifico ovviamente non basta a confermarne l’autenticità, come aggiunge il docente italiano: «Quello che possiamo dire, da un punto di vista scientifico, è che il telo ha avvolto un uomo che fu duramente flagellato, inchiodato a una croce, coronato di spine e in condizione di rigidità cadaverica. I nuovi elementi si sommano a molti altri e indicano una notevole coerenza fra gli indizi raccolti e quello che dice la religione cattolica». Secondo il professore infatti, ad oggi negare la datazione e quelle stesse immagini in rilievo sul telo della Sindone sarebbe alquanto “pretestuoso”, «io sfido chiunque a confrontarsi sui dati scientificamente accertati». A questo punto però la scienza si ferma dato che non è in grado di dire oltre rispetto a quel misterioso telo che da oltre duemila anni viene studiato e venerato nella Chiesa Cattolica: ma su un punto ancora, il docente spiega come il sudario non solo non si pul negare essere nella stessa epoca del Cristo, ma non si può non notare una tanto strana quanto eloquente anomalia: «La scienza si ferma di fronte al fatto che l’immagine corporea non è spiegabile né riproducibile. Non sappiamo come si sia potuta formare. Un’ipotesi scientifica è quella che fa riferimento a un’esplosione di energia estremamente breve ed intensa proveniente dall’interno del cadavere, che potremmo anche pensare fosse correlata alla Risurrezione».
  • OFFLINE
    Credente
    17/04/2018 11:05

    L’Uomo della Sindone ricostruito in 3D SINDONE 3D



     



    Commenta

     
     

     
    2


     





    La ricostruzione dei Vangeli sembra collimare con le scoperte del professor Giulio Fanti dell'Università di Padova


    «Questa statua è la rappresentazione tridimensionale a grandezza naturale dell’Uomo della Sindone, realizzata sulle misure millimetriche ricavate dal lenzuolo in cui fu avvolto il corpo di Cristo dopo la crocifissione» spiega Giulio Fanti, docente di Misure meccaniche e termiche all’Università di Padova e studioso della reliquia. Il professore sulla base delle sue misurazioni ha fatto realizzare un “calco” in 3D che – a suo dire – gli permette di affermare che queste sono le reali fattezze del Cristo crocifisso.



    «Riteniamo perciò di avere finalmente l’immagine precisa di come era Gesù su questa terra. D’ora in poi non si potrà più raffigurarlo senza tenere conto di quest’opera». Il professore ha affidato al settimanale Chi l’esclusiva di questo suo lavoro, a cui ha rivelato: «Secondo i nostri studi Gesù era un uomo di bellezza straordinaria. Longilineo, ma molto robusto, era alto un metro e ottanta centimetri, mentre la statura media dell’epoca era di circa 1 metro e 65. E aveva un’espressione regale e maestosa» (Vatican Insider).

    Tramite lo studio e la proiezione tridimensionale della figura, Fanti ha potuto anche fare un computo delle numerosissime ferite sul corpo dell’uomo della Sindone:

    «Sulla Sindone – riprende il docente – ho contato 370 ferite da flagello, senza prendere in considerazione quelle laterali, che il lenzuolo non riporta perché avvolgeva solo la parte anteriore e posteriore del corpo. Possiamo perciò ipotizzare un totale di almeno 600 colpi. Inoltre la ricostruzione tridimensionale ha permesso di ricostruire che al momento della morte l’uomo della Sindone si è accasciato verso destra perché la spalla destra era lussata in modo tanto grave da ledere i nervi» (Il Mattino di Padova).

     

    Le domande che avvolgono il mistero della Sindone appaiono ancora intatte, di certo in quell’uomo martoriato vediamo il segno della sofferenza e in essa troviamo un pezzo di ciascuno di noi, ma anche – negli occhi della fede – la speranza che quell’uomo non sia uno qualunque, ma l’Uomo per eccellenza, quel Ecce Homo che si presentò docile di fronte a Pilato e che dopo la tremenda flagellazione fu messo in croce da innocente, anzi caricandosi le colpe di tutti, e sebbene credere nella Sindone non sia obbligatorio neppure per il cristiano, l’eccezionalità di quel lino rimane lì a sfidare la nostra comprensione e le nostre certezze, quasi come fece un certo Gesù di Nazareth che sfidò le nostre certezze amando i suoi persecutori, perdonandoli dalla croce e sconfiggendo la morte ormai due millenni fa…

     


  • OFFLINE
    Credente
    22/06/2018 14:31

    Sindone, il resoconto della datazione pubblicato su Nature:
    diceva il falso
    ?


     
    di Andrea Tornielli
    La Stampa, 03/05/2018
     

    A trent’anni dalla datazione della Sindone con la tecnica del radiocarbonio (i cui risultati apparvero nel 1989 in un resoconto su Nature), emergono nuovi dubbi sull’affidabilità di quel risultato, secondo il quale il lenzuolo che porta impressa l’immagine del corpo di un uomo flagellato e crocifisso come Gesù sarebbe in realtà un tessuto risalente all’epoca medioevale.

    Se n’è parlato all’incontro annuale del comitato scientifico del Centro Internazionale di Sindonologia, il 5 e il 6 maggio a Chambéry, in Savoia, con medici, fisici, chimici, storici e biologi internazionali. Tra questi Paolo Di Lazzaro, dirigente di ricerca dell’Enea di Frascati, che nel suo intervento ha ricordato come «il calcolo che trasforma il numero di atomi C-14 nell’età di un tessuto» presenti «maggiori incertezze rispetto ad altri campioni solidi (ossa, manufatti, etc.) a causa della maggiore permeabilità del campione tessile agli agenti esterni (digestione batterica, muffe, sporcizia)».

    Non è un caso, spiega di Lazzaro, che Beta Analytic, una delle ditte più rinomate per la datazione C-14, sia oggi prudente riguardo l’affidabilità della datazione dei tessuti con questa tecnica, «riconoscendo che i campioni tessili necessitano di maggiori precauzioni rispetto agli altri materiali». In particolare, Beta Analytic dichiara che «la datazione di tessuti si effettua solonell’ambito di una ricerca multidisciplinare», e che «i campioni prelevati da un tessuto trattato con additivi o conservanti generano un’età radiocarbonica falsa». La Sindone in passato è stata in contatto con materiali conservanti e anti-tarma, che potrebbero dunque aver falsato la datazione.

    Lo scienziato dell’Enea contesta anche la determinazione con la quale a suo tempo, dalle colonne della rivista Nature, i tre laboratori coinvolti nella datazione presentarono la loro ricerca come «prova definitiva»: parole inusuali per un articolo scientifico, dato che «nei secoli, la scienza è progredita mettendo in discussione i risultati acquisiti in precedenza». Gli interrogativi aumentano, spiega Di Lazzaro, anche perché i tre laboratori che eseguirono la datazione 30 anni fa «si sono sempre rifiutati di fornire l’esatta distribuzione dei dati grezzi. Si tratta dell’unico caso a mia conoscenza in cui gli autori di un articolo si rifiutano di fornire i dati che possono permettere ad altri scienziati di ripetere il calcolo e verificare se è stato fatto correttamente».

    Entra qui in gioco una seconda significativa ricerca, quella di Marco Riani, statistico e professore di Tecniche di ricerca ed elaborazione dati all’Università di Parma. Analizzando i dati pubblicati su Nature aveva scoperto un’età che in modo anomalo «aumenta costantemente a mano a mano che ci si sposta da un pezzettino all’altro adiacente», un fatto che «suggerisce la presenza di una contaminazione che può aver falsato i risultati». Riani aveva inoltre scoperto che l’analisi statistica «fornisce risultati coerenti solo distribuendo i dati su tre dei quattro lembi consegnati ai laboratori per le misure». Questo significa che solo tre lembi di lino furono datati nel 1988, e uno dei due lembi consegnati al laboratorio di Tucson non venne in realtà mai datato. «Di conseguenza – spiega di Lazzaro – scopriamo che sull’articolo di Nature è dichiarato il falso: non è vero che tutti i lembi sono stati datati». La ricerca di Riani ha costretto nel dicembre 2010 il professor Timothy Jull, responsabile del laboratorio di Tucson, a mostrare per la prima volta la foto di uno dei due lembi di Sindone ricevuti dal suo laboratorio 22 anni prima, e mai usato.

    «Questo fatto da solo – conclude Di Lazzaro – dimostra più di mille parole la mancanza di trasparenza e la scarsa deontologia professionale» con cui venne eseguita la datazione. La Sindone di Torino, quell’immagine che nessuno è ancora riuscito a riprodurre, rimane dunque un mistero.


    [Modificato da Credente 22/06/2018 14:32]
  • OFFLINE
    Credente
    21/07/2018 18:14

    LE NUOVE TESI PRESENTATE da Matteo Borrini e Luigi Garlaschelli

    Tesi a dir poco approssimative, esperimenti oltre il "bizzarro", mancanza di conoscenza e di fondamenti scientifici... questo e molto altro c'è nello studio rimbalzato sui media e che attribuirebbe elementi di falsità alla Sacra Sindone. Ma non è tutto: gli autori della ricerca, Borrini e Garlaschelli, non hanno mai fatto parte del team di scienziati che ha studiato il Lenzuolo di lino, anzi non l'hanno mai nemmeno visto da vicino. C'è altro da aggiungere?


    Nel commentare quanto affermato da Matteo Borrini e Luigi Garlaschelli nel loro articolo A BPA Approach to the Shroud of Turin (Journal of Forensic Science, 2018) mi riferisco solo al loro articolo originale, senza prendere in considerazione le notizie rimbalzate sui media in maniera incontrollata. Va subito precisato, comunque, che questi due ricercatori non hanno mai fatto parte degli scienziati che hanno studiato direttamente la Sindone e non l’hanno mai vista da vicino. Forse non l’hanno mai vista nemmeno da lontano.

    Il lavoro non è nuovo, in quanto risale al 2014: lo scrivono gli autori stessi in nota nella prima pagina. Essi iniziano riferendo gli studi, anche sperimentali, di altri ricercatori che prima di loro si sono cimentati nell’interpretazione dei rivoli di sangue presenti sulla Sindone per ricostruire la posizione del corpo appeso alla croce o le diverse posizioni assunte, ammettendo che il crocifisso potesse compiere alcuni movimenti per riuscire a respirare.  Questi ricercatori sono Mons. G. Ricci e i medici P. Barbet,  F. T. Zugibe, M. Bevilacqua (et al.), G. Lavoie, N. Svensson.

    Gli autori di questo articolo tralasciano però di fornire al lettore un’informazione non secondaria: questi studiosi, nella maggior parte medici, pur nelle diverse interpretazioni date ai rivoli di sangue, sono tutti concordi nel sostenere che la Sindone è il vero lenzuolo funebre di Gesù di Nazareth. Al contrario, Borrini e Garlaschelli sono convinti che sia falsa, dunque devono cercare di demolire in tutti i modi il lavoro degli altri per raggiungere il loro scopo: tentare di dimostrarlo.

    Procedono affermando che i vari substrati, così come anche il calore, l’umidità e la circolazione dell’aria, possono entrare in gioco quando si tenta di ricreare lo scenario in cui i rivoli di sangue si formarono. Non sapendo che temperatura ci fosse in quel momento, optano arbitrariamente per 22 °C e operano in assenza di movimenti d’aria, ritenendo comunque che queste variabili non influenzino le posizioni e le direzioni dei rivoli di sangue. Ma non avevano detto poco prima che il calore, l’umidità e la circolazione dell’aria possono entrare in gioco?

    Sottolineano anche che i test sono stati eseguiti per capire lo scorrere del sangue sul corpo di un uomo crocifisso e la sua possibile compatibilità con l'immagine impressa sulla Sindone piuttosto che valutare la forma della macchia sulla stoffa. Ma non è dalla forma della macchia sulla stoffa che si può ricostruire com’era il rivolo che ha generato la macchia stessa?

    Un’altra affermazione di difficile comprensione è la seguente: “È importante sottolineare che su entrambe le braccia ci sono le macchie di sangue sul lato anteriore degli avambracci”. Che vogliono dire? Si poteva pensare che il crocifisso venisse appeso per un solo braccio? Oppure che un solo polso poteva essere inchiodato e l’altro legato? Oppure ancora che sull’altro lato degli avambracci non vi fossero i rivoli di sangue? E perché poi decidono, nell’esperimento, di concentrarsi solo sul braccio sinistro?

    Per gli esperimenti è stato usato sangue umano intero contenente sostanze anticoagulanti e conservative oppure sangue sintetico e gli autori affermano che si comportano nello stesso modo. Ma chi può garantire che si comporti nello stesso modo anche il sangue di un uomo torturato, percosso, disidratato, dunque sangue più denso del normale, che scorre sulla pelle sudata e sporca del terriccio attaccatosi durante le cadute?

    Anche la conduzione degli esperimenti suscita notevoli perplessità.

    Per indagare sulla ferita del polso sinistro è stata posta una macchia circolare di sangue sintetico sul dorso della mano di un volontario e poi vi sono stati applicati diversi tipi di legno, ogni volta solo per 10 secondi. Una situazione ben diversa rispetto a quella di un corpo appeso alla croce per alcune ore. Trarre deduzioni da un esperimento di tale superficialità è quanto meno avventato. Eppure gli autori concludono arbitrariamente che è difficile distinguere la reale posizione del chiodo sulla Sindone.

    Per lo scorrimento del sangue lungo l’avambraccio, notano che non c’è differenza fra un braccio piegato a 90° e uno diritto: tutto dipende dalla posizione dell’avambraccio rispetto al terreno. Che scoperta! Però non si accorgono che i rivoli di sangue hanno un diverso andamento sulle due braccia dell’Uomo della Sindone: il braccio destro era in effetti piegato a 90° sulla croce, come ha ricostruito Mons. Ricci, mentre il sinistro era più disteso.

    Escludono che la crocifissione sia avvenuta ad un solo palo verticale, e su questo si può essere d’accordo; però concludono: "Considerando questi risultati, l'impronta sulla Sindone non corrisponde alla tradizionale immagine artistica di un crocifisso con le braccia distese sulla traversa”. Intanto c’è da dire che non tutti gli artisti hanno raffigurato la crocifissione con le braccia distese sulla traversa; e poi, se questa era la “tradizionale immagine artistica”, perché il falsario medievale avrebbe realizzato una Sindone diversa da quello che si credeva alla sua epoca?

    La discesa di sangue lungo gli avambracci mentre il corpo era in posizione supina viene esclusa e anche su questo si può essere d’accordo, perché ovviamente il sangue fluiva durante la crocifissione, non dopo la morte.

    Sul diverso andamento dei rivoli di sangue al polso e lungo l’avambraccio, concludono che “non potevano essersi verificati nello stesso momento e con il corpo nella stessa posizione, ma rappresenterebbero i risultati di due diversi eventi sconosciuti”. Eventi sconosciuti? Non hanno mai sentito parlare dell’inchiodatura a terra dei polsi al patibulum, la trave orizzontale della croce, e del successivo innalzamento sul palo verticale del patibulum con il condannato appeso? E dei possibili movimenti della vittima sulla croce per respirare?

    Sulla ferita del costato: ammettono che sia stata inferta con il corpo in posizione verticale, ma nel loro esperimento riescono a ottenere che dalla ferita escano solo rivoletti che colano indipendentemente, mentre sulla Sindone si osserva una grande macchia piena di sangue. Vale la pena di descrivere questo esperimento: Garlaschelli prende un busto di manichino di quelli bianchi senza testa che si usano nei negozi per esporre capi di abbigliamento e con un manico di legno gli preme sul lato destro una spugna imbevuta di sangue sintetico. Tutto qui. E da questa rozza trovata gli autori pretendono di trarre conclusioni scientifiche rispetto al corpo di un uomo morto per rottura di cuore con conseguente emopericardio, cospicua raccolta di sangue sotto pressione che quando si incide il torace sprizza fuori a getto divisa nelle sue componenti (sangue e siero).

    Stessa scena con il manichino e la spugna per giudicare la colata di sangue nella zona lombare, senza considerare la quantità di sangue realmente uscita e la verosimile presenza di una corda che legava un panno attorno ai fianchi. Mi è sembrato di vedere uno dei “bizzarri esperimenti” di Garlaschelli nei panni del prof. Alchemist, come ad esempio questo: “Il postulato del cetriolo”.

    Cosa non farebbe Garlaschelli per concludere frettolosamente e arbitrariamente che la Sindone sia falsa! D’altronde ha spiegato già da tempo come e per chi lavora:

    “Il chimico italiano ha beneficiato dei finanziamenti di un'associazione di atei e agnostici (Il comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale, ndr). Ma sottolinea che ciò non inficia le conclusioni: «Il denaro non ha odore. Quello che è stato fatto è stato fatto scientificamente. Se la Chiesa (cattolica) vorrà in futuro finanziarmi, sono il suo uomo», ha aggiunto Garlaschelli”. 

    Sono passati quasi nove anni da questa sconcertante ma sincera affermazione e se Garlaschelli continua a sostenere che la Sindone sia falsa, vuol dire che dall’altra parte non ha trovato nessuno disposto a finanziarlo.

    http://www.lanuovabq.it/it/bufale-sulla-sindone-eccome-sono-tutte-nel-falso-studio


    [Modificato da Credente 21/07/2018 18:19]
  • OFFLINE
    Credente
    21/07/2018 19:00
    <header class="post-header cf" style="text-align: left; widows: 2; text-transform: none; background-color: #ffffff; font-style: normal; text-indent: 0px; margin: 0px 0px 21px; display: block; font-family: 'Open Sans', Arial, sans-serif; white-space: normal; orphans: 2; letter-spacing: normal; color: #606569; font-size: 14px; vertical-align: baseline; font-weight: 400; word-spacing: 0px; font-variant-ligatures: normal; font-variant-caps: normal; -webkit-text-stroke-width: 0px; text-decoration-style: initial; text-decoration-color: initial; border: 0px; padding: 0px;">

    Sindone: lettera aperta al prof. Garlaschelli


     99


    </header>




    Il prof.Luigi Garlaschelli è tornato ad occuparsi di Sindone ma lo studio appare ancora superficiale.


    Uno studio che non dovrebbe essere accettato su una peer review, ed ecco perché.


     


    Gent.mo prof. Luigi Garlaschelli, lei aveva già provato nel 2010 a produrre un falso della Sindone pubblicando i risultati sulla rivista Micromega, un tentativo che aveva subito mostrato di aver fallito il suo scopo come mostra senza margini di dubbio anche confronto superficiale delle due immagini che sono una disegnata e l’altra ottenuta per disidratazione di un sottilissimo strato del lino, un effetto che il CNR ha ottenuto solo con impulsi ad altissima energia della durata non superiore a 50 miliardesimi di secondo:



    Ma nonostante l’evidente inadeguatezza tale tentativo era invece stato ugualmente preso per buono dalla nota rivista che nel 2010 titolava sulla ‘dimostrata’ falsità del reperto:



    Adesso lei si è riproposto di tornare sull’argomento puntando su un altro punto, sulla presenza cioè di rivoli di sangue sugli avambracci dell’uomo della Sindone, per farlo ha condotto una prova documentata anche con un video:


     


    Diciamo subito che per testare il percorso della colata di sangue lei ha avuto l’accortezza di impiegare del vero sangue umano, scelta interessante, ma poi ha fatto delle scelte e delle considerazioni che francamente non ci si aspetterebbe da professori come lei e il prof. Matteo Borrini che l’ha affiancata in questa occasione. In primo luogo la prova è stata effettuata con il braccio non in appoggio sul supporto in legno che avrebbe inevitabilmente condizionato lo scorrere del sangue.


    Un errore non da poco che oggettivamente sorprende da parte di due professori di cui uno di antropologia forense dal quale ci si sarebbe aspettati una ricostruzione più completa delle condizioni reali. Così come ci si sarebbe aspettati delle considerazioni più informate sulle macchie di sangue presenti sul telo, macchie che lei liquida come (presunto), con tanto di parentesi. Chi legge non viene quindi informato delle conclusioni alle quali giunsero indipendentemente nel 1981 J.H. Heller,  A.D. Adler e B. Bollone che stabilirono la natura ematica delle macchie esaminate. Non solo, venne accertata la presenza di bilirubina (indizio di uno stato di sofferenza e sforzo fisico)  e quella di siero nelle zone adiacenti alle macchie stesse, sarebbe stato quanto meno corretto spiegare perché lei dubiti ancora della presenza di sangue, non crede? Come verrebbe valutato su una peer review un articolo con queste incompletezze?


    Lei prof. Garlaschelli poi dichiara, senza entrare nello specifico delle contestazioni, che accetta come corretta la datazione al C14 effettuata nel 1988, una datazione viziata da una serie di scorrettezze procedurali che avrebbero fatto invalidare qualsiasi altra ricerca, al riguardo può visionare il documentario “La notte della Sindone” che le fornirà elementi in abbondanza.


    Quali sono infine le conclusioni alle quali giungono i due ricercatori?


    Eccole in poche righe:



     Le conclusioni sono che l’angolo, la posizione e la forma di queste colature coincidono a quelle che si verificherebbero in un uomo con le mani inchiodate quasi verticalmente, in una specie di posizione a Y, ma non esattamente sopra la testa, come se fossero inchiodate a un unico palo verticale (come sostengono i Testimoni di Geova).



    In poche parole niente di nuovo, come infatti fa notare la testata New Scientist, si tratta di una posizione già presente in numerose rappresentazioni iconografiche e che non ha mai sollevato alcun problema di congruità con la tradizione, al riguardo allego una foto da me personalmente ripresa in questi giorni alla Scala Santa a Roma, uno dei luoghi più rappresentativi del cattolicesimo:



     A queste immagini se ne può affiancare un’altra compatibile con le tracce ematiche segnalata dalla eserta prof. Emanuela Marinelli in un articolo su Tempi:



     In pratica lo studio si conclude con un nulla di fatto, data la posizione dei due autori si sarebbe potuto fare di meglio, non crede?


    Onesta la segnalazione del finanziamento da parte dell’UAAR, come nel caso precedente, ma era davvero necessario quel finanziamento? E per cosa, per comprare il sangue scaduto?


    Un consiglio prof. Garlaschelli, se davvero lei e il CICAP volete dare un contributo alla conoscenza della verità sul reperto archeologico che va sotto il nome di Sindone dovreste lavorare in collaborazione di altri studiosi come la prof. Marinelli, perché non lo avete mai fatto?


    Perché il CICAP non ospita un confronto tra i diversi studi e i diversi ricercatori?


    Finché questo non avverrà il CICAP non potrà svolgere la funzione che si prefigge lasciando trasparire una sbiadita immagine di scientificità che cede il posto alla superficialità e a giudizi preconcetti.





  • OFFLINE
    Credente
    21/07/2018 19:07


    Nuovo studio: le braccia «disarticolate» dell'Uomo della Sindone



    Quattro docenti universitari firmano un articolo sulla rivista «Injury»: il crocifisso avvolto nel telo ha riportato una lussazione dell’omero e la paralisi di un braccio, subendo un violento trauma al collo e al torace.
    Tracce di una doppia inchiodatura dei polsi


    L’Uomo della Sindone, «ha subito una lussazione sottoglenoidea dell’omero e un abbassamento della spalla ed ha la mano piatta e un enoftalmo, condizioni che non sono state descritte finora, nonostante i numerosi studi sul soggetto. Queste lesioni indicano che l’Uomo ha sofferto un violento trauma al collo, al torace e alla spalla da dietro, causando danno neuromuscolare e lesioni all’intero plesso brachiale».

    È la conclusione alla quale sono arrivati quattro docenti universitari che si sono concentrati sull'immagine sindonica, osservando anche che «l’incrocio delle mani sul pube, e non sopra il pube come avviene normalmente, sono in relazione alla trazione che le braccia hanno subito durante l’inchiodatura sul patibolo». Lo studio - una parte del quale è già stato pubblicato, mentre un'altra parte sta per esserlo - è firmato da Matteo Bevilacqua (già Direttore della S.C. di Fisiopatologia Respiratoria, Ospedale-Università di Padova); Giulio Fanti (Associato al Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Università di Padova); Michele D'Arienzo, (Direttore della Clinica Ortopedica, Università di Palermo) e Raffaele De Caro (Direttore dell'Istituto di Anatomia Normale, Università di Padova), e viene ospitato da «Injury» - International Journal of the Care of the Injured - prestigiosa rivista internazionale di ortopedia.

    La prima scoperta di questi studiosi è che l'Uomo sindonico ha subito la lussazione della spalla e la paralisi del braccio destro. La persona la cui impronta è rimasta sul telo di lino sarebbe dunque caduta sotto il peso della croce, o meglio del «patibolum», la sua trave orizzontale. L'Uomo sindonico, spiegano, «è caduto in avanti battendo violentemente con il corpo a terra. La trave gli lacerò i nervi alla base del collo e gli provocò la lussazione della spalla (l’omero è risultato 3,5 cm sotto l’articolazione) cosicché il braccio rimase paralizzato e penzoloni. In queste condizioni era impossibile continuare a portare il patibolo». E qui non si può non citare la circostanza riportata nel vangelo: i soldati costrinsero Simone di Cirene a sostituire il condannato. Non dunque un gesto compassionevole, ma una necessità. «Si spiega pure - affermano gli studiosi - perché l’Uomo della Sindone presenta una spalla destra più bassa di 15° rispetto alla sinistra e perché ha l’occhio destro un po’ retratto, per la paralisi dell’intero plesso brachiale».

    La seconda scoperta descritta nell'articolo per «Injury» riguarda la doppia inchiodatura alle mani subita dall'Uomo sindonico. «Finora non si riusciva a spiegare l’assenza d’impronta dei pollici con una inchiodatura eseguita lontano dal nervo mediano e dal tendine flessore lungo del pollice. L’analisi attenta delle macchie di sangue sul polso della mano sinistra e le prove sperimentali fatte su arti di cadavere, di persone che avevano fatto testamento biologico a favore dell’Istituto di Anatomia, hanno permesso di chiarire il mistero: l’Uomo della Sindone è stato inchiodato due volte. Molto probabilmente è stato inchiodato due volte anche al polso destro che sulla Sindone non si vede, coperto dalla mano sinistra». 

    A che cosa è dovuta questa doppia inchiodatura? «Una motivazione convincente può essere perché non si riusciva a inchiodare le mani nei fori già preformati sul patibolo, fori che venivano praticati per evitare che i chiodi si torcessero battendoli su legno duro come il noce». Dopo aver inchiodato il primo polso e non essere riusciti a inchiodare il secondo nel foro preparato, i carnefici dell'Uomo sindonico li avrebbero dunque schiodati entrambi. E li avrebbero quindi inchiodati «più in basso, a livello della terza piega superficiale del polso, fra prima e seconda fila delle ossa del carpo dal lato ulnare della mano».

    La terza scoperta presentata dall'equipe di studiosi riguarda il piede destro dell'Uomo della Sindone che «è stato inchiodato due volte. L’analisi dell’impronta della pianta del piede destro fa riconoscere che esso ha subito due inchiodature: una fra il secondo e il terzo metatarso e un’altra, che non era stata notata chiaramente da altri studiosi, anche a livello del tallone».

    Per gli studiosi l'Uomo della Sindone «ha certamente sofferto di una gravissima e diffusa causalgia (dolore con calore intenso, spesso con shock, ai minimi movimenti degli arti) dovuta: alla paralisi totale del braccio destro (causalgia paradossa); all’inchiodatura del braccio sinistro per danno al nervo mediano; all’inchiodatura dei piedi per danno ai nervi tibiali». L’inchiodatura ha compromesso la respirazione in due modi: «I polmoni, con le braccia sollevate di circa 15°, e quindi con gabbia toracica più espansa erano in difficoltà a espirare e questo riduceva la capacità ventilatoria. Inoltre, ogni profonda inspirazione, per parlare o per prendere fiato, ottenuta facendo leva sugli arti inferiori, gli procurava dolori fortissimi, lancinanti».

    Gli autori dei due articoli su «Injury» ritengono che le chiazze di siero separate da quelle di sangue provenienti dal torace e riscontrabili sul telo sindonico, dovute presumibilmente al colpo di lancia sferrato post-mortem, siano dovute a un sanguinamento polmonare iniziato prima ancora della crocifissione, dopo la violenta caduta con il patibolo sulle spalle. Gli studiosi non concordano con quanto finora ipotizzato circa il fatto che il sangue fuoriuscito dal costato «sia stato causato da ferita con la lancia del pericardio, perché il sacco pericardico in caso di rottura di cuore può contenere una modesta quantità di sangue, da 50 a 300 ml, che si sarebbero depositati sul diaframma senza essere drenati all’esterno».

    Infine, gli autori dell'articolo avanzano delle ipotesi sulla causa immediata di morte dell'Uomo sindonico. «La limitazione respiratoria, più la presenza dell’emotorace che comprimeva il polmone destro non sono sufficienti a causare una morte per asfissia che è caratterizzata da insufficienza respiratoria caratterizzata in fase terminale da perdita di coscienza e coma». Secondo gli studiosi, la caduta con il patibolo sulle spalle, può avere causato «non solo una contusione polmonare ma anche una contusione cardiaca che insieme alle gravissime condizioni cliniche e psichiche può essere sfociato in un infarto cardiaco e nella rottura di cuore».

    Secondo Bevilacqua, Fanti, D'Arienzo e De Caro, questi risultati rappresentano un ulteriore indizio della totale sovrapponibilità dell'immagine sindonica con i più minimi dettagli del racconto evangelico.  

     

     
     
     
     
    ANDREA TORNIELLI
     
     

    [Modificato da Credente 21/07/2018 19:10]
  • OFFLINE
    Credente
    02/08/2018 22:36
  • OFFLINE
    Credente
    03/01/2019 22:34
    Braccio destro più lungo

    L'uomo della Sindone ha il braccio destro più lungo di sei centimetri. Sarebbe frutto di una frattura al gomito, o di una lussazione alla spalla, compatibile con la crocifissione. Sulla Sindone non si può vedere, perché una parte di braccia e spalle è andata perduta per sempre nell’incendio a Chambéry del 1532, poi coperta dalle toppe delle suorine. Ma ci ha pensato la scienza a restituirci quelle immagini. Il primario di radiologia di Rivoli Filippo Marchisio ha usato per la prima volta la Tac e un volontario di 32 anni, di corporatura atletica come l’uomo della Sindone, per ricostruire le parti mancanti sovrapponendo le immagini. 

    Lo studio

     
    La scansione è stata eseguita con una bassa dose di raggi x grazie alla macchina di ultima generazione dell’Istituto di Radiologia di Torino.
     
    Lo studio è stato scritto con il medico legale Pierluigi Baima Bollone e sarà pubblicato a breve.
     
     
    Grazie alla Tac si è riusciti a fare luce su uno dei tanti enigmi della Sindone, ovvero l’asimmetria delle braccia. Infatti, la Tac permette di avere una riproduzione perfetta delle volumetrie del corpo, consentendo di ricostruire le parti mancanti. L’incoerenza della posizione di spalle e mani avvalora l’ipotesi che l’uomo della Sindone sia stato davvero crocifisso.
     
    Attraverso le immagini fornite dalla Tac, il primario è riuscito ad individuare l’esatto punto in cui la lancia ha trafitto il costato, spiegando così anche l’autenticità delle macchie di sangue.
     
    Dunque, questo importante studio afferma che l’uomo del sacro lino è stato crocifisso, ma non indica la certezza che quell’uomo fosse Gesù.



  • OFFLINE
    Credente
    17/02/2019 18:31
    UN MISTERO INSOLUTO

  • OFFLINE
    Credente
    01/04/2019 22:13
    <header class="td-post-title">

    la datazione medievale della Sindone è inaffidabile, va rifatta



    0


    </header>


    sindone

    ESCLUSIVO: Sindone medievale? Inaffidabile  Emanuela Marinelli – Nel 1988 uno studio con il metodo del radiocarbonio datò la Sindone al Medioevo. Da allora molti ricercatori hanno chiesto, invano, i dati grezzi.


    Nel 2017 questi dati, grazie a una richiesta per via legale, sono stati finalmente resi disponibili, e attraverso l’uso di strumenti statistici molto potenti un gruppo di 4 studiosi è arrivato alla seguente conclusione (pubblicata su Archaeometry): la datazione medievale del Sacro Lino non è affidabile. E va quindi rifatta.



     


    Non ci sono prove conclusive che la Sindone sia medievale. Nel 1988 fu effettuata una datazione radiocarbonica della Sindone, da molti ritenuta il lenzuolo funerario di Gesù.


    Il risultato, pubblicato sulla rivista Nature, fu chiaro: la Sindone è medievale (1260-1390 d.C.).


    Fino ad ora, questa conclusione era stata ritenuta dalla maggior parte degli scienziati come una confutazione dell’autenticità del  telo.


    La nostra nuova analisi statistica, basata sui dati ufficiali e i dati grezzi (pubblicati solo recentemente), dimostra che questa conclusione non è affidabile.



     

     


    La nostra analisi prova che non c’è evidenza definitiva che la Sindone di Torino sia medievale.


    Questi nostri risultati sono stati pubblicati su una rivista di Oxford, Archaeometry, edita per conto dell’Oxford Research Laboratory for Archaeology and the History of Art*.


    I dubbi sulla datazione della Sindone


    Fin dalla pubblicazione dell’articolo su Nature, molti ricercatori hanno richiesto, invano, la pubblicazione dei dati grezzi.


    Infatti, i tre laboratori (Oxford, Tucson, Zurigo) e il British Museum, l’istituzione incaricata dell’analisi statistica, hanno sempre eluso tale richiesta.



     


    Nel 2017, per la prima volta, uno dei ricercatori del nostro team, il francese Tristan Casabianca, ha richiesto legalmente (tramite il Freedom of Information Act) al British Museum tali dati, riuscendo a ottenere i report inviati dai tre laboratori all’istituzione.


    Fin dal 1988 erano sorti molti dubbi sulle conclusioni della datazione della Sindone al Medioevo. Nel 2013, un’analisi statistica basata sui dati ufficiali mise in dubbio la validità dell’articolo pubblicato su Nature.


    Ma la questione principale ruotava attorno ai dati grezzi, i dati usati dai laboratori per ottenere le datazioni pubblicate su Nature.


    Una volta ottenuti questi dati, abbiamo usato diversi strumenti statistici molto potenti per individuare eventuali problemi (analisi della varianza, test di Ward e Wilson, test parametrici e non-parametrici e un software promosso da Oxford usato attualmente dagli analisti che si occupano di datazione al radiocarbonio, l’OxCal).


    I risultati suggeriscono fortemente che i laboratori hanno prodotto risultati differenti non riconducibili allo stesso fenomeno.


    Probabilmente, durante il processo di datazione qualcosa è andato storto e la causa andrebbe rintracciata nella non omogeneità dei campioni selezionati.


    I nostri risultati sono ulteriormente corroborati dal fatto che i campioni di controllo non hanno mostrato le stesse problematiche.


    In aggiunta a ciò, i tre laboratori menzionano la presenza di importante materiale eterogeneo non menzionato nell’articolo su Nature, quale antico cotone o fili blu e rossi.


    I documenti rilasciati al British Museum


    La documentazione rilasciata dal British Museum dipinge un quadro molto più complesso di quanto presentato nell’articolo su Nature.


    Per esempio, possiamo ora affermare con certezza che uno dei laboratori – quello di Tucson (Arizona) – realizzò otto misurazioni, e che queste misurazioni grezze mostrano eterogeneità.


    Queste eterogeneità non sono menzionate su Nature. Sulla base di questi risultati, non è possibile continuare ad affermare che la quantità di atomi di C14 nei campioni era costante, il che rappresenta un’assunzione fondamentale per la datazione.


    Eliminare i valori estremi risulta quindi impossibile, perché ciò si tradurrebbe in una decisione puramente arbitraria.


    Le nostre scoperte evidenziano il fatto che le procedure (selezionate dopo più di 10 anni di negoziazioni tra archeologi, esperti di tessuti e Santa Sede) sono state ben lontane dalla perfezione.


    Questo punto era già stato messo in luce da vari ricercatori, tra cui Harry E. Gove, l’inventore del metodo AMS, il metodo unico e innovativo usato per testare la Sindone.


    In molti erano preoccupati del fatto che con solo 3 laboratori, se qualcosa fosse andata male in uno di essi, sarebbe stato impossibile sapere quale invece avesse prodotto risultati attendibili.


    Inoltre, non c’è certezza del fatto che il protocollo sia stato strettamente seguito da tutti i laboratori. Per esempio, un sotto-campione non fu testato e quindi non fu distrutto dal laboratorio in Arizona.


    Nessuna certezza sui risultati


    Nel 1988, durante una famosa conferenza stampa, gli scienziati rivelarono al mondo che l’età della datazione era compresa negli anni “1260-1390!” (con il punto esclamativo).


    Il nostro studio rende più che legittimo cambiare questo punto esclamativo in un punto interrogativo.


    Non si può più dire che le conclusioni della datazione al radiocarbonio sono, con confidenza al 95%, accurate e nemmeno che sono rappresentative dell’intero tessuto.


    Dai risultati ottenuti nel 1988 nessuno può affermare con certezza che la Sindone abbia origini medioevali.


    Una nuova datazione è quindi necessaria, ma dovrebbe essere inserita in un vero processo interdisciplinare e, se possibile, utilizzando tecniche di datazione non distruttive.


    Questa procedura dovrebbe essere pensata attentamente e applicata impegnandosi preventivamente a rendere liberamente consultabili i dati.


    Nel 1988 in molti presentarono la datazione medievale della Sindone come il trionfo della scienza sulla religione o quantomeno come il trionfo della scienza sulle reliquie e sulle affermazioni dei miracoli.


    La nostra visione è molto più sottile: quando lo strumento di indagine è la rigorosa analisi scientifica, le conclusioni passate, seppur proposte da scienziati, possono e devono essere messe sempre in dubbio, anche dopo 30 anni.


    La storia scientifica della Sindone


    La prima fotografia fu realizzata del fotografo astigiano Secondo Pia e la controversia riguardo alla sua veridicità fu rinvigorita.


    Ti potrebbe interessare anche: L’Uomo della Sindone ricostruito in 3D conferma i Vangeli VIDEO


    Le nostre scoperte dimostrano che questa storia scientifica non è ancora conclusa e forse non lo sarà mai.


    La Sindone fu definita il «Vangelo per il XX secolo» e non esiste dubbio sul fatto che sarà anche il Vangelo del XXI secolo. Come affermò san Giovanni Paolo II, la Sindone è «una sfida alla nostra intelligenza». Fonte: La nuova bussola quotidiana 


    * Tristan Casabianca, Emanuela Marinelli, Giuseppe Pernagallo, Benedetto Torrisi, «Radiocarbon dating of the Turin Shroud: new evidence from raw data»Archaeometry

    fonte : Informare per resistere


  • OFFLINE
    Credente
    18/05/2019 18:52

    Sacra Sindone: perché un braccio è più lungo dell’altro?



    Gli scienziati hanno usato le tecnologie più moderne per spiegare la questione

    Un dato evidenziato sulla Sacra Sindone è la differenza a livello di estensione delle braccia. L’anomalia ha sempre incuriosito gli esperti, soprattutto considerando la meravigliosa armonia del Corpo di Nostro Signore.

     

    La differenza fa sì che le mani non coincidano. Naturalmente dovrebbero incrociarsi e sovrapporsi allo stesso punto, mentre la mano destra supera la sinistra di qualche centimetro.

    Anche la posizione del braccio destro è diversa, perché è più separato dal corpo, come se l’intenzione fosse quella di forzare l’equidistanza con la posizione del braccio destro.

    In poche parole, il braccio destro è più lungo del sinistro. Secondo lo studio che presentiamo in questo post, la differenza tra i due è di 6 centimetri.

    Come si spiega?

    Il Corpo di Nostro Signore è straordinariamente armonioso e proporzionato, ma vi si osservano deformazioni provocate dai colpi brutali ricevuti durante la Passione, come la deviazione del setto nasale.

    Quanto al braccio, qual è stata la causa?

    Ci sono varie ipotesi, con i rispettivi sostenitori e oppositori.

    Il dottor Filippo Marchisio, responsabile della Radiologia dell’ospedale di Rivoli, e Pier Luigi Baima Bollone, professore di Medicina Forense presso l’Università di Torino e direttore del Centro Internazionale di Sindonologia, hanno deciso di indagare sul caso, utilizzando apparecchiature radiologiche per il lavoro professionale dell’ospedale di Rivoli.

    I due esperti hanno spiegato il procedimento e le constatazioni in un’intervista speciale rilasciata al quotidiano La Stampa di Torino.

    All’inizio ha richiamato l’attenzione degli scienziati il fatto che il braccio destro dell’Uomo della Sindone sembri più lungo di quello sinistro di 6 centimetri.

    Questa anomalia può essere dovuta a una frattura del gomito o a una lussazione della spalla provocata dalla crocifissione.

    Secondo altri studi seri, la lussazione si sarebbe verificata durante la prima caduta di Nostro Signore sotto il peso della croce.

    Per via dell’impatto contro il suolo, il patibulum (la trave della croce) che i romani legavano alle braccia e sulle spalle dei condannati avrebbe lussato la spalla.

    Con le braccia legate, il lato destro del volto del Signore sarebbe finito a terra, nell’impossibilità di potersi proteggere con le mani. Gli effetti di questa caduta sono già stati analizzati in altri studi. Una lussazione avrebbe impedito a Gesù di continuare a portare il patibulum, perché il braccio destro sarebbe rimasto dislocato.

    Per questo, i soldati romani avrebbero costretto Simone di Cirene, che assisteva alla scena, ad aiutare Gesù a portare la croce.

    La lesione alla spalla è la Piaga oggetto di una devozione speciale e che sarebbe stata la più dolorosa di tutte.

    Gli scienziati hanno anche considerato che le braccia del corpo morto di Gesù sono state probabilmente piegate con la forza al momento di preparare il cadavere per la sepoltura.

    La parte superiore delle braccia, e quindi le spalle, non sono visibili nella Sindone, perché sono state consumate nell’incendio divampato nel 1532 nella cappella del castello dei duchi di Savoia a Chambéry.

    Le parti divorate dalle fiamme appaiono nelle fotografia come triangoli di un colore uniforme.

    Le parti contigue carbonizzate o non completamente consumate formano triangoli irregolari.

    Queste forme sono dovute al fatto che la Sacra Sindone è conservata piegata, e l’incendio ha interessato soprattutto gli angoli e le pieghe del telo.

    Gli scienziati hanno applicato tecnologie moderne per ricostituire le parti mancanti.

    Il dottor Marchisio ha usato uno scanner CAT dell’Istituto di Radiologia di Torino, e si è avvalso della collaborazione di un volontario di 32 anni che ha una morfologia atletica simile a quella dell’uomo della Sindone.

    Il “doppione” è stato usato per scannerizzare al computer le parti mancanti, giocando con una sovrapposizione di immagini.

    La TAC ha permesso “una riproduzione perfetta delle volumetrie del corpo, consentendoci di ricostruire le parti mancanti senza la soggettività insita nella creazione artistica”, ha ricordato Marchisio, aggiungendo che ha anche sottolineato “l’incoerenza della posizione di spalle e mani”. La violenza dell’impatto avrebbe dislocato il braccio dalla spalla.

    Il tutto sarebbe stato aggravato dalla crocifissione: il peso del corpo avrebbe spinto ancor di più alla separazione, giunta ai 6 centimetri calcolati.

    Il corpo crocifisso aveva un minor sostegno per la parte destra lussata, e doveva contorcersi da quel lato per non cadere sul lato sinistro.

    Da ciò gli scienziati hanno concluso di avere tra le mani “un elemento ulteriore che avalla l’ipotesi che l’Uomo della Sindone sia stato realmente crocifisso”.

    È un’altra conferma della concordanza tra la Sacra Sindone e il racconto evangelico. Marchisio e Bollone hanno anche confermato che le macchie di sangue sulla Sindone di Torino sono “assolutamente realistiche”.

    Secondo il dottor Marchisio, la ricerca conferma l’ipotesi di un danno al braccio più lungo. È “un elemento ulteriore che avalla l’ipotesi che l’uomo della Sindone sia stato realmente crocifisso”, ha aggiunto il professor Baima Bollone.

    La spiegazione risiederebbe proprio nella parte del telo funebre persa nell’incendio di Chambéry del 1532.

    I dipinti che riproducono la Sacra Sindone omettono le parti bruciate perché non sono particolarmente belle né hanno interesse artistico.

    Lo studio ha anche considerato che la posizione in cui è rimasto il Corpo è tipica di un crocifisso, ed è stata conservata in virtù della rigidità cadaverica iniziata quando il corpo si è raffreddato sulla croce. La posizione è stata modificata di poco da quanti hanno preso il Corpo per seppellirlo, a eccezione di un certo sforzo per mettere le braccia di modo che le mani coprissero il pube.

    La TAC sottolinea che la posizione della schiena e delle mani non è normale, e questo equivale a dire che a nessun falsificatore sarebbe venuto in mente di disegnare un braccio più lungo dell’altro, ha commentato il sito Sindone… e dintorni, pubblicato da un grande progetto sulla Sindone patrocinato da istituzioni governative di Torino e del Piemonte.


  • OFFLINE
    Credente
    19/12/2019 12:06

    Sindone, lo studioso scettico


    che divenne credente: «difficile non convertirsi»




    Documentarista e grande appassionato di storia, David Rolfe ha realizzato centinaia di lungometraggi. Nel 1976 girò The silent witness (Il testimone silenzioso). Un documentario che aveva per oggetto la Sacra Sindone di Torino e per il quale è stato insignito del British Academy Award.


    Da quel giorno sono numerose le ragioni di gratitudine che Rolfe dice di avere verso l’Uomo della Sindone: «Ateo convinto e consapevole dell’esistenza di numerose reliquie false, ho prodotto il mio primo documentario sull’argomento deciso di scoprire e mostrare come e da chi era stata contraffatta la Sindone. Non potevo pensare che ci fosse un’altra spiegazione», ha raccontato in passato.


    I suoi viaggi lo misero in contatto con diversi storici e scienziati che si occuparono della Sindone e «nel corso dell’operazione le varie prove hanno cominciato a combaciare perfettamente». Ad esempio, Max Frei, botanico e perito giudiziario svizzero, che completò la sua identificazione dei tipi di polline presenti sulla Sindone, molti dei quali appartenevano esclusivamente alla Palestina e alla regione di Edessa.


    «Il mio documentario, lungi dal rivelare la contraffazione, è divenuto un argomento affascinante per la probabile autenticità della Sindone». Il libro sulla produzione del documentario divenne un best seller nel Regno Unito e la Sindone entrò a far parte del corso di studi in molte scuole: storia, fisica, religione, chimica, biologia, anatomia, arte, tessitura. Nel 2008 girò un nuovo documentario per la Bbc e per la Rai, concentrandosi sui  controversi risultati del test C14. «La Sindone è un soggetto unico e adatto a essere ripresa in 3d perché contiene già in se elementi tridimensionali», ha osservato. «Il nuovo documentario si pone la domanda legittima: è questa l’epoca per la quale è nata la Sindone? Il mio prossimo obiettivo sarà trovare un modo per portare la storia della Sindone a un pubblico più ampio in tutto il mondo».


    Un accenno personale, la conversione«Noterete da come mi esprimo che nel corso della produzione sono divenuto credente e cristiano. È difficile studiare la Sindone per tanto tempo senza diventarlo. Questo non riguarda tanto aspetti oggettivi, sebbene siano piuttosto impressionanti, quanto soggettivi. La sua sottile immagine monocromatica è un’opera di genio sublime nel comunicare l’essenza del momento storico in cui è nato il Cristianesimo, attraverso le azioni di Gesù di Nazaret».


    fonte UCCR



  • OFFLINE
    Credente
    28/04/2020 15:18

    L’Uomo della Sindone ricostruito in 3D. I Vangeli raccontano la verità


    SINDONE 3D



     




     







    La ricostruzione dei Vangeli sembra collimare con le scoperte del professor Giulio Fanti dell’Università di Padova


    «Questa statua è la rappresentazione tridimensionale a grandezza naturale dell’Uomo della Sindone, realizzata sulle misure millimetriche ricavate dal lenzuolo in cui fu avvolto il corpo di Cristo dopo la crocifissione» spiega Giulio Fanti, docente di Misure meccaniche e termiche all’Università di Padova e studioso della reliquia. Il professore sulla base delle sue misurazioni ha fatto realizzare un “calco” in 3D che – a suo dire – gli permette di affermare che queste sono le reali fattezze del Cristo crocifisso.

    «Riteniamo perciò di avere finalmente l’immagine precisa di come era Gesù su questa terra. D’ora in poi non si potrà più raffigurarlo senza tenere conto di quest’opera». Il professore ha affidato al settimanale Chi l’esclusiva di questo suo lavoro, a cui ha rivelato: «Secondo i nostri studi Gesù era un uomo di bellezza straordinaria. Longilineo, ma molto robusto, era alto un metro e ottanta centimetri, mentre la statura media dell’epoca era di circa 1 metro e 65. E aveva un’espressione regale e maestosa» (Vatican Insider).



    Tramite lo studio e la proiezione tridimensionale della figura, Fanti ha potuto anche fare un computo delle numerosissime ferite sul corpo dell’uomo della Sindone:



    «Sulla Sindone – riprende il docente – ho contato 370 ferite da flagello, senza prendere in considerazione quelle laterali, che il lenzuolo non riporta perché avvolgeva solo la parte anteriore e posteriore del corpo. Possiamo perciò ipotizzare un totale di almeno 600 colpi. Inoltre la ricostruzione tridimensionale ha permesso di ricostruire che al momento della morte l’uomo della Sindone si è accasciato verso destra perché la spalla destra era lussata in modo tanto grave da ledere i nervi» (Il Mattino di Padova).




    Le domande che avvolgono il mistero della Sindone appaiono ancora intatte, di certo in quell’uomo martoriato vediamo il segno della sofferenza e in essa troviamo un pezzo di ciascuno di noi, ma anche – negli occhi della fede – la speranza che quell’uomo non sia uno qualunque, ma l’Uomo per eccellenza, quel Ecce Homo che si presentò docile di fronte a Pilato e che dopo la tremenda flagellazione fu messo in croce da innocente, anzi caricandosi le colpe di tutti, e sebbene credere nella Sindone non sia obbligatorio neppure per il cristiano, l’eccezionalità di quel lino rimane lì a sfidare la nostra comprensione e le nostre certezze, quasi come fece un certo Gesù di Nazareth che sfidò le nostre certezze amando i suoi persecutori, perdonandoli dalla croce e sconfiggendo la morte ormai due millenni fa…







    fonte ALETEIA

     

     


  • OFFLINE
    Credente
    28/04/2020 15:24

    «La Sindone esisteva già prima del 1300», un altro storico lo riconosce





     




     







    Nel giorno del Venerdì santo i cristiani fanno memoria della passione di Cristo, in attesa della resurrezione pasquale. La possibilità di avere una testimonianza storico-archeologica di questi due eventi è qualcosa di incredibile e questo spiega la potenziale importanza della Santa Sindone.

    Nessun obbligo a credervi ma, a nostro avviso, le prove a favore della sua autenticità ci sembrano attualmente più determinanti di quelle contrarie. In ambito scientifico, in Italia, gli studi più interessanti sono stati svolti dai fisici dell’Enea che, proprio sul nostro sito web, hanno voluto pubblicare un’anteprima della conclusione a cui sono giunti: non si è in grado di replicare l’immagine sindonica con le più moderne tecnologie (né con i mezzi disponibili nel passato, come dimostra il fallimento del tentativo del dott. Luigi Garlaschelli e del Cicap), soltanto attraverso l’irraggiamento di un tessuto di lino tramite impulsi laser eccimero è stato possibile ottenere un risultato similsindonico.


    E’ dal punto di vista storico, invece, che le obiezioni all’autenticità sono più efficaci. Certamente un enorme peso è quello del  responso medioevale emerso dalla datazione al radiocarbonio, realizzata nel 1988 su un campione purtroppo altamente contaminato. Ma che sia un risultato controverso è ormai ammesso da chiunque, basti pensare che durante il Simposio internazionale di Roma, nel giugno 1993, lo statistico Philippe Bourcier de Carbon dell’Institut national d’études démographiques, elencò ben quindici punti di gravi anomalie avvenute durante le operazioni, tra cui l’assenza di verbali e archivio video; contraddizioni nei rapporti ufficiali sul taglio e peso dei campioni; mancato rispetto dei protocolli previsti per l’operazione di datazione; rifiuto della procedura usuale del test a doppio cieco; l’esclusione degli scienziati che meglio conoscevano la Sindone (quelli dello STURP, ad esempio); la comunicazione ai laboratori, prima del test, delle date dei campioni di controllo; l’intercomunicazione dei risultati tra i tre laboratori nel corso dei lavori; la divulgazione ai media dei primi risultati prima della consegna delle conclusioni ecc. Bourcier de Carbon ha concluso: «Una tale constatazione di carenze rimane completamente inusitata nel quadro di un dibattito autenticamente scientifico e non si può che deplorare questa deroga alla deontologia usuale».


    In ambito storico, inoltre, esistono chiare tracce della Sindone ben prima del 1300 d.C. e in passato ne abbiamo parlato in modo più approfondito.


    A chiarire le cose oggi è uscito un libro interessante firmato da Emanuela Marinelli, autorità indiscussa sull’argomento, e dallo storico Livio Zerbini, docente di Storia romana e storia antica all’Università degli studi di Ferrara, dove è anche direttore del Laboratorio di antichità e comunicazione (LAC), e docente presso la scuola di dottorato dell’Università di Bologna. Il titolo è La Sindone. Storia e misteri  (Odoya 2017). L’autorevole contributo del prof. Zerbini si è proprio concentrato sul contesto storico del processo e della crocifissione di Gesù e della ricostruzione del percorso storico compiuto dalla Sindone.


    La Sindone «di puro lino» viene effettivamente citata dagli antichi liturgisti orientali e latini, come appare nei testi di San Giovanni IV Nesteutes, patriarca di Costantinopoli e San Germano, vescovo di Parigi (VI secolo), San Rabano Mauro, arcivescovo di Magonza (IX secolo), Remigio d’Auxerre (IX-X secolo), Onorio di Autun (XII secolo) e così via. Arculfo, vescovo della Gallia del VII secolo, riferì anche di aver visto il sudarium che era stato sul capo di Gesù durante il suo viaggio in Palestina, assieme ad un linteamen più grande, sul quale compariva l’immagine dello stesso Signore. La presenza a Gerusalemme di un sudarium di Cristo nella Basilica del Santo Sepolcro è testimoniata anche dal “Commemoratorium de casis Dei vel monasteriis” (808 d.C.) redatto per l’imperatore Carlo Magno.


    La prima presenza certa della Sindone risale comunque al 1356-1370, riprodotta in un Medaglione votivo ritrovato nel 1855 su cui appare uno stemma legato a Geoffroy I de Charny. Quest’ultimo, cavaliere crociato, ebbe certamente possesso della Sindone. Come arrivò nelle sue mani? Esistono varie ipotesi, le più certificate sono concordi nel seguire per l’appunto la pista dei Crociati o dei Templari, nati per difendere i luoghi santi e i pellegrini che li visitavano. D’altra parte su un coperchio di cassa ritrovato nel 1944 a Templecombe, nel sito che fu una precettoria templare dal 1185 sino all’inizio del XIV secolo, è venuta alla luce l’immagine di un uomo barbuto simile al Volto della Sindone: con la tecnica della sovrapposizione in luce polarizzata sono emersi ben centoventicinque punti di congruenza tra le due immagini.



     


    A questo proposito, è davvero interessante l’approfondimento di Marinelli e Zerbini sulla somiglianza «tra il volto sindonico e la maggior parte delle raffigurazioni di Cristo conosciute nell’arte, sia orientale sia occidentale». «E’ evidente», scrivono «e non può essere attribuita a un puro caso; deve essere il risultato di una dipendenza, mediata o immediata, di un’immagine dall’altra e di tutte da una fonte comune». A chi ipotizza che è stato il presunto autore della Sindone a copiare l’immagine classica nella raffigurazione di Gesù nell’arte, rispondono che «è una tesi non sostenibile, perché le ricerche e le analisi eseguite sulla reliquia hanno escluso, con certezza assoluta, ogni ipotesi di una fabbricazione con mezzi artistici» dell’immagine sindonica. Sia le immagini classiche di Cristo, sia l’Uomo della Sindone, presentano «parecchi elementi non regolari, difficilmente attribuibili alla fantasia degli artisti, che permettono di dedurre come le antiche raffigurazioni del volto di Gesù possano dipendere dalla venerata reliquia» (p. 155).


    L’ispirazione sindonica «è evidente, ad esempio, nei segni esistenti tra le sopracciglia, sulla fronte e sulla guancia destra del volto di Cristo delle catacombe di Ponziano a Roma (VIII secolo). Il volto di Cristo di Hosios Loukas nella Focide, databile attorno all’anno Mille, e quello della chiesa di Santa Sofia a Kiev, della prima metà dell’XI secolo, mostrano realmente la stessa persona» (p. 156). Occorre anche considerare che la Sacra Scrittura non tramanda alcuna descrizione della persona fisica del Salvatore e nei primi tempi del Cristianesimo furono usati soltanto simboli (come l’agnello, il pane, il pesce ecc.). Altre prove di una matrice comune sono nel volto di Cristo nella cappella di San Lorenzo in Palatio a Roma (V-VI secolo), il mosaico della Cappella di San Venanzio presso il Battistero di San Giovanni in Laterano (VII secolo), il Cristo della Cattedrale di Tarquinia (XII secolo), il Salvatore della Cattedrale di Sutri (XIII secolo) e il mosaico (XIII secolo) dell’abside della Basilica di San Giovanni in Laterano. Ancora più evidente è la coincidenza tra il volto sindonico e quello che appare sul vaso d’argento del VI secolo trovato a Homs (in Siria). Qui sotto alcuni esempi.






    La seconda parte del libro affronta l’argomento dal punto di vista scientifico, ripercorrendo tutti gli studi e le evidenze emerse, così come una descrizione di quanto avvenuto durante il prelievo per la datazione tramite radiocarbonio.


    In quell’occasione vennero rifiutati i ventisei esami proposti dallo STURP -il gruppo internazionale di ricerca nato per studiare scientificamente la Sindone-, «per ragioni che il cardinale e io non riuscimmo mai a capire», ha dichiarato il prof. Luigi Gonella, docente di Strumentazione fisica al Politecnico di Torino e consulente scientifico del card. Ballestrero, «si delineò uno schieramento inteso a escludere ogni ricerca che non fosse la radiodatazione» (p. 133). Lo STURP suggerì di prelevare almeno in tre diverse zone del lenzuolo, mentre il prelievo avvenne in un punto solo, l’angolo a sinistra. I responsabili dei tre laboratori, ha proseguito il prof. Gonella, ripetevano: «”se non lascerete fare a noi, soltanto a noi, i risultati non saranno accettabili”. Così, alla fine, Ballestrero ha dovuto cedere, pur soffrendone moltissimo. Ed io, sottomettermi. Anche perché quei signori facevano di tutto per avvalorare la tesi che la Chiesa stava mettendo i bastoni fra le ruote alla scienza. Ci hanno messo con le spalle al muro proprio con un ricatto. O accettavamo il test del 14C alle condizioni imposte dai laboratori o si sarebbe scatenata una campagna con accuse alla Chiesa di temere la verità, di essere nemica della scienza» (p. 145).


    Lo storico Zerbini e la dott.ssa Marinelli, dopo il lungo excursus storico, concludono affermando che viaggiando «a ritroso nel tempo, a cominciare dalle origini della Cristianità», siamo condotti «nei luoghi in cui è stata attestata la presenza» della Sindone, conoscendo «i protagonisti della sua protezione e conservazione, nonché tutti coloro che l’hanno visto o ne hanno parlato» (p. 211).


    QUI L’ARTICOLO ORIGINALE





  • OFFLINE
    Credente
    28/04/2020 15:36
    AGGIORNAMENTI SULLA SINDONE

  • OFFLINE
    Credente
    28/04/2020 15:40
    I SEGNI DELLA CROCIFISSIONE SULLA SINDONE




    TRACCE DELLA RESURREZIONE, CHE SI POSSONO DEDURRE DALLA SINDONE

    [Modificato da Credente 28/04/2020 15:57]
  • OFFLINE
    Credente
    28/04/2020 15:55
    INTERVISTA ALA DR.SSA MARINELLA ESPERTA STUDIOSA DELLA SINDONE

  • OFFLINE
    Credente
    16/06/2020 15:32
    Questo è uno studio sulle macchie di sangue presenti sulla sindone

  • OFFLINE
    Credente
    16/06/2020 15:37

  • OFFLINE
    Credente
    04/07/2020 15:48

    Sindone, il vero mistero: un cadavere non può lasciare la propria immagine su un panno



    Wikipedia



    Condividi
    7k





     







    Questo processo avvenuto sulla Sacra Sindone è scientificamente inspiegabile. E’ come se quella immagine fosse stata prodotta da una radiazione ultravioletta


    «L’uomo della Sindone non è stato lavato: così prescrivevano le norme giudaiche in caso di morte violenta. Il cadavere è stato avvolto nel lenzuolo circa due ore e mezza dopo la morte».



    In “Nuova luce sulla Sindone“, libro a cura di Emanuela Marinelli (edizioni Ares), una articolata inchiesta dimostra un fatto inspiegabile avvenuto sul sacro lino in cui sarebbe stato avvolto Gesù Cristo dopo la morte. Marinelli, sulla base di indagine scientifiche, analizza gli studi sul sangue e sul corpo del cadavere che appare sulla Sindone.


    La permanenza del corpo nel lenzuolo


    Il sangue si era coagulato sulla pelle ferita e sulla Sindone attorno alle ferite ci sono aloni di siero, visibili solo nelle foto all’ultravioletto.


    Questo sangue si è ridisciolto per fibrinolisi a contatto con la stoffa umida, e dal grado di ridiscioglimento dei coaguli si deduce che il cadavere è stato a contatto con il lenzuolo per circa 36-40 ore.


    La permanenza del corpo nella Sindone per un periodo di tempo limitato può essere dedotta non soltanto dall’interruzione del processo fibrinolitico, ma anche dall’assenza di qualsiasi segno di decomposizione. La fine del contatto è avvenuta, inesplicabilmente, senza causare un movimento che avrebbe alterato i bordi delle tracce di sangue.


    L’immagine del corpo avvolto: negativo fotografico


    Sulla Sindone c’è anche l’immagine del corpo che vi fu avvolto. Questa impronta, dovuta a degradazione per disidratazione e ossidazione delle fibrille superficiali del lino, è paragonabile a un negativo fotografico. È superficiale, dettagliata, termicamente e chimicamente stabile.


    È stabile anche all’acqua. Non è composta da pigmenti, è priva di direzionalità e non è stata provocata dal semplice contatto del corpo con il lenzuolo: con il contatto il telo o tocca o non tocca, non c’è via di mezzo. Invece, sulla Sindone c’è immagine anche dove sicuramente non c’era contatto.


    I suoi chiaroscuri sono proporzionali alle diverse distanze esistenti fra corpo e telo nei vari punti di drappeggio. Sotto le macchie ematiche non esiste immagine del corpo: il sangue, depositatosi per primo sulla tela, ha schermato la zona sottostante mentre, successivamente, si formava l’immagine.


    La sorpresa: tridimensionale e ben proporzionato


    Il chiaroscuro dell’immagine può essere letto e ricostruito al computer con un effetto tridimensionale. Una normale immagine piatta dovrebbe fornire un rilievo distorto; al contrario, in questo caso si ottiene un corpo tridimensionale ben proporzionato.


    Come un cadavere abbia potuto imprimere sul lenzuolo l’immagine fotografica di sé stesso è un fenomeno unico e ancora inspiegabile. Non è noto il meccanismo fisico-chimico all’origine dell’impronta; però si può ipotizzare che sia stata provocata da un fiotto di radiazione non penetrante che si attenua con il passaggio nell’aria e diminuisce con la distanza.



    La ricerca dell’Enea


    Presso l’ENEA (Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente) di Frascati, alcune stoffe di lino sono state irradiate con un laser a eccimeri, un apparecchio che emette una radiazione ultravioletta ad alta intensità. I risultati, confrontati con l’immagine sindonica, mostrano interessanti analogie e confermano la possibilità che l’immagine sia stata provocata da una radiazione ultravioletta direzionale.


    Secondo molti fisici, come Thomas Phillips dell’Harvard University di Cambridge, negli Stati uniti, l’immagine presente sulla Sindone potrebbe essere stata causata da un effetto fotoradiante provocato dall’energia sprigionatasi dal corpo di Cristo al momento della risurrezione.





  • OFFLINE
    Credente
    09/09/2020 21:54

    «La Sindone esisteva già prima del 1300», un altro storico lo riconosce






    Nel giorno del Venerdì santo i cristiani fanno memoria della passione di Cristo, in attesa della resurrezione pasquale. La possibilità di avere una testimonianza storico-archeologica di questi due eventi è qualcosa di incredibile e questo spiega la potenziale importanza della Santa Sindone.

    Nessun obbligo a credervi ma, a nostro avviso, le prove a favore della sua autenticità ci sembrano attualmente più determinanti di quelle contrarie. In ambito scientifico, in Italia, gli studi più interessanti sono stati svolti dai fisici dell’Enea che, proprio sul nostro sito web, hanno voluto pubblicare un’anteprima della conclusione a cui sono giunti: non si è in grado di replicare l’immagine sindonica con le più moderne tecnologie (né con i mezzi disponibili nel passato, come dimostra il fallimento del tentativo del dott. Luigi Garlaschelli e del Cicap), soltanto attraverso l’irraggiamento di un tessuto di lino tramite impulsi laser eccimero è stato possibile ottenere un risultato similsindonico.


    E’ dal punto di vista storico, invece, che le obiezioni all’autenticità sono più efficaci. Certamente un enorme peso è quello del  responso medioevale emerso dalla datazione al radiocarbonio, realizzata nel 1988 su un campione purtroppo altamente contaminato. Ma che sia un risultato controverso è ormai ammesso da chiunque, basti pensare che durante il Simposio internazionale di Roma, nel giugno 1993, lo statistico Philippe Bourcier de Carbon dell’Institut national d’études démographiques, elencò ben quindici punti di gravi anomalie avvenute durante le operazioni, tra cui l’assenza di verbali e archivio video; contraddizioni nei rapporti ufficiali sul taglio e peso dei campioni; mancato rispetto dei protocolli previsti per l’operazione di datazione; rifiuto della procedura usuale del test a doppio cieco; l’esclusione degli scienziati che meglio conoscevano la Sindone (quelli dello STURP, ad esempio); la comunicazione ai laboratori, prima del test, delle date dei campioni di controllo; l’intercomunicazione dei risultati tra i tre laboratori nel corso dei lavori; la divulgazione ai media dei primi risultati prima della consegna delle conclusioni ecc. Bourcier de Carbon ha concluso: «Una tale constatazione di carenze rimane completamente inusitata nel quadro di un dibattito autenticamente scientifico e non si può che deplorare questa deroga alla deontologia usuale».


    In ambito storico, inoltre, esistono chiare tracce della Sindone ben prima del 1300 d.C. e in passato ne abbiamo parlato in modo più approfondito.




    A chiarire le cose oggi è uscito un libro interessante firmato da Emanuela Marinelli, autorità indiscussa sull’argomento, e dallo storico Livio Zerbini, docente di Storia romana e storia antica all’Università degli studi di Ferrara, dove è anche direttore del Laboratorio di antichità e comunicazione (LAC), e docente presso la scuola di dottorato dell’Università di Bologna. Il titolo è La Sindone. Storia e misteri  (Odoya 2017). L’autorevole contributo del prof. Zerbini si è proprio concentrato sul contesto storico del processo e della crocifissione di Gesù e della ricostruzione del percorso storico compiuto dalla Sindone.



    La Sindone «di puro lino» viene effettivamente citata dagli antichi liturgisti orientali e latini, come appare nei testi di San Giovanni IV Nesteutes, patriarca di Costantinopoli e San Germano, vescovo di Parigi (VI secolo), San Rabano Mauro, arcivescovo di Magonza (IX secolo), Remigio d’Auxerre (IX-X secolo), Onorio di Autun (XII secolo) e così via. Arculfo, vescovo della Gallia del VII secolo, riferì anche di aver visto il sudarium che era stato sul capo di Gesù durante il suo viaggio in Palestina, assieme ad un linteamen più grande, sul quale compariva l’immagine dello stesso Signore. La presenza a Gerusalemme di un sudarium di Cristo nella Basilica del Santo Sepolcro è testimoniata anche dal “Commemoratorium de casis Dei vel monasteriis” (808 d.C.) redatto per l’imperatore Carlo Magno.


    La prima presenza certa della Sindone risale comunque al 1356-1370, riprodotta in un Medaglione votivo ritrovato nel 1855 su cui appare uno stemma legato a Geoffroy I de Charny. Quest’ultimo, cavaliere crociato, ebbe certamente possesso della Sindone. Come arrivò nelle sue mani? Esistono varie ipotesi, le più certificate sono concordi nel seguire per l’appunto la pista dei Crociati o dei Templari, nati per difendere i luoghi santi e i pellegrini che li visitavano. D’altra parte su un coperchio di cassa ritrovato nel 1944 a Templecombe, nel sito che fu una precettoria templare dal 1185 sino all’inizio del XIV secolo, è venuta alla luce l’immagine di un uomo barbuto simile al Volto della Sindone: con la tecnica della sovrapposizione in luce polarizzata sono emersi ben centoventicinque punti di congruenza tra le due immagini.


    A questo proposito, è davvero interessante l’approfondimento di Marinelli e Zerbini sulla somiglianza «tra il volto sindonico e la maggior parte delle raffigurazioni di Cristo conosciute nell’arte, sia orientale sia occidentale». «E’ evidente», scrivono «e non può essere attribuita a un puro caso; deve essere il risultato di una dipendenza, mediata o immediata, di un’immagine dall’altra e di tutte da una fonte comune». A chi ipotizza che è stato il presunto autore della Sindone a copiare l’immagine classica nella raffigurazione di Gesù nell’arte, rispondono che «è una tesi non sostenibile, perché le ricerche e le analisi eseguite sulla reliquia hanno escluso, con certezza assoluta, ogni ipotesi di una fabbricazione con mezzi artistici» dell’immagine sindonica. Sia le immagini classiche di Cristo, sia l’Uomo della Sindone, presentano «parecchi elementi non regolari, difficilmente attribuibili alla fantasia degli artisti, che permettono di dedurre come le antiche raffigurazioni del volto di Gesù possano dipendere dalla venerata reliquia» (p. 155).


    L’ispirazione sindonica «è evidente, ad esempio, nei segni esistenti tra le sopracciglia, sulla fronte e sulla guancia destra del volto di Cristo delle catacombe di Ponziano a Roma (VIII secolo). Il volto di Cristo di Hosios Loukas nella Focide, databile attorno all’anno Mille, e quello della chiesa di Santa Sofia a Kiev, della prima metà dell’XI secolo, mostrano realmente la stessa persona» (p. 156). Occorre anche considerare che la Sacra Scrittura non tramanda alcuna descrizione della persona fisica del Salvatore e nei primi tempi del Cristianesimo furono usati soltanto simboli (come l’agnello, il pane, il pesce ecc.). Altre prove di una matrice comune sono nel volto di Cristo nella cappella di San Lorenzo in Palatio a Roma (V-VI secolo), il mosaico della Cappella di San Venanzio presso il Battistero di San Giovanni in Laterano (VII secolo), il Cristo della Cattedrale di Tarquinia (XII secolo), il Salvatore della Cattedrale di Sutri (XIII secolo) e il mosaico (XIII secolo) dell’abside della Basilica di San Giovanni in Laterano. Ancora più evidente è la coincidenza tra il volto sindonico e quello che appare sul vaso d’argento del VI secolo trovato a Homs (in Siria). Qui sotto alcuni esempi.





     


    La seconda parte del libro affronta l’argomento dal punto di vista scientifico, ripercorrendo tutti gli studi e le evidenze emerse, così come una descrizione di quanto avvenuto durante il prelievo per la datazione tramite radiocarbonio.








    [Modificato da Credente 09/09/2020 21:56]
  • OFFLINE
    Credente
    15/03/2021 00:15

    PROVIAMO AD IPOTIZZARE L'ESISTENZA DI UN FALSARIO CHE AVREBBE REALIZZATO LA SINDONE DI TORINO

    Sono un falsario del Medioevo e voglio fabbricare una falsa reliquia, quindi prendo un lino, lo stendo sopra un bassorilievo e con la strofinatura realizzo l’immagine, poi per rendere il tutto più credibile, prendo un po’ di sangue umano, magari il mio, e là, qualche pennellata nei punti giusti, seguendo ovviamente la descrizione dei Vangeli: ho creato una bella falsa reliquia: l’effetto è godibile e può sembrare proprio il telo di Cristo.

    INVECE no, il presunto falsario si è voluto complicare all’inifinito la vita facendo cose impossibili da conoscere per la sua epoca e anche da realizzarsi nella nostra, tutto questo *PERCHE’ MAI*? *CHI mai* avrebbe visto quelle subdole falsificazioni aggiuntive così invisibili e sconosciute al suo mondo (e a lui!).

    Tipo:

    1) va a mettere del sangue venoso e arterioso (e nessuno conosceva la differenza). Per di più un terzo tipo di sangue, quello post-mortem nel costato e nei piedi. Mica aveva una laurea in medicina legale… e mica c’erano analisi spettroscopiche e di laboratorio per riconoscerli, a vista medioevale, col cavolo che qualcuno avrebbe mai potuto vederli (né tantomeno poteva mai immaginare che ce se ne accorgesse dopo 7 secoli).

    2) non solo, non c’è traccia alcuna di pennellate o di qualunque altro metodo atto a posizionare quelle macchie di sangue, se non per contatto con un corpo. Le macchie di sangue e di siero presenti sul lenzuolo sono irriproducibili con mezzi artificiali: è sangue coagulatosi sulla pelle di un uomo ferito e ridiscioltosi a contatto con la stoffa umida. Ci voleva un pennello di almeno 2 metri e che non lasciasse tracce di pennellate. E avrebbe dovuto preoccuparsi che dopo SECOLI qualcuno se ne sarebbe accorto?

    3) ma attorno alle macchie di sangue ci sono pure le tracce di siero, invisibili ai soliti uomini medioevali, ma appunto come dovrebbero essere in un corpo sanguinante.

    4) come ho spiegato sopra, il corpo però deve essere appena morto e appoggiato per non più di 36 ore, altrimenti ci sarebbero segni di putrefazione rilevabili (al microscopio) che non ci sono. Ma mica si sarebbero visti ad occhio nel medioevo e mica la conosceva la fibrinolisi… (Ovviamente il corpo del falsario medioevale assassino deve aver patito esattamente tutte le torture subite da quello del Vangelo…)

    5) dopo le famose 36 ore deve far sparire il corpo a contatto col lenzuolo, ma senza lasciare tracce dello spostamento… e chi se ne sarebbe MAI accorto nel 1300 (a parte il “come” averlo fatto)? Perché mai avrebbe dovuto preoccuparsene??

    6) sotto le macchie di sangue oltretutto avrebbe dovuto fare in modo che l’immagine dell’uomo non apparisse. Ma PERCHE’ mai?? Chi l’avrebbe apprezzato?
     L’immagine pare non esserci dove sono deposte le macchie di sangue. In altri termini essa si sarebbe formata solo in seguito. Quindi il falsario avrebbe dovuto prima mettere il sangue sul lenzuolo nei punti corretti e solo successivamente il telo stesso sul bassorilievo, facendo combaciare le diverse aree con assoluta precisione.

    Ma la cosa si complica parecchio, perché mettendo il sangue prima, poi fare la strofinatura, te lo raccomando: la macchia si impasta/deforma.
    Se fai la strinatura poi, il calore lo altera.
    Se fai un’impressione fotografica avresti le sostanze usate per far apparire l’immagine che si troverebbero sotto le macchie e dovrebbero reagire pure col sangue e anche essere rilevabili oggi e invece nessuna traccia.

    E tutto questo PERCHE’?? Alla credibilità del falso non cambierebbe nulla di nulla, nessuno se ne sarebbe accorto e sarebbe bastato semplicissimamente,  aggiungere il sangue dopo…


    7) ha voluto riprodurre le caratteristiche di un’immagine di negativo fotografico che abbia però la perfetta rappresentazione tridimensionale regolare e ben definita anche e soprattutto nei punti dove l’uomo della Sindone non toccava il telo.
    Eh sì, infatti non conoscendo i principi della tridimensionalità analizzabile al computer avrebbe previsto che, 700 anni dopo, avrebbero scoperto queste discipline per vedere che lui le aveva già scoperte prima…

    8) alcuni particolari importanti delle torture subite le avrebbe create di nascosto in modo che venissero scoperte solamente dopo la trasposizione tridimensionale e manco a morir ammazzato a occhio nudo medioevale. Bravo ‘sto falsario, eh?

    9) invece che accontentarsi del buon risultato cromatico (in sè) di una semplice strinatura o strofinatura, ottenendo una densità cromatica, ha voluto produrre una sindone con un’immagine a densità d’area, incompatibile con i metodi suddetti. E a beneficio di CHI? Il risultato è visibile solo al microscopio attuale!

    E continuando così…

    Questo famoso falsario perché mai avrebbe dovuto dannarsi la vita per ottenere risultati capibili (molto in parte) solo 700 anni più tardi e totalmente invisibili/inconoscibili alla sua epoca, oltre che ottenuti da conoscenze che lui stesso non poteva avere?
    (Esponendolo a rischi sempre maggiori di buttare il risultato finale: avete l’idea di quanti tentativi sarebbero stati necessari per realizzare una cosa simile? Senza riuscirci poi…)

    La Sindone è un insieme di fattori: sangue e immagine, è inutile voler spezzettare il tutto a singoli esperimenti se poi il tutto non può essere perfettamente ricombinato con le stesse caratteristiche.

    Invece un vero corpo martoriato da quelle torture, avvolto in un lino della sua epoca, sepolto per 36 ore e non di più, senza lasciare tracce di spostamento del sangue, avrebbe lasciato esattamente quelle tracce di sangue di 3 tipi diversi, di quel siero nei posti giusti, con colate di gravità ovviamente corrette. Senza NESSUNA incongruenza con il caso fisico reale, 



  • OFFLINE
    Credente
    15/03/2021 00:24
    Ammettiamo pure per assurdo una contingenzialità sull’immagine.

    Però c’è di mezzo il sangue…
    Ed essendoci:
    -) sangue arterioso, venoso, sangue post-mortem e siero invisibile (4 tipi diversi di sostanze che è impossibile si trovino lì contemporaneamente nei posti giusti per casualità o per intenzionalità di un uomo medioevale, se non appunto per contatto di un vero cadavere martoriato)
    -) macchie compatibili solo col contatto di un cadavedere appena morto, ma assolutamente non di più di 36 ore per assenza di putrefazione

    Bisogna concludere che è da escludersi la casualità contingenziale per quel che riguarda la presenza di queste macchie di sangue.

    Il problema più grosso, secondo me, è la presenza di queste macchie ma non del corpo!
    Cioè il problema è che non ci sono tracce di *spostamento* del corpo!
    Perché questi scienziati artistici non cercano di dare qualche dimostrazione di come spostare un cadavere ferito senza che si alterino i contorni delle macchie di sangue. *Sembra* un compito più facile di quello di decifrare l’altra immagine misteriosa, dato che parliamo di semplici macchie di sangue ben conosciute, no? Invece tutti si sbizzarriscono sull’immagine…
    Tanto per capirsi, avete presente quegli adesivi di sicurezza per capire se un prodotto è stato aperto? Bene, se li sollevi, si formano crepe, fessure, rotture, cioè segni della manomissione. Il coagulo sanguigno fa la stessa cosa: i contorni, la consistenza della macchia possono provare un eventuale spostamento dell’oggetto. Ebbene, dove sono questi segni??
    Per il sangue non è possibile parlare di contingenzialità, nè come detto sopra di intenzionalità di un presunto falsario.
    Anche se avesse usato un vero cadavere martoriato in quel modo, come l’ha tolto dal lino?
    E torniamo alle solite domande di logica precedenti, perché mai avrebbe dovuto preoccuparsi di non far vedere secoli dopo quello spostamento invisibile alla sua epoca?
  • OFFLINE
    Credente
    24/03/2021 23:29


    Relazione molto ben fatta, con chiarezza, sinteticità e completezza.
    Che ripercorre le fasi salienti della complessità degli studi sindonici. Avrei aggiunto un particolare che mi pare importante e cioè che sulla sindone non vi sono segni di decomposizione del corpo che vi fu certamente avvolto e che le macchie di sangue non mostrano sfrangiature che si sarebbero avute qualora il corpo fosse stato rimosso manualmente.
    Ciò fa pensare che tale Corpo sia fuoriuscito dai teli che lo avvolgevano (sindone + fasce) e che le fasce avvolgenti la sindone, furono viste da Pietro e Giovanni afflosciate, sgonfiate, (Gv 20,5-7) mantenendo celata la sindone al loro interno, verosimilmente a causa del fatto che il Corpo in esse contenuto si era dileguato ma lasciando intatta la modalità di posizionamento.
  • OFFLINE
    Credente
    28/05/2021 10:04
    Un articolo di
    con le osservazioni circa la riproduzione della Sindone fatta dal dr.Garlaschelli
    trodotto con Google


    Scienza tramite comunicato stampa?
    Una risposta editoriale di Barrie Schwortz
    7 ottobre 2009

    Ieri ero lontano dal mio ufficio e a Los Angeles quando la notizia è apparsa sui media che
    un professore italiano aveva "riprodotto" la Sindone utilizzando tecniche disponibili nel XIV in
    secolo. Sebbene non avessi il mio computer con me, il mio cellulare squillò ancora e ancora
    con gli amici che chiamavano per leggermi la storia, così ho sentito la notizia quasi immediatamente.
    Al mio ritorno ieri sera tardi, la mia casella di posta era inondata di e-mail, la mia segreteria telefonica era
    quasi pieno di messaggi e più di 20.000 persone hanno visitato il sito da martedì
    mattina. Finalmente sono riuscito a leggere la storia da solo verso l'una di notte.
    Normalmente, non rispondo a questo tipo di storia, poiché i media pubblicano raramente le confutazioni
    comunque e le storie di solito scompaiono da sole dopo pochi giorni. Alla fine, dando
    qualsiasi attenzione di solito aiuta solo l'autore dell'articolo e ottiene ancora più pubblicità
    per lui perché qualcuno è pubblicamente in disaccordo con lui. Tuttavia, poiché così tanti spettatori
    mi hanno scritto, ho deciso di scrivere questa breve risposta in cui esprimo la mia personale
    opinioni su questo argomento. Ecco perché l'ho intitolato una risposta "editoriale".
    Francamente, sapendo che la Sindone tornerà in mostra al pubblico tra circa 6 mesi, non lo sono
    molto sorpreso di vedere uscire questo tipo di storia, insieme alla conseguente copertura mediatica. Questo
    sembra accadere ogni volta che la Sindone sta per essere esposta al pubblico. Eppure ogni volta che un serio
    articolo scientifico sulla Sindone è pubblicato in una rivista peer review, c'è a malapena un'increspatura
    nei media popolari. E ora, ancora una volta, qualcuno afferma di aver "riprodotto" la Sindone,
    "dimostrare" che si tratta di un falso medievale. Hanno fatto le loro affermazioni tramite nient'altro che un comunicato stampa
    e ha ottenuto una copertura mediatica globale istantanea. Tuttavia, questo NON è il modo in cui opera effettivamente la scienza.
    L'autore che ha fatto queste affermazioni afferma che renderà disponibili i dettagli "la prossima settimana". Nel
    il mondo reale della scienza, un ricercatore deve eseguire i suoi esperimenti, compilare i suoi dati, disegnare i suoi
    conclusioni, scrivere un documento formale e inviarlo a una rivista scientifica per la revisione tra pari. Il lavoro
    viene poi esaminato da altri esperti, solitamente della stessa disciplina, prima di essere accettato per
    pubblicazione (o rifiutata). I dati devono fornire una solida base per i reclami e provenire da
    l'inizio. Non "la prossima settimana". E certamente non reso pubblico tramite un comunicato stampa!
    Purtroppo, nel rivedere l'articolo, è immediatamente evidente che l'autore sa molto poco
    l'attuale Sindone di Torino. Non è il primo a suggerire che l'immagine della Sindone sia stata prodotta da
    pigmento ocra rosso (ossido di ferro). In effetti, è almeno il quarto ad aver proposto questa teoria
    negli ultimi 30 anni. Naturalmente, questo problema è stato anticipato dal team STURP nel 1978 e da un certo numero
    di test altamente sensibili sono stati eseguiti che hanno determinato che non c'era abbastanza ossido di ferro sul
    Sindone per essere visibile senza microscopio. L'ossido di ferro non costituisce l'immagine sul
    Sindone. Hanno anche determinato che le aree dell'immagine della Sindone non contengono più ossido di ferro del
    aree non di immagine. È distribuito più o meno uniformemente su tutto il tessuto.
    Ovviamente, se l'immagine fosse stata realizzata nelle modalità dettagliate nell'articolo, la troveremmo comunque
    migliaia di particelle di ossido di ferro incorporate nelle fibre dell'immagine del lino e queste sarebbero
    essere chiaramente visibile solo con una buona lente di ingrandimento. Eppure la microscopia eseguita direttamente sul
    La Sindone nel 1978 non ha rivelato nulla del genere. Queste particelle semplicemente non vanno via da sole. STURP's
    gli strumenti potrebbero rilevare parti per miliardo (una quantità molto piccola) di qualsiasi sostanza sulla Sindone
    e TUTTE le vernici e pigmenti noti (compreso l'ossido di ferro) sono stati esclusi dai dati.
    È interessante notare che l'ossido di ferro è anche un sottoprodotto della macerazione della biancheria e delle minuscole quantità che si trovano su
    la Sindone era pura e molto probabilmente il risultato del processo di macerazione. L'ossido di ferro usato in rosso
    il pigmento ocra ha molte impurità e si trova raramente, se non mai, nella sua forma pura.
    Ho affermato in più di un'occasione che realizzare immagini su lino è relativamente facile. Tuttavia,
    fare immagini su lino con le stesse proprietà chimiche e fisiche della Sindone è un'altra
    storia. Considerando l'enorme quantità di dati scientifici che ora esistono sulla Sindone di
    Torino, chiunque faccia affermazioni come queste deve sottoporre il proprio lavoro a un attento esame e
    analisi comparativa prima di trarre conclusioni così drammatiche. Ciò non è stato fatto in questo
    Astuccio. Chiunque faccia tali affermazioni deve creare un'immagine con TUTTE le stesse sostanze chimiche e
    proprietà fisiche come la Sindone, non solo alcune, se vogliono essere prese sul serio.
    È stato dimostrato scientificamente che le macchie di sangue sulla Sindone provenivano direttamente
    contatto con un corpo e sono tutti accurati dal punto di vista forense. È stato anche dimostrato che le macchie di sangue
    erano sulla Sindone PRIMA che l'immagine si fosse formata poiché il sangue e il siero agivano inibibendo il meccanismo di formazione dell'immagine. Non c'è NESSUNA immagine sotto le macchie di sangue e siero sul Sindone.
    Tuttavia, per realizzare questa nuova "riproduzione", è stato aggiunto il "sangue" (utilizzando un pigmento diverso)
    DOPO che l'immagine è stata creata. Ovviamente, è molto più facile aggiungere il sangue all'immagine che a
    prima crea le macchie di sangue e poi crea l'immagine forense accurata intorno a loro, che è
    esattamente quello che avrebbe dovuto fare un falsario medievale per duplicare le effettive proprietà fisiche della Sindone!
    Molte delle macchie di sangue sulla Sindone mostrano un alone circostante di macchie di siero che sono SOLO
    visibile con la fotografia a fluorescenza UV. Inoltre, il sangue è stato analizzato chimicamente e
    determinato a includere componenti del sangue reale, NON pigmento.
    Una risposta scientifica adeguata e dettagliata a questo comunicato stampa è ora in fase di elaborazione online
    Shroud Science Group e spero di pubblicare un articolo approfondito di veri esperti della Sindone
    affrontare queste affermazioni nel prossimo futuro.
    Tuttavia, sarei negligente se non menzionassi che il comunicato stampa ha affermato anche il ricercatore "ha ricevuto finanziamenti per il suo lavoro da un'associazione italiana di atei e agnostici, ma ha detto di sì nessun effetto sui suoi risultati. "Questa è un'affermazione interessante di qualcuno che rappresenta un segmento di
    la comunità scettica che ha spesso accusato gli scienziati dello STURP di pregiudizi religiosi,
    implicando che i loro dati erano in qualche modo errati perché alcuni di loro erano cristiani!
    Fino al momento in cui i dati non saranno resi disponibili affinché possano essere adeguatamente esaminati e confrontati con
    i dati noti sulla Sindone, non prenderò molto sul serio queste affermazioni. E nessuno dovrebbe
    di voi.
    Articolo originale:
    www.shroud.com/pdfs/schwortzedit01.pdf
  • OFFLINE
    Credente
    24/09/2021 17:31
    La convinzione che la datazione al radiocarbonio non sia attendibile
    si basa non su una personale sensazione ma sui seguenti elementi oggettivi:
    1) l'analisi dei campioni non è stata effettuata secondo gli standard previsti e necessari.
    2) Il prelievo dei campioni è stato fatto in una zona rammendata con fili durante il medioevo.
    3) Il telo sindonico è stato esposto per secoli ai fumi di innumerevoli candele.
    4) E' scampato a ben 2 incendi precedenti la datazione che ne hanno alterato considerevolmente la concentrazione di carbonio.
    Per tali motivi, oggi la maggioranza degli studiosi seri non considera più l'analisi del radiocarbonio. Questa convinzione o meglio questo tentativo di autoconvincimento infondato permane in chi vuole negare a tutti i costi la consistenza di altri numerosi elementi che fanno invece propendere notevolmente verso l'autenticità di questo eccezionale reperto.
2